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Ci sono cose che danno gloria a Milano e ai milanesi.
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Le 7 cose che tutto il mondo ammira di Milano
#1 Il senso di inclusione
Milanesi
Sono numerosi i modi per sviluppare il senso di appartenenza alla città. Non serve essere milanesi, ma occorre essere curiosi e darsi da fare. Associazioni, scuole di ballo, punti di ritrovo, persino una semplice passeggiata può essere utile per integrarsi nel tessuto sociale, politico ed economico. Milano è un continuo invito, basta risponderle.
#2 Il dinamismo
Credits: zero.eu
Chi vive a Milano lo sa, qui chi si ferma è perduto. Spesso si sente dire che a Milano si corre, ma non si tratta di una corsa compulsiva senza senso, quanto piuttosto di assecondare una metropoli che offre stimoli, regala energia, moltiplica costantemente occasioni a cui è impossibile sottrarsi.
#3 La tensione a migliorare
Credits: @my.black_and_white.world_ IG
Capita spesso di soffermarsi a paragonare Milano ad altre realtà cittadine, il che non ha nulla a che fare con l’osservare se l’erba del vicino sia più verde, quanto, più realisticamente, di un confronto utile a migliorare. Non ci sono mai punti di arrivo definitivi, ma continue tappe che Milano tenta di raggiungere. Spesso ci riesce.
#4 L’impossibile non esiste
Ph. arianna_doni IG
A Milano tutto è possibile, basta organizzarsi e qualunque progetto si realizza. A Milano si ha fiducia nel futuro, non esiste il fatalismo, il caso, ma tutto dipende dall’essere umano, dalla sua capacità, voglia di fare e di mettersi in gioco.
#5 I locali
Credits: @whiterabbitmilano IG
Sono una vera e propria attrazione. Impossibile non restare affascinati dalle luci dei locali che pullulano in qualsiasi quartiere, offrendo diverse possibilità di divertimento, socializzazione e voglia di divertirsi fino a notte fonda.
#6 L’eleganza
Ph. Surprising_Shots
Un valore innato, insito nel DNA e ammirato in tutto il mondo. Gli stranieri adorano lo stile chic milanese e non è un caso se Milano è la capitale della moda, in quanto sono i milanesi stessi a farsene portavoce con il loro stile ed eleganza, sfoggiati con naturalezza e garbo.
#7 La posizione
Di Arbalete – Opera propria, derivata da:, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=39879335 – Rete europea in Italia
Milano è una metropoli frenetica, che non dorme mai e dove la mobilità è fondamentale.
Nel weekend vale lo stesso: ma si scappa dalla città per raggiungere le mete più disparate, anche perché, baciata dalla felice posizione geografica, Milano permette di raggiungere posti straordinari in pochissimo tempo.
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Ogni città vive dei momenti magici di cui gli stessi cittadini a volte neppure si rendono conto, presi come sono da lavoro, famiglia, impegni vari. Siamo proprio noi residenti che spesso ignoriamo alcuni periodi mitici vissuti dal posto in cui abitiamo, un po’ per mancanza di onestà e un po’ per il non riuscire a staccarsi da quei malsani binari di conversazione all’italiana, quelli che portano le persone a doversi sempre lamentare di qualcosa (città comprese).
Ma molti centri urbani hanno dato davvero una splendida immagine di sé in svariate occasioni, e la stessa Milano di momenti belli, unici, irripetibili ne ha avuti ben più di uno, tutti per ragioni diverse.
Scelta ardua, ma ci abbiamo provato.
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I 7 anni più belli dell’ultimo secolo a Milano
# 1945: La fine della Guerra
Credits: archivio Publifoto intesa Sanpaolo – Milano nel dopoguerra
“Arrendersi o perire!” fu lo storico incipit con cui l’allora partigiano Sandro Pertini annunciava il suo proclama di sconfitta imminente dei fascisti dai rudimentali microfoni di Radio Milano Liberata. Piazzale Loreto e la marcia trionfale dell’Italia unita, che solo un anno dopo avrebbe scelto la Repubblica, furono il simbolo della ripartenza di un Paese che uscì dalle ceneri dei bombardamenti ed ebbe la città ai piedi del Duomo come locomotiva principale del boom economico.
Un anno epico per Milano che avrebbe trainato verso un futuro di speranza e di fiducia gli italiani e l’Italia intera.
# 1963: La prima Coppa dei Campioni nell’anno simbolo degli anni Sessanta
credits: @giottobau IG
Il primo grande evento sportivo che ha visto come protagonista Milano è naturalmente legato al calcio, ovvero lo sport più amato dagli italiani assieme al ciclismo negli anni di Bartali e Coppi (e non solo).
Nel 1963 il Milan di capitan Cesare Maldini alzò al cielo di Wembley la Coppa dei Campioni dopo aver vinto la finale in terra inglese contro i portoghesi del Benfica. Fu il primo trofeo internazionale di un certo prestigio vinto da una squadra italiana di club e, per fortuna, solo il numero uno di una lunga serie di successi, principalmente conseguiti dai rossoneri ma anche, pochi anni a seguire, ottenuti dalla Grande Inter di Helenio Herrera.
Ma il 1963 è stato un anno simbolo di un decennio magico per Milano, i mitici anni Sessanta. Gli anni dei Beatles al Vigorelli, gli anni della metropolitana, gli anni della costruzione di Velasca e del Pirellone da cui Milano guardava dall’alto in basso l’intera Europa.
# 1985: La grande nevicata nell’anno di punta della Milano da bere
credits: @perimetro__ IG
L’inverno tra il dicembre 1984 e il gennaio 1985 fu particolarmente rigido, caratterizzato da temperature sempre più basse a causa di un’anomalia termica della stratosfera che provocò il congiungimento dell’anticiclone delle Azzorre con quello polare, permettendo la discesa di aria artica marittima sull’Europa. La notte del 15 gennaio, preannunciata da estese nevicate su Toscana, Umbria, Marche, Lazio (Roma compresa) con temperature che raggiunsero anche i 20° sotto zero, a Milano arrivò la neve. Il capoluogo lombardo restò bloccato per tre giorni, con le strade invase da bambini in slittini e buontemponi che addirittura fecero sci di fondo in tangenziale.
Per il carico eccessivo della neve, crollò il tetto del velodromo Vigorelli, mentre il nuovo palazzo dello sport (costruito nove anni prima, vicino allo stadio di San Siro), venne completamente distrutto sotto il peso della neve e mai più ricostruito. I tetti di molti altri edifici pubblici e privati crollarono a causa del peso della neve accumulata, tra cui uno dei due padiglioni palestra della scuola del Sole, nel parco Trotter, e lungo le strade abbondavano i rami degli alberi che avevano ceduto per l’accumulo nevoso.
L’amministrazione comunale milanese venne accusata di non aver provveduto a compilare in autunno la lista degli spalatori di neve occasionali da mobilitare per le emergenze neve; ma l’evento è tuttora ricordato con gioia dai bimbi o ragazzi di allora (me compreso). Soprattutto perché non eravamo ancora grandi per doverci spalare la macchina, perché potevamo fare a palle di neve tutto il giorno e, ovviamente, perché per tre giorni non si andò a scuola. Tutto questo nel pieno di un decennio di crescita, passato alla storia come quello della “Milano da bere”, un decennio straordinario di cui il 1985 è considerato la peak experience, l’anno punta, quello che ha segnato tutti i record economici e finanziari della città.
Fermi tutti: lo so bene che molti insorgeranno chiedendosi cosa ci sia di bello nella vicenda di Mani Pulite. Una stagione e una generazione che cambiò per sempre la storia dell’Italia, che si portò dietro pesanti condanne e anche un numero importante di suicidi. Ma l’aspetto positivo di quegli anni, senza entrare nel giudizio sociale e politico di ciò che determinò negli anni a seguire, era il fermento con cui si tentò di mettere in dubbio e contestare in maniera forse meno rumorosa del ’68 e degli anni di piombo, ma egualmente efficace, quello che era considerato essere un sistema inattaccabile e che invece, con il tempo, si dimostrò essere più fragile di un castello di carte.
Un fermento che si diffuse nelle università e tra i cittadini animati dal desiderio di pulizia nella vita pubblica e nei rapporti tra affari e potere. Un fermento alimentato soprattutto dalla stampa, con i giovani cronisti dell’epoca da cui, trent’anni dopo, il giornalismo attuale avrebbe imparato tantissimo, lasciando però ancora aperta una domanda che forse non troverà mai risposta.
Mani pulite fu rivoluzione vera o semplice scoperta dell’acqua calda della corruzione che si è poi riproposta anche se in altre forme?
La squadra nerazzurra, rappresentanza eccellente del tifo nobile della città (da cui il soprannome Bauscia) nel 2010 coronò un ciclo di cinque anni di importanti vittorie italiane con la vittoria della Champion’s League, quarantacinque anni dopo la sovracitata Inter di Angelo Moratti, papà del più recente ex presidente nerazzurro Massimo. L’Inter, oltre a essere l’unica squadra italiana ad avere sempre militato in massima serie, nel secondo anno allenata da Jose Mourinho è stata anche la prima e la sola ad assicurarsi le tre competizioni in palio in una stagione calcistica: campionato italiano, coppa Italia e, appunto, Champion’s League, sollevata da capitan Zanetti nel cielo di Madrid dopo la vittoria per 2-0 sul Bayern Monaco. L’anno si concluse poi con la vittoria della supercoppa italiana e del Mondiale per club (ex coppa intercontinentale), portando i titoli complessivi a ben cinque. Un anno di trionfi in Europa mai più ripetuto. Speriamo non irripetibile.
