Non solo Ponte. Sullo stretto tra le opere accessorie previste c’è un collegamento metropolitano tra le due sponde della Calabria e della Sicilia.
La METROPOLITANA dello STRETTO
# Il ponte sospeso più lungo del mondo
Webuild – Il ponte sullo Stretto di notte
Il Ponte sullo Stretto di Messina si farà? Sarà la volta buona o rimarrà ancora una volta sulla carta? Il progetto prevede la costruzione del ponte sospeso più lungo al mondo: con una lunghezza complessiva di 3.660 metri ed una campata sospesa di 3.300 metri, con un impalcato largo 61 metri e due torri poste a terra alte 399 metri. A formare il sistema di sospensione ci saranno due coppie di cavi ciascuna del diametro di 1.26m con sviluppo totale di 5320 metri tra i due blocchi di ancoraggio. In attesa però di conoscere il destino di questa infrastruttura, il cui iter è stato riavviato il 16 marzo 2023 dal Governo Meloni, nel computo complessivo dei 15 miliardi di euro stimati per condurre in porto tutto il progetto sono comprese altre opere accessorie e compensative. Tra queste c’è la metropolitana dello Stretto.
# La metropolitana di superficie dello Stretto: tra l’aeroporto di Reggio e il centro di Messina
Metropolitana dello Stretto
Le infrastrutture accessorie sono state pensate per garantire alle due aree interessate ulteriori benefici infrastrutturali in aggiunta a quelli previsti con la costruzione del ponte. In particolare i 6,5 miliardi sono destinati a 20,3 chilometri di strade e 20,2 chilometri di ferrovie, con nuove stazioni tra Reggio Calabria e Messina per la realizzazione della Metropolitana dello Stretto. La linea consentirà il collegamento tra l’Aeroporto Tito Minniti di Reggio Calabria con la zona centrale di Messina, portando a una decongestione del traffico delle due città e garantendo un servizio capillare e veloce per gli utenti che devono spostarsi all’interno dell’Area metropolitana che diventerebbe la più grande del Mediterraneo Centrale.
# Un collegamento H24 lungo 18,2 km di tracciato e 8 fermate
Il ponte sullo Stretto di Messina Fb – La metropolitana sullo Stretto
La metropolitana avrà un percorso di 18,2 kmin parte in superficie ed in parte in sotterraneo, nella tratta siciliana, per un totale di 8 fermate. In Calabria quelle di Aeroporto, Reggio Calabria Lido, Archi, Gallico marina, Catona, Villa San Giovanni, sull’isola quella di Papardo, Annunziata, Europa con il collegamento a Gazzi alla metroferrovia Messina – Giampilieri marina, che costituirà un’ulteriore prosecuzione del servizio di connessione urbana e metropolitana. Il servizio dovrebbe funzionare in modo continuo,H24, come spiegato da Domenica Catalfamo, Presidente Sezione Calabria dell’Associazione italiana per l’ingegneria del traffico e dei trasporti (Aiit), e già Assessore alle Infrastrutture della Regione Calabria, durante l’audizione presso le commissioni riunite Ambiente e Trasporti della Camera sul Ponte sullo Stretto.
Verranno implementate in futuro anche nelle strade di Milano? Quale processo utilizza e come funzionano.
LINEE FOSFORESCENTI per rendere più SICURA la GUIDA: parte la sperimentazione
# Utilizzando la fotoluminescenza le linee si illuminano di notte
Credits Tarmac Linemarking IG – Linee fosforescenti di giorno
L’azienda australiana Tarmac Linemarking sta sperimentando già dal 2022 una tecnologia che consente di fare illuminare le linee della segnalatica orizzontale di notte per rendere la guida più sicura. I test si stanno svolgendo in particolare su quelle che delimitano la carreggiata e quelle che separano le corsie di marcia. Le strisce sono rivestite di specifici materiali che sfruttando la fotoluminescenza, un insieme di processi che consente di assorbire fotoni (energia) durante il giorno per poi riemetterli con il buio sotto forma di luce, garantiscono maggiore visibiltà a chi viaggia sulle strade soprattutto se sprovviste di impianti di illuminazione e in prossimità di incroci e curve
# Possono rimanere “accese” fino a 8 ore consecutive
L’altro vantaggio della segnaletica orizzontale luminosa è quello di garantire anche un concreto risparmio energetico. Nel corso dei primi test svolti in Australia, infatti, le strisce hanno accumulato energia sufficiente per rimanere visibili per otto ore consecutive. In questo modo è quindi possibile abbassare o persino azzerare la classica illuminazione stradale.
Verranno implementate in futuro anche nelle strade di Milano?
Il dibattito sul PNRR è stato centrato sul tema “soldi in cambio di riforme”. Austria, Olanda, Danimarca e Svezia erano in prima linea per concedere fondi strettamente vincolati a un piano di riforme.
A questa proposta si è alzata una levata di scudi da parte delle forze politiche italiane che esigevano finanziamenti a fondo perduto senza alcuna condizione. Alla fine si è avuta una soluzione salomonica, con i fondi abbinati a un tipo destinazione più o meno vago degli investimenti. Una soluzione che è venuto più incontro alle richiese italiane che a quelle dei paesi del Nord Europa. Eppure qualche ragione i paesi a nord delle Alpi potrebbero anche averla: le finanze pubbliche di paesi come l’Italia erano in condizioni disastrose già da prima dell’emergenza coronavirus e il rischio che i nuovi fondi aggravino la situazione finanziaria del Paese, alimentando spese assistenzialiste o inefficienti, dobbiamo ammettere che è reale.
Ma c’è anche un altro aspetto che purtroppo stiamo sottovalutando. E’ il nostro interesse: siamo così convinti che riformare l’Italia sia un problema? O, al contrario, dovrebbe essere invece questa l’occasione di fare quelle riforme necessarie per rilanciare l’Italia, che i governi del passato non hanno mai avuto il coraggio di fare?
Le TRE RIFORME che dovremmo fare (per noi, non per l’Europa)
#1 Semplificazione fiscale
Posso portare il mio esempio. Per diversi anni ho vissuto in Germania dove ho aperto un’agenzia di comunicazione, fotocopia di quella che avevo in Italia. Alla fine dell’anno in quella italiana non sapevo quanto avrei dovuto pagare e c’era una grande differenza tra quello che il fisco pensava che avessi guadagnato e quello che mi ritrovavo in banca.
In Germania invece tu paghi le tasse su quello che hai sul conto corrente, su soldi veri non fittizi. Questo perché in Germania, come in altri paesi, l’imponibile è costituito da quello che hai incassato non da quello che hai fatturato, che potresti pertanto non incassare mai. Non solo: le spese sono scaricate al 100%, non come in Italia che esistono parametri cervellotici. Ultimo esempio: se sei in credito con l’Iva, alla fine di ogni mese lo Stato ti accredita sul conto corrente l’importo dell’Iva che ti deve. Senza attendere compensazioni future.
Il risultato di questo sistema era che il commercialista lo vedevo una sola volta all’anno: il primo gennaio di ogni anno sapevo esattamente quello che avrei versato in tasse dal conto corrente, non c’era lo stress degli anticipi su guadagni ipotetici e alla fine, la percentuale di tasse si applicava su guadagni reali, non presunti. La domanda: perché non prendiamo ad esempio i paesi che funzionano, dove le imprese sono più libere senza penalizzare i servizi pubblici che, anzi, sono di standard molto alto? E qui si passa alla seconda riforma.
#2 Pubblica amministrazione
Altro esempio personale. Circa un anno dopo aver aperto l’attività in Germania ho ricevuto la telefonata della “finanza” tedesca che ha preso un appuntamento presso la mia agenzia per un controllo fiscale. Potete immaginare la mia reazione, imprenditore in un paese straniero, a malapena conoscevo il tedesco, temevo di aver fatto errori che mi sarebbero stati fatali. Dopo alcuni giorni si è presentata una signora molto distinta, in abiti borghesi, che con modi gentili si è accomodata nel mio ufficio. Ha chiesto carte e documenti che ha analizzato, segnando ogni tanto qualcosa con una matita. Mentre lavorava io e i miei collaboratori abbiamo proseguito come se niente fosse, anche se io con una certa ansia. Il controllo è durato tre giorni e alla fine la signora aveva diviso i documenti in due pile: da una parte c’erano quelli in regola, dall’altra quelli con dei problemi. Purtroppo la seconda pila era molto più alta e già mi vedevo in fuga in direzione Brennero.
Mi ha mostrato uno ad uno gli errori fatti, spesso opera dei fornitori, e alla fine ho chiesto: quanto devo pagare di multa? Niente, mi ha risposto. Mi ha spiegato che il controllo lo Stato tedesco lo fa per aiutare le aziende a non fare errori, non per punirle. E’ nell’interesse dello Stato che le cose siano fatte in regola, ha concluso, visto che lo Stato è socio di tutte le aziende della Germania. Questo è solo un esempio di un approccio diverso in Germania e in altri paesi del nord: da loro la pubblica amministrazione e la burocrazia sono al servizio dei cittadini e delle imprese. Da noi sono più orientate al controllo e su una sfiducia preventiva.
Siamo sicuri che introdurre anche nella nostra PA un orientamento al cittadino e non contro il cittadino sarebbe così dannoso? A chi può obiettare che funziona con i tedeschi ma non con l’Italia, posso rispondere che in Germania ci sono quasi un milione di italiani e non mi risulta che si approfittino del sistema tedesco come di un albero della cuccagna.
#3 Architettura dello Stato
Per secoli l’Italia ha fatto parte del Sacro Romano Impero, un modello di organizzazione federale che lasciava la massima autonomia ai territori. Un’autonomia così grande che i comuni e i territori italiani che facevano parte del Sacro Romano Impero noi li consideriamo nella nostra storia come indipendenti, ma se si va in Germania vengono invece studiati come parte del Reich, dell’impero germanico. Gli altri stati che facevano parte del Sacro Romano Impero hanno proseguito nella tradizione autonomista, mentre l’Italia ha scelto un’architettura centralista, effetto dell’amministrazione sabauda da sempre influenzata dalla Francia. Un centralismo che da sempre si è scontrato con la straordinaria diversità che costituisce il tratto distintivo del nostro Paese.
