Nel 1984 di Orwell la tortura peggiore era la stanza 101. Dove ognuno, sulla base della sua tematica inconscia individuale, era vittima delle sue paure irrisolte che, a livello simbolico, rappresentano il luogo della propria forza vissuto come paura contro se stessi.
Chiamandola stanza 101, Orwell ha fatto riferimento al linguaggio di programmazione della macchina, sottolineandone l’evidente antitesi al codice base della natura umana.
Ci sentiamo di rispolverare questa metafora perché è come se oggi la stanza 101 avesse ottenuto una dimensione planetaria.
L’essere costantemente sottoposti a una grande quantità di frequenze e di onde elettromagnetiche, fa in modo che siamo immersi in una colossale stanza 101. Senza dare un giudizio di valore, ci sembra evidente che questa enorme stanza rinforzi le paure più che il coraggio degli esseri umani, generando una forma di collettivo senza capacità di reazione individuale.
Dal punto vista piscologico la stanza 101 simboleggia la parte di vita che ogni essere umano vive senza essere presente a se stesso.
Come se ormai avessimo tutti accettato che una buona parte della nostra vita sia inconscia a noi stessi, abdichiamo a una ricerca esistenziale che ha nella soggettività il luogo della ricerca e non nell’oggettualità mondana, che è permanentemente orientata verso l’esterno.
Ci siamo persi nell’oggetto abbandonando l’atto intero che ci definisce come esistenti.
L’inconscio diventa luogo dei mostri freudiani semplicemente perché non è conosciuto. Se un quantico di vita così fondamentale viene lasciato senza il padrone di casa diventa come un giardino di cui nessuno si prende cura, venendo occupato da roditori ed erbacce che lo infettano.
Estendendolo a livello macro, ci viene il sospetto che questa enorme infrastruttura che ricopre il pianeta si nutra della differenza tra ciò che siamo e ciò che potremmo essere. E che in questo luogo inconscio abbiano sede i veri giochi che governano il pianeta.
Qualche anno fa durante il palio di Siena un fantino è caduto da cavallo in corsa. I compagni di contrada si sono precipitati su di lui e, mentre le immagini mostravano che lo picchiavano selvaggiamente, il commentatore diceva che i compagni di contrada erano solidali e aiutavano il fantino a rialzarsi.
Come sappiamo l’informazione oscilla tra posizioni spesso antitetiche per descrivere gli stessi identici eventi. Ormai ogni dato o fatto acclarato è una moneta a due facce e può servire a confermare una tesi o ad abbatterla.
Il mondo dell’informazione e della politica è diventato così sofisticato da trasformare anche immagini evidenti nel loro opposto.
Ieri ha fatto scalpore la spiegazione del ministro Lamorgese degli eventi di Roma e di Trieste. In particolare ha giustificato la presenza nei video di un poliziotto tra i manifestanti che spingevano un blindato della polizia, affermando che la sua spinta era determinata dalla volontà di calcolare la capacità ondulatoria del mezzo, come una sorta di novello Galileo.
In fondo il potere ha sempre fatto così.
Ai tempi di Augusto il senatore Cremuzio Cordo ha scritto gli Annales ripercorrendo le vicende di quando Ottaviano aveva sconfitto Cassio e Bruto, rivalutando questi ultimi come paladini della Repubblica e difensori del Senato contro la nuova autorità imperiale. Dopo averlo scritto fu costretto al suicidio e tutti gli Annali furono distrutti tranne una copia che la figlia è riuscita a salvare e a tramandare per i posteri.
Ieri è anche morto Colin Powell. L’uomo che divenne celebre per una delle più grandi fake news della storia recente. Quando all’ONU sventolò una fialetta di vetro dicendo che era piena di antrace e che se l’avesse aperta sarebbero morta tutti i presenti. Mostrando grafici e immagini dal satellite disse che Saddam Hussein lo stava producendo per utilizzalo in massa contro gli Stati Uniti, così da giustificare l’invasione dell’Iraq per impedire una guerra batteriologica.
Il suo intervento fu in grado di spostare l’opinione pubblica americana a favore dell’invasione per cui furono spesi oltre 1000 miliardi, anche se poi non fu trovata alcuna traccia di arma batteriologica. Tutto quello che Powell aveva mostrato si rivelò dunque falso.
Powell Antrace
Il potere ha sempre manipolato la realtà. Soprattutto quando si deve instaurare in modo autoritario o quando deve giustificare azioni violente contro cittadini o stati, ha bisogno di eliminare ogni forma di contrapposizione.
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Il Parco delle Basiliche è diviso in due, fisicamente e visivamente, da via Molino delle Armi. Un ponte ciclopedonale potrebbe ricucire gli spazi verdi separati e renderli fruibili appieno. Ecco la soluzione immaginata dall’architetto milanese Joseph Di Pasquale.
Il PONTE di VETRA: unirà le due anime del Parco delle Basiliche?
# Il Parco delle Basiliche è diviso da via Molino delle Armi
Parco delle Basiliche ora
Il Parco delle Basiliche in zona Vetra, uno dei più suggestivi in centro città, è attraversato da via Molino delle Armi e questo lo rende fisicamente e visivamente diviso in due porzioni di verde che ne riducono l’impatto scenografico. Anche al termine della conclusione dei lavori per la stazione Vetra della linea M4, a ridosso dell’ingresso del parco verso le basiliche, le due aree separate continueranno a rimanere tali.
# L’idea di un ponte per ricucire i due spazi verdi
Ponte di Vetra - Joseph di Pasquale
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Joseph di Pasquale - Ponte di Vetra
Joseph di Pasquale - Ponte di Vetra
Ponte di Vetra dettaglio
In un incontro tenuto presso lo studio di architettura milanese JDP Architects, il suo fondatore Joseph Di Pasquale ha ipotizzato una soluzione per unire quello che già esiste come un unico luogo: il Ponte di Vetra. La struttura ciclopedonale sospesa si aprirebbe con un’ovale al centro della strada, per consentire il passaggio della luce, e si allargherebbe alle due estremità per la salita e la discesa delle persone mantenendo un’inclinazione dolce e garantire così un facile accesso anche anche agli utenti con mobilità ridotta. In questo modo verrebbero ricucite le due parti verdi e verrebbe data consistenza urbana coerente al Parco delle Basiliche.
Il pensiero dell’architetto: “Pensare che la qualità degli spazi verdi della città si possa esaurire solo piantando nuovi alberi è perlomeno semplicistico. Il vero problema è rendere realmente fruibili gli spazi verdi iniziando da quelli che già esistono. Spazi verdi potenzialmente meravigliosi sono tagliati e negati da una viabilità che non è stata affrontata con la necessaria progettualità”.
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L’autunno è, ormai, arrivato. Nietzsche diceva: “Penso che l’autunno sia più uno stato d’animo, che una stagione”. Per alcuni, questa stagione, tende a portare con sé una sorta di malinconia e tristezza, per altri invece è un periodo di rinascita e di riflessione. Sentimenti di malinconia e bellezza che vanno a braccetto. Quel che è certo è che l’autunno è una stagione magica, con le sue foglie color oro e bronzo ci regala momenti spettacolari tutti da vivere e ammirare il foliage.
L’ “ESTATE INDIANA” in Lombardia: i boschi dove ammirare lo spettacolo del FOLIAGE
# Il Parco di Monza, la meta perfetta
credits: @viaggio.solo.andata IG
Proprio alle porte di Milano si trova una delle aree più grandi e spettacolari per godersi lo spettacolo del foliage, la trasformazione di boschi, parchi e in generale della natura in calde sfumature che vanno dal giallo acceso, al rosso e al marrone scuro. Il capoluogo della Brianza, con i suoi viali alberati e piccoli ponticelli regala angoli estremamente suggestivi per respirare la natura autunnale e immergersi nei suoi colori più belli.
# Via dei Terrazzamenti, un patrimonio culturale da non perdere
credits: @sondrio_valmalenco IG
Per i più sportivi, Via dei Terrazzamenti in Valtellina offre un bellissimo percorso ciclopedonale di circa 70 km dove un ricchissimo patrimonio culturale di vigneti terrazzati, vecchi mulini, borghi storici e cantine collega Morbegno a Tirano. Pedalando in un panorama spettacolare tra il rosso delle foglie e il giallo-verde dei vigneti, ettari ed ettari di terrazze si affacciano nella valle dove la natura sembra fermarsi solo per poter essere ammirata. Sono presenti ben 40 aree di sosta, le quali fungono anche da punti panoramici, attrezzate con panchine, portabici e cartelli con informazioni essenziali sul panorama che vi circonda.
# La Foresta della Carpaneta e il Bosco della Fontana, un caleidoscopio di colori
credits: @bingo120364vr IG
Prendendo spunto dall’arte giapponese shinrin-yoku, la pratica di “immergersi nella foresta”, i luoghi perfetti per entrare in completo contatto con la natura e ammirare i suoi giochi di colori autunnali sono proprio i boschi e le foreste. In provincia di Mantova, non troppo distante da Milano, si trova la Foresta della Carpaneta dove, nel periodo autunnale, il bosco si trasforma e l’atmosfera diventa fiabesca. 70 ettari di natura con diverse specie di arbusti, come l’acero, l’olmo, il sambuco e il biancospino che contribuiscono nel regalare ai visitatori un caleidoscopio di colori. A farle concorrenza c’è il Bosco della Fontana, un altro luogo antico, in quanto era la riserva di caccia dei Gonzaga, e suggestivo per ammirare il foliage autunnale. Una vera oasi di pace e tranquillità a pochi passi dalla città.
