“Il FUTURO di TORINO è MILANO”

La tesi dell'architetto Carlo Ratti. Ma non tutti sono d'accordo

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Il futuro di Torino è Milano. La tesi dell’architetto Carlo Ratti. Ma non tutti sono d’accordo. 

“Il FUTURO di TORINO è MILANO”

La soluzione che Carlo Ratti ha proposto sul Corriere della Sera: una grande area metropolitana che unisca Torino con Milano. E che coinvolga anche le valli alpine. 

“Va detto chiaramente: il futuro di Torino è Milano – unica ‘città globale’ italiana” dichiara Ratti al Corriere della Sera. L’architetto spingeper “l’integrazione tra due poli urbani ormai vicinissimi. 45 minuti di treno sono meno di quanto ci vuole da casa all’ufficio a New York”.

Un agglomerato che, secondo Ratti, potrebbe diventare “la maggiore metropoli del sud Europa centrata su innovazione e sostenibilità: due città vibranti e protagoniste con un fertile cuore agricolo tra loro“. Ma non tutti sono d’accordo. Come Marco Bussone, presidente di Unicem.

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# “Milano? No: Torino deve diventare una città alpina”

Credits lutmarlon-pixabay – Torino

“Torino deve avere uno snodo verso nord ovest vero, ferroviario e viario, oggi impossibile con i veti. Deve avere servizi connessi e scambi sui beni naturali con le valli. Le Alpi non sono corollario per Torino, non sono solo ‘paesaggio’, come piaceva dire a qualche primo cittadino torinese”.

Così scrive Marco Bussone, presidente di Uncem (Unione nazionale comuni comunità enti montani) in risposta a Ratti. Bussone parla di Torino come di “una Città alpina”, da valorizzare come tale in modo da integrare aree metropolitane e aree montane.

Fonte: GiornaleLaVoce

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1 COMMENTO

  1. Tra le genti del Settentrione i Piemontesi (quelli veri che abitano a Ovest dei fiumi Sesia e Tanaro) sono tra i pochi ad essere sempre stati sudditi e non cittadini. Piccoli marchesati, vescovati e soprattutto il ducato sabaudo ovvero montanari francesi danarosi per mercimonio e contrabbando in combutta con gli svizzeri (buoni quelli) e il Delfinato. Stavano a Chambéry e Torino era lontano lontano.
    Le vicende del ducato sabaudo, poi regno, sono ben documentate; raccontano un “hortus clausus” fatto di beghe da cortile tra villaggi e città sempre sull’orlo della rivolta per inefficienze di ogni tipo e di un’arretratezza generale che lasciavano basiti i viaggiatori in transito.
    E mentre Milano Venezia Firenze Roma Napoli e Palermo avevano anche 150mila abitanti Torino era piccolissima (forse era più popolosa Asti) e vi commerciavano solo Ebrei e Milanesi.
    Se poi assieme ai francesi invadevano la Lombardia combinavano solo disastri.
    Come quando nel 1733 presero la Milano austriaca e la tennero talmente bene da autoescludersi dopo due anni.
    Ebbero in premio l’Ossola il Verbano e il Novarese ma non avendo gestito bene il confine che poi era il lago e il Ticino lasciarono al loro destino le popolazioni annesse che rimasero di cittadinanza lombarda senza usufruire delle leggi né locali né austriache.
    Ci volle tutta la diplomazia dei funzionari teresiani di Milano per spiegargli che se li avessero trattati bene avrebbero avuto solo vantaggi.
    Ancora una volta del vasto mondo non avevano capito una cippa.
    Quando poi divennero regno d’Italia con “preclara lungimiranza” distrussero l’economia napoletana (questa è l’Affrica, scrisse Farini) e per sconfiggere i briganti presero a fucilate la popolazione che già se la passava male di suo. E i briganti aumentarono assieme alla “simpatia” per i nordici.
    Nei primi quarant’anni repubblicani vi fu un asse Torino-Roma con i torinesi che facevano i soldi con l’industria e la finanza e i politici romani, spesso piemontesi, che tenevano bordone con leggi ad hoc. Milano era completamente fuori da questo giro ma quando cominciò ad avere i “suoi” primi ministri (Spadolini, Craxi) i torinesi fecero fumo. Quando poi il milanesissimo Berlusca entrò in finanza i sabaudi si ricordarono delle loro origini taurine e presero a incornare. E per far infuriare di più il toro assoldarono tanti picadores (magistrati avvocati, giornalisti) nati sotto la Mole.
    Eccetera.
    Un amico torinese mi disse una volta: “Come può essere internazionale una città dove in pieno centro i negozi chiudono dalla una alle quattro?” Perché sono tanti i piemontesi che sognano uno sviluppo internazionale di per sé certo fattibile ma, come aggiunse sconsolato il mio amico sabaudo “è più facile pensare di spostare il monte Bianco!”.

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