Eppure i vantaggi del decentramento e di una reale autonomia locale non era ignoto ai padri costituenti, che nell’articolo 5 della Costituzione avevano prescritto che la Repubblica “attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo” e “adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento“. La Svizzera, ad esempio, modello di decentramento amministrativo esemplare, assegna a comuni e cantoni i massimi poteri, mentre lascia al governo federale solo poteri residui di coordinamento. Per capirci, la Svizzera ha meno abitanti della Regione Lombardia ma è suddivisa in 26 cantoni autonomi. E funziona benissimo. Per una ragione elementare: più un governo è vicino ai cittadini e più è capaci di rispondere alle specifiche esigenze dei suoi cittadini, con tempestività e trasparenza. Se invece è lontano, aumentano le inefficienze e le zone d’ombra dove prolifera la corruzione.
Una riforma coraggiosa dovrebbe ripartire proprio da questo: dalla constatazione del fallimento di un modello centralista e l’adozione di un sistema di autonomie locali, così come avviene in Germania, in Svizzera e nei tanti stati federali in Europa e fuori. Questo sarebbe il fondamento per un rilancio del Paese, attraverso l’introduzione di un sistema più responsabile e trasparente di gestione delle risorse e di valorizzazione delle eccellenze locali.
Queste potrebbero essere le prime tre riforme da fare, ma ce ne sono tante altre, come una seria riforma della giustizia, del welfare o del mercato del lavoro. Quello che chiedevano i Paesi europei non è uno scandalo e accettare soldi in cambio di riforme strutturali non sarebbe un gesto di sottomissione, al contrario. Sarebbe un atto di reciprocità e di dignità che farebbe guadagnare tutti. Perché un’Italia che funziona meglio sarebbe un vantaggio soprattutto per gli italiani, anche se a chiedercelo è l’Europa dal cuore di pietra.
I quartieri di Milano possiedono svariati tipi di abitazioni: popolari, residenziali, di design. Ce ne sono però alcune che escono dagli schemi per la loro peculiarità.
#1 Le case a igloo e a fungo
Case a igloo
In via Lepanto, nel quartiere della Maggiolina, si nasconde uno degli esperimenti residenziali italiani più curiosi: le case a igloo e a fungo ideate dall’architetto Mario Cavallè.
Quelle a fungo purtroppo non sono più visibili, infatti sono state demolite nel 1968. Chi avesse però curiosità di sapere come potessero essere può visitarne le copie presenti a Novate Milanese.
Le case ad igloo, di cui ne sono ancora esistenti due sulle otto originarie , furono costruite nel 1946 come esperimento di architettura popolare. L’architetto Cavallè si rifece ad un modello di case circolari largamente usato all’epoca negli Stati Uniti. Il progetto era avveniristico, perché la struttura circolare permetteva libera disposizione degli interni, ma rispondeva anche alle esigenze delle famiglie sfollate del secondo dopo guerra.
#2 Casa a palafitta
Rimanendo sempre nel quartiere della Maggiolina, in via Perrone di San Martino, si trova la villa dell’architetto Luigi Figini, costruita tra il 1934 e il 1935. La particolarità è data dal fatto che la villa è appoggiata su 12 pilastri di cemento armato alti 4,34 metri. Senz’altro Figini era stato molto influenzato dai modelli del famoso Le Corbusier e ha progettato la villa dividendola con ottica moderna in una zona giorno e una zona notte. Attorno alla villa si sviluppa un rigoglioso giardino che in parte la copre. Luigi Figini visse in questa villa fino al giorno della sua morte nel 1984.
#3 Villaggio operaio di via Lincoln
Nel decennio 1880-1890 la Società Edificatrice Abitazioni Operaie (SEAO) decise di costruire un quartiere per i ferrovieri della zona di Porta Vittoria. Scelse l’area dismessa in seguito all’abbattimento della stazione di porta Tosa che non serviva più dopo la costruzione della stazione Centrale. Il progetto aveva gli stessi obiettivi del villaggio operaio realizzato a Crespi D’Adda da Cristoforo Crespi per i lavoratori del suo cotonificio.
Il progetto del quartiere però non fu mai completato a causa dell’arrivo delle due guerre mondiali e della conseguente difficoltà a trovare i fondi. Ogni casa possiede un giardino privato che originariamente era stato pensato come orto e quindi fonte di sostentamento.
I proprietari delle case, nel tempo, le hanno abbellite colorando le facciate dal rosa all’azzurro e con verde, giallo e viola ottenendo così un effetto cromatico spettacolare.
#4 Via Porlezza
Via Porlezza è una piccola via situata vicino a via Dante. È tanto piccola quanto incredibile: ha infatti tre caratteristiche che la rendono unica nel suo genere. Innanzitutto possiede la chiesa più corta di Milano. Essa non è che la parte rimanente di una antica chiesa benedettina. Il locale di 72 mq è ora posseduto dalla chiesa ortodossa russa che utilizza anche un piccolo anfiteatro in abbandono, posizionato in fronte alla chiesa e che costituisce la seconda peculiarità della via. Ultima chicca di via Porlezza è una casa tagliata a metà in orizzontale. Originariamente era un edificio distrutto da una bomba durante il secondo conflitto bellico. Di essa rimane il numero civico, l’ingresso principale e un cancello. Ora è un parcheggio privato.
Qualche anno fa il designer svedese-milanese Duilio Forte ha acquistato una ex fabbrica tessile di cinquemila metri quadrati situata in via Corelli 38 per trasformarla nella sua abitazione-studio. L’artista ha voluto sperimentare delle idee innovative dal punto di vista architettonico creando un paesaggio ecogotico in città. Se osservassimo dall’esterno tale costruzione, potremmo vedere una palafitta con le sembianze di un gigantesco cavallo che si innalza in mezzo alla natura e a costruzioni goticheggianti. Forte stesso spiega la sua decisione: “[…] amo le botole, le scorciatoie, il senso di smarrimento. Chi viene nella mia abitazione assiste a un disorientamento che sfocia nel turbamento alla vista del cavallo […] dalle lunghe gambe esposto nel giardino, molto simile a una palafitta alta dieci metri.”
#6 La casa 770
Camminando per via Poerio, arrivati al numero 35, ci si imbatte in una curiosa abitazione. Per un attimo ci si dimentica di essere a Milano. Tale edificio non è che uno dei tredici esemplari di riproduzione della casa 770 dell’ Eastern Parkway di Brooklyn. Negli anni 40 del XX secolo, alcuni ebrei ortodossi comprarono tale edificio per fornire alloggio al rabbino Yoseph Yitzchok Schneerson in fuga dalle persecuzioni naziste. Alla sua morte divenne dimora del rabbino Menachem Mendel Schneerson che ne fece luogo di pellegrinaggio e di culto, tanto che tale casa fu replicata in diversi luoghi al mondo.
#7 il Villaggio finlandese
villaggio dei fiori
Nel secondo dopoguerra la ditta svedese Saffa donò del legno al Comune di Milano e quest’ultimo decise di usarlo per costruire delle abitazioni nella zona dell’attuale via Primaticcio/ via Cascina Corba. Il comune si ispirò ai villaggi scandinavi nella costruzione infatti la nuova area fu battezzata Villaggio Finlandese e fu realizzata tra il 1947 e il 1953. Tali casette erano state studiate come un rimedio di emergenza per gli sfollati dei bombardamenti della seconda guerra mondiale. A dispetto di ciò tali edifici furono però occupati quasi interamente da immigrati veneti e meridionali. Ancora oggi la zona è composta da lotti piccoli e contigui, con case unifamiliari di un piano unico e con un giardino privato.
Quando si parla di Brianza, a Milano la maggior parte delle persone pensa ad una “terra” fatta solo di aziende e mobilifici, i cui paesi sono raggruppati in quella provincia costituita pochi anni fa con capoluogo Monza, una città che è sì geograficamente brianzola, ma che non ne è il cuore.
Si pensa sempre ad un popolo di lavoratori, artigiani, falegnami ma la Brianza è molto di più. Innanzitutto non è grigia ma verde, per la sua vasta natura, e soprattutto non ha un “confine” provinciale in quanto comprende ben tre province: Monza e Brianza, Lecco e Como.
BRIANZA Mon Amour: 5 CARATTERISTICHE che rendono unico il territorio al NORD di MILANO
La Brianza è una terra ricca di storia, natura e arte, grazie a un territorio morfologicamente vario che comprende pianure, colline, laghi e montagne. Una terra amata dai suoi abitanti ma anche dalla nobiltà milanese, che qui scelse di vivere e costruire le proprie ville di delizia, e tuttora scelta dai milanesi DOC che, stufi di vivere nel caos della metropoli, hanno abbandonato la città per stare in un contesto più calmo e appagante.
La Brianza è quindi una terra che merita di essere scoperta e valorizzata, con il rischio, per milanesi e non, di innamorarsene.
#1 Una terra di monti, fiumi e colline
cascata della Vallategna
La vasta varietà del territorio Brianzolo lo rende unico nel suo genere e con confini ben precisi.
Si va dalle pianure a nord di Monza a sud della cittadina, fuori dalla quale si sviluppa la Bassa Brianza, fino alle montagne di Canzo, dove la cascata della Vallategna segna il confine tra Brianza e Valsassina. Dalle colline di Cantù ad ovest fino alle sponde dei laghi di Garlate, Olginate e delle acque del fiume Adda ad est, antico confine tra la Brianza e i territori bergamaschi.
#2 Il Romanico
La Basilica dei SS. Pietro e Paolo di Agliate
Imponenti e silenziose testimonianze di un ricco passato sono i monumenti romanici presenti nel territorio, in particolare la Basilica dei SS. Pietro e Paolo di Agliate, la Basilica di Galliano a Cantù e l’Abbazia di S. Pietro al monte di Civate. Ad Agliate si trova la più antica chiesa della Brianza, nonché, secondo alcune fonti, dell’intera diocesi di Milano, in quanto edificata intorno al IV-V sec sui resti di un precedente tempio pagano probabilmente dedicato a Nettuno. Un edificio in perfetto stile romanico con pregevoli affreschi risalenti all’epoca ottoniana e un ciclo rinascimentale del 1491 eseguito dal leonardesco Marco d’Oggiono.
Unico nel suo genere è il battistero, un nonagono con tanto di altare in cui venivano battezzati i catecumeni. Del X secolo è invece il complesso di Galliano, consacrato dal brianzolo e futuro arcivescovo di Milano Ariberto d’Intimiano. All’interno, l’edificio ha mantenuto alcuni affreschi di epoca ottoniana probabilmente eseguiti dallo stesso maestro di Agliate, mentre il vicino battistero con tanto di matronei è rimasto intatto.
Tra i monumenti più scenografici compare l’Abbazia di S. Pietro al Monte, costruita sulle montagne brianzole già in epoca longobarda come ringraziamento di re Desiderio per aver guarito la cecità del figlio Adelchi durante una battuta di caccia avvenuta tra questi boschi.