# Lago di Sartirana, dove forme e colori danzano
credits: @brianzafoto IG
Il lago è un classico delle escursioni autunnali, forse per l’atmosfera romantica che si viene inevitabilmente a creare. Il Lago di Sartirana è una meta particolarmente ambita dagli amanti dell’autunno dove nelle sue acque cristalline si specchiano gli splendidi colori e le mille sfumature degli alberi e delle loro foglie che circondano il lago. Un gioco di colori e di forme che si riflettono nello specchio d’acqua e sembrano quasi danzare non appena si alza un po’ il vento. A poca distanza dal lago vi è un semplice percorso pianeggiante, adatto alle gite in famiglia, per fare una passeggiata nella natura, praticare bird watching e, perché no, fermarsi anche per un piccolo picnic.
# Il Sentiero dello Spirito del Bosco per un autunno incantato
credits: @sinthoras_il_ramingo IG
Altra meta da non perdere per un vero viaggio nel colori dell’autunno. Il Sentiero dello Spirti del Bosco in provincia di Como ci porta in uno straordinario percorso attraverso luoghi e personaggi incantati. Il Sentiero nasce nel 2008 grazie alla creatività e la maestria di Alessandro Cortinovis, uno scultore e intagliatore che ha dato un’altra vita alla natura circostante, trasformando gli arbusti in veri e proprio abitanti del bosco come come lo Gnomo Gnogno, il Saggio del Bosco, la Salamandra, l’Homo Salvadego e i simpatici Spiriti Canterini.
Qui, l’atmosfera si fa ancora più incantata e sempre più viva con il foliage autunnale del bosco e dei faggi che sembra rendere tutto ancora più realistico e magico.
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Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
Si sa, una volta passato il 31 ottobre e la festa dei mostri, la mente di tutti si proietta verso quella che è forse il periodo più bello dell’anno. Un’atmosfera avvolgente, la ricerca dei regali, quella felicità tipica del periodo natalizio. Le case addobbate, le luci fuori dai balconi, qualche albero di Natale in giro per le piazze e qualche Babbo Natale in miniatura che ancora cerca di arrampicarsi sul balcone.
I BORGHI più BELLI da vedere a Natale
Nel periodo natalizio è difficile trovare qualcuno che non ami i borghi addobbati a festa, allora, per giocare in anticipo, ecco gli 8 paesi del nord Italia che diventano speciali sotto la festività più bella dell’anno.
#1 Gromo e la Casa di Babbo Natale
Credits: @giul.photo Gromo
In Lombardia, tra le montagne bergamasche, precisamente in Val Seriana, c’è un borgo che vive a pieno l’atmosfera natalizia. Si sta parlando di Gromo, un borgo medievale entrato a far parte anche de “I Borghi più belli d’Italia”. Passeggiando tra le vie del paese si respira l’atmosfera di un tempo, tra costruzioni medievale e palazzi deco. Se quindi Gromo è un paese da visitare tutto l’anno, si consiglia di fare un giro anche a Natale, quando in paese apre al pubblico la Casa di Babbo Natale.
Una volta entrati nella casa si viene catapultati nella classica abitazione di Babbo Natale dei film, un’atmosfera calda, un caminetto accesso e tanto da vedere. Anche nel 2021, la Casa Bergamasca di Babbo Natale aprirà le porte ai più piccoli e a chiunque voglia andarci, anche se avrà delle regole precise a causa della pandemia. Non sarà però solo la Casa di Babbo Natale a rendere magico il periodo natalizio a Gromo. Per le vie del paese si potranno scoprire gli angoli più nascosti con tutti gli splendidi presepi in giro per il borgo, mentre i negozi e le antiche cantine ospiteranno i mercatini.
#2 Sant’Agata e il Paese del Natale
Credits: ilturista.info Sant’agata feltria
Scendendo un po’ lungo l’Italia, in provincia di Rimini in Emilia Romagna, si trova Sant’Agata Feltria. Se già durante tutto l’anno l’atmosfera nel borgo è magica, grazie alla presenza della cosiddetta Rocca delle Fiabe, ovvero Rocca Fregoso, che organizza attività e ospita il Museo dedicato al mondo delle fiabe, a Natale Sant’Agata Feltria è ancora più bella. Nel periodo dell’Avvento, le strade del paese si riempiono di bancherelle e persone. Per i più piccoli viene allestita la Casa di Babbo Natale e degli Elfi dove li aspetta una slitta con le renne. Zampognari e concerti natalizi animano le vie del borgo, mentre negli angoli del paese ci sono i presepi artigianali. Proprio per l’atmosfera magica che si crea, Sant’Agata Feltria è chiamata il Paese del Natale.
#3 Candelo, il “Borgo di Babbo Natale”
Credits: @ricetto_di:candela Ricetto di Candelo
In Piemonte, precisamente in provincia di Biella si trova quello che è conosciuto “Il Borgo di Babbo Natale”, nonché uno dei borghi medievali meglio conservati d’Europa. Ricetto di Candelo è testimone della cultura contadina piemontese e passeggiare tra le sue vie acciottolate che vanno su e giù, ti sembra di tornare al Medioevo. Anche questo borgo piemontese è conosciuto come il Borgo di Babbo Natale, grazie all’atmosfera unica che danno la Casa di Babbo Natale e i Mercatini di Natale. Mentre si gira tra le bancarelle dove palline, statuette e oggetti di lana hanno la meglio, si possono anche gustare le specialità del luogo e bere qualcosa di caldo.
#4 San Candido e i mercatini di Natale
Credits: @sancandidodolomites San candido
Natale e montagna sono il mix perfetto. La neve, le luci, i mercatini, il freddo, un tè caldo o una cioccolata con panna da bere comodamente seduti in un bar mentre fuori dalla finestra si vedono i fiocchi di neve adagiarsi sulla strada. Tra i borghi montani assolutamente da visitare nel periodo natalizio c’è San Candido, paese in provincia di Bolzano che fa parte del Parco Naturale delle Tre Cime delle Dolomiti. Borgo perfetto per andare a sciare, il Mercatino di Natale di San Candido è il mercatino di Natale per eccellenza. Con i prodotti artigianali, le specialità gastronomiche e tante idee regalo l’atmosfera magica del paese ha fatto ribattezzare il periodo della festività come il “Natale nelle Dolomiti a San Candido”.
#5 Cison di Valmarino e la sua mostra natalizia dell’artigianato
Credits: @castelbrando Cison di Valmarino
In provincia di Treviso, Cison di Valmarino è conosciuta soprattutto per la sua mostra “Stelle a Natale”, una tradizionale mostra dell’artigianato alla quale partecipano artisti di ogni parte del mondo. Come tutti gli altri borghi anche Cison di Valmarino ha i suoi classici mercatini di Natale dove si vendono prelibatezze e prodotti tipici, ma se si vuole andare non bisogna assolutamente perdersi la manifestazione che rende Cison di Valmarino così caratteristico, anche se sarà in un’edizione limitate per le regole anti-Covid.
#6 Bard e il Noel au Bourg
Credits: @bellio17 Bard
A Bard, in Valle d’Aosta, è famoso invece il Noel au Bourg. Il paesino di montagna, durante il periodo natalizio, viene illuminato a festa e i suoi mercatini di Natale sono quelli tra i più folkloristici d’Italia. Ma Bard non è solo Natale. Le sue architetture senza tempo e le vie così caratteristiche, lo rendono un borgo assolutamente da visitare tutto l’anno.
#7 Dolceacqua, il borgo romantico e incantevole
Credits: ik1tgv.com Dolceacqua
Sempre nel nord Italia, uno dei borghi più incantevoli e romantici è Dolceacqua. Si tratta di un borgo medievale nella provincia di Imperia in Liguria, dove un dedalo di stradine e vicoli ti portano al centro storico. Proprio per la sua impareggiabile bellezza senza tempo, Dolceacqua è oggi meta di turisti anche in occasione dei mercatini di Natale. Un’armonia sovrana, che si può notare negli archi di pietra tra gli edifici, e la magia del Natale nelle case illuminate a festa, rendono Dolceacqua uno dei borghi più belli nel periodo natalizio.
#7+1 Sauris
Credits: mercatidinodinatale.it Sauris
Il borgo friulano Sauris, patria del famoso prosciutto, richiama a sé numerosi turisti durante tutto l’anno e anche nella stagionale invernale immancabile è una giornata o un weekend nel borgo. Paesaggi mozzafiato tra bellissimi castelli e natura, ma anche luogo perfetto dove assaggiare la birra artigianale. E tra architetture e cibo, Sauris con la neve e i suoi mercatini di Natale è assolutamente da vedere, soprattutto quando si ha bisogno di richiamare a sé quell’atmosfera natalizia che a volte il lavoro e lo stress fanno perdere.