# 2014: la città che sale
andrea cherchi (c)
La Torre Unicredit è uno dei simboli della Milano proiettata verso il futuro.
Progettata dall’architetto argentino César Pelli (scomparso nel 2019) dello studio architettonico, l’edificio è stato inaugurato nel 2014 nell’ambito del progetto Porta Nuova, un importante intervento di rigenerazione urbana che ha rivoluzionato il volto della zona compresa tra la porta dello Zanoja, Porta Garibaldi, Isola e Piazza Della Repubblica. La Torre si trova nella moderna e bellissima piazza Gae Aulenti e ospita l’headquarters del gruppo bancario Unicredit, con circa 4mila dipendenti.
Di fatto, con questa torre è stata costruita la downtown finanziaria di Milano e d’Italia. Gae Aulenti e la Torre Unicredit stanno all’ex World Trade Center (oggi Ground Zero per i motivi che tutti sanno) come Piazza Affari sta a Wall Street.
# 2015: l’anno magico di Expo
credits: @ssss_ilvia IG
L’esposizione universale che ha visto come protagonista la città, il futuro sindaco Beppe Sala e soprattutto i 22 milioni di visitatori transitati sul Cardo e sul Decumano, è stata certamente l’evento più lieto che è coinciso con una delle innumerevoli rinascite di Milano. Naturalmente, come ogni grande evento si è portato dietro una serie di polemiche legate ai costi e alla totale legalità dei cantieri, l’inizio è stato difficile e sembrava destinato al fallimento, ma in estate è avvenuta l’inversione di tendenza con le celebri code e gli eventi diffusi in tutta la città. Così che nessuno può togliere dall’Expo l’etichetta di evento di grande, grandissimo successo. Per Milano, per l’Italia intera, nonché per tutti i 137 paesi partecipanti.
La parola a voi, amici lettori. Qual è il vostro anno più bello a Milano, da che avete memoria? Ne avreste selezionato qualcun altro?
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I tempi stringono, il 2026 si avvicina e con esso le Olimpiadi invernali Milano-Cortina. Dove dormiranno gli atleti a Cortina d’Ampezzo?
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Olimpiadi 2026: il nuovo Villaggio Olimpico di Cortina d’Ampezzo
# Il Villaggio Olimpico di Cortina d’Ampezzo
Credits: @Miki So Mi(FB)
Il Villaggio Olimpico di Cortina d’Ampezzo, progettato per ospitare gli atleti durante le Olimpiadi Invernali Milano-Cortina 2026, rappresenta un elemento chiave per l’evento e per il futuro della regione. Situato nella località di Fiames, questo complesso mira a combinare funzionalità, sostenibilità e integrazione con il paesaggio alpino circostante.
# Il Progetto Architettonico – Parola d’ordine Green
Credits: @Italia da scoprire (FB)
La progettazione del Villaggio Olimpico è stata affidata allo studio di architettura Skidmore, Owings & Merrill (SOM), noto per la sua esperienza in progetti di grande scala e per l’attenzione alla sostenibilità. Il loro approccio prevede la creazione di edifici che si integrano armoniosamente con l’ambiente montano, utilizzando materiali locali e soluzioni energetiche efficienti. L’obiettivo è realizzare strutture che, dopo i Giochi, possano essere riconvertite per usi comunitari, come residenze o strutture turistiche.
# La Località di Fiames
Credits: @Marco Albino Ferrari (FB)
Fiames, situata a pochi chilometri dal centro di Cortina d’Ampezzo, è una località caratterizzata da un paesaggio naturale incontaminato e da una posizione strategica per l’accesso alle principali infrastrutture sportive. L’area, che in passato ospitava un aeroporto, ora dismesso, offre ampi spazi per la costruzione del Villaggio Olimpico. La scelta di Fiames come sede del villaggio permette di minimizzare l’impatto ambientale, sfruttando aree già antropizzate e facilitando la logistica durante i Giochi.
# Sostenibilità ed eredità
Credits: @milanocortina2026.com
Un aspetto fondamentale del progetto è la sostenibilità ambientale e sociale. L’utilizzo di materiali locali, l’efficienza energetica degli edifici e la pianificazione di una riconversione post-olimpica sono elementi chiave per garantire che il Villaggio Olimpico non sia solo una struttura temporanea, ma un investimento a lungo termine per la comunità di Cortina d’Ampezzo.
La trasformazione in alloggi per studenti e altre strutture comunitarie contribuirà a soddisfare le esigenze abitative locali e a promuovere lo sviluppo economico e sociale della regione. La collaborazione tra architetti, istituzioni e comunità locali è fondamentale per il successo di questa iniziativa, che mira a lasciare un’eredità positiva ben oltre la conclusione dei Giochi Olimpici del 2026.
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Entrando in questi quartieri non sembra di essere in una metropoli. Al contrario si percepisce ancora l’atmosfera di piccoli borghi. Scopriamo quali sono.
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I 7 borghi più belli che si trovano… dentro a Milano!
Affori era un borgo prevalentemente agricolo, con numerose cascine che sfruttavano tutto l’anno l’acqua delle risorgive per l’irrigazione, consentendo una coltura a marcite. Diffusa era anche la coltivazione del gelso, incoraggiata nel contado milanese dagli Sforza e soprattutto da Lodovico il Moro, e il conseguente allevamento di bachi da seta. Tra i luoghi storici rimasti c’è Villa Litta, la Torre medievale e il platano di Napoleone.
Baggio è uno dei borghi, diventati quartieri, meglio conservati di Milano. Si trova nella periferia ovest della città ed è famoso per il detto milanese ‘Va a Bagg a sunà l’orghen’ che si riferisce alla presenza dell'”organo più celebre di Milano”, un organo dipinto all’interno della chiesa vecchia di Sant’Apollinare, dato che la chiesa non aveva potuto permettersene uno vero per mancanza di fondi. Di grande rilevanza è poi la millenaria Cascina Linterno, costruita intorno al 1154, che deve gran parte della sua fama a Petrarca. Il grande poeta pare infatti abbia dimorato in questa villa dal 1353 al 1361. Si tratta dell’unica cascina milanese che abbia oltre che un vincolo ambientale anche un vincolo paesistico.
L’Ortica è uno dei quartieri più storici della città, che mantiene ancora intatta la sua configurazione di piccolo borgo. Il suo nome deriva dai numerosi orti presenti già nel Medioevo mentre oggi è un vero museo a cielo aperto della città con murales che raccontano la storia di Milano lungo le sue vie.
#4 Chiaravalle, il borgo dei monaci dove è nato il Grana Padano
credits: @chiaravallemilanese IG
Il borgo di Chiaravallenasce attorno all’omonima abbazia nel 1135, in seguito una cattedrale dell’agricoltura europea. Il campanile è considerato un’icona del luogo che i milanesi stessi chiamano “Ciribiciaccola“. Questa piccola oasi nel verde è uno tra i più antichi e affascinanti borghi milanesi ed è anche il luogo dove è nato uno dei formaggi più famosi d’Italia, il Grana Padano.
Figino è nominato nelle carte già dal 1017, ma è dal 1923 che è entrato a far parte del comune di Milano pur preservando ancora oggi il carattere di piccolo borgo rurale. Lambito dall’Oasi naturale del Parco dei Fontanili, ricca di risorgive diffuse nel Parco Agricolo Sud di Milano, si caratterizza come un borgo naturalistico ed è uno dei pochi quartieri staccato dall’area edificata della metropoli lombarda. Nei secoli scorsi veniva chiamato anche il “paese delle fragole” perché da qui arrivavano nei mercati di Milano.
#6 Musocco, il borgo delle case di ringhiera degli operai
Credits percorsi_nell_ignoto IG – Cimitero Maggiore
Un tempo luogo cruciale come area produttiva per Milano, prima dell’annessione a Milano nel 1923 superava i 15.000 abitanti. Oggi rimane la testimonianza dell’antico borgo, come una cascina e delle case a ringhiera, ma soprattutto ospita il più grande cimitero milanese, il Cimitero Maggiore.
Dergano ha da sempre avuto un’identità commerciale e artigianale. Il borgo, di cui si hanno le prime notizie attorno al XII secolo, sorgeva sulla strada tra Milano e Como, l’attuale via Imbonati. Le piccole osterie e locande nate all’epoca hanno lasciato spazio ai grandi insediamenti industriali come la farmaceutica Carlo Erba, la Mapei, le dolciarie Zaini e Italcima. Lo spirito del borgo è rimasto anche oggi nei suoi abitanti e nalla rivalità con la vicina Affori.
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Era la Pigalle di Milano, il quartiere degli artisti e dei bordelli.
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I tre bordelli di Brera, quando era la Pigalle di Milano
# La Contrada delle Tett
bordello di brera
Era il quartiere a luci rosse. Via Formentini era anche chiamata Contrada di Tett. Sì, per quel motivo. Attorno alla via c’erano infatti molte case chiuse, che tra l’altro erano riconoscibili perché per la “Legge Crespi, i bordelli dovevano murare le finestre per impedire di rendere visibili atti osceni.
# I tre tipi di bordelli dei tempi
Di bordelli a Brera ce n’erano tre che si distinguevano per il modo con cui le ragazze trattavano i clienti.
In uno le prostitute non potevano adescare in alcun modo e restavano ferme e in silenzio che venissero scelte.