Tra i personaggi che qui vi giunsero vi fu anche Leonardo da Vinci, il quale amava queste terre e alle cui valli si ispirò per alcuni suoi celebri dipinti.
Oggi è possibile raggiungere questo gioiello nascosto percorrendo a piedi il sentiero che conduce fino al complesso abbaziale e qui rilassarsi nella pace di questo luogo senza tempo.
#3 Ville di delizia
Villa La Rotonda
Fin dal Rinascimento, numerose famiglie nobili milanesi scelsero la Brianza come luogo di villeggiatura. Non stupisce quindi che in ogni paese di questa verde terra vi sia almeno una dimora di delizia dove qualche personaggio storico abbia soggiornato, da Ludovico il Moro ad Eugenio de Beauharnais, da Cesare Beccaria ad Alessandro Manzoni, da Gabrio Piola a Federico Confalonieri.
Tra le ville più belle della Brianza meritano di essere citate Villa Cusani Confalonieri a Carate Brianza, dimora barocca della nobile famiglia Confalonieri e centro del Risorgimento milanese, Villa Tittoni a Desio, realizzata in stile neoclassico dal Piermarini per la famiglia Cusani, e le splendide ville di Inverigo.
Nel XVII secolo, Inverigo venne soprannominata la “capitale della Brianza” grazie alla famiglia Crivelli, che fece del proprio castello il centro del proprio potere dotando la residenza di spettacolari giardini barocchi, monumentali viali di collegamento con il vicino santuario di S. Maria della Noce e la realizzazione di un teatro di corte.
Lo sfarzo del palazzo principesco dei Crivelli, il cui aspetto attuale è a firma dell’architetto Pollack, che realizzò a Milano la Villa Reale, durò fino al 1798 con l’abolizione dei privilegi feudali.
Poco distante dal Castello Crivelli, nel 1813-14, Luigi Cagnola, famoso per aver realizzato a Milano l’Arco della Pace, costruì la sua dimora, definita la “meraviglia della Brianza”: villa La Rotonda. Un edificio neoclassico ispirato allo stile palladiano, con una cupola e delle colonne che ricordano un tempio greco, due stupende gradinate ed enormi talamoni a guardia dell’ingresso.
Un monumento che lasciò a bocca aperta Stendhal e Foscolo e che ancora oggi stupisce per la sua bellezza ed eleganza.
#4 I quattro laghi
Il lago di Garlate
Un inglese oggi definirebbe la Brianza la “lake district” milanese, in quanto nell’arco di pochi chilometri si trovano, senza contare il Lario, ben nove laghi, alcuni dei quali valgon la pena di esser visitati:
1 Lago di Annone
È il 22° lago italiano per estensione, e su di esso si affacciano i borghi di Oggiono e Galbiate. La particolarità di questo lago, che fu ammirato da Stendhal nel suo viaggio in Brianza e da Leonardo da Vinci, sta nelle due penisole dell’Isella, che si incontrano come una sorta di piccolo varco nel lago stesso.
2 Lago di Pusiano
Sulle sponde di questo lago, nel borgo di Bosisio, nel 1729 nacque il poeta Giuseppe Parini.
Il viceré Eugenio de Beauharnais scelse Pusiano come meta di villeggiatura e svago, abitando anche la vicina Isola dei Cipressi, che oggi ospita un’oasi per animali.
Artisticamente questo lago venne scelto da Giovanni Segantini come sfondo per i propri dipinti.
3 Lago di Garlate
Posto tra l’Adda e il lago di Olginate, questo specchio d’acqua è lo scenario in cui Manzoni ambienta il celebre “Addio ai monti” in cui Lucia si congeda dalla sua terra.
4 Lago del Segrino
Incastonato come una gemma tra i monti della Brianza, il lago del Segrino e un’oasi naturale in cui è possibile passeggiare, correre o rilassarsi nel bel mezzo della natura.
Un luogo talmente magico da abbagliare ed ispirare personaggi come Stendhal, Parini, Ippolito Nievo, Fogazzaro, Segantini, oltre ad essere uno dei laghi più puliti d’Europa tanto da esser paragonato per purezza ai laghi scandinavi.
#5 Le colline di Montevecchia
Montevecchia
Con le sue colline di cipressi e i suoi vigneti, Montevecchia potrebbe esser ribattezzata la “Toscana brianzola” in quanto qui si produce vino fin da tempi antichissimi.
Il celebre Pincianèl, il vino della zona, è ideale per accompagnare i prodotti tipici della zona di Montevecchia, come i suoi formaggi e i suoi salumi.
Oltre alla buona cucina, questa parte di Brianza offre una vista mozzafiato a 360 gradi sui territori brianzoli, le montagne lecchesi e bergamasche, Vimercate e Milano: basta salire per le vie del borgo di Montevecchia fino al Santuario del Carmelo per godersi lo spettacolo.
Dopo Londra, la scelta di Sadhguru è Milano. Domenica primo ottobre 2023, sarà all’Allianz Arena (l’ex Palalido) in piazzale Stuparich (MM Lotto). Un evento di 5 ore, a partire dalle 13, aperto a tutti. Qui per registrarsi (con i prezzi): Form di Registrazione. Ma chi è Sadhguru?
# Lo yogi “più seguito al mondo”
Lo Yogi “più seguito al mondo”: oltre 1 miliardo di visualizzazioni su YouTube e oltre 50 milioni di follower sui social media. Riesce a essere mainstream senza rimanere intrappolato nel politically correct, riesce a essere provocatorio senza finire imbrigliato nell’etichetta di antisistema. Dedito al benessere fisico, mentale e spirituale dell’individuo Sadhguru si occupa di difendere il pianeta sensibilizzando la responsabilità di ognuno attraverso la presa di coscienza che non esistono confini tra l’Io e l’universo. Molto attivo per la salvaguardia ecologica degli elementi fondamentali del pianeta, si batte per la difesa delle acque dei fiumi e il suolo che a causa di elementi inquinanti rischiano di pregiudicare il futuro dell’umanità su questo pianeta. Ma qual è la sua storia?
# La prima esperienza mistica
3 settembre 1957. Sadhguru viene al mondo a Mysore, in India, con il nome di Jaggi Vasudev. A 12 anni entra in contatto con il maestro yogi Malladihalli Sri Raghavendra Swamijiche gli insegna delle tecniche di yoga che afferma di aver seguito da allora “senza interrompere nemmeno un giorno”.
Laureato in letteratura e appassionato di motocicletta, all’età di 25 anni mentre è seduto su una roccia vive una peak experience che gli farà svoltare l’esistenza: “Fino a quel momento della mia vita, ho sempre pensato: ‘questo sono io’ e che qualcun altro è qualcos’altro. Ma per la prima volta non sapevo più cosa fosse ‘me’ e cosa non lo fosse. Ad un tratto, ciò che io ero era semplicemente ovunque. La stessa roccia su cui ero seduto, l’aria che respiravo, la stessa atmosfera intorno a me: ero appena esploso in ogni cosa. Il che suona come un’assoluta follia. Pensai che questa esperienza fosse durata dai dieci ai quindici minuti, ma, dopo essere tornato alla mia normale consapevolezza, ero stato seduto lì per quattro ore e mezza, pienamente cosciente, con occhi aperti, ma il tempo era semplicemente capovolto”.
# Il percorso di evoluzione
Dopo quell’esperienza decide di abbandonare tutto e di dedicarsi interamente al percorso di evoluzione spirituale che lo ha portato a fondare scuole yoga, a tenere conferenze e seminari in tutte le più importanti istituzioni mondiali, a sviluppare tecniche di apprendimento e a fondare la Isha Foundation che porta avanti nel mondo le sue istanze per il benessere dell’umanità sul pianeta. Per iniziare a capirlo si può sentire il suo pensiero direttamente da lui nei molti video diffusi sul web, in gran parte tradotti o sottotitolati in italiano. Di seguito alcune delle sue parole tratti da alcuni video.
# Le sue parole
“Bisogna vivere ogni momento, ogni giorno pensando: tra 10 anni sarò grato di aver vissuto questo giorno o me ne pentirò?”
“Vivere ogni giorno aperto a ogni dimensione della vita facendo quello che c’è più bisogno di fare. Facendo ogni momento ciò che la situazione richiede: farlo con la massima gioia e devozione”
“Puoi vivere magicamente o razionalmente: la scelta è tua”
“I momenti più belli della tua vita ti sono capitati solo quando hai tenuto un po’ da parte la tua logica“
“Gestire al meglio le energie può portarti a fare in un anno quello che altri riescono in dieci”
“La giocosità è lo stato dell’essere, delle forze della creazione. Se non sei giocoso significa che invece di esserein sintonia con la creazione sei asservito alla tua mente, al tuo pensiero, alle tue opinioni, alle tue ideologie, al tuo giusto o sbagliato. Se sei giocoso puoi affrontare i problemi della vita senza esserne influenzato. O divorato. Se fai le cose con giocosità stai facendo yoga. Se non rendi l’attività giocosa, l’attività ti uccide”
“Yoga significa acquisire flessibilità: passare da essere una persona (rigida, limitata dentro un guscio) a una presenza (capace di fare ciò che è necessario)”
“Il male più grande in questo momento sul pianeta non è la malvagità ma l’ignoranza“
“La paura è un eccesso di immaginazione. Non si può combattere perché non esiste. E’ un film horror”
“La paura sorge semplicemente perché non stai vivendo con la vita: stai vivendo nella tua mente”
“Se resisti al cambiamento, resisti alla vita”
“Non serve credere che tutto andrà bene. Puoi rendere questo mondo un posto migliore facendo del tuo meglio“
“Quando gli esseri umani sono pacifici e gioiosi dentro di sé, faranno proprio ciò che è necessario, niente di più, niente di meno”
Il museo più importante di Milano ha sede in un palazzo meraviglioso nel cuore dell’omonimo quartiere, nel Palazzo del Seicento sorto sulle rovine di un convento medievale. A farne la sede della Pinacoteca, dell’Accademia e di altri importanti istituti d’arte è stata Maria Teresa d’Austria nel 1773. Per prenotarsi a “Brera di Sera”, qui il link: pinacotecabrera
I 7 CAPOLAVORI che rendono LA PINACOTECA DI BRERA unica al mondo
#1 Il bacio di Hayez: il bacio più appassionato, sensuale e famoso della storia dell’arte
Capolavoro del romanticismo italiano, dipinto nel 1859, alla vigilia dell’Unità d’Italia, è il bacio più appassionato, sensuale e famoso della storia dell’arte. Imitato, copiato e fonte di ispirazione per costumi di opere liriche, film e spettacoli teatrali, è il quadro simbolo della pinacoteca di Brera, anche per il suo valore allegorico, che unisce la storia dei secoli dal Medioevo al Risorgimento all’insegna dell’amore, immortalato nell’intimità rubata di due giovani amanti elegantissimi, in cui qualcuno ha voluto riconoscere nientemeno che Romeo e Giulietta.