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Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
Gli abitanti della Lombardia sono famosi per la loro voglia di far bella figura. Al lavoro come nel tempo libero, tutti impegnati a primeggiare quasi dimenticando le gioie che può regalare il più semplice dei gesti: sedersi a tavola. Di provincia in provincia, quali leccornie regala la nostra regione?
I PIATTI TIPICI di ogni provincia LOMBARDA
# Enogastronomia Lombarda
Credits: braciamoancora.com Violino di Capra
Agli occhi più superficiali, Lombardia significa ricchezza e lavoro. Anche i lombardi amano far bella figura con questi aggettivi, perché si riconoscono nella descrizione della loro terra. Ma c’è un momento unico della giornata, o della settimana lavorativa, in cui i lombardi svestono la casacca dello stereotipo ed indossano quella identitaria: quando si siedono a tavola davanti al piatto più tipico della provincia di origine. Anche in capo al mondo, il pranzo della domenica riporta alle radici. Ma quante sono le province culinarie e, soprattutto, da quali piatti tipici suddivisi per zona si può suddividere la Lombardia?
Tra le provincie con più storia e influenze straniere, perché la città è stata da sempre una zona molto ambita dalle signorie italiche e straniere, Bergamo ha una tradizione linguistica unica. Gli stranieri hanno anche portato conoscenze gastronomiche che oggi possono allietare i viandanti in gita nelle valli bergamasche. Al ristorante sembrerà di ordinare piatti dai nomi austro-ungarici, ma degni rappresentanti dei sapori tradizionali italiani. Troviamo i famosi casoncelli, “casonséi” in lingua orobica, tortelli di pasta fresca ripieni.
L’influenza veneziana si trova invece nella polenta e osei, la classica polenta accompagnata da allodole, quaglie o tordi cotti allo spiedo, lo spiét. Polenta e osei c’è anche in versione dolce, ricoperta di pasta di mandorle e decorata con zuccherini a forma di uccellino. I vini della zona sono Valcalepio e Moscato di Scanzo, quest’ultimo costituisce anche la base per la realizzazione di un tipo di Casonsèi.
# Brescia e le preparazioni di carne
Credits: madeinbrescia.org Pa e strinu
Secoli di generazioni bresciane sono cresciute a Pà e strinù, un panino imbottito con un tipo di salamella. Lo strinù deve essere tagliato secondo regole di preparazione secolari e ben cotto alla brace, da qui il suo nome derivante dal termine lombardo strinato, bruciato. Anche a Brescia, Brisa in lingua bresciana, è di tradizione lo spiedo di carne, ricco di diversi tipi di animali e cotto alla brace: al spet e gropell, accompagnato da polenta e un intingolo di burro fuso. Brescia gode di un paesaggio meraviglioso, addolcito dalle colline che sono la sede ideale per le vigne Franciacorta, dove si producono alcuni dei vini migliori del mondo.
# Cremona e Mantova, tortelli e risotto
Credits: fienilefluo.it tortelli
Forse più emiliana che lombarda, la cucina del cremonese e cremasco è un trionfo di sapori e profumi. Impossibile scegliere il più tipico di tutti, tra le diverse proposte. Il segreto, quindi, è affinare le proprie preferenze scegliendo tra i tortelli di zucca, il salame cremonese, la torta Bertolina e i tortelli dolci. Anche il territorio mantovano risente molto delle influenze storiche e della vicinanza all’Emilia. Troviamo i tortelli di zucca, mentre spicca una specialità tipica locale: il risotto alla pilota. Non devono mai mancare una fetta della mitica sbrisolona, un tocco di Torrone cremonese e un bicchiere di Lambrusco, sebbene a volte sia “tollerato” il San Colombano.
# Como e i grandi cuochi
Credits: gastrozone.com Filascetta
Più identitaria la cucina comasca, figlia di una storia che ha visto Como spiccare per i grandi cuochi che si sono succeduti nelle dispense delle grandi ville, possedimenti in riva al Lago di alcuni potenti signori del passato. Si va dagli antipasti serviti con la Filascetta, una specie di focaccia che si presenta farcita con cipolle, zucchero e formaggio, fino ad arrivare alla polenta. Naturalmente il lago è fonte di pesce, che risalta nei piatti più tipici: il risotto con il pesce persico e il Misultin, tradizionale preparazione di pesce accuratamente pulito, essiccato ed aromatizzato con alloro. Anche le alborelle sono molto popolari nella cucina comasca. Per accompagnare il pesce, si può bere un buon bianco, denominato “La moglie del Re” e per i rossi da polenta, la Caà del Mòt promette gusto e corpo.
# Lecco e Monza, risotto con la luganega e zuppa di cipolle
Credits: gustissimo.it Gnocchi gorgonzola
Chi pensa che Lecco abbia una tradizione legata al Lago di Como, potrebbe avere una sorpresa. La cucina tipica lecchese ha un’ampia scelta di piatti a base di pesce, è innegabile, pertanto alcuni di questi sembrano di derivazione comasca. Ma Lecco è parte della Brianza, pertanto condivide con Monza le migliori tradizioni. Da Monza a Lecco, infatti, regnano sovrani il risotto con la luganega, variante del risotto allo zafferano con aggiunta di salsiccia locale e la zuppa di cipolle. L’influenza storica (e non solo) di Milano su Monza, ha un po’ schiacciato l’evolversi della cucina tipica monzese, che si conquista un posto al sole con un tradizionale primo piatto, gli gnocchi al gorgonzola oppure con le tinche ripiene per una seconda portata a base di pesce.
Punta lombarda orientale del regno delle risaie, che da questa provincia andando verso Ovest, sono le padrone della bassa padana. Sembra normale trovare riso, riso e ancora riso nei piatti più tipici del pavese: zuppe di riso e risotti, famosissimo quello alla certosina, affollano il ricettario della bassa. I secondi piatti a base di oca e verze, ortaggio coltivato in questa parte di pianura, offrono gli spunti per completare il pasto, al quale si aggiungono deliziosi dolci, come i Baci delle Signore. Il vino dell’Oltre Po Pavese, regge benissimo da solo il confronto con altri vini delle zone circostanti.
# Sondrio: pizzoccheri e bresaola
Credits: lacucinaitaliana.it mondeghili
Sondrio vuol dire Valtellina e Val Chiavenna. Nell’immaginario collettivo e non solo, la Valtellina si traduce in pizzoccheri, in cui il grano saraceno fornisce la materia prima in sostituzione del riso usato in pianura ma non in montagna, oppure i Sciatt, croccanti frittelle che custodiscono un cuore di formaggio valtellinese fuso. Tra le specialità tipiche c’è la bresaola, che sostituisce salumi o addirittura la carne rossa, sostenendo le fatiche di montagna.
Molto tipici della Valchiavenna sono il Violino di capra e la motzetta, esempi di secolare tradizione di carne essiccata, processo necessario alla conservazione, che nel terzo millennio viene riproposto da moderni salumifici che trattano la materia prima come vuole tradizione, ma con un impatto più leggero sull’ambiente circostante.
# Varese e la sua influenza milanese
Credits: @dorinogugliotta castagne
Uno dei territori più curiosi e belli di tutta la Lombardia. Montagne coi boschi e un numero impressionante di laghi e laghetti, sparpagliati un po’ ovunque, rendono questa provincia una delle più belle da visitare, praticamente in ogni stagione. La cucina tipica, però, sembra non esistere: troppo influenzata da quella milanese. Spiccano sicuramente le castagne, che è possibile cercare per una bella escursione tra i boschi e i dolcetti. Su tutti gli Amaretti di Saronno e i Brutti di Vergiate.
# Milano e Lodi, le capofila della cucina tipica lombarda
Credits: ricettamania.it – Risotto alla milanese
Milano, per ragioni di prevalenza storica, è la capofila della cucina tipica lombarda. Ogni piatto lombardo divenuto famoso, è nato a Milano; poi ogni provincia lo ha modificato tramandando diverse tradizioni. Impossibile scegliere il più tipico di tutti tra el risott giald, l’oss bus, i bruscitt, la casoela, la buseca, la cotoletta, i mondeghili, gli arrosti o il panettone. Non ci resta che fare l’elenco e chiedere ai nostri amici milanesi, o amanti e conoscitori della cucina tipica meneghina, di scrivere le loro preferenze nei commenti e farci sapere quale tra questi preferiscono. Magari accompagnato dal San Colombano, il “vino di Milano”
N.B. per i nomi in dialetto, chiediamo scusa in anticipo se riportati poco correttamente. Confidiamo nella comprensione dei lettori di altre province e, semmai, nel loro aiuto per le correzioni. Siamo qui per imparare no?