In un altro invece erano le ragazze che prendevano l’iniziativa sfidandosi con ogni mezzo per conquistarsi i clienti.
Ma il bordello più chic era proprio dove una volta c’era il collegio delle fanciulle: in via Fiori Chiari 17.
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Milano possiede alcune tra le università pubbliche e private più prestigiose. Ed è Milano, mica una città qualsiasi. Cosa mai può intromettersi tra gli studenti e la laurea? Basta studiare, applicarsi, andare agli appelli. Gesti che hanno compiuto in molti. Tutto utile anche se a volte il diavolo ci mette lo zampino…
Le 7 superstizioni degli universitari milanesi: quando studiare non basta…
# La gincana tra le superstizioni
Credit: calcioweb
Peccato che appena scelto il piano di studi, si presentino davanti alcuni ostacoli imprevisti.
Prima ancora di capire quanto durerà il tragitto casa/università, dei corsi incomprensibili e assistenti feroci si parano davanti a noi; peggio degli inutili intoppi in segreteria, scenderà in campo lui, il Re della magia: il rito scaramantico.
Quasi sempre si tratta di un gesto da evitare, se si vuole arrivare al traguardo. Diverse facoltà a Milano hanno una propria usanza, pochi sanno che ce n’è anche una legata alla nostra Cattedrale.
# Bicocca batte paranormale 1-0
Credit: artribune
All’Università Bicocca l’argomento superstizione è stato scientificamente affrontato e sconfitto con l’introduzione del corso di Psicologia dell’insolito, condotto dal responsabile del CICAP, il Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sul Paranormale.
“Gli psicologi dell’insolito tendono a partire dalla posizione che le forze paranormali probabilmente non esistono e che quindi dovremmo cercare altri tipi di spiegazioni”, afferma uno dei fondatori del movimento.
In pratica, secondo la psicologia dell’insolito essere superstiziosi porta male e questo semplice assunto tiene i riti scaramantici fuori dalla Bicocca.
Ma la questione è sotto osservazione perché «quando qualcuno crede che un oggetto, una persona, una frase o un comportamento abbiano il potere di portare sfortuna non fa che condizionarsi, e così, ritenendosi sfortunato, altera inconsapevolmente il suo comportamento e finisce per provocare gli eventi sfortunati che tanto lo spaventano».
# Chi passa tra i leoni non si laurea alla Bocconi
Credit: Requadro
L’Università Commerciale Luigi Bocconi è uno degli atenei più prestigiosi d’Europa e ben venga che sia a Milano.
La Bocconi ha una bella tradizione, perché studenti ed ex studenti danno vita a numerose associazioni e si ritrovano spesso compagni di avventura anche dopo la laurea.
Uniti anche dalla tradizione dell’ingresso in Via Sarfatti: agli studenti è veramente sconsigliato accedere alla sede vecchia passando in mezzo ai due leoni della porta centrale. I bocconiani pertanto preferiscono accedere dagli ingressi posizionate ai lati.
Si narra di studenti affatto superstiziosi che hanno sfidato la leggenda a cui è capitata qualunque tipo di sventura.
Chi ha provato a chiedere il perché, si è sentito rispondere che c’è una leggenda che genera paura solo a raccontarla» e che «anche solo chiedere è un modo per sfidare la sorte… non farlo… non farlo».
Quindi il consiglio è quello di usufruire delle comode porte laterali e rimandare il passaggio tra i due leoni dopo la discussione della tesi, entrando belli tronfi con la rincorsa.
E se proprio siete scettici: provate.
# Alla Statale vietato passare dalle porte
https://beethecity.com/it
Quando la perfidia si unisce alla superstizione, il rompicapo è servito. Anche in Statale i riti scaramantici sono legati agli ingressi in facoltà e ce ne sono due diversi, per i quali occorre fare degli atti di fede e cercare di farne capisaldi.
Un primo rito scaramantico suggerisce agli studenti di non passare dalla porta di mezzo del cortile del Filarete.
Una seconda liturgia sconsiglia il passaggio dalle porte laterali.
Noi ci siamo fatti l’idea che si debba entrare dalle finestre ed è probabile che sia permesso, perché anni di sacrifici e di duro studio, non possono essere gettati alle ortiche per giocare con la scaramanzia.
L’importante è essere sempre in orario, oppure accettare di percorrere il porticato e non saltare mai la siepe tra il giardino centrale e l’ingresso.
Già che ci siete: evitate di guardare la statua di Minerva. Magari è una credenza pagana delle università romane, ma astenersi sembra una buona idea.
Meglio conservare ammiccamenti a statue e ardore atletico compiendo questo salto solo con la laurea in saccoccia.
# I Cortili alla Cattolica
Credit: saiprograms
Passa per i cortili una superstizione legata all’Università Cattolica del Sacro Cuore.
Per la precisione è bene attraversare i cortili percorrendo traiettorie a “L”, o tortuose sinusoidi: va bene tutto, l’importante è non attraversarli in linea retta.
Se proprio volete accettare un consiglio, usate i corridoi esterni e fate un po’ di esercizio fisico.
Una volta entrati nell’edificio principale, c’è una bella scalinata che porta al primo piano con due bellissime colonne ai lati.
In Cattolica non bisogna passare in mezzo a queste due colonne nei giorni precedenti un esame, nemmeno se fosse una questione di vita o di morte. Gli altri giorni, è discrezione degli studenti.
È probabile che sovrappensiero capiti di fare un improvviso dietro front in cima alla scala che infatti diviene spesso sede di assembramento, vietato in questo periodo.
Forse vi siete fatti l’idea che vi stanno tenendo a casa dalle lezioni per una questione diversa dalla superstizione?
# L’esame del kharma
Che dire della “migliore università pubblica d’Italia”, il Politecnico di Milano?
Ci sono talmente tanti edifici e studenti che per il Politecnico pare bastino tutti i riti portafortuna consolidati delle tradizioni popolari mondiali.
Il Politecnico infatti, soprattutto nelle sue eccellenze Ingegneria ed Architettura, è così difficile che vessare gli studenti con ulteriori riti scaramantici indigeni, rischia di tramutarsi in una procedura di infrazione per crimini contro il futuro dell’umanità.
Basti pensare che il Politecnico è una delle poche università ad aver curato e pubblicato un archivio degli studenti che hanno abbandonato i corsi, congedati per aver scelto altre facoltà o per abbandono degli studi. Polimi ha già gli esami di analisi matematica come riti scaramantici: se passi quello sei già a buon punto.
# Il rito scaramantico che non ti aspetti: vietato salire sul Duomo
Credit: viaggi-lowcost
Il Duomo è il simbolo di Milano, monumento per eccellenza, di una bellezza che toglie il fiato.
Ha un’architettura che rispecchia tutti i secoli di storia attraversati, indossandoli tutti perfettamente.
Sia per gli studenti milanesi di nascita che per i fuori sede, è una tappa turistica e culturale obbligatoria. O forse no? Pare che sia assolutamente vietato salire le scale del Duomo se si vuole arrivare alla stretta di mano col Magnifico Rettore.
Vabbè, direte voi, ci sono sempre gli ascensori. Se vi va di scommettere il futuro sfidando la sorte, fate pure.
Ma che vi costa salirci dopo il Master?
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A Milano abbiamo un’ironia tutta nostra, snocciolata dai tempi del derby club e propagatasi a macchia d’olio grazie ad artisti meneghini degli anni’70’/’80. Qui nella capitale morale d’Italia abbiamo sempre pensato a come divertirci, anche se spesso in altre parti della penisola ci vedono come chiusi, troppo seri ed eccessivamente concentrati sul lavoro.
Luoghi comuni che col tempo si sono assottigliati, esattamente come la nebbia degli anni
passati. In ogni caso, che il milanese medio sia più o meno simpatico, più o meno aperto e
via dicendo, ci sono alcune cose che qui ai piedi del Duomo ci fanno sorridere non poco. Cose che da altre parti, a quanto sembra, non fanno ridere.
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5 cose che fanno ridere solo i milanesi
#1 I vestiti dei provincialotti
Credit: cinematographe.it
Alzi la mano chi non ha mai pensato: ma questo come si veste? Sì, perché al di là dell’alta moda e delle inconcepibili creazioni delle fashion weeks, non si può negare che attorno al mondo dei white collars (ma non solo) qui a Milano si vedano outfit, mode e tendenze decisamente eleganti, che spesso chi viene da fuori città stigmatizza.
Senza sapere che è egli stesso stigmatizzato e deriso da chi sa come vestirsi, e bene. Per la cronaca, lo stile degli yuppies milanesi anni’80 fu di ispirazione per gli agenti di borsa di Wall Street e in generale di New York, dove grazie alle foto di Richard Avedon e agli abiti di Versace e Armani fu creata un vera e propria moda.
#2 Le battute sul Sud
Terùn è un’espressione che viaggia spedita verso l’estinzione, anche perché per alcuni è
ritenuta offensiva, ma diciamoci la verità: ai milanesi fa proprio ridere. Sia l’espressione in sé, sia il fatto che il ter (ehm…) il meridionale medio quando viene chiamato in quel modo si offende e inizia con la piva della discriminazione, della chiusura di Milano e via dicendo.
Noi, invece, quando ci chiamano polentoni non ci offendiamo affatto. Al di là delle battute,
comunque, le battute sui meridionali a Milano fanno sempre ridere, nonostante
ammettiamo che terrone sia un termine abbastanza antipatico. Nessuno si offenda, eh?