#2 Lo Sposalizio della Vergine di Raffaello: il matrimonio più famoso della Bibbia
Il matrimonio più famoso della Bibbia, che unisce la Vergine Maria e San Giuseppe in un capolavoro della maturità di Raffaello, dipinto nel 1504, in pieno Rinascimento. Il quadro mostra i due sposi in primo piano, sereni ma con un velo di malinconia che attraversa i loro sguardi, a suggellare un amore languido ma sereno. Il quadro è dominato da un grandioso edificio geometrico che incombe sui personaggi, segnando il trionfo della ragione sul sentimento in un reticolato prospettico di grande fascino visivo.
#3 Cristo morto di Mantegna: la prospettiva rivoluzionaria
Un vertiginoso scorcio prospettico domina questa piccola grande tela che ha reso famoso il suo autore in tutto il mondo. Mantegna è noto per la sua abilità sperimentale, che qui si supera mostrando l’umanità di Gesù, sdraiato sul letto, circondato dai suoi cari, fra cui ci siamo anche noi, che lo vediamo come se stessimo per chinarci a rendergli omaggio. Essenziale, semplice e di grande impatto, il quadro è scolpito dalla luce che filtra livida da destra a illuminare la sofferenza del Salvatore prima della sua resurrezione.
#4 Ritrovamento del corpo di San Marco di Tintoretto: il dipinto dei misteri
Immenso nei suoi 4 metri per 4 che lo rendono una delle tele più maestose dell’intera collezione, questo dipinto è fitto di mistero, e non solo per il suo aspetto gotico e la prospettiva ribassata e inquietante. La scena è tradizionalmente interpretata come San Marco che appare dopo la morte ad alcuni Veneziani, rivelando il luogo dove si trova il suo corpo e ponendo fine allo scempio della profanazione delle tombe. Ma in realtà il soggetto rappresentato sarebbe il miracolo di san Marco nella chiesa di Boucolis ad Alessandria, perché il santo è raffigurato in vita, con i piedi a terra, a differenza delle altre scene in cui appare in volo, secondo le comuni convenzioni iconografiche relative alle storie dei santi. Ombre, luci e bagliori rendono un dinamismo impressionante, in cui lo spettatore sembra perdersi, travolto dalla meraviglia dell’immagine.
#5 Cena in Emmaus di Caravaggio: la raffigurazione più autentica della natura umana
Realizzato da Caravaggio nel 1606, questo quadro sembra emergere dal buio, con i volti dei cinque personaggi che si stagliano nella loro incredibile umanità. Il Cristo è un uomo stanco, col viso profondamente segnato dal dolore e dalle fatiche, ma ciò che davvero colpisce l’occhio dell’osservatore è l’ostessa che lo serve a tavola. Le sue rughe profonde, umane, vissute sono un tocco di umanità che travolge per la sua naturalezza, che si realizza in pieno nella natura morta in primo piano, in cui si vede il pane in tutta la sua semplicità.
#6 Napoleone come Marte Pacificatore di Antonio Canova: l’imperatore simile a un dio
Commissionata a Canova nel 1807 dall’Ambasciatore di Francia a Roma, questa monumentale statua che accoglie i visitatori al centro del cortile d’ingresso dell’Accademia di Brera, è la copia esatta di un marmo esposto a Londra. Maestoso e trionfante, è frutto da una difficile fusione del bronzo, riuscita solo al secondo tentativo, riconvertendo il bronzo preso da Castel Sant’Angelo a Roma. Napoleone è raffigurato secondo l’ideale di bellezza tipico del Neoclassicismo, idealizzato ed eroico come un dio dell’antichità.
#7 Rissa in Galleria di Umberto Boccioni: tripudio di energia e brio che prefigura il futuro di Milano
Gioiellino segreto della Pinacoteca, il quadro futurista di Boccioni, dipinto nel 1910, è uno dei più begli omaggi a Milano che la pittura le abbia mai dedicato. Non sempre questa piccola tela è visibile al pubblico, quindi bisogna approfittare delle occasioni in cui viene esposta, per ammirare il dinamismo vorticoso della zuffa fra due donne davanti al celebre Camparino in Galleria Vittorio Emanuele. Luci e colori di una Milano vivace ed elegante si esaltano negli abiti delle signore che accorrono a soccorrere le due litiganti, in un tripudio di energia e brioche prefigura il futuro di Milano, destinata a diventare la capitale della moda e della movida.
Parigi, Amburgo, Berlino, Barcellona, Londra, Madrid. Ma anche più piccoline come Zurigo, Brema o Ginevra. I paesi più civili fanno a gara a spostare potere e risorse nelle loro città più rappresentative che, come aeroporti internazionali, sono in competizione tra loro come porta d’accesso agli investitori di tutto il mondo. Sono città che sono dei veri e propri stati all’interno dei loro paesi, trattano con il governo, gestiscono le risorse in autonomia, decidono da sé tutto ciò che accade sul loro territorio. Ma in Europa esiste un’eccezione, un paese dove la città più internazionale non può decidere nulla. Nemmeno se tenere o disfarsi del suo stadio di pallone. Una città incapace di intendere e di volere. Indovinate qual è questa splendida eccezione internazionale?
SAN SIRO sì o SAN SIRO no: anche questo lo ha deciso ROMA
Credits Andrea Cherchi – Zona San Siro
Personalmente resto a favore dell’abbattimento dello stadio di San Siro per diversi motivi: oltre ad essere uno stadio obsoleto che le due squadre milanesi non vogliono più, considero la mancata realizzazione di un nuovo stadio una occasione persa per la generale riqualificazione di un’area piuttosto squallida. Il nuovo stadio poteva essere al centro di un nuovo quartiere come accaduto per City Life. Ora al danno si rischia la beffa: non solo si è persa l’occasione di rilancio ma si rischia di ritrovarci un mastodontico stadio abbandonato. E intoccabile.
# Milano non tocca palla
Si dice che a Milano si fa, non si parla. Ma non sulle questioni che riguardano l’amministrazione. Tipo la scelta sullo stadio. Perché a Milano si è parlato e molto, ma poi alla fine è arrivata la decisione della Soprintendenza: cari milanesi, voi continuate pure a parlare, ma chi decide è Roma. E Roma dice che a questo stadio non si può toccare neppure uno sgabello.
Per capire l’ennesima querelle ridicola per Milano, ricordiamo in qualche riga come funziona il centralismo italiano. A livello di risorse praticamente tutti i soldi nati sul territorio finiscono a Roma che poi decide se e quanto restituire alle regioni o ai cittadini. A Milano, ad esempio, ritorna direttamente circa l’1% di quanto ha versato nelle casse dello Stato. Questo della grande metropoli internazionale che deve lavorare come una schiava per poi cercare di elemosinare la copertura delle spese, come è il caso dei costi per i mezzi pubblici ora tagliati, ormai lo abbiamo capito. Ma non vale solo per i soldi.
A livello amministrazione il centralismo della burocrazia romana è piuttosto semplice. Attraverso i prefetti, che dipendono dal Ministero degli Interni, e le Soprintendenze, che dipendono dal Ministero della Cultura, il governo di Roma esercita il controllo del territorio. In particolare, per ogni costruzione di una certa importanza tutto deve passare nelle mani della Soprintendenza. Come è successo per San Siro.
# Roma ha deciso: San Siro non si tocca
Ph. Gigarullone (pixabay)
Sulle questioni riguardanti Milano prima di discutere o litigare ripetete questo mantra: chi decide a Milano è Roma. Siamo un po’ come due bambini piccoli che litigano tra loro su una scelta che prenderà papà. Invece di dividerci sulle sorti dello stadio, dovremmo discutere il vero tema di questo e di tutto il resto di importante che ci riguarda in città: è giusto che tutto quello che riguarda a Milano sia deciso a Roma? Questo non vale solo per lo stadio. E’ una regola ferrea fin dai tempi dell’unità d’Italia, in cui si è scelto di copiare il centralismo napoleonico che ormai pure la Francia attuale si è in gran parte lasciata alle spalle. Per non parlare del fascismo con il governo di Roma che si è macchiato dell’onta della copertura dei Navigli, trasformando Milano da seconda Venezia a un cementificio.
Purtroppo lasciare la scelta a Roma fa comodo a molti, anche a Milano. In questo modo nessuno degli amministratori di Milano si prenderà la responsabilità della scelta rimpallandosi a vicenda la scelta del vincolo e resterà sempre una decisione presa a tavolino senza aver sentito il parere dei milanesi.
A che serve un consiglio comunale, una giunta, una regione e un Sindaco se poi la decisione finale pure per uno stadio di pallone la prendono altrove?
La verità è che ciò che rimane a Milano è solo folklore, come quello di dibattere o di lanciare appelli un po’ patetici affinché le squadre rinuncino ai loro progetti di nuovi stadi e si adattino a restare a San Siro. Tanto a Milano nessuno sarà responsabile.
Hai qualche problema o qualche intervento per migliorare Milano da segnalare? Scrivici qui: info@milanocittastato.it
Il lavoro, dopo il Covid, si è trasformato: alcuni lavori stentano a ripartire, altri non risentono della crisi. Ce ne potrebbero essere alcuni scomparsi nel passato che potrebbero trovare nuova vita? Ecco 7 lavori antichi e ormai scomparsi, alcuni dei quali protagonisti di modi di dire coloriti, capaci di resistere al tempo, che si praticavano urlando per le strade, in mezzo alle abitazioni. Potrebbero tornare in una nuova Milano?
Il Ciaparatt, el Ranee, el Brumista: i MESTIERI SCOMPARSI di Milano
#1 Il ciaparatt
i ciaparatt dell’ortica. Fonte: MIlano scomparsa
Colui che acchiappa i topi, ma anche una delle professioni che meglio di ogni altra ha resistito al tempo grazie al suo utilizzo in modi di dire memorabili. Va a ciappà i ratt, in dialetto milanese, significa: togliti dai piedi e, se proprio non sai cosa fare, vai a cacciare i topi!
Questa espressione tornò di moda nel 1929, quando a Milano fu organizzata un’importante e molto pubblicizzata operazione di derattizzazione. Il numero di roditori che infestavano la città e che mettevano a rischio di tifo murino i milanesi era talmente alto che vennero messi addirittura in palio premi in denaro per incoraggiare la gente a catturare i ratt. Da lì l’espressione deratizzare e la più professionale sfumatura del significato del detto: se per far denaro non sai fare altro, vai almeno alla caccia dei topi!
