Il canale Villoresi (in lombardo Canal Vilores o, localmente, Rongion) è un importante canale d’irrigazione ideato dall’ingegnere lombardo Eugenio Villoresi da cui prese il nome.
L'”ACQUA di EXPO”: gli straordinari record del VILLORESI
Credits: wikipedia.org – Le chiuse del Canale Villoresi
#1 Ha dato acqua all’Expo
Credits: milano.repubblica.it – Albero della vita
Molti ricorderanno i canali d’acqua che disegnavano il perimetro del sito di Expo e il Lake Arena ovvero il lago artificiale sotto l’attrazione principale del parco espositivo, l’Albero della vita. Ebbene l’acqua era ed è tuttora alimentata dal Canale Villoresi in un progetto che prevedeva la realizzazione di 20 km delle cosiddette “vie d’acqua” in parte navigabili da battelli per collegare il sito dell’esposizione universale alla Darsena, al posto del quale hanno visto la luce solo 8 chilometri di piste ciclabili lungo il corso d’acqua che collega il canale Villoresi al sito espositivo. Ma pochi sanno che il Villoresi vanta due straordinari primati, oltre a quello di aver fornito l’acqua di Expo.
#2 Il secondo canale artificiale più lungo d’Italia
ll canale voluto dall’ingegnere Villoresi che ha origine dal fiume Ticino, dalla diga del Pan Perduto in località Maddalena, frazione di Somma Lombardo si estende per 86 km, issandolo al secondo posto nella classifica dei canali artificiali più lunghi d’Italia dopo il canale Emiliano Romagnolo.
#3 Il suo immenso bacino
Nel percorso di attraversamento dell’alta pianura di Milano da ovest verso est irriga un bacino di 85.000 ettari attraverso 120 bocche e rami secondari, estesi per circa 130 km, che diventano 1400 se si considerano anche i canali di terza grandezza. Oltre a questo, bagna il territorio di 3 comuni della provincia di Varese e 24 comuni nella città metropolitana di Milano e nella provincia di Monza e Brianza, oltre alla stessa città di Monza
L’autunno che arriva può essere una doccia fredda per i milanesi che dovranno muoversi in città. In programma una serie di rincari e limitazioni.
AREA C, AREA B, PARCHEGGI: le novità in arrivo con l’AUTUNNO
# Da inizio Ottobre: Area B off-limits ai mezzi pesanti senza sensore per l’angolo cieco
Telecamere Area B
Dal primo giorno di ottobre diventa off-limits Area Bai mezzi pesanti senza il sensore capace di rilevare l’angolo cieco nello specchietto. Nello specifico la misura colpisce i veicoli M3 destinati al trasporto di persone con massa massima superiore a 5 tonnellate e i veicoli N3 destinati al trasporto di merci con massa massima superiore a 12 tonnellate. I proprietari in possesso di contratto di acquisto del dispositivo potranno circolare fino al 31 dicembre 2024. Ai mezzi più leggeri viene concesso un anno di tempo in più. La decisione di introdurre questo obbligo è stata presa a seguito dei diversi incidenti mortali che hanno coinvolto pedoni e ciclisti.
# Da fine ottobre: Area C più cara del 50% e attiva 7 giorni su 7
Area C
Si prospetta una doccia fredda per milanesi, lavoratori e turisti. A storcere il naso sarà in primis chi è obbligato a entrare nel centro storico con la propria automobile. Le nuove regole di Area C prevedono infatti dal 30 ottobre 2023 l’aumento del 50% della tariffa di ingresso da 5 a 7,50 euro. Non solo. La Ztl sarà sempre in vigore dalle 7.30 alle 19.30 ma le telecamere rimarranno attive anche nei weekend, quindi tutti i giorni della settimana. Novità invece positiva per i residenti: beneficeranno di 10 ingressi annui gratuiti in più, passando da 40 a 50.
# Da fine ottobre: parcheggi in centro per massimo due ore al giorno, in periferia esteso l’orario in cui si deve pagare per lasciare l’auto
Foto redazione – Nuove strisce blu Via Verbano
Da fine ottobre 2023 scatta anche la rivoluzione per i parcheggi. In centro, quindi nel perimetro di Area C, si potrà lasciare l’auto parcheggiata in strada al massimo per due ore consecutive dalle 8 alle 19 tutti i giorni della settimana. Unica eccezione: i parcheggi interrati. Si potrà parcheggiare in strada senza limiti di tempo solo nel periodo tra le 19 e le 8 della mattina successiva, anche se la sosta rimane a pagamento. Fuori dal centro invece l’orario in cui è previsto il pagamento fino alle 13 viene esteso fino alle 19 a tutti i giorni feriali, sabato incluso. La misura sarà applicata anche a tutti gli ambiti che saranno istituiti in futuro nell’area della cerchia extrafiloviaria.
Chi è rimasto in città lo avrà notato. L’erba nei parchi pubblici sembra sempre più alta. È solo un’impressione oppure è davvero così?
L’ERBA di MILANO è sempre più ALTA
# Milano come Francoforte, ridotti gli sfalci del verde per la tutela della biodiversità
Credits Elena Grandi FB
Cespugli incolti, prati e giardini con erba alta. Lo si può vedere camminando per la città e attraversando le aree verdi. Molti milanesi si sono lamentati di questa situazione che è stata confermata dall’Assessore al Verde Elena Grandi sulla sua pagina facebook: il Comune di Milano ha deciso intenzionalmente di ridurre gli sfalci per tutelare la biodiversità. Queste le sue parole: “L’erba del vicino è sempre la più verde. Anzi la più alta. Francoforte ha fatto una scelta precisa per tutelare ecosistemi e biodiversità. In molti parchi e giardini e aiuole della città l’erba è lasciata alta eppure i bambini giocano lo stesso e le persone si sdraiano nei prati. Stiamo provando a fare lo stesso a Milano, riducendo la frequenza degli sfalci.”
# Un pericolo per i cani
Credits lucioliu-pixabay – Cane
Alle critiche dei cittadini si sono aggiunte quelle di Gianluca Comazzi, assessore regionale al Territorio e Sistemi Verdi: “L’assessore comunale al verde Elena Grandi dichiara di volersi ispirare a non si sa bene quale progetto europeo che prevede che l’erba dei campi non venga tagliata. Ora ci è tutto più chiaro: capiamo perché i nostri parchi sono in un totale stato di abbandono. Evidentemente all’assessore non interessa delle decine di migliaia di cani che vivono nella nostra città e che puntualmente ogni anno rischiano la vita per colpa dei forasacchi e delle migliaia di euro che i milanesi spendono per farli curare dal veterinario.” I forasacchi sono spighe di alcune graminacee che rappresentano un pericolo per i cani. Possono intaccare le vie respiratorie, perforare i timpani delle orecchie o infilarsi negli occhi provocando infezioni anche gravi.
# Funziona davvero?
Ph. Andrea Cherchi
Al netto del pericolo per gli animali, questa strategia è davvero utile e vantaggiosa? Enrico Pluda su MilanoPost scrive come non ci sia “alcun fondamento scientifico nel sostenere che l’erba non tagliata in primavera porti vantaggi al verde stesso. L’erba alta toglie nutrimento ad alberi e colture, e questo lo sanno bene i contadini. Non solo, l’erba alta, una volta tagliata e lasciata a terra, come puntualmente avviene a Milano, forma uno strato di feltro che ne impedisce la ricrescita, esattamente l’opposto del cosiddetto mulching che invece prevede che l’erba venga tagliata e sminuzzata di frequente in modo da produrre un concime e una risemina naturale“.
Il re-inselvatichimento della città, che comporta il parziale abbandono delle zone già piantumate, è una pratica che si sta diffondendo sempre di più ma come abbiamo visto sono diversi gli aspetti negativi che forse vengono tenuti poco in considerazione. Non sarebbe meglio limitare al massimo questa strategia e concentrarsi su una cura del verde attiva e proattiva utile anche a ridurre il rischio che al prossimo nubifragio si registri una nuova strage di alberi?
In queste gelaterie milanesi viene servito uno dei migliori gelati al pistacchio del mondo. Lo dice la guida gastronomica digitale TasteAtlas.
Il GELATO al PISTACCHIO: è a Milano uno dei più BUONI del MONDO
# Due gelaterie milanesi tra quelle che servono il migliore gelato al pistacchio del mondo
Taste Atlas – 100 Gelaterie più iconiche
Altro riconoscimento per l’Italia, e in questo caso per Milano, dalla guida gastronomica digitale TasteAtlas. Dopo la classifica con le migliori cucine del mondo e quella dei formaggi più buoni arriva l’elenco con le 100 gelaterie più iconiche che hanno lasciato un segno indelebile nella scena mondiale dei dolci. Al suo interno ci sono due gelaterie milanesi, selezionate per il loro gelato artigianale al gusto di pistacchio, ritenuto tra i più buoni del mondo.
# Gelateria Marghera: “una miscela perfetta di cremoso e dolce”
Credits gelateriamarghera IG
La Gelateria Marghera è un punto fermo in città da oltre 40 anni, una vera istituzione quando si parla di gelato. Aperta dal 1979, è nata come primo negozio interamente dedicato al gelato da passeggio o da asporto a Milano, con molti gusti e un prodotto fresco realizzato nel laboratorio con materie prime naturali. Tra le sue invenzioni c’è il “gelato gourmet”, ma quello che più la contraddistingue secondo la guida Taste Atlas è il gusto al sapore di pistacchio definito come “una miscela perfetta di cremoso e dolce, assolutamente da provare per ogni amante del gelato.”
Indirizzo: Via Marghera, 33
# Il Massimo del Gelato, “per la sua straordinaria ricchezza e genuinità”
Credits marika.dossi IG – Il Massimo del Gelato
Tra le gelaterie dove gustarsi un ottimo gelato al pistacchio c’è il Massimo del Gelato, da anni considerata una delle migliori a Milano. Inaugurata nel 2001 su idea di Massimo Travani, da qui il nome del locale, la gelateria propone gusti classici con qualche tocco di esotico e secondo la guida offre un gelato ricco e denso. Proprio quello al pistacchio si distingue particolarmente “per la sua straordinaria ricchezza e genuinità” soddisfacendo anche i palati più esigenti.