#3 I cori sulla nebbia
“Avete solo la nebbia”, lo urlano allo stadio e nelle spiagge del sud quando arrivano i milanesi.
Anche questo, come gli epiteti terrone e polentone, è un retaggio che inizia ad essere un po’ in disuso. Non solo perché la nebbia come detto si è ben diradata con gli anni, ma soprattutto perché sentendo questo coro i milanesi non si offendono, anzi. La nebbia per un milanese è dolce come la copertina di Linus.
#4 Le battute del Dogui
Credit: fi.pinterest.com
Guido Nicheli detto Dogui, da uno slang derivante dai film dei Vanzina (che utilizzava il
gergo milanese del riocontra) è stato, come più volte abbiamo raccontato, un vero e proprio anchor man di epiteti e modi di dire milanesi. Sicuramente molto stereotipati e abusati negli anni, ma neanche troppo lontani dalla realtà.
Fra l’altro, questo è l’unico dei cinque casi trattati oggi che fa ridere anche al di fuori dei confini di Milano. Il Dogui o ‘cumenda’, maschera dell’imprenditore meneghino di successo, riscuote ancora tanto successo e simpatia, anche a distanza di anni dalla sua scomparsa.
L’accento milanese è probabilmente il più difficile da imitare. Ma poi, di quale accento parliamo? Non del dialetto, che in Lombardia è ricco e variegato ma non certo parlato da tutti, e neanche dello slang milanese degli yuppies e dei giovani di successo di cui sopra.
Eppure chissà come mai da Milano in giù provano tutti a imitare il milanese, schiacciando e allargando forse un po’ troppo le vocali di termini come ‘mezzoretta’, ‘sigaretta’ e via dicendo, facendo ridere non poco i milanesi doc, che molto elegantemente (in genere) evitano di smorzare l’entusiasmo dei comici di turno, non ammettendo che le imitazioni medie del milanese fanno pietà.
E voi, avete mai provato a imitare il milanese? Aspettiamo i vostri commenti e… Come
avrebbe detto e come ci ricorda l’epitaffio del Dogui, See you Later!
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Valerio di Fiandra e la nascita del risotto alla milanese
# Il risotto è un simbolo di pace e di fratellanza
trattoria_sincera IG – Risotto
In epoche di conflitti, del pericolo della terza guerra mondiale, dell’odio tra i popoli e della polarizzazione sempre più aspra tra le posizioni politiche, quanto sarebbe bello pensare che il risotto alla milanese abbia un’origine caratterizzata dall’unione della cultura culinaria ebraica con quella araba. Il riso con “zafran” trova le proprie radici nel Medioevo: l’origine del termine Zafran risale alla sua radice araba, che significa “zafferano”. Nello stesso periodo nella cucina Kosher ebraica, ovvero quella che prevede i prodotti alimentari considerati “adeguati”, rispetto ai dettami della religione, troviamo piatti col riso, condito con erbe o carne. L’unione tra queste due culture culinarie, che derivano dalle due religioni con la sacralità più forte rispetto al cibo, ha praticamente creato il prodromo del tradizionale risotto alla milanese. Visto l’odio che trapela nelle notizie che ci giungono dal conflitto tra israeliani e arabi, tra minacce, accuse di genocidio, tregue non rispettate e riflessi di intolleranza e violenza che si consumano nelle nostre città, ecco che il risotto alla milanese può davvero diventare il simbolo della Pace.
# Valerio di Fiandra, il papà del risotto alla milanese
Ph. https://mividaenunbowl.blogspot.com/
Ma la data certa della nascita del risotto meneghino viene fissata al settembre 1574, quindi 450 anni fa, giusti giusti. In quel periodo a Milano si trovava il maestro vetraio Valerio di Fiandra, un artista fiammingo a cui era stata commissionata la realizzazione delle vetrate del Duomo. Per rendere più vivaci e caldi i colori delle opere in vetro, al colore veniva aggiunta una punta di zafferano, a conferma della molteplicità degli usi di questa spezia. Sempre in quel periodo si svolsero le nozze della figlia di Valerio. Durante il banchetto, nella pentola in cui cuoceva il riso (destinato ad essere servito in bianco, col burro) il marito della sposa, aiutante del Maestro, forse in onore dello zafferano come preziosa sostanza per abbellire le opere pittoriche, decise di versarne un po’ nel riso, dando vita, per gioco e per amore dell’arte, al riso allo zafferano. Anzi, al risotto.
# Le diverse declinazioni
Credits: @chef__pier Risotto alla milanese
Nel corso dei secoli questa ricetta ha visto alcune trasformazioni: c’è chi non ha alcun dubbio che il vero risotto alla milanese sia col midollo di bue, che regala al piatto un sapore e una consistenza ineguagliabili. C’è poi chi ha sostituito il midollo con la salsiccia, chi con i fegatini di pollo, altri con la pancetta, ma questi ultimi rischiano il linciaggio dai puristi del risotto.
Gli ingredienti sono quelli della tradizione: riso (possibilmente Carnaroli), midollo, burro, sale, brodo di manzo, soffritto con cipolle e pepe nero, vino bianco da sfumare e l’immancabile zafferano. E buon appetito e tanta Pace.
Nome omen. Come esprime il suo soprannome questa è la “casa più stretta di Milano”. In pieno centro. Riconoscibile ai passanti da una colorazione tendente al marrone, nasconde dietro il proprio portone gli appartamenti più stretti di Milano.
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Siamo nel cuore di Milano. Ai confini di Brera. Da qualche decennio, tra il palazzo all’angolo tra Via Pontaccio e Corso Garibaldi e il più moderno edificio al numero 18 di Via Pontaccio, è stato costruito quello che viene comunemente chiamato “il Tappabuchi”, la casa più stretta di Milano”.
Ideata per riempire il vuoto tra i due palazzi a seguito di demolizioni post belliche e di ricostruzioni, l’edificio mette in mostra ai passanti solo il suo portone che nasconde tutto ciò che vi è al suo interno.
# Quattro piani nascosti dietro una griglia metallica
L’edificio si trova in Via Pontaccio 20 a Brera, si sviluppa praticamente solo in altezza ed è davvero strettissimo. Si articola su 4 piani, mascherati da una griglia metallica,incorniciato da un struttura in metallo ossidato moderno e discreto allo stesso tempo. Al suo interno un’altra conseguenza ovvia: ospita gli appartamenti più stretti di Milano.
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Il Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF) ha pubblicato i dati sulle dichiarazioni dei redditi del 2023, offrendo uno spaccato sulla distribuzione dei redditi nei principali centri urbani italiani e nei vari quartieri, suddivisi per codice di avviamento postale. Milano si conferma la città più benestante d’Italia: in ben 11 aree della città, il reddito medio supera la media milanese, e solo un quartiere registra valori inferiori alla media nazionale. Scopriamo insieme quali sono le zone più ricche e quelle meno abbienti della città.
La mappa aggiornata dei quartieri più ricchi di Milano
# Nella top 5 comanda il Municipio 1: il CAP 20121 vicino ai 95.000 euro
skytg24 – Quartieri più ricchi di Milano
Gli ultimi dati pubblicati dal Ministero dell’Economia e delle Finanze confermano ancora una volta che Milano è la città più prospera d’Italia. Secondo le dichiarazioni dei redditi del 2022, il reddito medio lordo da lavoro dipendente per abitante a Milano è di circa 35.282 euro, nettamente superiore alla media nazionale, che si attesta sui 22.806 euro.
Se ci si concentra sulle singole zone della città troviamo al comando senza rivali il CAP 20121, che comprende Brera, Quadrilatero della Moda, Moscova e Castello Sforzesco, dove il reddito medio dichiarato di 94.369 euro. La zona più ricca in assoluto anche a livello italiano.
Secondo posto per il CAP 20145, Citylife, Porta Magenta e Corso Sempione fino al limite con l’Arco della Pace, con 83.767 euro.
Il podio è completato ancora dal Municipio 1, con il CAP 20123 che include Magenta, Sant’Ambrogio, San Vittore, Cinque Vie e reddito medio di 74.332 euro.
L’ultima area del Municipio 1 è in quarta posizione: nel CAP 20122, dove troviamo Quadronno, Guastalla, Porta Monforte, Borgogna e luoghi iconici quali Piazza del Duomo, il Tribunale, il Policlinico, l’Università Statale, la Torre Velasca: viene dichiarata una media di con 59.923 euro;
Chiude la cinquina più ricca il CAP 20129 dei quartieri di Risorgimento e Tricolore e lambito da quelli di Porta Venezia, Centrale e Città Studi con 56.142 euro.
# In 11 zone si supera la media cittadina
Cap 20149
Nella top ten dei CAP milanesi con i redditi più elevati, troviamo il 20149 (che comprende Portello, Fiera, De Angeli e Buonarotti) con un reddito medio di 54.764 euro, invertendo la posizione rispetto alla rilevazione precedente con il CAP 20129. Subito dopo si colloca il CAP 20124, che include le zone di Buenos Aires – Venezia, Centrale, Isola, Stazione Centrale, con un reddito medio di 51.433 euro. Sotto la soglia dei 50mila euro segue il CAP 20144, comprendente Giambellino, Magenta – San Vittore, Navigli, Porta Genova, Tortona e Washington, con 48.320 euro. Anche il CAP 20154 (Porta Tenaglia, Porta Volta e Monumentale) e il CAP 20135 (Guastalla, Porta Romana, Porta Vittoria, XXII Marzo) superano i 40mila euro, registrando rispettivamente 44.628 e 43.635 euro. Inoltre, altre nove zone presentano redditi medi sopra i 30.000 euro, di cui una supera la media cittadina.