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Credits: giannimattera.it
panchina più bella del mondo
Immaginatevi di arrivare ad una panchina dopo una camminata, di sedervi tranquillamente per riposare, quando, dopo aver ripreso un po’ di fiato, alzate la testa e vi rendete conto di essere seduti sulla panchina più bella del mondo. È un po’ quello che è successo al fotografo Gianni Mattera, anche se in questo caso è stata tutta un’esperienza virtuale. Mentre perlustrava il paesaggio con il drone, è andata via la connessione e appena tornata si è trovato sullo schermo il paesaggio più bello che abbia mai visto. La cosa più strana? È che lì cera una panchina pronta a far ammirare a chiunque arrivasse il paesaggio, ma che probabilmente nessuno conosceva. E così è stata ribattezzata la panchina più bella del mondo.
In Italia c’è la “PANCHINA più BELLA del mondo”. Ecco perché
# La panchina in stile Disney più bella del mondo
Credits: giannimattera.it panchina più bella del mondo
Se non si era ancora capito siamo in Italia, precisamente ad Ischia. Percorrendo il Canyon dell’Olmitello in direzione della spiaggia dei Maronti a Barano d’Ischia, la più grande e frequentata dell’isola, si arriva ad una panchina che ricorda molto quelle del mondo Disney. Tronchi e tavola di legno fanno da cornice ad una panchina anch’essa in legno, mancano gli uccellini che cantano e qualche fiore e si viene catapultati in una favola. Ma non bisogna immaginarsi solo la “classica vista sul mare”, nulla da togliere alle viste dalla costa dei paesaggi italiani, che non hanno nulla da invidiare al resto del mondo, in lontananza infatti si vede il promontorio di Sant’Angelo, che spicca con i suoi 100 metri di altezza.
# Una vista e un paesaggio che non hanno eguali
Credits: @bianca_mearelli Ischia
Appena scovato questo scorcio di incredibile bellezza, il fotografo Gianni Mattera ha pubblicato lo scatto sul suo sito web, foto che ha raccolto consensi nell’immediato e che hanno portato a ribattezzare la panchina di Ischia come la più bella del mondo. Se quindi già l’isola vulcanica del Golfo di Napoli è oasi di relax e regala paesaggi mozzafiato, grazie alle suggestive colline e all’acqua cristallina, la scoperta della panchina più bella del mondo sarà sicuramente punto di svolta per un turismo lento e sostenibile. Una volta che ci si siede si viene immersi da un’atmosfera fiabesca e si rimane incantati dalle bellezze del Mondo, o meglio dell’Italia.
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Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
La prima menzione scritta dell’America nell’Europa continentale risale agli inizi del 1300. La scoperta di uno studio prodotto dal dipartimento di studi letterari dell’Università degli Studi di Milano.
L’avremmo chiamata Marckalada? Un FRATE MILANESE cita l’AMERICA 150 anni PRIMA di COLOMBO
# Prima di Cristoforo Colombo islandesi e vichinghi viaggiarono in America
Credits zmescience – Rotte navigazione dei Vichinghi
Cristoforo Colombo, è ormai risaputo, non fu il primo europeo a scoprire ed esplorare il Nord America. Sia islandesi, confermate da prove archeologiche, che i vichinghi viaggiarono dalla Scandinavia a Terranova attraverso la Groenlandia intorno al 999 d.C. Non solo: alcuni europei più informati non erano ignari di questo fatto.
# Il frate milanese Galvaneus Flamma cita Markland in un testo del 1345
Credits alternate history wiki – Markland
In un nuovo studio, pubblicato sul Journal of the Society for the History of Discoveries., Paolo Chiesa del dipartimento di studi letterari dell’Università degli Studi di Milano ha documentato la prima menzione scritta dell’America nell’area mediterranea. Si tratta del riferimento a una “terra que dicitur Marckalada”, trovata a ovest della Groenlandia, nell’opera denominata Cronica universalis scritta dal frate milanese Galvaneus Flamma nel 1345. “Il riferimento di Galvaneus, probabilmente derivato da fonti orali sentite a Genova, è la prima menzione del continente americano nella regione mediterranea, e testimonia la circolazione (fuori dall’area nordica e 150 anni prima di Colombo) di narrazioni su terre oltre la Groenlandia “. Marckalada si riferisce a Markland, il nome che le fonti islandesi danno a una parte della costa atlantica del Nord America.
# La testimonianza dei marinai di Genova
Tra le fonti del frate milanese i trattati biblici e quelli accademici, i resoconti di viaggiatori come Marco Polo e Odorico da Pordenone, mentre la descrizione di Markland arriva alla testimonianza orale di marinai che hanno viaggiato nei mari della Danimarca e della Norvegia, probabilmente tramandata al frate dai marinai di Genova. Il porto di Genova era il più vicino a Milano ed era la città dove lo studioso medievale studiò per il suo dottorato.
Lo stesso Colombo era genovese e queste sorprendenti descrizioni possono spiegare perché l’esploratore fosse così audace nel suo piano di attraversare l’oceano quando la maggior parte dei suoi contemporanei trovava folle l’idea. Forse Colombo, come Galvaneo, era collegato a fonti che lo informavano che sarebbe stato possibile trovare un intero continentese avesse navigato abbastanza a ovest.
# Il testo dell’opera che menziona quello che conosciamo oggi come Nord America
L’estratto del testo che menziona Markland, quello che oggi conosciamo come Nord America, tradotto dal latino e recita come segue:
“Più a nord c’è l’Oceano, un mare con molte isole dove vive una grande quantità di falchi pellegrini e girfalchi. Queste isole si trovano così a nord che la Stella Polare rimane dietro di te, verso sud. I marinai che frequentano i mari di Danimarca e Norvegia dicono che verso nord, oltre la Norvegia, c’è l’Islanda; più avanti c’è un’isola chiamata Grolandia, dove la Stella Polare rimane dietro di te, verso sud. […] Più a ovest c’è un’altra terra, chiamata Marckalada, dove vivono i giganti; in questa terra ci sono edifici con lastre di pietra così grandi che nessuno potrebbe costruire con loro, tranne enormi giganti. Ci sono anche alberi verdi, animali e una grande quantità di uccelli. Tuttavia, nessun marinaio è mai stato in grado di sapere nulla con certezza di questa terra o delle sue caratteristiche.“
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Lunedì 18 a Trieste è stato applicato un regolamento degli anni trenta che prevede che dopo tre avvertimenti le forze dell’ordine possano disperdere i manifestanti con la forza. Anche se si tratta di una legge che normalmente non viene mai applicata a Trieste è stata utilizzata per sgomberare di imperio chi protestava.
Un’azione che ha destato grande scalpore anche oltre frontiera, rilanciata da agenzie stampa e siti di informazione in tutti i paesi. Mentre i media internazionali si interrogano sul fatto che in un paese democratico si possano esercitare violenze da parte della polizia su manifestanti inerti, in Italia gli organi di informazione più noti hanno invece fornito una chiave di interpretazione diversa se non opposta.
D’altro lato ostacolando o impedendo di andare a lavorare a milioni di persone è difficile credere che si possa pensare che nessuno reagisca.
La situazione di stallo deriva dal fatto che ora nessuno dei contendenti può arretrare non per una motivazione di ragionevolezza ma per posizioni acquisite o inderogabili.
Nella strategia militare di solito viene sempre data la possibilità di una uscita onorevole per conflitto in modo da risolvere una questione, ma in questo caso sembrano non esserci vie di uscita.
I manifestanti hanno ribadito più volte che punto di partenza di ogni trattativa è di togliere l’obbligo del Pass per ogni tipo di lavoratore e ritirare ogni proposta di legge per l’obbligo vaccinale.
Sono questi punti fondamentali della politica del governo che anzi si è distinta a livello internazionale proprio per questo tipo di misure uniche al mondo. Cedere su questi punti sarebbe di fatto come calare le braghe di fronte alla protesta.
Il rischio è che si abbandoni la politica, intesa come ricerca di soluzioni e mediazioni per il bene dei cittadini, e invece si eserciti solo la forza dell’autorità per difendere posizioni di principio.
Forse più che day after siamo in un punto di non ritorno.
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Nel 2026 ci si potrà spostare da un punto all’altro di Milano in pochi minuti a bordo di un taxi volanti grazie a un vertiporto dedicato. Sarà il city airport milanese a ospitare il primo hub in Italia.
A LINATE ci sarà il primo VERTIPORTO: nel 2026 i primi voli in AEROTAXI
# Il primo hub di aerotaxi verrà realizzato nell’aeroporto di Linate
Credits Urbanfile - Skysports
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Credits Urbanfile - Skyports 1
Credits Urbanfile - Skysports 2
Credits Urbanfile - Skysports 2
Credits Urbanfile - Skysports
Credits Urbanfile - Skysports
La Sea, società che gestisce gli aeroporti milanesi, e Skyports, l’azienda di progettazione e gestione di vertiporti, hanno sottoscritto in accordo di partnership per sviluppare una rete di «vertiporti» da dove lanciare un servizio di navette volanti. Il primo tassello del piano prevede di realizzare il primo hub nell’aeroporto di Linate entro le Olimpiadi invernali di Milano-Cortina del 2026 per ideare in seguito “un collegamento intermodale veloce con navette taxi fra l’aeroporto e le diverse aree strategiche della città, la cui collocazione al momento è in fase di studio“. Con la nuova tecnologia sarà possibile effettuare “collegamenti point to point 100% carbon free, intra-city e inter-city, decongestionando il traffico automobilistico urbano“. Il servizio di taxi areo sarà svolto dagli “evtol”, velivoli elettrici a metà tra un piccolo aereo e un elicottero, capaci di decollare e atterrare in verticale.