Tra la fine degli anni sessanta e gli anni ottanta è stata una delle personalità femminili più desiderate dall’immaginario collettivo maschile. Agostina Belli dimostra di non essere solo una bella ragazza del cinema, ma l’umiltà e l’abnegazione sul lavoro le permettono di crescere, diventando una vera attrice, passando dalla commedia al genere drammatico, facendo tappa nell’horror, con una disinvoltura sorprendente.
AGOSTINA BELLI, la “bella tosa” del cinema italiano
# L’amicizia con Mariangela Melato
Mariangela Melato
Il suo vero nome è Agostina Maria Magnoni: nasce a Milano il 13 aprile 1947, al quartiere Gambellino. Da adolescente entra alla Rinascente, lavorando nell’ufficio contabilità. Qui conosce Mariangela Melato, che fa la vetrinista. A distanza di anni si ritroveranno sul set di “Mimì metallurgico ferito nell’onore”. Le due attrici milanesi inizieranno una lunga amicizia che, più o meno direttamente, diventerà galeotta nella relazione sentimentale tra la Melato e Renzo Arbore.
# La prematura scomparsa della madre, accoltellata da uno sconosciuto
Ma torniamo alla Belli: la sua vita non è stata facile, a 23 anni perde la madre, Margherita Dossena, accoltellata da uno sconosciuto in via Copernico, dove gestiva un albergo. Il delitto (avvenuto nel 1970) rimane tutt’ora irrisolto, ma Agostina, un paio di anni fa, leggendo il Corriere della Sera, vede la foto della madre accostata a quella di altre sei donne ammazzate dal cosiddetto “killer di Milano”, tra il 1960 e i settanta, come se i delitti avvenuto in quel periodo, in cui le vittime erano donne accoltellate, avessero la stessa mano. Questo dolore la sta accompagnando da 54 anni e, nei ruoli in cui interpreta personalità fragili, sembra quasi emergere questa cicatrice.
# Gira 48 film, dalla commedia al thriller noir
Wikipedia – Carlo Lizzani – Banditi a Milano
Il primo a credere il lei fu Carlo Lizzani: è il 1967 e il regista romano gira le scene del film “Banditi a Milano”, che narra la storia criminale della Banda Cavallero. Agostina Belli interpreta il ruolo di una ragazza presa in ostaggio dai banditi durante la rapina (davvero avvenuta) alla banca San Paolo di Ciriè. Viene caricata in auto durante la fuga e rilasciata nelle campagne dello stesso comune torinese.
Dal 1968 al 2008 la Belli recita in 48 film, passando dalla commedia, come “Il terribile ispettore”, al thriller noir, come “Il castello dalla porte di fuoco”, facendosi apprezzare anche nel genere grottesco, come nel già citato Mimì metallurgico e nel genere drammatico, come in “Profumo di donna”, al fianco di Vittorio Gassman e sotto la regia di Dino Risi. Un film che ebbe il grande merito di spostare sul grande schermo un romanzo di Giovanni Arpino, con un meticoloso rispetto della narrazione del grande scrittore. E la Belli, in questo contesto, si esprime con tutta la propria bravura, un uno struggente ruolo che lascia il segno nella memoria dello spettatore.
# Ma qual è il film dove si è sentita più affermata come attrice?
In un’ intervista a “La vita in diretta”, fece capire che fu in “Telefoni bianchi”, del 1976, che capì la grande considerazione che il mondo del cinema aveva per lei. In Tv ha lavorato in otto progetti, tra serie e programmi di varietà. All’inizio degli anni settanta girò la pubblicità per la saponetta Lux, la prima rèclame spudoratamente ricca di sensualità, con la battuta, che diventò una simbolo della propaganda televisiva: “Lux, finita la schiuma è come una crema”.
# I riconoscimenti per il suo lavoro
Per Agostina Belli ci sono anche un David di Donatello, una targa d’Oro, un Nastro d’Argento, per “Telefoni bianchi”, un Globo d’Oro, e un riconoscimento come migliore attrice rivelazione per “Profumo di donna”. Da diversi anni Agostina si è “ritirata” in campagna, vive in mezzo alla natura, dove ha trovato la propria dimensione, dopo anni frenetici di lavoro, successi, qualche delusione e grande generosità nel lavoro.
Lo abbiamo chiesto ai milanesi. Queste le risposte che hanno ricevuto più apprezzamenti.
La COSA che ti MANCA di più di Milano quando sei in VACANZA?
# I mezzi di trasporto pubblico e in sharing
Credits pamypt IG – Treno M1 in arrivo
A chi non mai capitato di dire “stupendo qui, ma non c’è nemmeno la metro“? Bus, tram, metropolitana a cui aggiungere il noleggio di monopattini, bici, scooter, oltre all’auto. Solo in metropoli come Londra, Madrid, Parigi o New York il milanese potrebbe sentirsi meno a disagio.
# La precisione e la puntualità
Credits: pixabay.com
Va bene staccare la spina, ma non del tutto. Nonostante il clima rilassante da villeggiatura al milanese non piace aspettare troppo tempo, ad esempio quando si ordina un piatto al ristorante, e soprattutto che le cose non vengano fatte con la dovuta precisione. Anche se non si deve fatturare o ritornare in ufficio vorrebbe che tutto fosse fatto nel migliore dei modi possibili, per godersi pienamente le poche settimane senza lavoro.
# La frenesia e la vitalità della città
La musica vive qui – Credits: Milano Music Week
Ogni giorno un evento, un’inaugurazione, un vernissage, per non dire delle fiere o dei fuori..qualcosa. Non c’è un attimo di respiro, un vortice frenetico dentro cui i milanesi piace farsi trasportare per sentirsi pienamente cittadini metropolitani e godere di tutto quello che la città può offrire.
# La possibilità di fare la spesa a qualsiasi ora, o quasi
Credits zeromilano – Minimarket asiatico
Se solitamente i supermercati chiudono verso sera, non oltre le 11 salvo la catena Carrefour che anche a Milano da qualche anno ha alcuni grandi punti vendita aperti H24, ci si può sempre affidare ai minimarket asiatici. Sono presenti un po’ in tutta la città e tengano alzata la clér anche fino alle 3 di notte.
# L’Esselunga, il supermercato dei milanesi
Eccellenze Esselunga
L’Esselunga, il supermercato dei milanesi. Difficile abituarsi a fare la spesa in un negozio di alimentari differente, salvo emergenze notturne, in particolar modo se il brand è poco conosciuto. Partono subito i confronti con la qualità dei prodotti, il prezzo e il servizio e si cade presto nello sconforto. E in più manca la spesa a casa da ordinare con l’app.
# Tutto fuori dal portone
Panificio Longoni
La comodità di avere tutto a portata di mano uscendo dal portone di casa. Basta camminare poche decine di metri per trovare ogni tipo di bottega o attività: panificio, bar, gelateria, ristorante, farmacia, lavanderia, elettricista e molto altro.
Il futuro di Torino è Milano. La tesi dell’architetto Carlo Ratti. Ma non tutti sono d’accordo.
“Il FUTURO di TORINO è MILANO”
La soluzione che Carlo Ratti ha proposto sul Corriere della Sera: una grande area metropolitana che unisca Torino con Milano. E che coinvolga anche le valli alpine.
“Va detto chiaramente: il futuro di Torino è Milano – unica ‘città globale’ italiana” dichiara Ratti al Corriere della Sera. L’architetto spingeper “l’integrazione tra due poli urbani ormai vicinissimi. 45 minuti di treno sono meno di quanto ci vuole da casa all’ufficio a New York”.
Un agglomerato che, secondo Ratti, potrebbe diventare “la maggiore metropoli del sud Europa centrata su innovazione e sostenibilità: due città vibranti e protagoniste con un fertile cuore agricolo tra loro“. Ma non tutti sono d’accordo. Come Marco Bussone, presidente di Unicem.
# “Milano? No: Torino deve diventare una città alpina”
Credits lutmarlon-pixabay – Torino
“Torino deve avere uno snodo verso nord ovest vero, ferroviario e viario, oggi impossibile con i veti. Deve avere servizi connessi e scambi sui beni naturali con le valli. Le Alpi non sono corollario per Torino, non sono solo ‘paesaggio’, come piaceva dire a qualche primo cittadino torinese”.
Così scrive Marco Bussone, presidente di Uncem (Unione nazionale comuni comunità enti montani) in risposta a Ratti. Bussone parla di Torino come di “una Città alpina”, da valorizzare come tale in modo da integrare aree metropolitane e aree montane.
Da anni si dibatte sul destino del cavalcavia, se abbatterlo o trasformarlo, ma nessuna azione nemmeno temporanea è stata mai messa in campo. Ecco un’idea per farlo diventare come la famosa Highline di New York.
Il CAVALCAVIA di CORVETTO: il progetto di TRASFORMAZIONE
# Il destino del cavalcavia
Cavalcavia corvetto
Nella difficile periferia del Corvetto c’è un cavalcavia il cui destino è messo da anni in discussione, se abbatterlo o trasformarlo, anche se nessuna azione nemmeno temporanea di riqualificazione è stata mai messa in campo. Si tratta del Raccordo dell’Autostrada del Sole che inizia all’altezza di Rogoredo e che termina in Piazzale Bologna, costruito tra la fine degli anni ’50 e i primi anni ’60 del ‘900 per agevolare lo spostamento degli automobilisti in ingresso in città.
# L’idea di farlo diventare come l’Highline di New York
Progetto riqualficazione cavalcavia Corvetto
Tra le idee nate nel tempo per ripensare il suo utilizzo c’è quella del progetto “Fly over live under”, elaborato dal team multidisciplinare Fab For Future (FFF), risultato vincitore tra 28 proposte pervenute nell’ambito di una competizione rivolta a studenti universitari terminata a luglio del 2023. I vincitori hanno pensato a una trasformazione della fruizione del cavalcavia sia sotto che sopra.