Possibilità di successo: basse.
#2 El ranee
Colui che prende le rane e le vende, ancora vive, alle sciure milanesi che vogliono preparare un bel risott coi rann. Quello del ranee era un mestiere stagionale molto diffuso: catturava le rane nei corsi d’acqua attorno a Milano e passava per le strade cittadine a venderle. A Milano le rane erano considerate una prelibatezza.
Oggi: si sta riscoprendo il settore alimentare e i consumi a chilometro zero. Possibilità di successo: medio-alte.
#3 El brumista
Cioè l’autista di carrozze, o meglio delle vetture pubbliche, progettate sullo schema della carrozza, con il cocchiere seduto a cassetta, che iniziarono a circolare dal 1830 circa. Il nome deriva da “brum” che era il lume posizionato sopra le carrozze per illuminare la strada. I milanesi pensarono bene di ribattezzare il veicolo Brumm e il conducente Brummista.
Oggi: Con l’esigenza di avere trasporti a zero emissione, i brumisti potrebbero diventare una nuova moda, come i monopattini. Possibilità di successo: basse.
#4 El caffettee del caffè del genoeucc
Cioè il venditore di caffè del ginocchio. Posizionato in piazza del Duomo con il suo trespolo su ruote, un ambulante vendeva caffè caldo agli operai che andavano o tornavano dal lavoro e che non avevano abbastanza spiccioli per bersi il caffè al bar.
Un caffè di dubbia qualità, visto che era ricavato dai fondi recuperati nei bar vicini, scaldato e poi spillato, ma andava a ruba.
E l’espressione delgenoeucc (del ginocchio), cosa significa? Per qualcuno deriva dal fatto che la spillatrice era posizionata talmente in basso nel trespolo, che l’ambulante doveva inginocchiarsi. Per altri deriva, invece, dal fatto che gli avventori poggiavano la tazzina sul ginocchio, seduti sui gradini del Duomo.
Oggi: in epoca di crisi potrebbe prosperare. Possibilità di successo: medie.
#5 El giasee
Cioè il venditore di ghiaccio che girava con un carretto pieno di pani di ghiaccio, lunghi quasi un metro. Il ghiaccio era necessario per le ghiacciaie, dove si conservavano i cibi prima dell’avvento dei frigoriferi. Le ghiacciaie erano contenitori di zinco dove si inserivano, e periodicamente cambiavano, i blocchi di ghiaccio.
Oggi: Con il boom dell’asporto e il climate change potrebbe costituire un business interessante. Possibilità di successo: basse.
#6 El gambaree
Credits: ilgiornaledelcibo-it – Gambero della Louisiana
Cioè il venditore di gamberi che, nel caso di Milano, erano pescati nel Lambro. L’ambulante girava per le strade gridando L’e’ quel di gamber salad e boni oppureL’è quell di gamber pescaa in del Lamber.
Oggi: come per ranee anche il gambaree potrebbe affermarsi come moda a chilometro zero. Anche se forse manca la materia prima. Possibilità di successo: basse.
#7 El cadregatt
O el cadreghee, che era il riparatore di cadreghe, cioè di sedie impagliate. Girava per le strade in bicicletta portandosi con sé gli attrezzi del mestiere come la pialla, il martello, i chiodi, la sega e la paglia e, fermandosi a richiesta si dedicava alla riparazione delle sedie usurate o rotte.
Oggi: in epoca di crisi chi potrebbe mai mollare la cadrega, benchè scassata? Possibilità di successo: alte.
Da leggere anche l’arte antica dellaliuteria, oggi riscoperta.
Non voglio dire che a Milano si stia meglio che stesi sul bagnasciuga di una remota spiaggia tropicale. Però alla fine fa piacere tornare in città. Non sempre, ma a volte sì. C’è qualcosa di confortevole nella routine della quotidianità a cui non si è mai disposti a rinunciare del tutto.
E poi in vacanza ci sono un sacco di cose fastidiose.
10 cose che ti fanno venire VOGLIA di TORNARE a Milano di corsa
#1 Lo strascicamento delle ciabatte in spiaggia
Ciac ciac ciac. E non solo in spiaggia. Al supermercato, al bar, lungo le vie del centro, persino nei ristoranti. Se quel rumore non ti urta i nervi ti invidio.
#2 La sabbia (nel costume, custodia cellulare)
In foto la sabbia è bellissima. E più è fine più è bella. Però quando si insinua in ogni pertugio della tua valigia e della tua abitazione diventa uno scrub categorico.
#3 La salsedine nei capelli
Ok, funziona meglio del gel. Però poi i nodi vengono al pettine.
#4 La lentezza (bar)
Il milanese odia la lentezza e i baristi di Milano si sono adeguati alla sua esigenza di velocità. Ma in vacanza no.
#5 La connessione wi (mancanza 4g)
Internet è diventato più importante del bidet. Lo dimostra il fatto che se nel luogo di villeggiatura non c’è il bidet, la mancanza viene vissuta come qualcosa di esotico, quando manca il 4g invece sono pessime recensioni su tripadvisor.
Credits: https://www.viaggidialegio.it/
#6 Gli automobilisti
Ognuno si affeziona al proprio traffico. Si chiama sindrome di Stoccolma.
#7 Gli aperitivi ridicoli
La differenza tra un aperitivo fatto come Dio comanda e uno fatto dal primo ragazzino assunto per la stagione estiva è irrilevante solo per chi beve gin lemon.
#8 L’ossessione per il meteo
L’anno scorso non era così caldo, l’anno scorso non era così freddo… eh, il climate change
#9 Le foto delle vacanze (anche le proprie)
Rivivere incessantemente il trauma di visionare le fotovacanze.
Alcune cose che si possono fare con ancora più gusto proprio nell’estate 2023.
Le 30 COSE DA FARE almeno una volta a Milano ad AGOSTO
#1 Andare al cinema all’aperto
Il più celebre è l’Arianteo. Chi non l’ha fatto deve provare. Occhio solo alle zanzare.
#2 Prendere un treno per una gita fuori porta
Milano è unica al mondo per i posti che si possono raggiungere in poco tempo. In giornata si può andare e tornare sul lago di Como, sul Garda, sul Maggiore, in montagne, in Liguria, a Venezia o in altre città d’arte. Qui: 10 destinazioni da raggiungere in treno per una gita.
#3 Andare a cena in posti superpettinati senza prenotare
Agosto = possibilità di trovare posto in luoghi altrimenti inaccessibili. Molti posti di culto sono chiusi ad agosto, come Luini (chiuso tutto agosto!). Per fortuna però ci sono anche locali aperti tutto il mese dove in altri periodi è quasi impossibile trovare un posto last minute.
#4 Surfin’ all’Idroscalo
Una delle grandi attrazioni dell’estate: WakeParadise, la vasca con le onde da surf all’Idroscalo, lato sud. Spettacolare e ad agosto si riesce anche a trovare modo di farlo senza troppe code. Sai la soddisfazione di diventare in un mese dei campioni di surf stando a Milano?
L’ebbrezza che si prova a girare in bici per le strade del centro nelle sere di agosto è un’esperienza quasi mistica. Si sente perfino la brezza tra i capelli (per chi ce li ha). Anche girare sul monopattino elettrico ha il suo perchè. Anche perché potrebbe essere l’ultima estate per i monopattini in sharing. Almeno senza casco.
#7 Lavorare da globetrotter in un bar del centro
Nell’anno dello smart working ci si è riscoperti capaci di lavorare ovunque. Quest’estate Milano consente a chi lavora al computer in un bar di sentirsi come in una grande città del mondo. Nessun barista che ti guarda male, nessun cliente che ti frega il posto, a volte perfino nessun obbligo di consumazione. Meglio di New York.
#8 Fare il turista
Avete mai provato a fare i turisti a Milano? Sul tetto del Duomo, prendere una pizza in Galleria, farci spennare da una chiromante a Brera…
#9 Scambiare una libreria per una biblioteca
Librerie deserte, con aria condizionata, soprattutto con le, ormai sempre meno purtroppo, sedie a disposizione di chi vuole assaggiare un libro prima di comprarlo. Tra le librerie più ospitali la Rizzoli in Galleria e la Feltrinelli di piazza Piemonte o in Centrale, quella con il tavolo tondo.
#10 Supermercato senza fila
Complice l’estate ora sono spesso vuoti, senza code alle casse. Intriganti anche i supermercati celebri per gli incontri, come i super 24h o quelli storici, come l’Esselunga sotto Gae Aulenti.
#11 Un tuffo ai Bagni Misteriosi
La piscina più glam d’Italia, a disposizione di giorno o di sera. Stupenda.
#12 Visita noir al Monumentale
Niente di più elettrizzante che vivere il deserto cittadino in un cimitero. Alcune tombe sono stupende e diventano magiche nel silenzio dell’estate.
#13 Passeggiare in un parco
Milano questa estate è una città più verde che mai. Ci sono parchi che si rivelano in tutto il loro splendore. Il Sempione purtroppo è chiuso. Ma ci sono le sorprese del Parco Nord o del Parco delle Cave di notte.
#14 Ferragosto a Chinatown
Per cercare di scoprire quali negozi sono aperti anche nel giorno più di festa dell’anno. Un must è Johnny Aggiustatutto: sempre aperto e aggiusta davvero tutto.
#15 In terrazza
La moda dell’estate: serata in terrazza. Ne stanno aprendo un botto.
#16 Scoprire i giardini nascosti
Come quelli dei palazzi di Brera o delle Stelline.
#17 Jogging nelle strade deserte del centro
La domenica mattina, le strade deserte, il rumore dei passi, uno sguardo e un sorriso con chi incontri.
#18 CityLife
Di giorno o di sera facendo confronti con Porta Nuova: meglio CityLife o la Biblioteca degli Alberi?
#19 Parcheggiare in zona Navigli il sabato sera
O in centro o in posti che solitamente sono inaccessibili.
#20 Passeggiare la sera
Nelle stradine di Brera, nel quadrilatero della moda o in quello del silenzio. Riempie il cuore di amore.
#21 Fare amicizia con i baristi o gli altri clienti
D’estate si può perfino conversare con i baristi la mattina a colazione. E anche gli altri clienti se gli chiedi qualcosa ti rispondono sorridendo.
#22 BAM
Almeno una volta da provare: sentirsi come in spiaggia alla Biblioteca degli Alberi, Gae Aulenti.