# Quarto Oggiaro è il più povero di tutti con appena 18mila euro: oltre 5 volte in meno rispetto al quartiere più ricco
Credits Andrea Cherchi – Quarto Oggiaro
Nella fascia più bassa della classifica, che include i quartieri con i redditi medi dichiarati inferiori ai 24.000 euro annui, si ritrovano gli stessi del 2023, seppur con qualche variazione nelle posizioni:
20161 (Affori, Comasina, Bruzzano) con 23.819 euro, dalla quartultima alla sestultima
20153 (Quarto Cagnino, Quinto Romano) con 23.713 euro
20156 (Bovisa, Villapizzone) con 23.602 euro, dalla sestultima alla quartultima
20132 (Cimiano, Cascina Gobba) con 23.424 euro
20152 (Sella Nova, Baggio, Muggiano) con 23.319 euro.
Tutte le zone rimangono restano comunque sopra i 23.000 euro di reddito medio, con una sola eccezione: il CAP 20157, che include la zona di Quarto Oggiaro, a nord di Milano, con 18.508 euro. Questo valore è oltre cinque volte inferiore rispetto a quello del CAP 20121, che copre Brera e il Quadrilatero della Moda, ed è l’unico quartiere al di sotto della media nazionale.
# 5 comuni lombardi nella top ten dei più ricchi d’Italia, tra questi anche Milano
skytg24 – Comuni ricchi Italia
Milano si conferma in testa tra le grandi città italiane per reddito medio dei suoi quartieri, ma la vera sorpresa arriva dai comuni della provincia e della Lombardia. La regione, infatti, piazza ben cinque comuni nella top ten nazionale. Al primo posto troviamo Portofino, che passa dalla quinta alla prima posizione con 90.609 euro di reddito medio, seguito da Lajatico, in provincia di Pisa, con 52.995 euro per abitante. Basiglio, invece, scende in terza posizione con un’Irpef media di 49.523 euro
Questa invece le altre posizioni nella top ten:
Briaglia (CN) con 43.474 euro, in ascesa verticale di 1.039 posizioni rispetto al 2021;
Cusago (MI) con 39.813 euro;
Torre d’Isola (PV) con 36.865 euro;
Bogogno (NO);
Segrate (MI) con 35.783 euro;
Pino Torinese (To);
infine Milano con 35.282 euro, unica città capoluogo, che con la sua zona più ricca, quella del centro storico (CAP 20121), con 94.369 euro sarebbe in vetta anche davanti a Portofino.
Scorrendo la classifica fino alla 20esima posizione troviamo poi Arese, Galliate Lombardo e San Donato Milanese.
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Siglato l’accordo tra A2A e INWIT. Milano si prepara a un ulteriore passo verso il futuro, trasformando i suoi lampioni in una rete intelligente per la trasmissione dei dati: si tratta del noto e molto discusso 5G.
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1.000 lampioni saranno trasformati in antenne 5G: Milano andrà a una velocità record
# Cos’è il progetto 5G attraverso i lampioni?
Siglato l’accordo tra A2A e INWIT. L’obiettivo è di trasformare i lampioni della città in piccole antenne in grado di trasmettere il segnale 5G. Queste piccole celle, dette “small cell“, verranno installate sui pali dell’illuminazione pubblica, attualmente gestiti da A2A. Le prime installazioni sono già operative in alcune delle zone più centrali di Milano, come il Duomo, Brera, Garibaldi-Repubblica e Parco Lambro-Cimiano. La rete 5G, che consente di trasmettere dati ad alta velocità, potrà così essere estesa a zone della città dove la domanda di connettività è particolarmente alta, supportando sia i cittadini che le aziende con prestazioni superiori.
Le piccole celle saranno collegate tramite la fibra ottica gestita da A2A Smart City, mentre TIM sarà l’operatore incaricato di attivare le microcelle. Questo intervento non solo migliorerà la capacità e la copertura della rete mobile, ma contribuirà anche alla sostenibilità della città, riducendo il consumo di suolo e ottimizzando l’uso delle infrastrutture esistenti.
# Milano come modello di Smart City
L’installazione delle piccole celle 5G sui lampioni rappresenta un passo concreto verso il rafforzamento delle infrastrutture tecnologiche di Milano. Il progetto rientra nell’ambito di una visione più ampia che punta a rendere Milano una smart city, con soluzioni intelligenti in grado di rispondere alle sfide future. Grazie alla sinergia tra A2A, INWIT e TIM, la città avrà una rete mobile più densa, capillare e performante. Non solo i luoghi simbolo della città, come il Duomo, ma anche zone più periferiche beneficeranno della nuova connessione ultraveloce.
Le piccole celle 5G, che possono trasmettere anche dati complessi come flussi video, rappresentano un punto di svolta per una città che vuole rimanere al passo con le esigenze digitali del presente e del futuro. In una Milano sempre più orientata all’innovazione e alla sostenibilità, il progetto si inserisce perfettamente nella visione di una metropoli moderna, connessa e pronta ad affrontare le sfide digitali del domani.
# I dubbi e le preoccupazioni sul 5G
Nonostante le grandi potenzialità tecniche del 5G, questa tecnologia solleva anche alcuni dubbi e preoccupazioni tra una parte della popolazione, sia a livello nazionale che cittadino. A Milano, infatti, come in molte altre città d’Italia, ci sono cittadini che nutrono timori nei confronti delle potenziali conseguenze per la salute derivanti dall’esposizione ai segnali elettromagnetici emessi dalle antenne 5G.
I principali timori sono legati alla possibilità che l’alta frequenza delle microonde possa avere effetti negativi sul corpo umano. A sostegno di questa tesi c’è la convinzione che una lunga esposizione alle radiazioni elettromagnetiche possa alterare il funzionamento del sistema nervoso, aumentare il rischio di malattie tumorali o causare altre problematiche. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) è di tutt’altro avviso e ritiene sicure le tecnologie 5G, ma il dibattito sul tema rimane vivace.
In secondo luogo, non mancano coloro che sollevano dubbi riguardo alla privacy. L’adozione di tecnologie sempre più invasive potrebbe comportare rischi legati alla raccolta e all’utilizzo dei dati personali. Se da una parte il 5G permetterà di migliorare la qualità dei servizi cittadini, dall’altra la gestione delle informazioni sensibili potrebbe suscitare preoccupazioni riguardo alla protezione dei dati.
# Petizione sulle antenne 5G: “Serve un regolamento”
A proposito di dubbi sul 5G, sono già 350 le firme raccolte tra i residenti di San Giuliano, chiedendo al Comune di dotarsi di strumentazione adeguata per monitorare le emissioni delle antenne 5G. L’appello mira a sollecitare l’adozione di un regolamento che normi l’installazione degli impianti 5G e garantisca la tutela della salute pubblica.
Il comitato, che ha promosso la petizione, ha sottolineato l’importanza di dotare il Comune di un dispositivo per misurare le onde elettromagnetiche e di rendere pubblici i dati, consultabili dai cittadini. Si chiede inoltre che venga mappato il posizionamento degli impianti 5G presenti e previsti sul territorio.
# Il futuro della tecnologia 5G
Nonostante le preoccupazioni, le potenzialità tecniche del 5G non sono quasi mai messe in discussione. Le piccole celle, che verranno installate sui lampioni, sono solo l’inizio di un processo che porterà a una rete ancora più potente e diffusa. Milano sta diventando un modello di smart city, in grado di integrare infrastrutture tradizionali con nuove tecnologie per migliorare la qualità della vita dei suoi abitanti.
Il progetto di 5G sui lampioni di Milano non è solo una soluzione per migliorare la connessione in città, ma anche un esempio di come la tecnologia possa trasformare l’ambiente urbano. Sarà interessante vedere come il dibattito tra innovazione e sicurezza continuerà a evolversi e come la città risponderà alle legittime preoccupazioni dei suoi cittadini, cercando di trovare un equilibrio tra progresso tecnologico e opinione pubblica.
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L’Italia non è solo riconosciuta nel mondo per la sua cucina, per le sue bellezze naturali e artistiche. Da una ricerca internazionale scopriamo che l’accento italiano è considerato il più sexy d’Europa: dove si posizionano le altre lingue?
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L’italiano è la «lingua più sexy d’Europa»: questa la top 10 del fascino
La ricerca si basa su un sondaggio che ha coinvolto un campione di mille persone alle quali è stato chiesto quale accento europeo fosse il più sexy. Questa la classifica delle prime 10:
#10 Greco: il fascino classico per l’1% dei votanti
Credits: xristina_magkouti IG
#9 Olandese: il suono della frugalità preferito dall’1%
Credits: arjanfoto IG
#8 Tedesco: Goethe riesce ad ammaliare solo poco più dell’1%
Credits: wahrzeichenberlin IG
#7 Portoghese: la lingua del fado e di Ronaldo preferita dal 2%
Credits: carolr.lua IG
#6 Russo: la sinuosa cadenza slava arriva al 4%
Credits: p_semechka IG
#5 Svedese: la lingua più dolce del nord Europa al quinto posto con il 5%
Credits: amomochilar IG
#4 Spagnolo: l’accento che ricorda il veneto preferito dal 16% dei votanti
Credits: ahero_madrid IG
#3 Irlandese: il sound reso universale dagli U2 il più amato dal 19%
Credits: laurydltr IG
#2 Francese: cari cugini vi abbiamo purgato un’altra volta. Secondi con il 23% dei voti totali
Credits: d.ou.u IG
#1 Italiano: in economia e in politica zoppichiamo, ma quando parliamo tutti si innamorano. La “lingua degli angeli” è la più sexy per il 25% delle persone
fonte: @monicabellucciofficiel (instagram)
Perchè l’italiano è tanto amato?