Nella parte superiore viene proposta l’eliminazione del traffico veicolare convertendo la struttura in una sorta di Highline, come quella presenta a New York al posto di un tracciato ferroviario dismesso, dove i cittadini possono sostare, passeggiare tra pergole, sedute e aree verdi, oltre a osservare la città da un punto di vista inedito.
Riqualificazione area sotto cavalcavia Corvetto
Per l’area sotto il cavalcavia è stata ipotizzata la riqualificazione degli spazi oggi occupati dalle auto in sosta tramite l’inserimento di nuove attività aggregative e sportive, come pareti di arrampicata, tavoli da ping-pong, campi da basket e da bocce, e la trasformazione di Piazzale Corvetto da nodo viabilistico a una piazza multi-funzione, un nuovo luogo di aggregazione, vivibile e facilmente accessibile grazie alle nuove aree pedonali.
Nuovo Piazzale Corvetto
I promotori del progetto hanno calcolato una riduzione di circa 5,5 ettari dello spazio destinato alle auto e un incremento di circa 5,4 ettari di quello per i pedoni, la piantumazione di 485 nuovi alberi e circa 2.400 mq di nuovi spazi per attività sportive e aggregative. In prossimità di Piazzale Corvetto è stato anche previsto un nuovo edificio per servizi e attività commerciali quali ristorazione, spazi co-working, per eventi e di incontro tra artigianato e digitale. Non rimane che aspettare per capire se rimarrà solo un’idea interessante o se diventerà qualcosa di più concreto. Ma non è il solo cavalcavia di Milano al centro di proposte.
# Che ne sarà del “Mostro”, il cavalcavia Monteceneri-Serra?
Credits: corriere.it – Cavalcavia Monteceneri
Un dibattito analogo è aperto da anni su un altro “famoso” cavalcavia, quello di Monteceneri-Serra, a nord della città. Un mostro architettonico partorito sempre negli anni ’50, di circa 1 km lungo la circonvallazione, che disturba a livello visivo, acustico e di inquinamento i cittadini che vivono nelle abitazioni con affaccio sull’arteria. Si è parlato di demolizione e di restyling anche per questa ingombrante infrastruttura ma tutto è rimasto al 1965, anno di conclusione dei lavori, salvo attività di manutenzione. Se abbatterlo sembra un’opzione remota, perché non prendere spunto dall’idea sviluppata per il cavalcavia al Corvetto e immaginarne un nuovo utilizzo?
Milano è punteggiata da spazi verdi in cui i milanesi possono trascorrere il loro tempo libero facendo sport, giocando o semplicemente leggendo su una panchina. Parlare di tutti esaustivamente sarebbe impossibile, quindi ne ho scelti solo alcuni che hanno delle curiosità davvero intriganti.
Sorge dove un tempo si trovava il parco ducale visconteo chiamato ‘Barcho’, situato vicino al Castello Sforzesco. Il parco come lo vediamo adesso venne realizzato tra il 1888 e il 1894 secondo il progetto dell’architetto Emilio Alemagna: prevedeva viali percorribili da carrozze, un laghetto e un belvedere, dove ora sorge la Biblioteca del Parco Sempione. Il verde venne progettato secondo il modello romantico dei giardini all’inglese. Diversi luoghi, affascinanti e misteriosi o semplicemente vividi nell’immaginario popolare, sono legati al parco Sempione.
La fontana “curativa” dell’Acqua Marcia
Al centro di un’aiuola del parco si trova questa fontana a forma di tumulo realizzata nel 1928. Il suo nome è dovuto al fatto che dai mascheroni scolpiti sulla fonte sgorga acqua solfidrica, dal fortissimo odore di zolfo, percepibile anche a diversi metri di distanza. Un tempo si riteneva che quest’acqua avesse doti benefiche e aiutasse la digestione e non era raro trovare all’ora di pranzo una coda di persone. Questa particolare fontana ha un’altra sorella gemella in via Piceno. Anche questa è fatta a tumulo ma qui l’acqua, solfidrica anch’essa, sgorga da delle anfore. Una terza fontana dell’acqua marcia è in Piazza Sant’Angelo, sul sagrato dell’omonima Chiesa, che fu arricchita nel 1926 dalla statua di bronzo di “San Francesco che predica agli uccelli”.
Il ponte “dell’amor eterno” delle sorelle Ghisini
Nel XIX secolo, a Milano, i Navigli fluivano a cielo aperto e in via Mascagni il 23 giugno 1842 venne inaugurato un ponte pedonale in ferro.
L’autore del ponte, l’architetto Tettamanti, per abbellire l’opera, pose ai due ingressi del ponte quattro sirenette in ghisa che tengono in mano un remo. Il ponte e le statue furono eseguite dalla ferriera di Dongo dalla ditta Rubini, Scalini, Falck e C. Le quattro donzelle in ghisa non passarono inosservate e furono subito ribattezzate dai sagaci milanesi le ‘sorelle Ghisini’ o ‘sorelle Ghisetti’ in relazione al materiale con il quale erano state fuse. Alcuni le chiamarono anche ‘sorei del pont di ciapp’, sebbene la parte inferiore delle sirene non fosse particolarmente attraente. Le ‘sorelle Ghisini’, ritenute troppo provocanti per la morale dell’epoca, furono trasferite nel 1930, quando i Navigli furono coperti. Il ponte venne smontato e rimontato al Parco Sempione, dove si trova tuttora.
Fu progettata da Gio’ Ponti nel 1933 per far aggiudicare a Milano il diritto di ospitare l’Esposizione internazionale triennale delle arti decorative e industriali moderne. La torre è esagonale con una base di circa sei metri che tende a stringersi verso la cima. Al centro c’è un ascensore che conduce fino alla terrazza panoramica. Essa fu abbandonata per molti anni tanto da diventare inagibile. Nel 1972 si pensò addirittura di abbatterla ma, fortunatamente, la ditta fratelli Branca (quella del famoso fernet) la acquistò. Nel tempo l’ha pesantemente restaurata e l’ha resa agibile al pubblico. Ora, salendo sulla terrazza si può vedere un panorama spettacolare che nelle belle giornate permette di scorgere fino al limitare della Pianura Padana.
Sono stati inaugurati nel 1784 dall’amministrazione asburgica. Sono stati i primi giardini pubblici della città, creati per lo svago dei cittadini. Chiamati ancora con l’antico nome di ‘giardini di Porta Venezia’ o ‘giardini Palestro’ nel 2002 sono stati intitolati al giornalista Indro Montanelli, che amava passare qui il suo tempo libero.
L’Esposizione Nazionale del 1881
Casa_russa_nei_Giardini_di_Porta_Venezia_a_Milano
Ai giardini si svolsero, tra il 1871 e il 1881 molte esposizioni. Di particolare importanza fu la Grande Esposizione Nazionale del 1881 che occupò una vasta zona del giardino. In tale occasione fu realizzata la “casa russa”, distrutta dai bombardamenti del 1943.
Nella seconda metà del XIX secolo furono aggiunte nel parco voliere, gabbie per cervi, scimmie e una giraffa, cui progressivamente si aggiunsero molti altri animali che daranno vita a quello conosciuto come ‘zoo di Milano’. Fu chiuso definitivamente in seguito alle richieste degli ambientalisti nel 1992. Dello zoo sono rimasti il padiglione che conteneva le gabbie dei grandi felini, ora riadattato a spazio didattico per il museo di scienze naturali e la vasca delle otarie.
E’ noto anche come ‘parco delle rose’. E’ situato in zona Rogoredo su un’area in precedenza appartenuta all’abbazia di Chiaravalle che i monaci bonificarono a partire dal XI secolo. Tale zona è conosciuta anche come Porto di Mare.
Perchè Porto di Mare?
Milano era collegata al mare Adriatico, via Ticino-Po, dal 16 agosto 1819 quando fu aperto il naviglio Pavese e fino all’unità d’Italia ci furono molti tentativi di collegare direttamente Venezia e il lago Maggiore con linee a vapore. C’erano però due ostacoli tecnici che si opponevano allo sviluppo dei canali: la loro sezione e il posizionamento della Darsena di Porta Ticinese. Dopo l’unità d’Italia non si investì su questo progetto perché la rete di trasporti era frammentaria a causa dei confini da poco caduti.
A Milano quindi lo sbocco diretto sul mare era un’idea al vertice della considerazione di imprenditori e politici. Nel 1907 fu approvato un progetto che prevedeva la creazione di un porto nell’area dell’attuale parco. Il cantiere fu aperto nel 1919 e diede luogo a un bacino che fu colmato con materiale di riporto negli anni cinquanta. Nel frattempo i lavori furono interrotti e ripresi varie volte e a Rogoredo fu aperto uno stabilimento balneare con relativo dancing.
#4 PARCO EX OM
Chiamato anche ‘Parco Ripamonti’, esso è suddiviso in tre parchi distinti: Parco della cultura, Parco delle memorie industriali e il Parco della Vettabbia. Un parco senza alberi: nel 2008 i lavori per la creazione del parco si conclusero e il risultato è quello di un parco senza alberi, con gli unici elementi verticali costituiti da un vecchio carro ponte e dall’area giochi per i bambini.
#5 GIARDINO ALBERTO MORAVIA
E’ situato in zona Lorenteggio, più precisamente nell’area del Villaggio dei Fiori. Le distruzioni belliche avevano provocato a Milano una drammatica crisi degli alloggi. Nel 1951 Milano costruisce i suoi grandi quartieri periferici che si salderanno al nucleo urbano nei periodi successivi. La città meneghina rispose a questa crisi con varie soluzioni: agglomerati di palazzoni ripetitivi e le cosiddette case minime, cioè alloggi mono o bifamiliari costruiti a schiera senza fondamenta e con materiali diversi.
A partire dal 1953 sorgerà così il Villaggio dei Fiori. Venne costruito a lotti, lungo strade strette, ognuna con il nome di un fiore, senza aree verdi. A questa mancanza di verde supplirono i piccoli giardini che corredavano ogni casetta. Tra i lotti rimasero degli spazi e nel 1969, sfruttando questi ultimi, si realizzò il parco.
Situato nella parte ovest della città, insieme al Boscoincittà e al parco Aldo Aniasi costituisce parte del parco agricolo sud di Milano.