Armando Brunini, Amministratore Delegato di Sea spiega come la collaborazione con il primo e unico player globale specializzato nella costruzione e gestione di vertiporti consentirà di realizzare una rete di basi per eVtol “sostenendone la fase di start up e sviluppando questa tipologia promettente e sostenibile di mobilità aerea“. Duncan Walker, fondatore di Skyports, conferma Milano come punto centrale della strategia aziendale per poi estendere il servizio in tutta Italia: “Milano è un punto fondamentale del business per il nord Italia che ne fa un mercato attrattivo per le applicazioni di mobilità aerea. La nostra previsione è di realizzare diversi vertiporti in Italia nei prossimi anni, in tempo per le Olimpiadi Invernali del 2026“.
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L’edificio offre una vista a 360 gradi sul porto e il teatro dell’opera della città. Ecco dove si trova e perché ha ricevuto questo riconoscimento.
Questo è il “PIÙ BEL GRATTACIELO del MONDO”
# One Barangaroo è stato votato il più bel grattacielo del mondo
Credits onebangoroo IG – One Bangaroo
Una giuria internazionale all’annuale Emporis Skyscraper Awards, composta da esperti di architettura, ha annunciato la top ten dei migliori grattacieli del mondo. I vincitori sono stati selezionati tra 300 grattacieli di un’altezza minima di 100 metri completati nel 2020. In oltre vent’anni di storia del concorso One Barangarooè il primo grattacielo australiano a ottenere questo riconoscimento.
# È il più alto grattacielo di Sidney, 270 metri per 71 piani, con una vista a 360 gradi sulla città
Credits sydney_sunset_club IG – One Bangaroo
Il grattacielo di 270 metri e 71 piani, progettato da WilkinsonEyre, è il più alto di Sidney e offre una vista a 360 gradi del porto della città e dell’Opera House. Al suo interno c’è il secondo casinò legale della città australiana. La motivazione che ha portato alla vittoria: “Secondo la giuria, il fattore decisivo che ha fatto sì che One Barangaroo arrivasse al primo posto è stata la forma stravagante delle sue facciate esterne. Ispirate a forme naturali, assomigliano infatti a tre petali che si schiudono in una lieve torsione salendo verso il cielo”.
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Renzo Piano, in collaborazione con Francesco Rugantin, dall’architetto Adi Nataf e il tedesco Jürgen Reinhold, presenta una nuova tipologia di trasporti rivoluzionaria ispirata da un sogno comune.
Scopriamo con Il Mattino di cosa si tratta.
ZATTERA 24, lo yacht in legno ispirato da RENZO PIANO
# Tutto nasce da un SOGNO
credits: @yachtingtimesmagazine IG
L’idea creativa di questa nuova imbarcazione nasce da un sogno comune: “vivere il mare privilegiando la dimensione spirituale del silenzio e dell’armonia con la natura”, così ne parla Il Mattino, suggerendo che tale condizione potrebbe indurre a pensare che lo yatch sia realizzato sulla base di una barca a vela. In realtà si tratta di un motoryatch dalla forma particolare che, grazie alla motorizzazione ibrida, naviga nel rispetto dell’ambiente, abbattendo emissioni e rumori nocivi.
È su queste basi che nasce lo “Yatch Zattera”, chiamato ufficialmente “Zattera 24” dove 24 sono i metri di lunghezza dell’imbarcazione, mentre di larghezza ne misura 7,20 metri. Lo Yatch è stato pensato con le sembianze di una zattera molto spaziosa in grado di regalare ai suoi viaggiatori spazi sconosciuti a qualsiasi altro yatch.
# Il legno è il materiale principale
credits: @castagnolayacht_official IG
La realizzazione dell’imbarcazione, in particolare dello scafo, della coperta e delle strutture, predilige il legno. Un materiale antico ed ecologicamente sostenibile, utilizzato in un design moderno per conferire uno stile semplice ed essenziale allo yatch. In particolare, saranno utilizzati “masselli incollati con resina epossidica caricata di silice, per una migliore adesione delle superfici, e compensati marini. La particolare forma della carena ha richiesto l’utilizzo di una trave di chiglia e di una controchiglia in iroko lamellare, di dimensioni variabili. Tutte le ossature sono in massello di frassino e il fasciame del fondo e i fianchi sono in compensato marino, come il ponte di coperta. Le paratie interne strutturali saranno realizzate in legno con gomma e sughero per smorzare le vibrazioni e ridurre al massimo il rumore.”
# La scelta è quella della SOSTENIBILITÀ
credits: @motorsworld74 IG
Grande cura e progettazione è stata posta nel sistema di propulsione ibrida Siemens Energy per poter contenere al minimo le emissioni, così come l’eliminazione delle vibrazioni e dell’impatto acustico sull’ambiente. Il sistema è alimentato da due generatori diesel da 180 kW a giri variabili e da un pacco di batterie da 95 kWh, collegati a un sistema di distribuzione in corrente continua a 700 Volts, che alimenta sia la propulsione sia le altre utenze di bordo.
“I generatori saranno installati su una doppia serie di antivibranti, soluzione non comune su questa taglia di barca, che sottolinea la volontà della riduzione dell’impatto acustico. Allo stesso scopo si è lavorato molto sui materiali che compongono il box insonorizzante dei generatori stessi”.
# Stile sobrio per gli interni
credits: @yachtingtimesmagazine IG
L’interno dello yatch prevedrà diverse zone caratterizzate da un design semplice, pulito e lineare: nella zona di prua si potranno trovare la cabina dell’armatore e due cabine ospiti, mentre a poppa la cucina, l’area dedicata all’equipaggio e la sala macchine. Nel lower deck è previsto un salone, immediatamente collegato con la tuga mediante l’ampia doppia scala trasversale. Tutti gli ambienti interni saranno illuminati dalla luce naturale che filtrerà da uno skylight posizionato sopra il salone stesso.
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Non si può dire di essere stati veramente in Francia se non si provano, almeno una volta, le specialità culinarie provenzali direttamente sul posto.
I 5 luoghi imperdibili dove gustare la migliore CUCINA PROVENZALE a Marsiglia e dintorni
# “Chez Madie Les Galinettes” mantiene viva la tradizione
credits: @Madielesgalinettes
Un ristorante devoto alla preparazione dei grandi classici della cucina provenzale, la cui atmosfera moderna e dinamica entra in un piacevole contrasto con la tradizione. Con una terrazza spettacolare da cui godersi il panoramadel porto e dare quel tocco in più di romanticismo che tanto caratterizza i francesi, “Chez Madie” è il locale ideale per assaporare autentiche specialità provenzali, sia di carne che di pesce, come le panisses e agnello al timo e peperoni grigliati e l’Anchoïade, salsa tradizionale a base di acciughe e capperi che viene spalmata sulle bruschette.
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I piatti tradizionali non sono tutto ciò che il ristorante ha da offrire. Madie ha dato un tocco personale alla tradizione portando in tavola piatti come i palourdes au thym, vongole cotte a fuoco lento nel timo e nell’aïoli, una salsina all’aglio. La bouillabaisse proposta è eccezionale, ma a far venire l’acquolina in bocca è la Trilogie Provençale, una ricchissima zuppa di pesce al burro che combina tre tipi di pesce: rascasse (lo scorfano), vive (la tracina) e cabillaud (il merluzzo).
# “Le Miramar”, la miglior bouillabaisse della città
credits: @E.Lamy
Un ambiente storico e squisitamente marinaro a Marsiglia, nel cuore del porto vecchio. Qui, si può gustare tanto pescato fresco, cucinato con cura e sapienza, e cogliere l’occasione per assaggiare la vera bouillabaisse, la famosa zuppa di pesce alla marsigliese. Il brodo viene servito insieme a dei crostini di prammatica su cui deve essere spalmata la salsa rouille (a base di fumetto di pesce, aglio e peperoncino).
Il piatto prende il nome dai verbi francesi boullir (bollire) e abaisser (abbassare) proprio perché deve essere cucinato a fiamma molto alta all’inizio della cottura e, una volta raggiunto il bollore, il fuoco deve essere abbassato. La bouillabaisse, da piatto povero che era, in quanto preparato dai pescatori con i pesci che non erano riusciti a vendere al mercato, ora è diventata una zuppa di pesce stufata, elegante e raffinata che combina i sapori del finocchietto, dello zafferano e della scorza d’arancia. Per quanto riguarda il pesce utilizzato, la ricetta originale prevede l’uso di 4 pesci: la gallinella, il grongo, la triglia e lo scorfano uniti a cozze, vongole e gamberoni. Il tutto con una spolverata di erbe di Provenza.