Gli elementi in comune tra le prime due lingue sono, senza dubbio, la dolcezza e la musicalità, che nell’italiano raggiungono un livello così alto da esser stata definita «lingua degli angeli» da Thomas Mann.
Mentre le ragioni dell’ottavo posto nella classifica europea della lingua tedesca sono probabilmente dovute alla maggiore durezza e alla ricchezza di vocaboli spesso lontani dalle radici romanze, che mettono a dura prova la memoria dei parlanti latini se non sono entrati nel loro lessico personale. I tedeschi, però, sono consapevoli di questo e non rimangono indifferenti allo straordinario sex appeal della lingua italiana, essendo i primi studenti di lingua italiana al mondo.
# L’Italiano è la quarta lingua più studiata al mondo
Oltre ad esser considerato sexy, l’italiano è anche la quarta lingua più studiata dagli stranieri, notizia che stupisce soprattutto gli italiani poiché diamo per scontata la nostra lingua madre e non pensiamo che potrebbe essere, invece, tra le nostre competenze più amate e vantaggiose anche fuori dai confini nazionali. Spesso ignari del tesoro di cui disponiamo e che sottovalutiamo fino a denigrarlo ogni volta che ci troviamo all’estero, cerchiamo di nascondere il nostro accento come se fosse qualcosa di cui vergognarsi e per cui chiedere scusa, quando invece il nostro interlocutore ci scopre e ci dice entusiasta: “Ah ma tu sei italiano! Io amo l’Italia!” e pensiamo: “Ecco, ci risiamo! Tutti quei soldi spesi per ottenere il certificato di lingua e mi sono fatto scoprire!“.
# La bellezza trascurata della lingua di Dante
La lingua italiana in Italia è peraltro ancora lingua letteraria, non lingua comune, spesso di difficile comprensione per una popolazione che registra un costante aumento del numero di analfabeti funzionali, ovvero di persone che sanno leggere e scrivere ma che hanno serie difficoltà a comprendere un testo scritto e a distinguere le bufale dalle vere notizie. Eppure, il patrimonio che nei secoli si è costruito sulla nostra bella lingua costituisce ancora il biglietto da visita migliore quando andiamo all’estero.
Quando decidiamo di trasferirci in un nuovo Paese, è proprio questo il fattore che ci rende così sexy agli occhi e alle orecchie del resto del mondo. Basterebbe diventare più consapevoli delle nostre risorse e meno spaventati dalle minacce della crisi economica per fare in modo che ad attrarre gli stranieri non sia solo il nostro accento, ma anche il messaggio che attraverso lo studio e la promozione della lingua italiana veicoliamo: la volontà di preservare la nostra tradizione culturale e di condividere con gli altri ciò che abbiamo di più bello e prezioso.
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L’avvio dei cantieri, per un’opera che dovrebbe rivoluzionare il trasporto pubblico del capoluogo ligure, tarda ad arrivare per una serie di problemi e criticità. Vediamo il progetto del dettaglio, cosa manca per procedere alla sua realizzazione e i futuri prolungamenti allo studio.
La Skymetro: la «metro volante» di Genova. Si potrebbe fare anche a Milano?
# Il progetto Skymetro: la metropolitana sopraelevata di 7 km nella Valbisagno
Interno stazione Skymetro
Il futuro della metro di Genova sarà in cielo. Il progetto Skymetro è infatti previsto diventi parte integrante della rete del capoluogo ligure, una metropolitana aperta e sopraelevata di cinque metri da terra attualmente in fase di progettazione definitiva. Un tracciato di 6,9 km e 7 fermate da Brignole, con interscambio con la metropolitana classica, a Molassana. La linea, prevede due binari con queste stazioni intermedie: Romagnosi. Parenzo, Staglieno, Guglielmetti, San Gottardo.
capacità massima dei convogli di 442 passeggeri con una velocità commerciale di 36 km/h;
una frequenza di un treno ogni 6 minuti;
un tempo di percorrenza tra i due capolinea di 10,50 minuti.
60mila passeggeri trasportati al giorno, oltre 20 milioni l’anno;
consumo di energia ridotto del 50% grazie anche alla copertura con pannelli fotovoltaici.
# Le criticità e le incognite sul progetto
genova24.it – Sopraelevata fronte stadio Ferraris
I cantieri sarebbero già dovuti partire nel 2024 per concludersi nel 2027, ma i tempi si sono dilatati. Il problema principale è l’attraversamento del Bisagno all’altezza della copertura di fronte allo stadio Ferraris. I tecnici del Consiglio superiore dei lavori pubblici hanno caldeggiato una soluzione decisamente meno invasiva rispetto al progetto originario approvato in conferenza dei servizi: invece della demolizione e ricostruzione di parti dei setti in cemento che sostengono la piastra è stato chiesto di valutare un ponte obliquo a campata unica, ma non c’è chiarezza sul posizionamento delle spalle d’appoggio.
Credits genova24 – Tornelli accesso Skymetro
A questo si aggiunge il ricorso al Tar intentato di Legambiente, per ora congelato perchè il Comune non ha prodotto ancora un atto irreversibile contro il quale presentare una richiesta di sospensiva. Infine il nodo finanziamenti. L‘opera era già stata finanziata per intero nel 2021 con 398 milioni di euro ma, con l’aumento dei costi e la rivalutazione degli importi, potrebbero non bastare. Per questo motivo si fa strada l’ipotesi di spezzettare l’opera, procedendo per lotti funzionali arrivando inizialmente fino a Ponte Carrega, dove verrebbe realizzato un tronchino.
# L’estensione allo studio di 3,3 km e 3 fermate in direzione Prato
Skymetro estensione Prato
Nell’attesa dell’avvio dei cantieri, il tracciato è definito al 95% ma è in fase di verifica degli aspetti tecnici e geologici per la successiva integrazione documentale, si guarda già al futuro del tracciato. Il Comune di Genova sta studiando già la sua estensione di 3,3 km e 3 fermate fino a Prato, che ha costo stimato di 212 milioni di euro, per servire anche i comuni della città metropolitana.
# Inaugurazione possibile nel 2029
Credits genova24 – Interno stazione Skymetro
Se tutto si dovesse risolvere nel più breve tempo possibile, l’amministrazione conta di indire la gara tra la fine del 2024 e l’inizio del 2025, per arrivare all’aggiudicazione dell’appalto entro giugno 2025, così da rispettare il limite imposto dal decreto ministeriale. L’obiettivo è di inaugurare l’opera per intero entro dicembre 2029. In alternativa, in caso di tempi troppo stretti e difficoltà nel reperire le risorse extra necessarie, si inizierebbe realizzando un primo tratto e poi in una seconda fase avanzare direttamente fino a Prato.
# A Milano lo “Skymetro” potrebbe costituire la nuova circle line: sostituendo la circolare 90-91 o essere realizzato accanto ai due lati di marcia sul percorso delle tangenziali
Ipotesi delle 3 Circle line
Lo Skymetro costituisce una soluzione efficiente che potrebbe essere valutata anche per decongestionare Milano. Una delle principali carenze del servizio di trasporti metropolitano è infatti la carenza di una o più linee circolari veloci al pari delle altre grandi città europee, come Londra, Berlino o Mosca che ne ha addirittura due. La “Circle line” prevista sul percorso dell’attuale S9 verrà esercitata da treni con frequenza di 15 minuti e comunque rimarrà monca, perché sarà solo un segmento, lasciando completamente privo il tratto a ovest da San Cristoforo a Rho Fiera.
Come da noi spesso suggerito si potrebbe osare di più, e se la metropolitana circolare rapida forse è di difficile realizzazione, perché non implementare una linea sopraelevata come lo “Skymetro” di Genova? Si potrebbero realizzare fino a 3 linee ad un costo più contenuto, in questo modo:
#1trasformando la circolare filoviaria 90-91 in una vera linea di forza senza dover fare interventi sull’asservimento semaforico e garantendo al contempo la fluidità del traffico veicolare.
#2affiancando la linea sopraelevata al percorso delle tangenziali (sul modello di Genova):
Interne: nord, est e ovest
Esterne: TEEM e la superstrada che sostituisce il progetto della TOEM.
Se si introducesse anche a Milano questo metodo di trasporto alternativo proposto per Genova, meno impattante a livello strutturale e più economico, forse il grande sogno di una circle line potrebbe diventare presto realtà.
Nella sua lunga storia, a causa di invasioni, assedi, terremoti e migrazioni di massa, Milano ha visto ribaltare di continuo il suo aspetto. Questo è accaduto per adattamento, per la sua natura o per cause di forza maggiore. Molti monumenti storici, palazzi e testimonianze del suo passato sono stati cancellati per essere sostituiti con nuove costruzioni che contribuiscono spesso a dare a Milano un’impronta futuristica e all’avanguardia. Eppure abbiamo perso importante tracce: lo sapevi che in epoca romana era presente un’enorme arena, un grandissimo circo (due torri sono tuttora esistenti) e un imponente palazzo imperiale? E cosa sai della presenza di una splendida chiesa, poi rasa al suolo, in epoca napoleonica? Senza considerare che durante l’occupazione sabauda e la conseguente dittatura fascista ci fu una vera e propria devastazione. Vediamo cinque esempi.