Le Cave
A partire degli anni Venti l’estrazione di ghiaia e sabbia provocò la nascita di cinque cave: Cabassi, Casati, Ongari, Cerutti, Aurora. Negli anni sessanta, alla cessazione delle attività estrattive seguì un lento abbandono della zona. Dal 1976 si bloccò il riempimento della cava Cabassi e si iniziò il risanamento dell’area con l’immissione delle acque del Ticino tramite il Canale Villoresi.
Verso la fine degli anni ottanta venne ideato il progetto “Parco delle cave”. Tale progetto vide il coinvolgimento di tutte le associazioni della zona che raccolsero le proteste dei cittadini contro il degrado raggiunto, lo spaccio, l’abbandono di veicoli rubati nelle cave. Nel 2002 i lavori terminarono dopo ingenti opere di riqualifica.
Nel parco si trovano due cascine: Linterno e la cascina Caldera. La prima è molto antica (la prima documentazione scritta risale al 1154) e fu usata anche come ostello affidato ai Templari per i Pellegrini della via Francigena. Pare sia stata per un breve periodo la casa di Petrarca e negli anni quaranta fu rifugio di un particolare prete-taumaturgo, il pret de Ratanà, tanto controverso quanto amato dai milanesi. Fu sepolto nel cimitero Monumentale ed è ancora oggi luogo di pellegrinaggio.
E’ un rilievo artificiale che si trova nella zona nord ovest di Milano.
La “Montagnetta”
Si tratta di una collinetta artificiale formata con l’accumulo di macerie provocate dai bombardamenti effettuati durante la seconda guerra mondiale e con altro materiale proveniente dalla demolizione degli ultimi tratti dei Bastioni, avvenuta dopo il 1945. Il progetto del parco è di Pietro Bottoni che lo dedicò alla moglie Elsa Stella. Nel progetto originario doveva essere alta più del doppio.
Dal 2003 esiste un giardino al Monte Stella che ricorda i Giusti che si opposero ai genocidi e ai crimini contro l’umanità. Ci sono alberi piantati in onore di Moshe Bejski, Svetlana Broz, Pietro Kuciukian.
Gare di sci
Campionati italiani di sci al Monte Stella
I circa cento metri di dislivello portano molti sportivi ad allenarsi al monte Stella. Negli anni ottanta si disputarono addirittura gare di slalom con l’ausilio della neve artificiale. La prima vittoria ufficiale di Alberto Tomba avvenne proprio nei campionati italiani di slalom al Monte Stella.
Non solo Ponte. Sullo stretto tra le opere accessorie previste c’è un collegamento metropolitano tra le due sponde della Calabria e della Sicilia.
La METROPOLITANA dello STRETTO
# Il ponte sospeso più lungo del mondo
Webuild – Il ponte sullo Stretto di notte
Il Ponte sullo Stretto di Messina si farà? Sarà la volta buona o rimarrà ancora una volta sulla carta? Il progetto prevede la costruzione del ponte sospeso più lungo al mondo: con una lunghezza complessiva di 3.660 metri ed una campata sospesa di 3.300 metri, con un impalcato largo 61 metri e due torri poste a terra alte 399 metri. A formare il sistema di sospensione ci saranno due coppie di cavi ciascuna del diametro di 1.26m con sviluppo totale di 5320 metri tra i due blocchi di ancoraggio. In attesa però di conoscere il destino di questa infrastruttura, il cui iter è stato riavviato il 16 marzo 2023 dal Governo Meloni, nel computo complessivo dei 15 miliardi di euro stimati per condurre in porto tutto il progetto sono comprese altre opere accessorie e compensative. Tra queste c’è la metropolitana dello Stretto.
# La metropolitana di superficie dello Stretto: tra l’aeroporto di Reggio e il centro di Messina
Metropolitana dello Stretto
Le infrastrutture accessorie sono state pensate per garantire alle due aree interessate ulteriori benefici infrastrutturali in aggiunta a quelli previsti con la costruzione del ponte. In particolare i 6,5 miliardi sono destinati a 20,3 chilometri di strade e 20,2 chilometri di ferrovie, con nuove stazioni tra Reggio Calabria e Messina per la realizzazione della Metropolitana dello Stretto. La linea consentirà il collegamento tra l’Aeroporto Tito Minniti di Reggio Calabria con la zona centrale di Messina, portando a una decongestione del traffico delle due città e garantendo un servizio capillare e veloce per gli utenti che devono spostarsi all’interno dell’Area metropolitana che diventerebbe la più grande del Mediterraneo Centrale.
# Un collegamento H24 lungo 18,2 km di tracciato e 8 fermate
Il ponte sullo Stretto di Messina Fb – La metropolitana sullo Stretto
La metropolitana avrà un percorso di 18,2 kmin parte in superficie ed in parte in sotterraneo, nella tratta siciliana, per un totale di 8 fermate. In Calabria quelle di Aeroporto, Reggio Calabria Lido, Archi, Gallico marina, Catona, Villa San Giovanni, sull’isola quella di Papardo, Annunziata, Europa con il collegamento a Gazzi alla metroferrovia Messina – Giampilieri marina, che costituirà un’ulteriore prosecuzione del servizio di connessione urbana e metropolitana. Il servizio dovrebbe funzionare in modo continuo,H24, come spiegato da Domenica Catalfamo, Presidente Sezione Calabria dell’Associazione italiana per l’ingegneria del traffico e dei trasporti (Aiit), e già Assessore alle Infrastrutture della Regione Calabria, durante l’audizione presso le commissioni riunite Ambiente e Trasporti della Camera sul Ponte sullo Stretto.
Verranno implementate in futuro anche nelle strade di Milano? Quale processo utilizza e come funzionano.
LINEE FOSFORESCENTI per rendere più SICURA la GUIDA: parte la sperimentazione
# Utilizzando la fotoluminescenza le linee si illuminano di notte
Credits Tarmac Linemarking IG – Linee fosforescenti di giorno
L’azienda australiana Tarmac Linemarking sta sperimentando già dal 2022 una tecnologia che consente di fare illuminare le linee della segnalatica orizzontale di notte per rendere la guida più sicura. I test si stanno svolgendo in particolare su quelle che delimitano la carreggiata e quelle che separano le corsie di marcia. Le strisce sono rivestite di specifici materiali che sfruttando la fotoluminescenza, un insieme di processi che consente di assorbire fotoni (energia) durante il giorno per poi riemetterli con il buio sotto forma di luce, garantiscono maggiore visibiltà a chi viaggia sulle strade soprattutto se sprovviste di impianti di illuminazione e in prossimità di incroci e curve
# Possono rimanere “accese” fino a 8 ore consecutive
L’altro vantaggio della segnaletica orizzontale luminosa è quello di garantire anche un concreto risparmio energetico. Nel corso dei primi test svolti in Australia, infatti, le strisce hanno accumulato energia sufficiente per rimanere visibili per otto ore consecutive. In questo modo è quindi possibile abbassare o persino azzerare la classica illuminazione stradale.
Verranno implementate in futuro anche nelle strade di Milano?
Il dibattito sul PNRR è stato centrato sul tema “soldi in cambio di riforme”. Austria, Olanda, Danimarca e Svezia erano in prima linea per concedere fondi strettamente vincolati a un piano di riforme.
A questa proposta si è alzata una levata di scudi da parte delle forze politiche italiane che esigevano finanziamenti a fondo perduto senza alcuna condizione. Alla fine si è avuta una soluzione salomonica, con i fondi abbinati a un tipo destinazione più o meno vago degli investimenti. Una soluzione che è venuto più incontro alle richiese italiane che a quelle dei paesi del Nord Europa. Eppure qualche ragione i paesi a nord delle Alpi potrebbero anche averla: le finanze pubbliche di paesi come l’Italia erano in condizioni disastrose già da prima dell’emergenza coronavirus e il rischio che i nuovi fondi aggravino la situazione finanziaria del Paese, alimentando spese assistenzialiste o inefficienti, dobbiamo ammettere che è reale.
Ma c’è anche un altro aspetto che purtroppo stiamo sottovalutando. E’ il nostro interesse: siamo così convinti che riformare l’Italia sia un problema? O, al contrario, dovrebbe essere invece questa l’occasione di fare quelle riforme necessarie per rilanciare l’Italia, che i governi del passato non hanno mai avuto il coraggio di fare?
Le TRE RIFORME che dovremmo fare (per noi, non per l’Europa)
#1 Semplificazione fiscale
Posso portare il mio esempio. Per diversi anni ho vissuto in Germania dove ho aperto un’agenzia di comunicazione, fotocopia di quella che avevo in Italia. Alla fine dell’anno in quella italiana non sapevo quanto avrei dovuto pagare e c’era una grande differenza tra quello che il fisco pensava che avessi guadagnato e quello che mi ritrovavo in banca.
In Germania invece tu paghi le tasse su quello che hai sul conto corrente, su soldi veri non fittizi. Questo perché in Germania, come in altri paesi, l’imponibile è costituito da quello che hai incassato non da quello che hai fatturato, che potresti pertanto non incassare mai. Non solo: le spese sono scaricate al 100%, non come in Italia che esistono parametri cervellotici. Ultimo esempio: se sei in credito con l’Iva, alla fine di ogni mese lo Stato ti accredita sul conto corrente l’importo dell’Iva che ti deve. Senza attendere compensazioni future.
Il risultato di questo sistema era che il commercialista lo vedevo una sola volta all’anno: il primo gennaio di ogni anno sapevo esattamente quello che avrei versato in tasse dal conto corrente, non c’era lo stress degli anticipi su guadagni ipotetici e alla fine, la percentuale di tasse si applicava su guadagni reali, non presunti. La domanda: perché non prendiamo ad esempio i paesi che funzionano, dove le imprese sono più libere senza penalizzare i servizi pubblici che, anzi, sono di standard molto alto? E qui si passa alla seconda riforma.