#23 Al Castello
Quante volte ci siete passati e avete rimandato? Ora è arrivato il momento giusto per andare a vedere la pietà Rondanini o la sala delle asse. La sera ci sono anche spettacoli.
#24 Scrivere un libro.
O una sceneggiatura. Oppure un tormentone estivo.
#25 Organizzare una serata rivedendo vecchi amici
Con la complicità di chi è rimasto ad agosto in città.
#26 Provare ad accedere a un luogo inaccessibile
Tipo cenare sul Tram Atmosfera o vedere l’Ultima Cena senza prenotazione.
#27 Entrare a Palazzo Marino
E scoprire l’assessore a cui tocca stare a Milano per firmare i TSO.
#28 Fare uno Street Food Tour
Estate a Milano è street food, dai panini alle angurie.
#29 Sperimentare un nuovo business
Un mese per poter provare a fare partire un’attività nuova, a scoprire se c’è mercato anche per idee folli, senza rischiare di lasciare traccia.
Credits lafrancymilano77 IG - Spiaggia la Cinta di San Teodoro
Ormai ci siamo. Ferragosto. L’ansia di chi ancora non sa dove andare. Può essere di aiuto la classifica delle destinazioni preferite dagli italiani redatta da Holidu, portale di prenotazione di case vacanze tra i più noti d’Europa.
FERRAGOSTO: le 3 località PREFERITE dagli ITALIANI. Una è in ITALIA
# La Spagna fa la voce del padrone
Torna in auge la Spagna tra le preferenze degli italiani, almeno a Ferragosto. Al primo posto c’è Barcellona e al terzo Palma di Maiorca. Al quinto risale la Costa Brava con Lloret de Mar, al settimo Valencia. Solo la Spagna entra nella top 10 tra le destinazioni straniere. Tra le prime 30 si va all’estero anche a Malaga (13), Lisbona (26) e Saranda in Albania, in poderosa crescita rispetto al passato (14). Domina la Spagna tra i vacanzieri nostrani: ben 8 località spagnole, 3 delle quali in top 5. Seguono Francia, Portogallo e Croazia con 2 mete ciascuna. Una meta invece per Grecia e Albania. Tra le località italiane quali sono le prescelte?
# In Italia domina la Sardegna
Credits larentismichele IG – Spiaggia la Cinta di San Tedoro
Tra le italiane svetta San Teodoro con la Cinta e le sue altre splendide spiagge a Sud della Costa Smeralda. Precede il Salento di Gallipoli (quarta), poi Rimini, Olbia, Napoli e Alghero che conferma la preferenza degli italiani per il mare di Sardegna che piazza nella top 50 ben 10 destinazioni: oltre a quelle della top 10 ci sono anche Villasimius e Budoni rispettivamente nelle posizioni 17ma e 20ma. Costa Rei è invece 27ma, Pula è tre posizioni sotto al 30mo posto. A chiusura troviamo Palau 43ma e Santa Teresa di Gallura 48ma.
Dopo la Sardegna si piazza la Sicilia con 6 località in classifica anche se nessuna in top 10: apre San Vito Lo Capo appena sotto in 11ma posizione, seguono Palermo 22ma, Siracusa 25ma e Marina di Ragusa 37ma. Castellammare del Golfo si attesta in 42ma posizione, mentre chiude Cefalù al 49mo posto.
Sono invece 5 le località della Puglia: oltre a Gallipoli quarta, Porto Cesareo è il 18ma posizione mentre Monopoli è 29ma. Le altre due località sono Vieste in 38ma posizione e Otranto 45ma.
Due destinazioni ciascuna per Toscana (Viareggio 16ma e Follonica 41ma), Veneto (Bibione 19ma e Jesolo 34ma), Lazio (Sperlonga 28ma e Roma 40ma), Emilia-Romagna (Rimini sesta e Riccione 24ma) e Campania (Napoli nona e Paestum 50ma).
Una meta invece per Lombardia (Livigno 21ma), Calabria (Tropea 12ma) e Friuli-Venezia Giulia (Lignano Sabbiadoro 15ma).
# La località più economica a 60 euro
La città più costosa, l’unica al di sopra dei 300 euro è Parigi: prezzo medio a notte a persona di 342 euro. Seguono 4 città al di sopra dei 200 euro: oltre a Barcellona con i suoi 268 euro, anche Palma di Maiorca con 244 euro di notte a persona che precedono Marbella e Roma. Tutte le altre destinazioni sono comprese tra i 100 e i 200 euro a notte a persona. Tutte tranne una, l’unica al di sotto del muro dei 100 euro: la località più economica è Saranda dove si spendono in media soli 60 euro a notte a persona.
Negli ultimi anni lo skyline di Milano si è profondamente trasformato proiettandosi verso l’alto. Nuovi grattacieli sono sorti, nuovi stanno sorgendo e ancora altri ne sorgeranno in un futuro molto prossimo. Quando la città ha deciso di spingersi verso il cielo seguendo l’esempio di metropoli come Londra o New York o Singapore?
Curiosità e RECORD poco noti dei GRATTACIELI DI MILANO
# La Torre San Babila: il primo grattacielo della città
Dobbiamo tornare indietro di un centinaio di anni, nel fermento razionale degli anni ’30 quando nel pieno centro della città, accanto alla chiesetta di San Babila fu inaugurato il primo grattacielo cittadino: la Torre Snia Viscosa, meglio conosciuta come Torre San Babila, che con i suoi (appena) 59 metri mantenne il primato di edificio più alto della città per parecchi anni.
Torre San Babila
# Il grattacielo più alto d’Europa: il Pirellone (fino al 1966)
Ci fu poi il periodo nel dopoguerra, con il boom economico degli anni ’50. Una dopo l’altra si susseguirono le costruzioni, sempre più alte! Nuove forme e nuovi materiali. Dal brutalismo della Torre Velasca del gruppo BBPR, che contava spazi ad uso commerciale e spazi per uso abitativo, alla Torre Galfa, fino alle torri “di famiglia” come la piccola Torre Martini di piazza Diaz. Con le Torri Breda e Pirelli a cavallo tra gli anni ’50 e gli anni ’60, si superò poi il veto, di derivazione ancora mussoliniana, di non poter andar oltre l’altezza della Madonnina del Duomo (108,50 metri): la Breda, di Luigi Mattioni (stesso architetto del centro Diaz e della già citata Torre e Terrazza Martini) in Piazza della Repubblica arrivò a 116,25 metri e il Pirellone, accanto alla Stazione Centrale a 127,00. Il Grattacielo Pirelli fu l’edificio più alto dell’Unione Europea fino al 1966.
Grattacielo Pirelli
# I grattacieli di Porta Nuova
Sarà poi il XXI secolo a dare un nuovo impulso propulsivo alle costruzioni: con il Palazzo Lombardia si superarono i 160 metri e si diede il via ad una lunga serie di progetti e costruzioni di edifici pubblici e residenze private, dal complesso delle ex Varesine, con la Torre Unicredit e il suo puntale che ricorda nelle forme il Burj Khalifa di Dubai, alla Diamond Tower della BNP Paribas fino agli eleganti edifici della Solaria e del Bosco Verticale di Boeri con i loro appartamenti super esclusivi da mille e una notte.
# CityLife: gli ultimi arrivati
L’Expo del 2015 mise il carico da novanta. Ed ecco sbocciare, come fiori in primavera, le torri di City Life, bellissime costruzioni di vetro e di luce: il “Lungo” di Isozaki, lo “Storto” della compianta architetto Hadid e il quasi finito “Curvo” di Libeskind. Torri che svettano verso il cielo per decine e decine di metri in attesa che nuovi progetti le facciano passare da tre a quattro fino a cinque! Perché Milano non si ferma, e continua la sua corsa per andare oltre le nuvole.
Credits: Andrea Cherchi – Grattacieli a Porta Nuova e Citylife
# Qual è il grattacielo più alto?
Ma in tutto ciò, qual è la torre più alta? Strutturalmente è la Torre Unicredit che con la gugliadi 231 metri è la torre più alta di Milano e d’Italia, ma il piano lavorativo più alto lo detiene la Isozaki che ha l’ulteriore primato di essere l’edificio più elevato (sempre in Italia) per numero di piani (50), seguita dalla Hadid (44) e il Palazzo Lombardia (43).
Celebre per le sue facce strane e i suoi versi diventati dei tormentoni.
Enrico BERUSCHI… e allooora???
# Tradito dalla Rai
Nelle interviste rilasciate a varie emittenti negli ultimi due anni, quindi dichiarazioni che sanno già di bilancio di una carriera pressochè cinquantennale, in sintesi possiamo dire che Enrico Beruschi la pensa così: dalla Rai si sente tradito, tra Mediaset di oggi e la Fininvest degli anni ottanta, preferisce di gran lunga quella di quando c’era il “Drive In”, ha una stima intramontabile per Silvio Berlusconi e ha sempre avuto un debole per le belle ragazze che lavoravano con lui, senza però cadere in tentazioni, “ragazzi, sono sempre stato un uomo sposato”. Beruschi, che non nasconde di ssere un uomo di centrodestra, che nella prima Repubblica votava per la Diccì (“sono un estremista di centro”), è talmente meneghino che, all’ortodossia del dialetto milanese di Carlo Porta, preferisce il progetto linguistico-dialettale proposto da gente come Roberto Marelli oppure Cesare Comoletti, quello degli anni cinquanta, più comprensibile, quindi più spendibile su vasta scala.
# Compagno di classe di Cochi, faceva i versi per attirare le ragazze
Enrico Beruschi nasce in viale Tibaldi, il 5 settembre 1941: le medie le ha fatte in via Gentilino, alle superiori andava in via Tabacchi:“le prime le ho frequentate con Renato Pozzetto, mentre all’Istituto per Ragionieri avevo come compagno Cochi Ponzoni“, con queste compagnie giovanili, come si faceva a stare lontani dal mondo del varietà? Già alle superiori iniziava a sgomitare per mettersi in mostra dando spettacolo: “Cochi era bello e non aveva bisogno di tante manfrine per mettersi in mostra con le ragazze, io, invece, con un fisico meno attraente, mi dovetti arrangiare per attirare l’attenzione di compagni e, soprattutto, compagne. Così mi ingegnavo a raccontare storielle, facendo dei versi con la bocca, per far ridere”. Diventa ragioniere ed entra alla Galbusera, dove rimarrà quindici anni. Nel frattempo prova la strada del cabaret, si esibisce ogni tanto al Derby Club, tirando fino a tardi e alzandosi presto la mattina per andare in ufficio. Si sposa e, dopo due mesi, lascia la professione di ragioniere per quella di attore. Diventando professionista della scena. Dopo l’esperienza nel programma “Qua la zampa”, nel 1977 debutta a “Non Stop”, il programma Rai che, oltre a rendere famoso Beruschi, avvierà straordinarie carriere come quelle di Massimo Troisi, Carlo Verdone, I Gatti di Vicolo Miracoli, Francecso Nuti e tanti altri. Con questo programma il valore artistico del nostro Enrico ingrana la giusta marcia verso la popolarità. A dire il vero aveva già partecipato a sette film, tra cui “C’eravamo tanto amati”, “Il padrone e l’operaio” e “Oh, Serafina”, ma con ruoli di secondo piano. Sempre nel 1977 lo troviamo nel capolavoro drammatico “Un borghese piccolo piccolo”, al fianco di Alberto Sordi e sotto la regia di Monicelli.
