Giorgio AMBROSOLI: il RIVOLUZIONARIO in GIACCA e CRAVATTA che sfidò anche lo Stato

"è stata un'occasione unica di fare qualcosa per il Paese"

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Credits: @Fabu022 Giorgio Ambrosoli

Giorgio Ambrosoli è la dimostrazione concreta e drammaticamente feroce di come, per fare la rivoluzione, non occorra essere giovani estremisti, a petto nudo, su una scalinata, strepitando contro il potere. Si può essere eroicamente rivoluzionari anche in giacca e cravatta, in qualità di persone oneste e moderate, con un forte e convinto senso del dovere. Insomma, “Un eroe borghese”, come cita il titolo del film di (e con) Michele Placido, sulla lotta dell’avvocato Ambrosoli contro il malaffare che intrecciava (e intreccia tutt’ora) banchieri, politica e crimine, a scapito dei cittadini perbene.

Giorgio AMBROSOLI: il RIVOLUZIONARIO in GIACCA e CRAVATTA che sfidò anche lo Stato

# Il milanese che sfidò la rete dei poteri che difendeva la Mafia

Credits: @storitalytelling
Ambrosoli

Ambrosoli nacque a Milano il 17 ottobre del ’33, il padre era un avvocato: i genitori diedero a Giorgio un’educazione cattolica. Intorno ai vent’anni entra nell’Umi, l’Unione Monarchica Italiana, nel frattempo si era iscritto a Giurisprudenza per seguire le orme del genitore. Ambrosoli venne assassinato davanti a casa l’ 11 luglio del ’79, per aver sfidato (da solo) la rete dei poteri che difendevano Michele Sindona, la Mafia, la Loggia Massonica P2, la finanza del Vaticano (Ior e Marcinkus), avvocati e politici corrotti.

Giulio Andreotti, in un’intervista del 2010, disse che “Ambrosoli era una persona che se l’andata cercando”. Studiando la storia professionale di questo avvocato milanese e ascoltando le parole di colui che fu per 7 volte Presidente del Consiglio e per 21 Ministro, si capisce quanto lo Stato fu, non solo distante, ma anche avversario di Ambrosoli.

# Le irregolarità scoperte alla Banca Privata Italiana

Credits: @luigicaputo_
Giorgio Ambrosoli

Nel 1974 venne scelto dal Governatore della Banca d’Italia come commissario liquidatore alla Banca Privata Italiana, uno degli istituti di Sindona. Quest’ultimo era uno di quei siciliani ad aver fatto fortuna a Milano, con la logica del non guardare in faccia a nessuno, neppure alla legalità. Strettissimi erano i rapporti tra Sindona e la politica. Nei giorni vicini a quello in cui venne assassinato, Giorgio Ambrosoli aveva sottoscritto il memoriale in cui confermava la necessità di liquidare la banca di Sindona, evidenziando la responsabilità di Sindona stesso. Banca che, il 27 settembre del ’74, dichiarò bancarotta. Sindona nel 1971 era riuscito a prendere il controllo della Franklin National Bank di Long Island, però, poco dopo, aveva portato la stessa al fallimento.

In qualità di liquidatore, Ambrosoli come mise le mani nella Banca Privata Italiana si accorse di gravi irregolarità, libri contabili falsati e operazioni occulte. Fu affiancato dal Maresciallo della GdF Silvio Novembre, unico vero collaboratore dell’avvocato milanese in quella brutta faccenda. Le pressioni su Ambrosoli, per dichiarare in via ufficiale la buona fede di Sindona, furono via via sempre più forti, trasformandosi, di fronte al senso del dovere del legale, in minacce di morte.

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# Un forte senso del dovere che lo portò contro lo Stato

Credits: @libera_milano
Giorgio Ambrosoli

Secondo chi gli faceva pressioni, Ambrosoli avrebbe dovuto “scrivere” a favore di Sindona, così che la Banca d’Italia sanasse gli scoperti della Banca Privata Italiana, a scapito della collettività. La vicenda di Ambrosoli è emblematica per comprendere come certi uomini, con il senso del dovere e amore per il proprio lavoro, appena si mettono sul binario dei treni del potere, spesso criminale, vedono lo Stato voltare loro le spalle, addirittura le istituzioni diventano un nemico, che non evita che poteri occulti travolgano le persone per bene e dalla schiena dritta, proprio su quel binario.

Vogliamo concludere questo doveroso ricordo su Ambrosoli con la lettera che, accorgendosi di essere preso di mira da criminali nel suo ruolo di liquidatore, scrisse alla moglie Anna Lorenza Gorla. Uno scritto che è diventato un testamento.

# La lettera alla moglie

Anna carissima, è il 25.2.1975 e sono pronto per il deposito dello stato passivo della B.P.I., atto che ovviamente non soddisferà molti e che è costato una bella fatica. Non ho timori per me perché non vedo possibili altro che pressioni per farmi sostituire, ma è certo che faccende alla Verzotto e il fatto stesso di dover trattare con gente dì ogni colore e risma non tranquillizza affatto. È indubbio che, in ogni caso, pagherò a molto caro prezzo l’incarico: lo sapevo prima di accettarlo e quindi non mi lamento affatto perché per me è stata un’occasione unica di fare qualcosa per il Paese. Ricordi i giorni dell’Umi, le speranze mai realizzate di far politica per il paese e non per i partiti: ebbene, a quarant’anni, di colpo, ho fatto politica e in nome dello Stato e non per un partito. Con l’incarico, ho avuto in mano un potere enorme e discrezionale al massimo ed ho sempre operato – ne ho la piena coscienza – solo nell’interesse del Paese, creandomi ovviamente solo nemici perché tutti quelli che hanno per mio merito avuto quanto loro spettava non sono certo riconoscenti perché credono di aver avuto solo quello che a loro spettava: ed hanno ragione, anche se, non fossi stato io, avrebbero recuperato i loro averi parecchi mesi dopo. I nemici comunque non aiutano, e cercheranno in ogni modo di farmi scivolare su qualche fesseria, e purtroppo, quando devi firmare centinaia di lettere al giorno, puoi anche firmare fesserie. Qualunque cosa succeda, comunque, tu sai che cosa devi fare e sono certo saprai fare benissimo. Dovrai tu allevare i ragazzi e crescerli nel rispetto di quei valori nei quali noi abbiamo creduto [… ] Abbiano coscienza dei loro doveri verso se stessi, verso la famiglia nel senso trascendente che io ho, verso il Paese, si chiami Italia o si chiami Europa. Riuscirai benissimo, ne sono certo, perché sei molto brava e perché i ragazzi sono uno meglio dell’altro. Sarà per te una vita dura, ma sei una ragazza talmente brava che te la caverai sempre e farai come sempre il tuo dovere costi quello che costi […]

 Giorgio”.

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FABIO BUFFA

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Fabio Buffa
Nato ad Alessandria, classe 1969, nel 1988 sono entrato per la prima volta in una redazione giornalistica, per collaborare e fare gavetta al Piccolo di Alessandria. Sono pubblicista dal 1996 e ho collaborato per varie testate, sia come giornalista che come vignettista satirico e scrittore di freddure. Dal 1992 lavoro nel sociale.