#2 Pubblica amministrazione
Altro esempio personale. Circa un anno dopo aver aperto l’attività in Germania ho ricevuto la telefonata della “finanza” tedesca che ha preso un appuntamento presso la mia agenzia per un controllo fiscale. Potete immaginare la mia reazione, imprenditore in un paese straniero, a malapena conoscevo il tedesco, temevo di aver fatto errori che mi sarebbero stati fatali. Dopo alcuni giorni si è presentata una signora molto distinta, in abiti borghesi, che con modi gentili si è accomodata nel mio ufficio. Ha chiesto carte e documenti che ha analizzato, segnando ogni tanto qualcosa con una matita. Mentre lavorava io e i miei collaboratori abbiamo proseguito come se niente fosse, anche se io con una certa ansia. Il controllo è durato tre giorni e alla fine la signora aveva diviso i documenti in due pile: da una parte c’erano quelli in regola, dall’altra quelli con dei problemi. Purtroppo la seconda pila era molto più alta e già mi vedevo in fuga in direzione Brennero.
Mi ha mostrato uno ad uno gli errori fatti, spesso opera dei fornitori, e alla fine ho chiesto: quanto devo pagare di multa? Niente, mi ha risposto. Mi ha spiegato che il controllo lo Stato tedesco lo fa per aiutare le aziende a non fare errori, non per punirle. E’ nell’interesse dello Stato che le cose siano fatte in regola, ha concluso, visto che lo Stato è socio di tutte le aziende della Germania. Questo è solo un esempio di un approccio diverso in Germania e in altri paesi del nord: da loro la pubblica amministrazione e la burocrazia sono al servizio dei cittadini e delle imprese. Da noi sono più orientate al controllo e su una sfiducia preventiva.
Siamo sicuri che introdurre anche nella nostra PA un orientamento al cittadino e non contro il cittadino sarebbe così dannoso? A chi può obiettare che funziona con i tedeschi ma non con l’Italia, posso rispondere che in Germania ci sono quasi un milione di italiani e non mi risulta che si approfittino del sistema tedesco come di un albero della cuccagna.
#3 Architettura dello Stato
Per secoli l’Italia ha fatto parte del Sacro Romano Impero, un modello di organizzazione federale che lasciava la massima autonomia ai territori. Un’autonomia così grande che i comuni e i territori italiani che facevano parte del Sacro Romano Impero noi li consideriamo nella nostra storia come indipendenti, ma se si va in Germania vengono invece studiati come parte del Reich, dell’impero germanico. Gli altri stati che facevano parte del Sacro Romano Impero hanno proseguito nella tradizione autonomista, mentre l’Italia ha scelto un’architettura centralista, effetto dell’amministrazione sabauda da sempre influenzata dalla Francia. Un centralismo che da sempre si è scontrato con la straordinaria diversità che costituisce il tratto distintivo del nostro Paese.
Eppure i vantaggi del decentramento e di una reale autonomia locale non era ignoto ai padri costituenti, che nell’articolo 5 della Costituzione avevano prescritto che la Repubblica “attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo” e “adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento“. La Svizzera, ad esempio, modello di decentramento amministrativo esemplare, assegna a comuni e cantoni i massimi poteri, mentre lascia al governo federale solo poteri residui di coordinamento. Per capirci, la Svizzera ha meno abitanti della Regione Lombardia ma è suddivisa in 26 cantoni autonomi. E funziona benissimo. Per una ragione elementare: più un governo è vicino ai cittadini e più è capaci di rispondere alle specifiche esigenze dei suoi cittadini, con tempestività e trasparenza. Se invece è lontano, aumentano le inefficienze e le zone d’ombra dove prolifera la corruzione.
Una riforma coraggiosa dovrebbe ripartire proprio da questo: dalla constatazione del fallimento di un modello centralista e l’adozione di un sistema di autonomie locali, così come avviene in Germania, in Svizzera e nei tanti stati federali in Europa e fuori. Questo sarebbe il fondamento per un rilancio del Paese, attraverso l’introduzione di un sistema più responsabile e trasparente di gestione delle risorse e di valorizzazione delle eccellenze locali.
Queste potrebbero essere le prime tre riforme da fare, ma ce ne sono tante altre, come una seria riforma della giustizia, del welfare o del mercato del lavoro. Quello che chiedevano i Paesi europei non è uno scandalo e accettare soldi in cambio di riforme strutturali non sarebbe un gesto di sottomissione, al contrario. Sarebbe un atto di reciprocità e di dignità che farebbe guadagnare tutti. Perché un’Italia che funziona meglio sarebbe un vantaggio soprattutto per gli italiani, anche se a chiedercelo è l’Europa dal cuore di pietra.
I quartieri di Milano possiedono svariati tipi di abitazioni: popolari, residenziali, di design. Ce ne sono però alcune che escono dagli schemi per la loro peculiarità.
#1 Le case a igloo e a fungo
Case a igloo
In via Lepanto, nel quartiere della Maggiolina, si nasconde uno degli esperimenti residenziali italiani più curiosi: le case a igloo e a fungo ideate dall’architetto Mario Cavallè.
Quelle a fungo purtroppo non sono più visibili, infatti sono state demolite nel 1968. Chi avesse però curiosità di sapere come potessero essere può visitarne le copie presenti a Novate Milanese.
Le case ad igloo, di cui ne sono ancora esistenti due sulle otto originarie , furono costruite nel 1946 come esperimento di architettura popolare. L’architetto Cavallè si rifece ad un modello di case circolari largamente usato all’epoca negli Stati Uniti. Il progetto era avveniristico, perché la struttura circolare permetteva libera disposizione degli interni, ma rispondeva anche alle esigenze delle famiglie sfollate del secondo dopo guerra.
#2 Casa a palafitta
Rimanendo sempre nel quartiere della Maggiolina, in via Perrone di San Martino, si trova la villa dell’architetto Luigi Figini, costruita tra il 1934 e il 1935. La particolarità è data dal fatto che la villa è appoggiata su 12 pilastri di cemento armato alti 4,34 metri. Senz’altro Figini era stato molto influenzato dai modelli del famoso Le Corbusier e ha progettato la villa dividendola con ottica moderna in una zona giorno e una zona notte. Attorno alla villa si sviluppa un rigoglioso giardino che in parte la copre. Luigi Figini visse in questa villa fino al giorno della sua morte nel 1984.
#3 Villaggio operaio di via Lincoln
Nel decennio 1880-1890 la Società Edificatrice Abitazioni Operaie (SEAO) decise di costruire un quartiere per i ferrovieri della zona di Porta Vittoria. Scelse l’area dismessa in seguito all’abbattimento della stazione di porta Tosa che non serviva più dopo la costruzione della stazione Centrale. Il progetto aveva gli stessi obiettivi del villaggio operaio realizzato a Crespi D’Adda da Cristoforo Crespi per i lavoratori del suo cotonificio.
Il progetto del quartiere però non fu mai completato a causa dell’arrivo delle due guerre mondiali e della conseguente difficoltà a trovare i fondi. Ogni casa possiede un giardino privato che originariamente era stato pensato come orto e quindi fonte di sostentamento.
I proprietari delle case, nel tempo, le hanno abbellite colorando le facciate dal rosa all’azzurro e con verde, giallo e viola ottenendo così un effetto cromatico spettacolare.
#4 Via Porlezza
Via Porlezza è una piccola via situata vicino a via Dante. È tanto piccola quanto incredibile: ha infatti tre caratteristiche che la rendono unica nel suo genere. Innanzitutto possiede la chiesa più corta di Milano. Essa non è che la parte rimanente di una antica chiesa benedettina. Il locale di 72 mq è ora posseduto dalla chiesa ortodossa russa che utilizza anche un piccolo anfiteatro in abbandono, posizionato in fronte alla chiesa e che costituisce la seconda peculiarità della via. Ultima chicca di via Porlezza è una casa tagliata a metà in orizzontale. Originariamente era un edificio distrutto da una bomba durante il secondo conflitto bellico. Di essa rimane il numero civico, l’ingresso principale e un cancello. Ora è un parcheggio privato.
Qualche anno fa il designer svedese-milanese Duilio Forte ha acquistato una ex fabbrica tessile di cinquemila metri quadrati situata in via Corelli 38 per trasformarla nella sua abitazione-studio. L’artista ha voluto sperimentare delle idee innovative dal punto di vista architettonico creando un paesaggio ecogotico in città. Se osservassimo dall’esterno tale costruzione, potremmo vedere una palafitta con le sembianze di un gigantesco cavallo che si innalza in mezzo alla natura e a costruzioni goticheggianti. Forte stesso spiega la sua decisione: “[…] amo le botole, le scorciatoie, il senso di smarrimento. Chi viene nella mia abitazione assiste a un disorientamento che sfocia nel turbamento alla vista del cavallo […] dalle lunghe gambe esposto nel giardino, molto simile a una palafitta alta dieci metri.”
#6 La casa 770
Camminando per via Poerio, arrivati al numero 35, ci si imbatte in una curiosa abitazione. Per un attimo ci si dimentica di essere a Milano. Tale edificio non è che uno dei tredici esemplari di riproduzione della casa 770 dell’ Eastern Parkway di Brooklyn. Negli anni 40 del XX secolo, alcuni ebrei ortodossi comprarono tale edificio per fornire alloggio al rabbino Yoseph Yitzchok Schneerson in fuga dalle persecuzioni naziste. Alla sua morte divenne dimora del rabbino Menachem Mendel Schneerson che ne fece luogo di pellegrinaggio e di culto, tanto che tale casa fu replicata in diversi luoghi al mondo.
#7 il Villaggio finlandese
villaggio dei fiori
Nel secondo dopoguerra la ditta svedese Saffa donò del legno al Comune di Milano e quest’ultimo decise di usarlo per costruire delle abitazioni nella zona dell’attuale via Primaticcio/ via Cascina Corba. Il comune si ispirò ai villaggi scandinavi nella costruzione infatti la nuova area fu battezzata Villaggio Finlandese e fu realizzata tra il 1947 e il 1953. Tali casette erano state studiate come un rimedio di emergenza per gli sfollati dei bombardamenti della seconda guerra mondiale. A dispetto di ciò tali edifici furono però occupati quasi interamente da immigrati veneti e meridionali. Ancora oggi la zona è composta da lotti piccoli e contigui, con case unifamiliari di un piano unico e con un giardino privato.