# Uno dei protagonisti di Drive In
Nella stagione 1979/80 Beruschi debutta a teatro con “L’Angelo azzurro”, nei due anni successivi, sempre sul palco, parteciperà a “L’impareggiabile monsieur Landru” e “Il postino dell’arcobaleno”.
In Tv lo troviamo, sempre verso la fine degli anni settanta, in programmi come“La sberla” e “Luna Park”. Gli anni ottanta sono quelli della Milano da bere e della rivoluzione televisiva berlusconiana: Enrico Beruschi è uno dei personaggi principali di “Drive In”, la trasmissione che così tanto ha fatto discutere, allora, come oggi: “era un programma caratterizzato dalla voglia di sperimentare, di provare a buttarsi in qualcosa di nuovo. Il coraggio ci ha dato ragione -disse l’attore milanese in un’intervista di alcuni anni fa- la Tv di oggi è artificiale, computerizzata, quella di allora era spontanea e più semplice”.
La televisione lo tiene lontano dal teatro per un decennio, poi (nel 1992) torna a recitare all’aprirsi di un sipario: “dopo una trasmissione Tv andata maluccio, ho deciso di tornare sopra un palco con un lavoro che mi sono autoprodotto, proponendo un’opera di Carlo Maria Pensa”. Parliamo di “Arivivis”.
# E…allora…
Al cinema, intanto, lavorerà in altre dodici pellicole, mentre in Tv lo troviamo protagonista, tra il 1989 e il 2022, in una decina di telefilm e altrettanti trasmissioni televisive, tra cui“Striscia la Notizia”. Sua inseparabile compagna di lavoro è Margherita Fumero, l’attrice piemontese scoperta da Erminio Macario. Poi abbiamo le pubblicità e le canzoni: Beruschi ha partecipato al Festival di Sanremo del 1979 con il brano “Sarà un fiore”, che quell’anno divenne uno dei tormentoni più ascoltati. Beruschi rimarrà famoso per quel suo modo di dire “E…allora…”, muovendo la bocca in modo buffo: “come è nata quella frase? Eravamo a Non Stop e i mie interventi erano frasi dette una dietro l’altra, che tra di loro non avevano alcun collegamento. “E allora”, era un modo per legarle tra loro”.
Terra ricca di storia, arte e buon cibo, l’Emilia Romagna è una regione tutta da scoprire qualsiasi siano le vostre passioni. Divisa in più territori durante i secoli, dal ducato di Parma e Piacenza aquello estense di Ferrara, Modena e Reggio, fino alle terre papali della dotta Bologna e della Romagna, questa zona di pianure, montagne e mare nasconde alcune piccole perle al suo interno che valgono la pena di esser raccontate.
7 MERAVIGLIE ALTERNATIVE dell’EMILIA ROMAGNA
#1 Bobbio (PC)
Tra i canyon della Val Trebbia, che tanto affascinarono Hemingway, sorge questo magico borgo medioevale, la cui storia è legata alla sua romanica abbazia. Fu infatti l’irlandese San Colombano, il primo uomo a dirsi cittadino d’Europa, a fondare il potente monastero e il suo nucleo abitativo attorno al VII secolo. Sebbene ad oggi l’abbazia di Bobbio sia stata soppressa, restano ben visibili i segni del suo splendore passato nelle architetture porticate del suo Scriptorium, nella sua chiesa e, soprattutto, nella monumentale tomba di San Colombano presente nella cripta, vero gioiello dell’arte gotica. Passeggiare per il borgo medioevale è anche un occasione per attraversare il suo famoso ponte gobbo, detto ponte del diavolo perché legato alla leggenda secondo cui il maligno lo costruì in una notte in cambio dell’anima del primo malcapitato che lo avesse attraversato e che venne beffato da Colombano, che invece vi fece passare un cane.
#2 San Leo (RN)
Situato sulle colline romagnole, San Leo è un caratteristico borgo arroccato sulla roccia. Anticamente chiamata Montefeltro, da cui nacquero i futuri duchi di Urbino, la cittadina è soprattutto famosa per la sua rocca rinascimentale, voluta dal duca Federico da Montefeltro e tristemente famosa per essere stata, durante la dominazione papale, un crudele carcere. Nelle sue celle finì i suoi giorni il conte di Cagliostro, accusato di eresia, nel 1795. Oltre alla sua fortezza, San Leo, vanta un magnifico duomo romanico e una vista spettacolare sulle piane circostanti, teatri nel tempo delle cruenti battaglie che hanno imperversato queste terre.
#3 Reggia di Colorno (PR)
Ph. credits: castellidelducato.it
Reggia dei Duchi di Parma e Piacenza, l’attuale palazzo venne edificato nel XVII secolo per volere di Ranuccio II Farnese e di suo figlio Francesco, che incaricarono del progetto l’architetto bolognese Ferdinando Galli da Bibbiena. Lo sfarzo e la grandezza di Colorno si deve, però, al duca Filippo di Borbone, genero di Louis XV, che fece ingrandire ed impreziosire ulteriormente l’edificio secondo i gusti francesi dell’architetto Petitot, in modo che anche la corte parmense potesse avere la sua “piccola Versailles”. Tra queste sale e questi giardini si tennero, tra il 1750 e il 1802, numerosi festeggiamenti che ricalcavano molto bene l’atmosfera rococò della corte ducale. Con la restaurazione, nel 1814, il ducato venne dato a Maria Luisa d’Austria, seconda moglie di Napoleone e figlia dell’imperatore Franz, che amò questa dimora risiedendovi spesso, a tal punto da farne la propria residenza prediletta. Il declino della sfarzosa reggia avvenne con l’unità d’Italia, il nullo interesse da parte di Casa Savoia rese vuote queste stanze, cedute alla provincia di Parma. Oggi, passeggiando per le sue sale interne e i suoi dolci viali, è possibile riassaporare, anche solo in parte, l’aria barocca e rococò che si respirava durante il secolare ducato.
#4 Brescello (RE)
Ph. credits: gazzettadiparma.it
Teatro delle celebri storie di “Don Camillo e Peppone”, raccontate da Guareschi nei suoi film, Brescello è davvero un paese senza tempo, rimasto proprio come in quelle pellicole in bianco e nero che ne raccontano la vita dei suoi abitanti e il loro rapporto con il grande fiume Po. Passeggiando per le sue vie, esattamente come nel set dei celebri film, si arriva in quella piazza Matteotti dove fanno bella mostra la chiesa, al cui interno si trova proprio il celebrecrocifisso con cui Don Camillo dialogava, il comune e le due statue di Camillo e Peppone, che si scambiano un saluto come due vecchi amici e rivali. Brescello non è solo cultura cinematografica, è anche buona cucina, basti pensare ai salumi e ai tortelli di zucca preparati in paese, il tutto, rigorosamente, sorseggiando un buon bicchiere di Lambrusco.
#5 Fondazione Magnani – Rocca (PR)
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È veramente uno dei luoghi meno conosciuti dalla maggior parte degli italiani, ma che contribuisce a rendere, con i suoi tesori, questa regione e questa nostro Bel Paese la terra culturalmente più ricca del mondo. A pochi chilometri da Parma, nel mezzo delle sue pianure, sorge quella che, a mio parere, è la “villa dei tesori”, un vero e proprio scrigno d’arte. Varcare i cancelli di questa villa e della sua fondazione, creata nel 1977 dal collezionista Luigi Magnani, permette di ammirare alcuni dei capolavori più importanti della storia dell’arte da fare invidia ai più blasonati e decantati musei del mondo. Qui si possono trovare affreschi del veneziano Tiepolo, opere di Dürer, Van Dyck, Rubens, Goya, Tiziano, De Chirico, Cèzanne, Canova e tanti altri grandi artisti di fama mondiale.
#6 Fontanellato (PR)
Una rocca medioevale con tanto di fossato nel bel mezzo di questo affascinante borgo, la cui bellezza sta anche negli affreschi rinascimentali al suo interno, realizzati dal grande Parmigianino. Fontanellato è un luogo magico, affascinante, e con un labirinto vero e proprio a pochi chilometri di distanza dal suo centro. Il labirinto della Masone, il più grande labirinto di bambù al mondo, è un ottima meta dove svagarsi unendo l’attività all’aria aperta ad una visita culturale alle collezioni di Franco Maria Ricci.
#7 Rocchetta Mattei (BO)
Ph. credits: visitupbologna.com
Lungo un piacevole giro per i colli bolognesi, è facile imbattersi in questo affascinante e stravagante edificio voluto dal conte Cesare Mattei nel 1850. Un unione di vari stili architettonici caratterizzano le varie sale del castello, da quello moresco del cortile dei leoni a quello orientale della Loggia Carolina. Vi sembrerà di essere sul set di un film o all’interno di un racconto incantato, più semplicemente questa è la magia della Rocchetta Mattei, un luogo senza tempo nato dalla stravaganza del suo creatore.
E’ la regione della prima capitale d’Italia, circondata a nord dalla bianca corona delle Alpi, i cui massicci dominano come giganti le pianure circostanti fino a Milano, dalla mole del Monte Rosa alla perfetta punta piramidale del Monviso a cui si ispira il logo della Paramount. Andiamo alla scoperta di queste sette chicche poco conosciute del Piemonte.
Le 7 MERAVIGLIE sconosciute del PIEMONTE
#1 Gurro, un angolo di Scozia tra le valli piemontesi (VB)
Credits: travel.fanpage.it – Gurro
Basta passeggiare per le vie di questo piccolo borgo della Val Canobbina per rendersi conto dell’autenticità che lo caratterizza, ad iniziare dall’abbigliamento tipico dei suoi abitanti: il tartan. Difatti Gurro è un piccolo angolo di Scozia tra le valli piemontesi, dove la cultura gaelica vive ancora nel dialetto locale, nei suoi costumi tipici con tanto di kilt, nelle sue architetture e nelle melodiche cornamuse.