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5 Luoghi di Milano che erano meglio prima
#1 I Navigli: il falso modernismo che ha cementato i canali
Come non ricordare per prima, la sciagurata e folle copertura dei Navigli? Quello che fu il più antico sistema di canali navigabili d’ Europa, che per secoli contraddistinse in maniera profonda l’aspetto della città, affascinando pittori e viaggiatori di tutto il mondo, e permise a Milano un importante sviluppo economico (fino agli anni ’50 la Darsena era uno dei principali porti mercantili italiani), fu brutalmente cancellato per un’ottusa visione falso modernista. I canali diventarono strade, mentre le acque, pulite perché sporchi erano gli scarichi, lasciarono il posto all’asfalto. Confrontare quelle visioni di struggente e infinita bellezza con certe anonime strade odierne fa davvero male. Speriamo presto di rimediare con una riapertura totale, o almeno parziale, dei nostri amati navigli.
La speculazione edilizia e l’ignoranza, con la scusa del risanamento, causano una devastazione tra le peggiori che si possano immaginare. Persino Ceasescu e Kim Jong resterebbero inorriditi da un simile scempio !Una antichissima contrada ricca di botteghe, caffè, trattorie e bordelli, ha lasciato il posto a un’anonima colata di cemento nei primi anni ’30. Il colpo di grazia al Bottonuto arrivò nel dopoguerra, con la costruzione della Torre Velasca e dai brutti edifici che la circondano. Quello che sarebbe diventato ora uno dei quartieri più caratteristici e visitati d’ Europa, non esiste più.
#3 Il Lazzaretto: il luogo storico de “I promessi sposi”
L’ antichissimo ospedale di manzoniana memoria oltre ad essere un bellissimo edificio, aveva un profondo valore simbolico essendo il principale luogo dei promessi sposi. La sua demolizione fu decisa per lasciare il posto ad edifici eleganti che, se dobbiamo dirla tutta, potevano essere edificati da un’altra parte, risparmiando un simbolo tanto importante per la città. Uno dei luoghi che avrebbe attirato l’attenzione di frotte di turisti, oggi non esiste più.
#4 Il Verziere: Il cuore caldo di Milano oggi è un luogo freddo e anonimo
navigli: verziere. Prima e ora
Una zona popolare, autentica, viva e dove si svolgeva il mercato ortofrutticolo, era situata nel centro di Milano. La zona, oltre che estremamente caratteristica, era anche quella dove Carlo Porta, uno dei più grandi poeti dialettali italiani e non solo, andava a “ripassare” il suo milanese. Proprio qui il poeta decise di ambientare una delle sue opere, che attribuì a dare al luogo un’importanza storica. Successivamente è stato sostituito da brutti ed ingombranti palazzi europei e da pomposi caseggiati che l’hanno reso oggi un luogo freddo e desolato. Con tutto lo spazio ancora disponibile in quegli anni il Verziere poteva e doveva essere risparmiato.
#5 Piazza Duomo e Galleria: affossati dal cemento
Lungi da noi considerare brutta la Galleria dal nome un po’ sinistro (la cui costruzione fu però costellata di scandali) e Piazza Duomo, non si può certo gioire nello scoprire che il cuore del centro storico milanese quattrocentesco fu completamente raso al suolo per affossare il Duomo, pensato per svettare su piccole case con comignoli ed abbaini, con pesanti palazzi in una piazza vuota. Il Coperto del Figini fu una delle vittime più illustre del nuovo progetto di stampo sabaudo. L’elegante porticato, simbolo dell’anima commerciale milanese, venne ridotto in macerie. Senza contare lo scempio della statua di Vittorio Emanuele, uno dei monumenti più brutti d’Italia.
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Lo “storico” arresto dei rapper Babygang e Simba la Rue ha segnato un salto di qualità nelle cronache riguardanti il disagio giovanile e la piccola criminalità a Milano. Stanno aumentando le denunce per aggressioni, furti e atti vandalici attuati da giovani e giovanissimi soprattutto nelle zone in cui si concentra la movida. Da dove nasce questo fenomeno e che caratteristiche tipiche sta mostrando a Milano?
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I maranza alla conquista di Milano?
Nato ai margini si sta affermando come protagonista sulla scena milanese. E’ il “maranza”, diventato anche un meme sui social (soprattutto Instagram e TikTok). Su internet se ne parla in modo scherzoso ma i sempre più frequenti fatti di cronaca sollevano preoccupazione e inducono a cercare di capire chi siano questi ragazzi e sul perché attuino questo tipo di comportamenti di carattere antisociale.
Cos’è quindi esattamente un “maranza”?
# Le origini del termine: “l’è un Zanza”
Il termine maranza ritrova la sua radice nella parola “zanza”, traducibile in imbroglione, truffatore, furfante. Arriva dal gergale milanese o “del parlar furbesco” della Milano di Scerbanenco. “Attento che l’è un Zanza” significava di prestare attenzione a quel tipo in quanto truffatore.
Possiamo dunque scomporre il termine in mar-anza. La prima parte sta ad indicare la loro presunta etnia: secondo lo stereotipo degli anni Ottanta e Novanta le persone maghrebine erano considerate di origine marocchina. La seconda invece si riferisce all’atteggiamento tipico dello zanza.
La parola maranza è nata recentemente per definire le babygang di origine nord africana che si ritovano soprattutto nelle zone della movida milanese per compiere atti violenti, molesti o vandalici. La denominazione di “baby gang” sta ad indicare alcune forme di devianza minorile di tipo associativo che si caratterizzano per l’estrema violenza con cui i giovani realizzano le varie condotte illecite.
Seppur fenomeno variegato si può individuare un primo identikit del “maranza” tipo.
# Identikit del maranza
webboh.it
Sono gli stessi ragazzi di Milano che così rispondono alla domanda sui tratti distintivi in base ai quali si può riconoscere un maranza. La maggior parte delle persone li definisce come gruppi di giovani (spesso minorenni) di sesso maschile e di origine nord africana, che hanno atteggiamenti molesti e violenti nei confronti degli altri ragazzi.
Il classico maranza a livello estetico si presenta come un “ tamarro”. Quindi in tuta, aceta o tech, o con le divise sportive delle squadre di calcio (ad esempio Real Madrid o Paris Saint Germain), borsello di marca (spesso contraffatto) e non di rado utilizzano passamontagna o altro per coprirsi il volto prima di compiere violenze o atti vandalici.
Il maranza non è solo un look ma anche una modalità di agire. Vediamo in cosa consiste.
# I maranza in azione
poliziadistato.it
Le modalità di approccio ed esecuzione sono quelle tipiche delle baby gang. Innanzitutto si instaura un contatto con la vittima dalla quale, quasi sempre per futili motivi, ne scaturisce una lite. Dalla violenza verbale si passa velocemente a quella fisica, «il tutto con un ritmo estremamente rapido che crea una situazione di terrore e panico per la vittima» che, spiazzata, si ritrova ad essere derubato o aggredito dal gruppo.
Mentre è facile riconoscerlo, meno note sono le origini del fenomeno. Da dove nasce il maranza?
# Dove nasce il maranza
Film. I guerrieri della notte
Tradizionalmente il maranza è considerato la manifestazione di una forma di emarginazione sociale. L’atteggiamento, in particolare, viene visto come l’espressione di una rabbia sociale: il carattere “antisistema” dei loro atteggiamenti, basati sulla forza del branco, piccoli furti, rapine, risse e altre forme di vandalismo o violenza, spesso fine a se stessi, unita alla provenienza da contesti periferici porta la letteratura sociale a formulare questo tipo di ipotesi.
Un documento del Ministero degli Interni descrive il fenomeno come “criminalità epidemica, i cui tratti distintivi sono costituiti dall’operare in gruppo degli autori dei reati, anche se al di fuori dei contesti di criminalità organizzata, e dal tasso di violenza utilizzato nei confronti delle vittime, generalmente elevato (…) e, comunque, del tutto sproporzionato rispetto al movente, futile (…) e persino degradante a mero pretesto”.
Il fenomeno viene quindi pensato come una forma di ribellione giovanile a un ambiente sociale privo di stimoli e di prospettive sul futuro. Questo tipo di gruppo diventa un modo per affermare se stessi in una società in cui questi ragazzi si sentono ignorati ed emarginati.
Nelle baby gang i membri, frequentemente, “attribuiscono al gruppo anche un nome al fine di darsi una connotazione identitaria; tra i componenti esiste un marcato senso di unione ed una forte coesione interna in quanto il gruppo rappresenta un punto di riferimento per l’adolescente che ivi vi condivide esperienze, valori, linguaggio, comuni sentimenti di disagio, trovando, altresì, nella gang, lo stimolo all’aggressività come metodo di sfogo e compensazione.”
Lo scopo principale della condotta delittuosa appare essere, infatti, lo sfogo della violenza che non è quindi il mezzo per perpetrare il delitto ma costituisce lo scopo stesso dell’aggressione. Oltreché ad azioni violente nei confronti delle persone si assiste anche ad episodi di bullismo metropolitano e ad atti vandalici consumati in pregiudizio di istituti scolastici, edifici e mezzi pubblici.