Quando si parla di Brianza, a Milano la maggior parte delle persone pensa ad una “terra” fatta solo di aziende e mobilifici, i cui paesi sono raggruppati in quella provincia costituita pochi anni fa con capoluogo Monza, una città che è sì geograficamente brianzola, ma che non ne è il cuore.
Si pensa sempre ad un popolo di lavoratori, artigiani, falegnami ma la Brianza è molto di più. Innanzitutto non è grigia ma verde, per la sua vasta natura, e soprattutto non ha un “confine” provinciale in quanto comprende ben tre province: Monza e Brianza, Lecco e Como.
BRIANZA Mon Amour: 5 CARATTERISTICHE che rendono unico il territorio al NORD di MILANO
La Brianza è una terra ricca di storia, natura e arte, grazie a un territorio morfologicamente vario che comprende pianure, colline, laghi e montagne. Una terra amata dai suoi abitanti ma anche dalla nobiltà milanese, che qui scelse di vivere e costruire le proprie ville di delizia, e tuttora scelta dai milanesi DOC che, stufi di vivere nel caos della metropoli, hanno abbandonato la città per stare in un contesto più calmo e appagante.
La Brianza è quindi una terra che merita di essere scoperta e valorizzata, con il rischio, per milanesi e non, di innamorarsene.
#1 Una terra di monti, fiumi e colline
cascata della Vallategna
La vasta varietà del territorio Brianzolo lo rende unico nel suo genere e con confini ben precisi.
Si va dalle pianure a nord di Monza a sud della cittadina, fuori dalla quale si sviluppa la Bassa Brianza, fino alle montagne di Canzo, dove la cascata della Vallategna segna il confine tra Brianza e Valsassina. Dalle colline di Cantù ad ovest fino alle sponde dei laghi di Garlate, Olginate e delle acque del fiume Adda ad est, antico confine tra la Brianza e i territori bergamaschi.
#2 Il Romanico
La Basilica dei SS. Pietro e Paolo di Agliate
Imponenti e silenziose testimonianze di un ricco passato sono i monumenti romanici presenti nel territorio, in particolare la Basilica dei SS. Pietro e Paolo di Agliate, la Basilica di Galliano a Cantù e l’Abbazia di S. Pietro al monte di Civate. Ad Agliate si trova la più antica chiesa della Brianza, nonché, secondo alcune fonti, dell’intera diocesi di Milano, in quanto edificata intorno al IV-V sec sui resti di un precedente tempio pagano probabilmente dedicato a Nettuno. Un edificio in perfetto stile romanico con pregevoli affreschi risalenti all’epoca ottoniana e un ciclo rinascimentale del 1491 eseguito dal leonardesco Marco d’Oggiono.
Unico nel suo genere è il battistero, un nonagono con tanto di altare in cui venivano battezzati i catecumeni. Del X secolo è invece il complesso di Galliano, consacrato dal brianzolo e futuro arcivescovo di Milano Ariberto d’Intimiano. All’interno, l’edificio ha mantenuto alcuni affreschi di epoca ottoniana probabilmente eseguiti dallo stesso maestro di Agliate, mentre il vicino battistero con tanto di matronei è rimasto intatto.
Tra i monumenti più scenografici compare l’Abbazia di S. Pietro al Monte, costruita sulle montagne brianzole già in epoca longobarda come ringraziamento di re Desiderio per aver guarito la cecità del figlio Adelchi durante una battuta di caccia avvenuta tra questi boschi.
Tra i personaggi che qui vi giunsero vi fu anche Leonardo da Vinci, il quale amava queste terre e alle cui valli si ispirò per alcuni suoi celebri dipinti.
Oggi è possibile raggiungere questo gioiello nascosto percorrendo a piedi il sentiero che conduce fino al complesso abbaziale e qui rilassarsi nella pace di questo luogo senza tempo.
#3 Ville di delizia
Villa La Rotonda
Fin dal Rinascimento, numerose famiglie nobili milanesi scelsero la Brianza come luogo di villeggiatura. Non stupisce quindi che in ogni paese di questa verde terra vi sia almeno una dimora di delizia dove qualche personaggio storico abbia soggiornato, da Ludovico il Moro ad Eugenio de Beauharnais, da Cesare Beccaria ad Alessandro Manzoni, da Gabrio Piola a Federico Confalonieri.
Tra le ville più belle della Brianza meritano di essere citate Villa Cusani Confalonieri a Carate Brianza, dimora barocca della nobile famiglia Confalonieri e centro del Risorgimento milanese, Villa Tittoni a Desio, realizzata in stile neoclassico dal Piermarini per la famiglia Cusani, e le splendide ville di Inverigo.
Nel XVII secolo, Inverigo venne soprannominata la “capitale della Brianza” grazie alla famiglia Crivelli, che fece del proprio castello il centro del proprio potere dotando la residenza di spettacolari giardini barocchi, monumentali viali di collegamento con il vicino santuario di S. Maria della Noce e la realizzazione di un teatro di corte.
Lo sfarzo del palazzo principesco dei Crivelli, il cui aspetto attuale è a firma dell’architetto Pollack, che realizzò a Milano la Villa Reale, durò fino al 1798 con l’abolizione dei privilegi feudali.
Poco distante dal Castello Crivelli, nel 1813-14, Luigi Cagnola, famoso per aver realizzato a Milano l’Arco della Pace, costruì la sua dimora, definita la “meraviglia della Brianza”: villa La Rotonda. Un edificio neoclassico ispirato allo stile palladiano, con una cupola e delle colonne che ricordano un tempio greco, due stupende gradinate ed enormi talamoni a guardia dell’ingresso.
Un monumento che lasciò a bocca aperta Stendhal e Foscolo e che ancora oggi stupisce per la sua bellezza ed eleganza.
#4 I quattro laghi
Il lago di Garlate
Un inglese oggi definirebbe la Brianza la “lake district” milanese, in quanto nell’arco di pochi chilometri si trovano, senza contare il Lario, ben nove laghi, alcuni dei quali valgon la pena di esser visitati:
1 Lago di Annone
È il 22° lago italiano per estensione, e su di esso si affacciano i borghi di Oggiono e Galbiate. La particolarità di questo lago, che fu ammirato da Stendhal nel suo viaggio in Brianza e da Leonardo da Vinci, sta nelle due penisole dell’Isella, che si incontrano come una sorta di piccolo varco nel lago stesso.
2 Lago di Pusiano
Sulle sponde di questo lago, nel borgo di Bosisio, nel 1729 nacque il poeta Giuseppe Parini.
Il viceré Eugenio de Beauharnais scelse Pusiano come meta di villeggiatura e svago, abitando anche la vicina Isola dei Cipressi, che oggi ospita un’oasi per animali.
Artisticamente questo lago venne scelto da Giovanni Segantini come sfondo per i propri dipinti.
3 Lago di Garlate
Posto tra l’Adda e il lago di Olginate, questo specchio d’acqua è lo scenario in cui Manzoni ambienta il celebre “Addio ai monti” in cui Lucia si congeda dalla sua terra.
4 Lago del Segrino
Incastonato come una gemma tra i monti della Brianza, il lago del Segrino e un’oasi naturale in cui è possibile passeggiare, correre o rilassarsi nel bel mezzo della natura.
Un luogo talmente magico da abbagliare ed ispirare personaggi come Stendhal, Parini, Ippolito Nievo, Fogazzaro, Segantini, oltre ad essere uno dei laghi più puliti d’Europa tanto da esser paragonato per purezza ai laghi scandinavi.
#5 Le colline di Montevecchia
Montevecchia
Con le sue colline di cipressi e i suoi vigneti, Montevecchia potrebbe esser ribattezzata la “Toscana brianzola” in quanto qui si produce vino fin da tempi antichissimi.
Il celebre Pincianèl, il vino della zona, è ideale per accompagnare i prodotti tipici della zona di Montevecchia, come i suoi formaggi e i suoi salumi.
Oltre alla buona cucina, questa parte di Brianza offre una vista mozzafiato a 360 gradi sui territori brianzoli, le montagne lecchesi e bergamasche, Vimercate e Milano: basta salire per le vie del borgo di Montevecchia fino al Santuario del Carmelo per godersi lo spettacolo.
Dopo Londra, la scelta di Sadhguru è Milano. Domenica primo ottobre 2023, sarà all’Allianz Arena (l’ex Palalido) in piazzale Stuparich (MM Lotto). Un evento di 5 ore, a partire dalle 13, aperto a tutti. Qui per registrarsi (con i prezzi): Form di Registrazione. Ma chi è Sadhguru?
# Lo yogi “più seguito al mondo”
Lo Yogi “più seguito al mondo”: oltre 1 miliardo di visualizzazioni su YouTube e oltre 50 milioni di follower sui social media. Riesce a essere mainstream senza rimanere intrappolato nel politically correct, riesce a essere provocatorio senza finire imbrigliato nell’etichetta di antisistema. Dedito al benessere fisico, mentale e spirituale dell’individuo Sadhguru si occupa di difendere il pianeta sensibilizzando la responsabilità di ognuno attraverso la presa di coscienza che non esistono confini tra l’Io e l’universo. Molto attivo per la salvaguardia ecologica degli elementi fondamentali del pianeta, si batte per la difesa delle acque dei fiumi e il suolo che a causa di elementi inquinanti rischiano di pregiudicare il futuro dell’umanità su questo pianeta. Ma qual è la sua storia?
# La prima esperienza mistica
3 settembre 1957. Sadhguru viene al mondo a Mysore, in India, con il nome di Jaggi Vasudev. A 12 anni entra in contatto con il maestro yogi Malladihalli Sri Raghavendra Swamijiche gli insegna delle tecniche di yoga che afferma di aver seguito da allora “senza interrompere nemmeno un giorno”.