Tutto ebbe inizio nel 1525 quando, alla disfatta francese di Pavia, un gruppo di soldati scozzesi di ritorno verso l’amata patria decisero di fermarsi in questa valle e di stabilirvisi, forse vedendo una somiglianza con la loro terra natia. Ricerche effettuate dal barone Gayre of Gayre and Nigg negli anni ’70 confermarono quanto la storia effettivamente tramandava, riscontrando nei cognomi locali l’effettiva origine scozzese, e decidendo di adottare Gurro e i suoi abitanti nel clann Gayre, il cui colore verde del tartan è oggi presente nei kilt indossati dagli abitanti del borgo.
#2 Terre Ballerine, un bosco magico (TO)
Credits: viaggiaescopri.it – Terre ballerine
Un percorso naturalistico in cui sembra quasi di camminare, o saltellare, su un morbido materasso elastico, queste sono le cosiddette “Terre ballerine”. A poca distanza da Ivrea, tra i laghi Sirio e Pistono, sorge questo bosco che potremmo definire magico, dove gli alberi sembrano muoversi quasi a ritmo di danza. In realtà questo fenomeno è dovuto alla presenza in passato del Lago Coniglio, divenuto in parte una torbiera e quindi prosciugato nel 1895 per volere dell’industriale valdostano Francois Mongenet, padre della siderurgia italiana, per ricavarvi materiale combustibile per le sue industrie.
Grazie allo strato d’acqua presente nel sottosuolo si ha la sensazione di camminare su un materiale talmente morbido da sembrare di gomma, provare per credere. Per gli amanti dell’arte, a Montalto Dora, comune di cui fanno parte le “terre ballerine”, si trova anche la quattrocentesca chiesetta di San Rocco, al cui interno è presente un pregevole ciclo di affreschi rinascimentali influenzati dallo stile di Gaudenzio Ferrari.
#3 Menir di Cavaglià, la Stonehenge piemontese (BI)
Credits: wikipedia.org – Menhir Cavaglia
Poco distante dal lago del Viverone in passato insediamento palafitticolo, sorge il più grande cerchio di pietre del Piemonte, una sorta di Stonehenge locale. Risalente al 4000/5000 a.C., questi Menhir costituivano il più grande luogo di culto celtico dell’intera regione, in cui nell’età del ferro la popolazione vi giungeva per celebrare riti legati all’astronomia.
Sebbene negli anni ’70, a causa dell’incuria e del menefreghismo dell’espansione edilizia molto spesso nocivo per le bellezze del passato, i Menhir siano stati spostati in un area poco distante dal loro sito originale. Nel 2005, grazie alla Soprintendenza ai Beni Archeologici della Regione Piemonte e allo studioso Luca Lenzi, questo sito è stato risistemato e valorizzato in maniera decorosa. Un importante, silenziosa e mistica testimonianza del passato celtico di questa terra.
#4 Abbazia di Vezzolano (AT)
Credits: ambientecultura.it – Abbazia di Vezzolano
Immersa nel verde delle colline vinicole astigiane, questa romanica Abbazia venne fondata da niente meno che Carlo Magno attorno all’VIII secolo. Oggi l’edificio è un insieme di stili architettonici che variano dal romanico al gotico, con una facciata in cotto decorata con motivi decorativi in pietra come la statua di Cristo posta a mo di bifora tra gli arcangeli Michele e Raffaele. L’interno, risalente al 1100, ricorda molto le abbazie francesi, con il suo pontile divisorio nel mezzo della navata centrale, decorato con alcune storie della Vergine, oltre ad affreschi trecenteschi che si sono conservati lungo le pareti.
#5 Sale San Giovanni, un angolo di provenza tutto italiano (CN)
Credits: piemonte.eu – Sale San Giovanni
Da metà giugno fino al 5 luglio i campi attorno a questo caratteristico borgo medioevale si colorano del viola tipico delle lavande e del loro profumo, come se per incanto fossimo trasportati in Provenza. Fino al 5 luglio è possibile percorrere quei campi di lavanda a piedi, ammirarne i colori ed apprezzare il paesaggio circostante.
Sale è comunque apprezzabile tutto l’anno, in quanto con la lavanda raccolta vengono prodotti distillati, oli profumati che si possono comprare nelle botteghe del paese. Paese che non smette di affascinare anche culturalmente ed artisticamente, grazie alla presenza della romanica Pieve di San Giovanni e al medioevale castello dei Marchesi di Incisa Camerana.
#6 Santuario del Cavallero, gioiello incastonato nella Val Sessera (BI)
Credits: fondoambiente.it – Santuario del Cavallero
Per raggiungere il santuario che sorge sul ponte-piazzale più grande d’Italia bisogna percorrere un facile sentiero boschivo, con tanto di ponticello sospeso sulle acque del torrente Sessera. Dopo un suggestivo cammino tra le bellezze della natura, ecco apparire la barocca mole della chiesa e la sua piazza-ponte sul rio Cavallero, costruita nel 1772 e talmente ambia da poter ospitare numerosi fedeli.
Il santuario venne costruito sul finire del XVII secolo, quando la Vergine apparve in questo luogo ad contadina sordomuta, ridonandole l’uso dell’udito e della parola. Bell’esempio di arte tardo barocca, il santuario gode di una posizione unica e magica, incastonato nel mezzo della biellese Val Sessera, uno dei cosiddetti santuari minori che circondano il piu ben noto santuario alpino di Oropa.
#7 Ponte Tibetano Cesana Claviere, il ponte sospeso più lungo del mondo (TO)
In una terra come questa non poteva mancare un ponte tibetano, per l’esattezza il ponte sospeso più lungo del mondo, coi suoi 554 mt di lunghezza su 30 di altezza. Un percorso mozzafiato attraverso tre ponti sospesi sulle Gorge di San Gervasio, nelle quali scorre la piccola Dora. Costruito nel 2006, è un esperienza che vale la pena di fare almeno una volta nella vita.
I prezzi sono saliti alle stelle ormai per ogni cosa, a causa dell’inflazione e del rialzo delle bollette, compresi anche i servizi degli stabilimenti balneari. Tra questi ce ne sono alcuni che hanno raggiunto cifre stratosferiche. Ecco dove si prende il sole in una spiaggia a cinque stelle.
La SPIAGGIA più CARA d’Italia: costa al giorno come un mese in un BILOCALE
# Battuto il Twiga di Briatore, la spiaggia più cara d’Italia è in Puglia
Twiga
Secondo una classifica elaborata dall’associazione Codacons, che mette in fila le spiagge più costose d’Italia, a primeggiare nell’estate 2023 è il “Le Cinque Vele Beach Club” di Marina di Pescoluse, in Puglia. Ha battuto, con un grande margine, il “Twiga” di Flavio Briatore di Forte dei Marmi, meta di VIP nostrani e non solo. Per una giornata nella famosa spiaggia dell Versilia, con tenda araba con sofa, 2 letti king size, 2 lettini standard, 1 sedia regista e 1 tavolino, si spendono 600 euro.
# Oltre 1.000 euro al giorno scegliendo l’opzione rimborsabile
Cinque Vele Beach Club
Al “Cinque Vele Beach Club” di Marina di Pescoluse, una delle più note spiagge salentine, si può avere a disposizione un gazebo e tavolino, 4 lettini, teli da mare e aperitivo alla cifra astronomica di 960 euro. Scegliendo l’opzione rimborsabile si sfonda addirittura il muro dei 1.000 euro, per l’esattezza 1.010 al giorno. All’arrivo viene servito un drink di benvenuto, prosecco o cocktail analcolico, si ricevono dei teli mare maxi in morbida spugna. Il servizio comprende frutta fresca e “Bollicine” oltre a un assistente personale pronto ad accogliere ogni richiesta. Dal 2022 ci si può anche rilassare nella prima SPA marina d’Italia.
# Natural Sea Spa, gli elementi naturali caratteristici della spiaggia diventano percorsi di benessere
Credits naturalseaspa IG – Spa marina Le cinque vele
Si chiama Natural Sea Spa, la prima SPA marina d’Italia, una novità nel panorama delle strutture dedicate alla cura della persona, all’interno dello stabilimento balneare le Cinque Vele Beach Club. Una SPA che nasce sulla costa, all’aria aperta, da dove provengono le materie prime successivamente lavorate e sono infatti gli elementi naturali caratteristici della spiaggia salentina a diventare percorsi di benessere. Dei percorsi sensoriali unici grazie a specifici trattamenti per il corpo sotto forma di oli essenziali e composti naturali preparati manualmente utilizzando la sabbia e piccole pietre, il sale, le piante da frutto come il fico d’india e gli arbusti mediterranei come il lentisco. Per un servizio a cinque stelle.
Il Masterplan 2037 di Save, la società che gestisce l’aeroporto Marco Polo di Venezia, considera l’idea di una funivia tra aeroporto e centro storico della città.
Venezia come Cortina: il progetto di una FUNIVIA per arrivare in centro
SAVE e il Masterplan 2037: in funivia dall’aeroporto al centro
Save, la società che gestisce l’aeroporto Marco Polo di Venezia e quello di Treviso, ha recentemente rinnovato l’interesse nei confronti di una vera e propria funivia sulla laguna, al fine di collegare l’aeroporto Marco Polo con il centro storico della città di Venezia. La funivia, di cui si parla già da tempo, era stata riproposta anche nel 2022 da Enrico Marchi, presidente di SAVE. L’idea della funivia è ora tenuta in considerazione direttamente nel sito istituzionale di SAVE, in una sezione volta ad accogliere osservazioni e nuove proposte riguardo le linee del Masterplan 2037.
Credits: @Lorenzocevavalla(FB)
Per ridurre il moto ondoso
L’idea è inserita all’interno di una serie di progetti in discussione nella città lagunare, legati al tema della mobilità sostenibile. Il primo scopo della funivia è quello della riduzione del moto ondoso creato dalle imbarcazioni che transitano tra lo scalo lagunare e la città (lungo il canale di Tessera). Save ha risposto di essere “interessata a proporre una ipotesi di collegamento alternativa tramite impianto a fune tra l’aeroporto e la città storica“. Da notare che la maggior parte del progetto sarebbe realizzata in area non di pertinenza del sedime aeroportuale (direttamente sulla laguna): date le molte competenze esistenti sul territorio lagunare e sulla laguna, si andrebbe incontro inevitabilmente ad un iter complesso.
Credits: @Flightinstructor(FB) – L’aeroporto Marco Polo di Venezia