# Il report: boom di reati. 1 su 2 di origine straniera. Tre ragazzi su 10 hanno partecipato a delle risse
Film: Arancia Meccanica
Lo segnala il report del Servizio analisi criminale della Direzione centrale della Polizia criminale sui minori. Aumenta del 10% in un anno la quantità di minori denunciati o arrestati, così come sale del 20% il numero di reati. Si impenna anche il traffico di stupefacenti e cresce, dal 44 al 46%, la percentuale di stranieri – o di italiani di seconda generazione – che fanno parte delle baby gang. Tra gli immigrati le prime due etnie a cui sono attribuite più denunce sono proprio di origine marocchina e tunisina.
L’allarme è che sembra sia un fenomeno molto diffuso, anche oltre le sacche di reale disagio. Secondo i dati dell’Osservatorio Nazionale Adolescenza su un campione di 7.000 adolescenti sul territorio nazionale, il 6,5 per cento degli adolescenti fa parte di una gang, che intenzionalmente sferra attacchi nei confronti dei loro coetanei o danneggiano strutture pubbliche o private, come la scuola, compiendo furti o veri e propri atti di vandalismo. Il 16 per cento ha commesso atti vandalici e 3 ragazzi su 10 hanno partecipato a risse.
# L’età e l’origine suonano l’allarme
Film: I ragazzi della 56ima strada
Questo fenomeno acquisisce una rilevanza particolare per due ragioni: a) stiamo parlando di ragazzi spesso giovanissimi, b) una quota rilevante di questi ragazzi è di origine straniera.
Il primo punto deve far riflettere sulla carenza di modelli di vita e di opportunità che la nostra società offre ai giovani. Se è vero che più di 6 ragazzi su 100 fanno parte di una gang significa che le nostre istituzioni e la società civile italiana non sono state in grado di offrire loro dei contesti in cui sviluppare una prospettiva sul proprio futuro, di immaginare dei progetti, sviluppare delle idee e delle passioni su cui investire per avere un ruolo positivo per se stessi, per la propria famiglia e per la collettività.
Il secondo punto invece rilancia la questione della mancata integrazione di una quota rilevante di alcuni immigrati di seconda generazione. Evidentemente per alcuni di questi ragazzi l’unica forma di riscatto sociale visibile è nella violenza e nella sopraffazione del prossimo. Tutto ciò però non deve ridursi a un circolo vizioso che oscilla tra la segregazione e la violenza, non è accettabile che questi ragazzini vengano già definiti come irrecuperabili.
# Invincibili, senza sogni
Film: Trainspotting
La gravità della situazione viene rappresentata dall’avvocato Valentina Calzavara pronunciate: “Quelli delle baby-gang quasi sempre sono ragazzi che non studiano e non lavorano, col benestare dei genitori. Parlo con loro e mi sorprendo a scoprire la totale assenza di progetti per il futuro: sono adolescenti che hanno smesso di sognare, o forse non l’hanno mai fatto”.
Giovani senza ambizioni, se non quella di proiettare sugli altri un’immagine di invincibilità. “Ricordo un cliente di 17 anni, che faceva parte di un gruppo accusato di spaccio di droga, rapine, rissa e lesioni. Alla fine dell’udienza gli dissi che la sua posizione processuale era critica, probabilmente peggiore di quella di tutti i suoi amici. Non disse nulla ma sorrise con uno sguardo gonfio di orgoglio…”.
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Uno dei termini più pittoreschi del milanese ha un’origine altrettanto curiosa. Vediamo che cosa significa e perché si definisce in questo modo. Ci sono due teorie a riguardo.
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Balabiòtt: ma chi è che ballava nudo a Milano?
# “Va là, balabiòtt!”
credit: laregione.ch
Un tempo era usuale sentirsi dire dai nonni: “Va là, balabiòtt!”. Non è esattamente un insulto ma nemmeno un complimento. Per comprendere il suo significato dobbiamo analizzare le due parole da cui è composto: “balla” e “biotto”, cioè balla nudo.
# I danzatori nudi del manicomio
ca de ciapp e balabiott
Ci sono due interpretazioni a tale epiteto: la prima vuole associare alla figura del danzatore nudo quella del matto. Fino alla riforma Basaglia infatti, negli anni ’60 i matti nel manicomio venivano lasciati nudi. Secondo questa ipotesi chi ti dava del balabiòtt ti dava quindi del fuori di testa.
# Il ballo dei rivoluzionari milanesi
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La seconda teoria narra che nel 1796, durante le fasi costituenti della Repubblica Cispadana, venisse piantato in tutte le città liberate un albero della libertà, un palo addobbato con ghirlande e nastri sormontato da un cappello frigio. Sotto questi alberi la gente, nel cui novero si contavano specialmente scamiciati e straccioni seminudi, ballava a suon di musica. Da qui l’appellativo balabiott.
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Supera di qualche metro la Tour Eiffel ed è un hotel con una storia un po’ complicata: nessuno è mai riuscito a finire la sua costruzione. Se quindi sarebbe potuto essere l’edificio adibito ad hotel più alto del mondo, il Ryugyong Hotel, così si chiama, diventa l’albergo che non ha mai avuto neanche un ospite.
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L’ «Hotel della Sventura»: in 30 anni non ha mai avuto un ospite
# Più di 3000 persone di capienza, ma 0 ospiti
Credits: north-korea-travel.com Ryugyong hotel
Il Ryugyong Hotel, dalla forma piramidale, è alto ben 330 metri e ha 105 piani. Con 5 ristoranti panoramici e varie piattaforme d’osservazione, sarebbe dovuto essere un hotel che avrebbe accolto 3 000 persone, invece ne ha ospitate zero. L’edificio ricorda una montagna, simbolo della nascita dell’imperatore del tempo, Kim-II-Sung. Dai cittadini nordcoreani è chiamato “hotel della sventura”, anche perché la sua costruzione è iniziata più di 30 anni fa e non si è ancora conclusa, sempre se si riuscirà a finire.
# Hanno iniziato a costruirlo nel 1987
Credits: rivistastudio.com interno Ryugyong hotel
In piena guerra fredda, nell’88 in Corea del Sud ci furono le Olimpiadi estive e in quella del Nord il Festival Mondiale della Gioventù e degli Studenti, una giornata di propaganda sovietica. Per poter ospitare le persone che sarebbero venute a questi eventi, in Corea del Nord, l’anno prima, si decise di realizzare un hotel particolarmente grande. Grazie ai fondi sovietici, inizia la costruzione del Ryugyong Hotel, ma non lo si riesce a concludere entro il Festival, i lavori vengono rimandati e l’hotel rimase un blocco di cemento dalla forma piramidale.
Da qui inizi la lunga storia dell’edificio. L’URSS crolla e spariscono anche i fondi, lasciando l’hotel incompiuto fino al 2008, anno in cui una compagnia egiziana decise di inserire le lastre di vetro perimetrali e continuare i lavori. La costruzione viene ancora abbandonata fino al 2012, quando una compagnia tedesca avrebbe dovuto prendere in gestione l’hotel. Per divergenze politiche, gli accordi non sono andati a buon fine e il Ryugyong Hotel è rimasto ancora incompleto. Quello che stupisce è che, in tutti questi anni, non si è mai riusciti a sistemare l’interno: ancora vuoto e polveroso.
# L’hotel nella campagna propagandistica della Corea del Nord
Credits: ilpost.it Ryugyong hotel
L’hotel sarebbe potuto essere d’orgoglio per il governo nordcoreano, perché sarebbe stato l’edificio più alto della penisola coreana. Invece, il “disonore” dato dal fatto che la sua costruzione non è mai stata conclusa, ha fatto si che il governo nordcoreano abbia addirittura cancellato dalle mappe della Capitale il Ryugyong Hotel. Resisi conto che, forse, era un po’ difficile nascondere un edificio di 330 metri, hanno deciso di renderlo un mezzo di propaganda. Dal 2018, sulla facciata sono comparse luci LED che proiettano spettacoli, ma soprattutto passano programmi storici sulla nazione, slogan politici e immagini di missili. Gli ultimi piani propongono, invece, un’enorme bandiera nordcoreana.
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Conoscete la casa dei Tre Cilindri? Una delle attrazioni della zona di San Siro è stata considerata come modello di “casa del futuro”. Vediamo perchè.
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I «Tre Cilindri» di San Siro: modello di «casa del futuro»
# I Tre Cilindri: il progetto di Mangiarotti e Morassutti, esempio di casa del futuro
La casa a Tre Cilindri si trova in zona San Siro, nello specifico in via Gavirate 27, dove si possono ammirare tre torri cilindriche unite da un elemento di vetro. Il progetto di Angelo Mangiarotti e Bruno Morassutti venne realizzato tra il 1959 al 1962 e, grazie alla sua inconsueta immagine, rappresenta una delle opere più note dei due architetti. Commissionato dalla Cooperativa edilizia CZ1 per la costruzione degli alloggi di nove funzionari statali, venne citata in un articolo del “Corriere lombardo” come esempio di casa del futuro.
# I tre cilindri dai 10 appartamenti sono collegati da un tunnel di vetro
Youtube: Tullio Quaianni
I tre cilindri con un diametro che supera di poco i 12 metri, sviluppano tre piani con un appartamento ciascuno, per un totale di 9 appartamenti più un decimo, al piano terra, destinato al custode. Se apparentemente risultano essere tre edifici distinti, sono collegati da un elemento centrale vetrato con al suo interno le scale e gli ascensori.
Lo schema strutturale ha consentito una libera progettazione degli appartamenti dando la possibilità ai proprietari di disporre e suddividere gli spazi interni con semplicità grazie a pareti, armadi e librerie. Dall’esterno si può notare l’alternarsi tra le finestre e i pannelli di legno che possono essere disposte sulla facciata secondo le necessità.
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