Laureato in letteratura e appassionato di motocicletta, all’età di 25 anni mentre è seduto su una roccia vive una peak experience che gli farà svoltare l’esistenza: “Fino a quel momento della mia vita, ho sempre pensato: ‘questo sono io’ e che qualcun altro è qualcos’altro. Ma per la prima volta non sapevo più cosa fosse ‘me’ e cosa non lo fosse. Ad un tratto, ciò che io ero era semplicemente ovunque. La stessa roccia su cui ero seduto, l’aria che respiravo, la stessa atmosfera intorno a me: ero appena esploso in ogni cosa. Il che suona come un’assoluta follia. Pensai che questa esperienza fosse durata dai dieci ai quindici minuti, ma, dopo essere tornato alla mia normale consapevolezza, ero stato seduto lì per quattro ore e mezza, pienamente cosciente, con occhi aperti, ma il tempo era semplicemente capovolto”.
# Il percorso di evoluzione
Dopo quell’esperienza decide di abbandonare tutto e di dedicarsi interamente al percorso di evoluzione spirituale che lo ha portato a fondare scuole yoga, a tenere conferenze e seminari in tutte le più importanti istituzioni mondiali, a sviluppare tecniche di apprendimento e a fondare la Isha Foundation che porta avanti nel mondo le sue istanze per il benessere dell’umanità sul pianeta. Per iniziare a capirlo si può sentire il suo pensiero direttamente da lui nei molti video diffusi sul web, in gran parte tradotti o sottotitolati in italiano. Di seguito alcune delle sue parole tratti da alcuni video.
# Le sue parole
“Bisogna vivere ogni momento, ogni giorno pensando: tra 10 anni sarò grato di aver vissuto questo giorno o me ne pentirò?”
“Vivere ogni giorno aperto a ogni dimensione della vita facendo quello che c’è più bisogno di fare. Facendo ogni momento ciò che la situazione richiede: farlo con la massima gioia e devozione”
“Puoi vivere magicamente o razionalmente: la scelta è tua”
“I momenti più belli della tua vita ti sono capitati solo quando hai tenuto un po’ da parte la tua logica“
“Gestire al meglio le energie può portarti a fare in un anno quello che altri riescono in dieci”
“La giocosità è lo stato dell’essere, delle forze della creazione. Se non sei giocoso significa che invece di esserein sintonia con la creazione sei asservito alla tua mente, al tuo pensiero, alle tue opinioni, alle tue ideologie, al tuo giusto o sbagliato. Se sei giocoso puoi affrontare i problemi della vita senza esserne influenzato. O divorato. Se fai le cose con giocosità stai facendo yoga. Se non rendi l’attività giocosa, l’attività ti uccide”
“Yoga significa acquisire flessibilità: passare da essere una persona (rigida, limitata dentro un guscio) a una presenza (capace di fare ciò che è necessario)”
“Il male più grande in questo momento sul pianeta non è la malvagità ma l’ignoranza“
“La paura è un eccesso di immaginazione. Non si può combattere perché non esiste. E’ un film horror”
“La paura sorge semplicemente perché non stai vivendo con la vita: stai vivendo nella tua mente”
“Se resisti al cambiamento, resisti alla vita”
“Non serve credere che tutto andrà bene. Puoi rendere questo mondo un posto migliore facendo del tuo meglio“
“Quando gli esseri umani sono pacifici e gioiosi dentro di sé, faranno proprio ciò che è necessario, niente di più, niente di meno”
Il museo più importante di Milano ha sede in un palazzo meraviglioso nel cuore dell’omonimo quartiere, nel Palazzo del Seicento sorto sulle rovine di un convento medievale. A farne la sede della Pinacoteca, dell’Accademia e di altri importanti istituti d’arte è stata Maria Teresa d’Austria nel 1773. Per prenotarsi a “Brera di Sera”, qui il link: pinacotecabrera
I 7 CAPOLAVORI che rendono LA PINACOTECA DI BRERA unica al mondo
#1 Il bacio di Hayez: il bacio più appassionato, sensuale e famoso della storia dell’arte
Capolavoro del romanticismo italiano, dipinto nel 1859, alla vigilia dell’Unità d’Italia, è il bacio più appassionato, sensuale e famoso della storia dell’arte. Imitato, copiato e fonte di ispirazione per costumi di opere liriche, film e spettacoli teatrali, è il quadro simbolo della pinacoteca di Brera, anche per il suo valore allegorico, che unisce la storia dei secoli dal Medioevo al Risorgimento all’insegna dell’amore, immortalato nell’intimità rubata di due giovani amanti elegantissimi, in cui qualcuno ha voluto riconoscere nientemeno che Romeo e Giulietta.
#2 Lo Sposalizio della Vergine di Raffaello: il matrimonio più famoso della Bibbia
Il matrimonio più famoso della Bibbia, che unisce la Vergine Maria e San Giuseppe in un capolavoro della maturità di Raffaello, dipinto nel 1504, in pieno Rinascimento. Il quadro mostra i due sposi in primo piano, sereni ma con un velo di malinconia che attraversa i loro sguardi, a suggellare un amore languido ma sereno. Il quadro è dominato da un grandioso edificio geometrico che incombe sui personaggi, segnando il trionfo della ragione sul sentimento in un reticolato prospettico di grande fascino visivo.
#3 Cristo morto di Mantegna: la prospettiva rivoluzionaria
Un vertiginoso scorcio prospettico domina questa piccola grande tela che ha reso famoso il suo autore in tutto il mondo. Mantegna è noto per la sua abilità sperimentale, che qui si supera mostrando l’umanità di Gesù, sdraiato sul letto, circondato dai suoi cari, fra cui ci siamo anche noi, che lo vediamo come se stessimo per chinarci a rendergli omaggio. Essenziale, semplice e di grande impatto, il quadro è scolpito dalla luce che filtra livida da destra a illuminare la sofferenza del Salvatore prima della sua resurrezione.
#4 Ritrovamento del corpo di San Marco di Tintoretto: il dipinto dei misteri
Immenso nei suoi 4 metri per 4 che lo rendono una delle tele più maestose dell’intera collezione, questo dipinto è fitto di mistero, e non solo per il suo aspetto gotico e la prospettiva ribassata e inquietante. La scena è tradizionalmente interpretata come San Marco che appare dopo la morte ad alcuni Veneziani, rivelando il luogo dove si trova il suo corpo e ponendo fine allo scempio della profanazione delle tombe. Ma in realtà il soggetto rappresentato sarebbe il miracolo di san Marco nella chiesa di Boucolis ad Alessandria, perché il santo è raffigurato in vita, con i piedi a terra, a differenza delle altre scene in cui appare in volo, secondo le comuni convenzioni iconografiche relative alle storie dei santi. Ombre, luci e bagliori rendono un dinamismo impressionante, in cui lo spettatore sembra perdersi, travolto dalla meraviglia dell’immagine.
#5 Cena in Emmaus di Caravaggio: la raffigurazione più autentica della natura umana
Realizzato da Caravaggio nel 1606, questo quadro sembra emergere dal buio, con i volti dei cinque personaggi che si stagliano nella loro incredibile umanità. Il Cristo è un uomo stanco, col viso profondamente segnato dal dolore e dalle fatiche, ma ciò che davvero colpisce l’occhio dell’osservatore è l’ostessa che lo serve a tavola. Le sue rughe profonde, umane, vissute sono un tocco di umanità che travolge per la sua naturalezza, che si realizza in pieno nella natura morta in primo piano, in cui si vede il pane in tutta la sua semplicità.
#6 Napoleone come Marte Pacificatore di Antonio Canova: l’imperatore simile a un dio
Commissionata a Canova nel 1807 dall’Ambasciatore di Francia a Roma, questa monumentale statua che accoglie i visitatori al centro del cortile d’ingresso dell’Accademia di Brera, è la copia esatta di un marmo esposto a Londra. Maestoso e trionfante, è frutto da una difficile fusione del bronzo, riuscita solo al secondo tentativo, riconvertendo il bronzo preso da Castel Sant’Angelo a Roma. Napoleone è raffigurato secondo l’ideale di bellezza tipico del Neoclassicismo, idealizzato ed eroico come un dio dell’antichità.
#7 Rissa in Galleria di Umberto Boccioni: tripudio di energia e brio che prefigura il futuro di Milano
Gioiellino segreto della Pinacoteca, il quadro futurista di Boccioni, dipinto nel 1910, è uno dei più begli omaggi a Milano che la pittura le abbia mai dedicato. Non sempre questa piccola tela è visibile al pubblico, quindi bisogna approfittare delle occasioni in cui viene esposta, per ammirare il dinamismo vorticoso della zuffa fra due donne davanti al celebre Camparino in Galleria Vittorio Emanuele. Luci e colori di una Milano vivace ed elegante si esaltano negli abiti delle signore che accorrono a soccorrere le due litiganti, in un tripudio di energia e brioche prefigura il futuro di Milano, destinata a diventare la capitale della moda e della movida.
Parigi, Amburgo, Berlino, Barcellona, Londra, Madrid. Ma anche più piccoline come Zurigo, Brema o Ginevra. I paesi più civili fanno a gara a spostare potere e risorse nelle loro città più rappresentative che, come aeroporti internazionali, sono in competizione tra loro come porta d’accesso agli investitori di tutto il mondo. Sono città che sono dei veri e propri stati all’interno dei loro paesi, trattano con il governo, gestiscono le risorse in autonomia, decidono da sé tutto ciò che accade sul loro territorio. Ma in Europa esiste un’eccezione, un paese dove la città più internazionale non può decidere nulla. Nemmeno se tenere o disfarsi del suo stadio di pallone. Una città incapace di intendere e di volere. Indovinate qual è questa splendida eccezione internazionale?
SAN SIRO sì o SAN SIRO no: anche questo lo ha deciso ROMA
Credits Andrea Cherchi – Zona San Siro
Personalmente resto a favore dell’abbattimento dello stadio di San Siro per diversi motivi: oltre ad essere uno stadio obsoleto che le due squadre milanesi non vogliono più, considero la mancata realizzazione di un nuovo stadio una occasione persa per la generale riqualificazione di un’area piuttosto squallida. Il nuovo stadio poteva essere al centro di un nuovo quartiere come accaduto per City Life. Ora al danno si rischia la beffa: non solo si è persa l’occasione di rilancio ma si rischia di ritrovarci un mastodontico stadio abbandonato. E intoccabile.