# “L’Eau à la Bouche”, la pizza napoletana più buona di Marsiglia
Viaggiando all’estero, a volte, può capitare di provare nostalgia di casa. Trovare un locale che prepari della buona cucina italiana non sempre è così facile. Il ristorante “L’Eau à la Bouche” spazza via ogni dubbio e si presenta come una delle migliori pizzerie di Marsiglia. La città, infatti, viene chiamata la “capitale francese della pizza” grazie ai numerosi immigrati napoletani che, agli inizi del ‘900, iniziarono ad aprire le prime pizzerie in Francia.
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La pizzeria non solo offre le classiche pizze, ma si sbizzarrisce con varianti alquanto insolite come la pizza con acciughe, Emmental e mozzarella, una con pollo arrosto e gamberi oppure, se si vuole osare di più, una bella pizza con pomodoro, brousse ed escargot al roquefort. Un’ulteriore particolarità di questa pizzeria? L’ingrediente base è l’aglio.
Da non perdere è la pizza alla marsigliese, il cui impasto è molto simile alla tradizione napoletana, con pomodoro, origano, acciughe, olive nere, aglio e olio piccante.
# “La Fromagerie du Passage”, questione di equilibrio
credits: Ecochard F
Un cibo che sicuramente non deve mai mancare a tavola è il formaggio, in tutte le sue varianti. L’olfatto vi guiderà sicuramente verso “La Fromagerie du Passage”, ad Aix-en-Provence. Una trattoria con una ricchissima selezione di specialità gastronomiche e formaggi tipici francesi, dai più classici come il Brie, il Camembert o l’Emmental, ai più impegnativi come il Banon, una specialità provenzale avvolta nelle foglie di castagno. Un’ottima occasione per assaggiare anche la tartiflette con pancetta affumicata, cipolle e patate e il Chèvre de Provence.
Il tutto lasciandosi accompagnare da un buon bicchiere di vino e deliziose salse e composte, per un vero viaggio nei sapori autentici della Provenza. Attenzione, però, alla scelta: con formaggi delicati preferire un vino bianco o un rosato; con formaggi forti, invece, meglio un bel rosso. Anche la consistenza del formaggio è importante. Un formaggio di pasta molle, come potrebbe essere il Banon, non va accostato ad una confettura altrettanto morbida.
# “La Fabbrica dei Calissons” per addolcire il palato
Naturalmente, a fine pasto ci vuole un buon dessert per completare questo tour di sapori. La Francia è una star indiscussa per quanto riguarda la pasticceria e imperdibili sono i calissons, dolcetti tradizionali della Provenza realizzati con le mandorle più buone, frutta candita e un leggero strato di glassa a sigillare il tutto.
Sembrerebbe che i calissons abbiano origine nell’Italia medievale quando, nel 1275, si è parlato del “calisone” nella “Cronaca dei Veneziani” di Martino di Canale in riferimento ad una torta fatta con mandorle e farina. Questi biscottini, tuttavia, sono certamente legati alla tradizione della città di Aix-en-Provence e, pertanto, la Provenza vanta la maggiore produzione mondiale di questa delizia.
Il luogo migliore per addolcire il palato con questa specialità è la “Fabbrica dei Calissons Le Roy René” in cui è possibile entrare per osservare come avviene la produzione dei Calissons e partecipare alle varie degustazioni. Si avrà, inoltre, la possibilità di assaggiare i dolcetti tradizionali oppure provare quelli più esclusivi a base di fragola e basilico. A Calissons du Roy René organizzano visite aziendali e hanno un Museo del Calisson unico al mondo.
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Vintage e moderno al tempo stesso, questo il successo di una ristrutturazione affrontata per ospitare studenti. Ecco come sarà Aria Hub.
Aria Hub: a Milano nasce una nuova CASA dello STUDENTE
# La ripartenza dalla riqualificazione
Credits: elledecor.com Palazzina Via Pitteri
L’occhio attento della riqualificazione in atto all’Ortica si è posato su una palazzina di inizio ‘900, in Via Pitteri al 7, individuata per ospitare una nuova casa dello studente, sviluppata su più livelli. Il progetto è affidato a Dainelli Studio e si chiama Aria Hub.
La zona, già oggetto di interessanti iniziative di ristrutturazione, da tempo si candida quasi spontaneamente per trovare progetti di transizione al futuro. Ecco come la palazzina di Via Pitteri diventa il contenitore ideale per i creativi di Dainelli Studio, i quali presentano il loro progetto.
# L’omaggio a Milano stessa
Credits: aria-milano.com Aria Hub
La ristrutturazione coinvolge tutti i livelli della palazzina, dal piano terra fino a quelli superiori. Al livello inferiore ci sono tutti gli spazi comuni, compresi alcuni servizi. Una lounge comune, dove si potrà socializzare, chiacchierare e confrontarsi in un unico ambiente pieno di luce e vibrazioni, potrà fungere anche da spazio coworking. Altra zona condivisa è quella dedicata alla lavanderia, anch’essa al piano inferiore. Ai livelli superiori si trovano due appartamenti, suddivisi in un totale di otto residenze, ognuna delle quali porta il nome di una zona di Milano, in omaggio alla città madre: Sempione, Cairoli, Isola, Gioia, Navigli, Brera, NoLo e Tortona.
Le residenze sono ricavate da spazi ristrutturati e presentano diverse metrature; potranno ospitare in media dai 2 ai 4 studenti per volta. Gli spazi sono personalizzati e personalizzabili dai futuri ospiti delle residenze e, a dispetto della ristrutturazione low budget, ogni ambiente spicca per una forte carica estetica.
# I dettagli degli ambienti
Credits: aria-milano.com Aria Hub
All’insegna dello stretto indispensabile, la riqualificazione porta con sé la realizzazione di spazi abbastanza simili, diversificati tra loro nella scelta dei colori e di alcuni dettagli caratteristici. Ciascuna stanza presenta il soffitto verniciato con colori diversi e, come omaggio all’epoca di costruzione del palazzo, ogni “cielo” è impreziosito da rosoni in gesso sempre diversi nella forma e nella dimensione, particolare che da una nota stilosa ad Aria Hub. Sono state conservate parte delle piastrelle dell’epoca, mischiate con inserti di parquet e imbiancature differenziate per le superfici verticali delle stanze.
Credits: aria-milano.com Aria Hub
Le residenze di Aria Hub verranno consegnate già arredate e, per seguire la filosofia dell’intera operazione, contaminando con maestria oggetti di design, modernariato e personalizzazione delle residenze, in perfetto stile milanese: Isola è diversa da Sempione, pertanto ogni personalizzazione ricalca la zona a cui è ispirata, mostrando uno stile differente da quella vicina, ma insieme parte dello stesso tessuto collettivo. Un vero omaggio alle differenze che Milano riesce ad esaltare.
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Ottobre, il mese autunnale per eccellenza, quel periodo dell’anno dove gli alberi si colorano di rosso, arancione e giallo, il caldo lascia spazio a quella brezza autunnale che pian piano diventa freddo e l’atmosfera è unica. Ottobre è un po’ anche il mese dei cambiamenti, dopo un settembre speso a decidere cosa fare il prossimo anno e iniziare ad adattarsi, a ottobre si è preso il via. Forse, però, non tutti sanno che ottobre è anche il mese perfetto per mettersi a guardare il cielo. Sì perché astri, stelle e pianeti, in questo periodo dell’anno, regalano spettacoli che fanno emozionare e lasciano sognare.
Tutti con lo sguardo in su, arriva la LUNA del CACCIATORE
Tra gli eventi astronomici di questo mese così particolare, c’è assolutamente da segnarsi sul calendario il 20 ottobre, perché ci sarà la prima luna piena d’autunno, la cosiddetta Luna del Cacciatore.
# La luna temuta
Credits: @teoevensen la luna del cacciatore
Perché si chiama così? La Luna del Cacciatore è soprannominata in questo modo ormai da secoli, forse millenni. È stata infatti la tribù degli Algonchini ad aver dato il nome di “del cacciatore ” alla prima luna piena d’autunno. Questo perché la luna piena d’autunno preannunciava l’arrivo dell’inferno, ai tempi stagione difficile, e quindi i cacciatori dell’epoca andavano a procurarsi le scorte di cibo. E se oggi è addirittura attesa per lo spettacolo che regala, la tribù di nativi americana temeva questo periodo dell’anno e con questo anche la famosa Luna del Cacciatore.
# Il 20 ottobre alle ore 18 alza la testa verso il cielo
Credits: siviaggia.it luna del cacciatore
Si sa che per ammirare gli spettacoli del cielo non basta segnarsi il giorno. Quante volte ci è capitato di stare ad aspettare un’ipotetica eclissi o qualche fenomeno particolare, ma che non abbiamo mai visto. Se in qualunque caso non si assicura al 100% la visione della Luna del Cacciatore, sicuramente è consigliato di guardare il cielo a partire dalle 16:56.
La luna, infatti, apparirà in cielo proprio a quell’ora di mercoledì 20 ottobre, ma l’ora del tramonto dovrebbe essere quella migliore per ammirare lo spettacolo. Più precisamente, intorno alle 18 il satellite terrestre dovrebbe raggiungere quella colorazione rossastra, arancione che la rende così unica. Si perché, la prima luna piena autunnale assumerà le sfumature proprio dei colori che caratterizzano la stagione e, per questo, durante il tramonto, ottobre è certamente uno dei mesi con i tramonti più belli, la luna dovrebbe raggiungere l’apice della sua bellezza.