# Milano non tocca palla
Si dice che a Milano si fa, non si parla. Ma non sulle questioni che riguardano l’amministrazione. Tipo la scelta sullo stadio. Perché a Milano si è parlato e molto, ma poi alla fine è arrivata la decisione della Soprintendenza: cari milanesi, voi continuate pure a parlare, ma chi decide è Roma. E Roma dice che a questo stadio non si può toccare neppure uno sgabello.
Per capire l’ennesima querelle ridicola per Milano, ricordiamo in qualche riga come funziona il centralismo italiano. A livello di risorse praticamente tutti i soldi nati sul territorio finiscono a Roma che poi decide se e quanto restituire alle regioni o ai cittadini. A Milano, ad esempio, ritorna direttamente circa l’1% di quanto ha versato nelle casse dello Stato. Questo della grande metropoli internazionale che deve lavorare come una schiava per poi cercare di elemosinare la copertura delle spese, come è il caso dei costi per i mezzi pubblici ora tagliati, ormai lo abbiamo capito. Ma non vale solo per i soldi.
A livello amministrazione il centralismo della burocrazia romana è piuttosto semplice. Attraverso i prefetti, che dipendono dal Ministero degli Interni, e le Soprintendenze, che dipendono dal Ministero della Cultura, il governo di Roma esercita il controllo del territorio. In particolare, per ogni costruzione di una certa importanza tutto deve passare nelle mani della Soprintendenza. Come è successo per San Siro.
# Roma ha deciso: San Siro non si tocca
Ph. Gigarullone (pixabay)
Sulle questioni riguardanti Milano prima di discutere o litigare ripetete questo mantra: chi decide a Milano è Roma. Siamo un po’ come due bambini piccoli che litigano tra loro su una scelta che prenderà papà. Invece di dividerci sulle sorti dello stadio, dovremmo discutere il vero tema di questo e di tutto il resto di importante che ci riguarda in città: è giusto che tutto quello che riguarda a Milano sia deciso a Roma? Questo non vale solo per lo stadio. E’ una regola ferrea fin dai tempi dell’unità d’Italia, in cui si è scelto di copiare il centralismo napoleonico che ormai pure la Francia attuale si è in gran parte lasciata alle spalle. Per non parlare del fascismo con il governo di Roma che si è macchiato dell’onta della copertura dei Navigli, trasformando Milano da seconda Venezia a un cementificio.
Purtroppo lasciare la scelta a Roma fa comodo a molti, anche a Milano. In questo modo nessuno degli amministratori di Milano si prenderà la responsabilità della scelta rimpallandosi a vicenda la scelta del vincolo e resterà sempre una decisione presa a tavolino senza aver sentito il parere dei milanesi.
A che serve un consiglio comunale, una giunta, una regione e un Sindaco se poi la decisione finale pure per uno stadio di pallone la prendono altrove?
La verità è che ciò che rimane a Milano è solo folklore, come quello di dibattere o di lanciare appelli un po’ patetici affinché le squadre rinuncino ai loro progetti di nuovi stadi e si adattino a restare a San Siro. Tanto a Milano nessuno sarà responsabile.
Hai qualche problema o qualche intervento per migliorare Milano da segnalare? Scrivici qui: info@milanocittastato.it
Il lavoro, dopo il Covid, si è trasformato: alcuni lavori stentano a ripartire, altri non risentono della crisi. Ce ne potrebbero essere alcuni scomparsi nel passato che potrebbero trovare nuova vita? Ecco 7 lavori antichi e ormai scomparsi, alcuni dei quali protagonisti di modi di dire coloriti, capaci di resistere al tempo, che si praticavano urlando per le strade, in mezzo alle abitazioni. Potrebbero tornare in una nuova Milano?
Il Ciaparatt, el Ranee, el Brumista: i MESTIERI SCOMPARSI di Milano
#1 Il ciaparatt
i ciaparatt dell’ortica. Fonte: MIlano scomparsa
Colui che acchiappa i topi, ma anche una delle professioni che meglio di ogni altra ha resistito al tempo grazie al suo utilizzo in modi di dire memorabili. Va a ciappà i ratt, in dialetto milanese, significa: togliti dai piedi e, se proprio non sai cosa fare, vai a cacciare i topi!
Questa espressione tornò di moda nel 1929, quando a Milano fu organizzata un’importante e molto pubblicizzata operazione di derattizzazione. Il numero di roditori che infestavano la città e che mettevano a rischio di tifo murino i milanesi era talmente alto che vennero messi addirittura in palio premi in denaro per incoraggiare la gente a catturare i ratt. Da lì l’espressione deratizzare e la più professionale sfumatura del significato del detto: se per far denaro non sai fare altro, vai almeno alla caccia dei topi!
Possibilità di successo: basse.
#2 El ranee
Colui che prende le rane e le vende, ancora vive, alle sciure milanesi che vogliono preparare un bel risott coi rann. Quello del ranee era un mestiere stagionale molto diffuso: catturava le rane nei corsi d’acqua attorno a Milano e passava per le strade cittadine a venderle. A Milano le rane erano considerate una prelibatezza.
Oggi: si sta riscoprendo il settore alimentare e i consumi a chilometro zero. Possibilità di successo: medio-alte.
#3 El brumista
Cioè l’autista di carrozze, o meglio delle vetture pubbliche, progettate sullo schema della carrozza, con il cocchiere seduto a cassetta, che iniziarono a circolare dal 1830 circa. Il nome deriva da “brum” che era il lume posizionato sopra le carrozze per illuminare la strada. I milanesi pensarono bene di ribattezzare il veicolo Brumm e il conducente Brummista.
Oggi: Con l’esigenza di avere trasporti a zero emissione, i brumisti potrebbero diventare una nuova moda, come i monopattini. Possibilità di successo: basse.
#4 El caffettee del caffè del genoeucc
Cioè il venditore di caffè del ginocchio. Posizionato in piazza del Duomo con il suo trespolo su ruote, un ambulante vendeva caffè caldo agli operai che andavano o tornavano dal lavoro e che non avevano abbastanza spiccioli per bersi il caffè al bar.
Un caffè di dubbia qualità, visto che era ricavato dai fondi recuperati nei bar vicini, scaldato e poi spillato, ma andava a ruba.
E l’espressione delgenoeucc (del ginocchio), cosa significa? Per qualcuno deriva dal fatto che la spillatrice era posizionata talmente in basso nel trespolo, che l’ambulante doveva inginocchiarsi. Per altri deriva, invece, dal fatto che gli avventori poggiavano la tazzina sul ginocchio, seduti sui gradini del Duomo.
Oggi: in epoca di crisi potrebbe prosperare. Possibilità di successo: medie.
#5 El giasee
Cioè il venditore di ghiaccio che girava con un carretto pieno di pani di ghiaccio, lunghi quasi un metro. Il ghiaccio era necessario per le ghiacciaie, dove si conservavano i cibi prima dell’avvento dei frigoriferi. Le ghiacciaie erano contenitori di zinco dove si inserivano, e periodicamente cambiavano, i blocchi di ghiaccio.
Oggi: Con il boom dell’asporto e il climate change potrebbe costituire un business interessante. Possibilità di successo: basse.
#6 El gambaree
Credits: ilgiornaledelcibo-it – Gambero della Louisiana
Cioè il venditore di gamberi che, nel caso di Milano, erano pescati nel Lambro. L’ambulante girava per le strade gridando L’e’ quel di gamber salad e boni oppureL’è quell di gamber pescaa in del Lamber.
Oggi: come per ranee anche il gambaree potrebbe affermarsi come moda a chilometro zero. Anche se forse manca la materia prima. Possibilità di successo: basse.
#7 El cadregatt
O el cadreghee, che era il riparatore di cadreghe, cioè di sedie impagliate. Girava per le strade in bicicletta portandosi con sé gli attrezzi del mestiere come la pialla, il martello, i chiodi, la sega e la paglia e, fermandosi a richiesta si dedicava alla riparazione delle sedie usurate o rotte.
Oggi: in epoca di crisi chi potrebbe mai mollare la cadrega, benchè scassata? Possibilità di successo: alte.
Da leggere anche l’arte antica dellaliuteria, oggi riscoperta.
Non voglio dire che a Milano si stia meglio che stesi sul bagnasciuga di una remota spiaggia tropicale. Però alla fine fa piacere tornare in città. Non sempre, ma a volte sì. C’è qualcosa di confortevole nella routine della quotidianità a cui non si è mai disposti a rinunciare del tutto.
E poi in vacanza ci sono un sacco di cose fastidiose.
10 cose che ti fanno venire VOGLIA di TORNARE a Milano di corsa
#1 Lo strascicamento delle ciabatte in spiaggia
Ciac ciac ciac. E non solo in spiaggia. Al supermercato, al bar, lungo le vie del centro, persino nei ristoranti. Se quel rumore non ti urta i nervi ti invidio.
#2 La sabbia (nel costume, custodia cellulare)
In foto la sabbia è bellissima. E più è fine più è bella. Però quando si insinua in ogni pertugio della tua valigia e della tua abitazione diventa uno scrub categorico.
#3 La salsedine nei capelli
Ok, funziona meglio del gel. Però poi i nodi vengono al pettine.
#4 La lentezza (bar)
Il milanese odia la lentezza e i baristi di Milano si sono adeguati alla sua esigenza di velocità. Ma in vacanza no.
#5 La connessione wi (mancanza 4g)
Internet è diventato più importante del bidet. Lo dimostra il fatto che se nel luogo di villeggiatura non c’è il bidet, la mancanza viene vissuta come qualcosa di esotico, quando manca il 4g invece sono pessime recensioni su tripadvisor.
Credits: https://www.viaggidialegio.it/
#6 Gli automobilisti
Ognuno si affeziona al proprio traffico. Si chiama sindrome di Stoccolma.
#7 Gli aperitivi ridicoli
La differenza tra un aperitivo fatto come Dio comanda e uno fatto dal primo ragazzino assunto per la stagione estiva è irrilevante solo per chi beve gin lemon.
#8 L’ossessione per il meteo
L’anno scorso non era così caldo, l’anno scorso non era così freddo… eh, il climate change
#9 Le foto delle vacanze (anche le proprie)
Rivivere incessantemente il trauma di visionare le fotovacanze.