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C’è chi lo chiama autoscatto, chi è più poliglotta e parla di selfie, chi ci impiega ore a farne uno e gli vengono i crampi al braccio perché troppo in alto e chi invece si inquadra dal basso. Mille modi diversi per farlo, ma ormai è difficile trovare qualcuno che non si sia mai fatto un selfie. E se alcuni sono a caccia di like, nella capitale della moda, del design e nella più moderna città italiana è nata la stanza dove fare i migliori selfie della tua vita.
A Milano è nata la prima SELFIE ROOM
# 200 metri quadrati di stravaganza
Credits: @selfieroomfieramilano selfie room
Si chiama selfie room e si trova a Milano, accanto al sito dell’Expo2015, in via Cesare Battisti, Pero, facilmente raggiungibile sia in auto che con i mezzi pubblici. Si tratta della prima stanza interamente dedicata alle foto fai da te ed ha aperto pochissimo tempo fa. Ambientazioni diverse, oggetti di scena di ogni tipo, tutte a disposizione di chi vuole divertirsi facendo foto. La selfie room milanese è grande più di 200 metri quadrati ed è perfetta sia per dei ragazzi che hanno voglia di divertirsi e pubblicare un post su Instagram, sia per chiunque abbia voglia di passare un pomeriggio stravagante.
# Dalle foto dove sfidi la forza di gravità a quelle in prigione
Credits: @selfieroomfieramilano selfie room
Una volta entrati al suo interno c’è l’imbarazzo della scelta! 15 stanze tematiche tutte da scoprire e che non rimarranno sempre uguali. Sì perché a seconda delle stagioni, delle feste e degli eventi nazionali e internazionali le stanze cambieranno allestimento. Se quindi si vuole sfidare la forza di gravità facendo finta di fluttuare sopra un letto o si vuole fare una foto abbracciando un tenero orsacchiotto, bisogna andare alla selfie room ora.
Per ora poi si può trovare una stanza con un fenicottero rosa, una che riproduce una prigione, quella con un mare di palline colorate, una con un orso di peluche gigante e tanto altro.
# Scenografie perfette per un selfie da un milione di like
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Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
Già ribattezzata la Hong Kong dei Caraibi, sarà una smart-city con edifici futuristici affacciata su un mare paradisiaco e gestita come una città-stato privata. Avrà un regime fiscale indipendente con imposte estremamente basse e un sistema giuridico autonomo. Scopriamo questo incredibile progetto.
La “Hong Kong dei Caraibi” , la rivoluzionaria CITTÀ STATO del futuro
# Próspera, una smart city già ribattezzata la Hong Kong dei Caraibi
Credits prosperahn IG – Masterplan Prospera
La città ideale, ribattezzata la Hong Kong dei Caraibi, è nata dalla visione futuristica di due “tech-libertarian”, il venezuelano Erick Brimen e il guatemalteco Gabriel Delgado, rampolli delle élite latino-americane che hanno comprato un terreno sull’isola di Roatan, in Honduras. Si chiama Próspera e sarà una smart city affacciata su uno dei mari più belli del mondo, con l’ambizione di espandersi attraverso Roatán e sulla terraferma honduregna da un villaggio di 23,5 ettari a una città con migliaia di residenti nel giro di un decennio.
# Le futuristiche residenze a firma dello studio Zaha Hadid
Credits prospera.hn – Residenze Hadid
La nuova città sarà interconnessa e ipermoderna, abbellita dai futuristici edifici firmati dallo studio Zaha Hadid basati su una piattaforma architettonica e tecnologica pensata per creare e gestire sviluppi residenziali che possano prosperare socialmente ed ecologicamente.
# Sarà una città-stato a gestione privata
Credits prosperahn iG – Dettaglio città
La peculiarità fondamentale di questa città è che, pur essendo su territorio honduregno, sarà come una città-stato indipendente ma a gestione privata. Il governo sarà infatti in mano agli investitori privati che la finanziano e che possono scrivere le proprie leggi e regolamenti, progettare i propri sistemi giudiziari e gestire le proprie forze di polizia. Tra i finanziatori figurano molti fondi di venture capital, come Pronomos Capital, gestito da Patri Friedman, nipote dell’economista Milton, e finanziato, tra gli altri dal cofondatore di PayPal Peter Thiel.
# Una piattaforma governativa di nuova generazione
Verrà implementata una piattaforma governativa di nuova generazione: “The Prosperous Platformoffre un nuovo approccio visionario alla governance con un quadro legale e normativo pro-business costruito sulle migliori pratiche di altre zone economiche speciali di successo in tutto il mondo, progettato per attrarre investimenti esteri diretti, garantendo al contempo i diritti umani e la sostenibilità ambientale“.
Il territorio in cui sorgerà la città è infatti una delle quattro ZEDE “Zone per l’occupazione e lo sviluppo economico dell’Honduras” volute dal governo conservatore del presidente Juan Orlando Hernández per attrarre investimenti privati, soprattutto dall’estero. I vantaggi previsti: regime fiscale indipendente con imposte estremamente basse, un sistema giuridico autonomo, a Próspera amministrato da un Tribunale di arbitraggio per la risoluzione dei conflitti, con giudici statunitensi in pensione, mentre il sistema legislativo ha come obiettivo quello di proteggere la proprietà privata e le transazioni finanziarie.
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L’utopica città sarà una combinazione del meglio delle metropoli attuali ed è previsto un investimento di 400 milioni di dollari. Nel 2030 sono previsti i primi residenti.
La città del FUTURO si chiama Telosa e sarà “il meglio delle città attuali”
# La città utopica di Telosa vuole combinare il meglio delle metropoli attuali
Il miliardario statunitense Marc Lore ha immaginato una città del futuro, sostenibile e supermoderna: Telosa. Un nome che evoca grandiosità visto che deriva dal termine greco telos, utilizzato dal filosofo Aristotele, che significa “fine, scopo, obiettivo”. Nelle dichiarazioni dell’imprenditore si legge: la città utopica di Telosa “stabilirà un nuovo standard di vita urbana, espandendo il potenziale umano e diventando un modello per le generazioni future“.
L’obiettivo di questa nuova metropoli, progettata da uno studio di architettura danese, è di essere più inclusiva, accessibile e sostenibile di qualunque altra città moderna: “Vogliamo combinare il meglio delle città attuali, e costruire Telosa mettendo al centro le persone. Sarà piena di vita come New York, pulita come Tokyo e sostenibile come Stoccolma“.
# Si dovrebbe estendere su un’area di oltre 600 km e essere abitata dal 2030
Credits engelvoelkers_taormina IG – Telosa strade
Secondo il progetto Telosa si dovrebbe estendere su un’area di oltre 600 km quadrati, per un massimo di cinque milioni di abitanti nel 2060, con una densità abitativa a simile a quella di San Francisco. Nel 2030 dovrebbero arrivare i primi abitanti. Tra le possibili zone in cui potrebbe essere realizzata, anche se ancora non sono state definite con precisione, ci sarebbero il Nevada, lo Utah, l’Idaho, l’Arizona, il Texas, o la regione degli Appalachi. Lo scoglio principale al momento è il reperimento delle risorse visto che l’investimento richiesto è di 400 milioni di dollari.
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Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità
“Vantandomi dirò parola: il vino mi spinge, il vino folle, che fa cantare anche l’uomo più saggio, e lo fa ridere mollemente e lo costringe a danzare e tira fuori parola, che sta meglio, non detta.” Si tratta di un verso di Omero nel libro XIV dell’Odissea e già allora si parlava della fermentazione del frutto della vite, in una sola parola del vino.
MILANO capitale del VINO: l’amore per il vino e le migliori enoteche della città
# Breve storia del vino
Credits: @ultrawines Vinoir
Il vino è una delle bevande più antiche della storia dell’umanità. Da alcune ricerche paleontologiche, sono stati ritrovati nel Valdarno Superiore in Toscana diversi depositi in lignite, numerosi reperti fossili di tralci di vite e dalle analisi successive si è scoperto che questi ritrovamenti si fanno risalire a circa due milioni di anni fa. Da questa scoperta si è giunti alla conclusione che il vino (o comunque una sorta di suo antenato) fosse una bevanda già conosciuta dai nostri antenati neolitici.
Da allora di strada ne ha fatta e la storia ci insegna che di vino si parla nella leggenda dell’Arca di Noè, nell’antica Roma (vedi il dio Bacco), nei monasteri medioevali, dove diventa anche una bevanda per usi liturgici, e nei castelli dello stesso periodo dove vennero piantati diversi campi per coltivare uva destinata alla vinificazione. Con l’avvento del Rinascimento, il vino entra anche nell’arte: L’Ebbrezza di Noè di Michelangelo, il Bacchino Malato di Caravaggio, Il Baccanale di Tiziano ed è nello stesso periodo che diverse nazioni europee cominciano a coltivare e a imbottigliare vini, che diventeranno celebri fino ad arrivare sulle nostre tavole. Ancora oggi, un esempio, è il famoso Bordeaux.
# L’amore degli italiani per il vino
credit: tartufiratti.com
L’unità d’Italia porta alla produzione del Barolo, del Chianti Ricasoli e dello spumate Gancia e infine alla nascita della figura del sommelier. Il vino entra anche nella musica, come non ricordare Il Vino di Piero Ciampi, La Società dei Magnaccioni della Banda Bardò, Che cos’è l’amor di Vinicio Capossela o un qualunque brano di Guccini che ha dedicato alla sua amata bevanda diversi testi. Insomma, il vino fa parte della nostra vita passata e anche di quella presente, anche perché da un’indagine recente, un italiano su cinque ha dichiarato che bere vino non è solo uno status, ma è un’esperienza culturale difficile da spiegare a parole.
# La nascita delle enoteche
Credits: @batfrangetta enoteca naturale
Quindi il bere vino non è solo un vezzo, ma un modo di essere e anche, perché no, di apparire. La vendita dei vini diventa una vera e propria attività e negli anni Sessanta nascono le prime vere enoteche. Certo non sono come quelle che conosciamo oggi, al tempo la loro insegna riportava la scritta Olii e Vini, luoghi dove questi ultimi arrivavano dalle varie vigne in enormi damigiane e infine imbottigliato e venduto al dettaglio. Col passare degli anni le cose sono cambiate velocemente, prima l’invasione dei supermercati e infine l’avvento di internet hanno cambiato radicalmente il commercio del vino, facendolo diventare da bevanda elitaria a bevanda a uso e consumo di chiunque. Eppure, girando per la città, non è così difficile incontrare diverse enoteche che alla fine della fiera sono la diretta evoluzione delle antiche osterie che vendevano vino sfuso.
# Le enoteche si reinventano
Credits: @cantinemilano Cantine Milano
Le enoteche col tempo si sono trasformate da semplici imbottigliatori a specialisti in materia, per saper consigliare al cliente le marche migliori, creando una fidelizzazione in continua crescita. Basti pensare che la vendita del vino crea un giro di affari di circa tre miliardi di euro l’anno. Enoteche che, per contrastare lo strapotere dei supermercati, si sono reinventati ristoratori, offrendo alla loro clientela, stuzzichini e diversi piatti da accompagnare sorseggiando un buon calice ad hoc. Da un’indagine recente, è risultato che sono soprattutto i giovani a cercare nuove etichette, disposti a provare diversi gusti e gradazioni e l’avvento dei social network ha aiutato e non poco.
# Milano Wine Week
Credits: @isimbarda.vini Milano Wine Week 2021
La nostra città non è da meno se si parla di enoteche e quando si parla di vino si parla di cultura, di status, di comunicazione e di eventi. Si è conclusa recentemente l’ultima edizione della Milano Wine Week. Un evento che aspira a diventare un laboratorio di idee, un contenitore di eventi, un network capace di portare in scena il grande vino italiano. Una rassegna che applica il “modello Milano”, che mette al centro l’innovazione e il business. Per nove giorni, Milano Wine Week ha coinvolto aziende, produttori, bar, ristoratori, enoteche e ovviamente Wine bar, accomunati da un solo scopo: valorizzare il Made in Italy.
# Le 7 migliori enoteche a Milano
Credits: @angeunbyul Vino al vino
Per parlare di enoteche a Milano, ci vorrebbe un libro intero, anziché un articolo. Le scelte sono tante e ognuna di loro ha una caratteristica unica che la differenzia dagli altri. Vi segnalo di seguito, non le più note, ma quelle più interessanti da provare.
Cantine Milano, via Traù 1
La Bottega del Corso, Via Cipro 12
N’Ombra de Vin, via San Marco 2
Vino al Vino, via Spontini 11
Peck, via Spadari 9
Il Torchio, via Aselli 33
Ebony Cafè, via Ampere 98
Detto questo, a voi la scelta, alziamo i calici e buon vino a tutti.
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Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
Auto parcheggiate sul marciapiede all’incrocio tra Via Muratori e Via Corio
L’impatto che si ha arrivando a Milano da fuori è spesso piuttosto deprimente. Ecco dove e quando si presenta in queste condizioni e cosa si può fare per migliorarla.
EFFETTO SQUALLOR: quando Milano può rivelarsi SCIATTA
# La città che sapeva meravigliare
Credits defens_unimi IG – Piazza Leonardo da Vinci in uno scatto d’epoca
“Sì, Milano è proprio bella, amico mio, e credimi che qualche volta c’è proprio bisogno di una tenace volontà per resistere alle sue seduzioni, e restare al lavoro. Ma queste seduzioni sono fomite, eccitamento continuo al lavoro, sono l’aria respirabile perché viva la mente; ed il cuore, lungi dal farci torto non serve spesso che a rinvigorirla. Provasi davvero la febbre di fare; in mezzo a cotesta folla briosa, seducente, bella, che ti si aggira attorno, provi il bisogno d’isolarti, assai meglio di come se tu fossi in una solitaria campagna. E la solitudine ti è popolata da tutte le larve affascinanti che ti hanno sorriso per le vie e che son diventate patrimonio della tua mente. “ Così Verga, il grandissimo scrittore siciliano, descriveva la città durante il suo soggiorno in una lettera ad un amico.
Come l’autore dei Malavoglia, tanti altri erano viaggiatori che giunti a Milano ne rimanevano estasiati dalla sua armoniosa e discreta bellezza. Certo, 150 anni di devastazioni urbanistiche e architettoniche perpetrate da servili architetti di regime e corrotti burocrati municipali non possono essere facilmente cancellate, sappiamo anche che i bombardamenti e la speculazione edilizia post bellica hanno lasciato cicatrici indelebili nel tessuto urbano.
# La città si presenta nella sua veste migliore solo a macchie di leopardo
credit: Instagram – @citylifemilano
Fatte le dovute premesse, non possiamo però aggrapparci ai disastri del passato per giustificare la sciatteria attuale. È vero che alcune zone sono state recuperate in maniera splendida e che molte altre sono oggetto di importantissimi interventi di recupero, ma Milano non è solo City life e Gae Aulenti, Brera o Navigli e nell’attesa di vedere gli scali ferroviari recuperati, le nuove terme in zona San Siro realizzate, il nuovo polo tecnologico di Rho fiera terminato. La città attualmente si presenta nella sua veste migliore a macchie di leopardo e l’impatto che si ha arrivandoci da fuori è spesso piuttosto deprimente.
Tornando da bellissime città europee ordinate, pulite e caratteristiche come Vienna, Zurigo e Monaco tra le tante, l’impatto con il capoluogo lombardo è sempre un po’ deprimente, molto meno di quanto non fosse negli anni ’80 e ’90 quando Milano era inguardabile, ma comunque l’effetto resta deludente. La stessa sensazione di fastidio si percepisce, forse amplificata, tornando da ridenti località di vacanza.
# Degrado, sciatteria, scarsa illuminazione e arredo urbano inesistente
Auto parcheggiate sul marciapiede all’incrocio tra Via Muratori e Via Corio
Confrontandoci con megalopoli come Londra o Parigi o Lagos l’angoscia da rientro può risultare meno devastante essendo queste immense realtà urbane caratterizzate da orrende sterminate periferie, però entrando a Milano balza subito all’occhio l’enorme numero di auto parcheggiate in strada in maniera disordinata e invadente. Per non parlare degli orrendi grigi e anneriti cavalcavia o gli anonimi condominicon volumetrie spropositate che provocano un immediato senso di fastidio.
Il brutto di Milano
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Credits Milanipost - Pali con adesivi
Credits Milanipost - Pali con adesivi
Credits: Urbanfile - Milano al buio
Credits: Urbanfile - Milano al buio
Credits: milano.repubblica.it - Scritte in Darsena
Scritte in Darsena
Case popolari San Siro
credit: difesapopolo.it
credit: difesapopolo.it
Se poi il ritorno avviene la sera, si nota invece subito quanto Milano sia buia e male illuminata. Si notano poi le solite strisce pedonali oramai consumate e rese quasi invisibili, gli orrendi e innumerevoli graffiti che imbrattano i muri, il verde poco curato, i tratti di pavé sconnesso alternato ad asfalto rattoppato, una selva di pali e paletti, barriere in Jersey disseminate in maniera disordinata dappertutto, sottopassi zozzi e puzzolenti, muri scrostati, fastidiose ed esagerate luci al neon di negozi di materassi, aree abbandonate.
# Le soluzioni da attuare per rendere Milano vivibile in ogni angolo
Le soluzioni richiedono tempo e soldi, però un piano di parcheggi interrati per rimediare a questo disordine andrebbe pianificato, così come l’amministrazione comunale dovrebbe avere una chiara e precisa idea di arredo urbano. L’illuminazione andrebbe una volta per tutte ripensata per trasformarla anche in un fattore di valorizzazione, come avviene altrove nel mondo. Speriamo presto che tra qualche anno rientrare a Milano non ci faccia più sentire a disagio e che la nostra città sia bella, verde e vivibile in ogni angolo.
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