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La riqualificazione di Loreto: la situazione dopo anni di rinvii

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credits metrogramma ig

Loreto aspetta ancora la sua riqualificazione, mentre procedono (più o meno spediti) i lavori in Corso Buenos Aires. Vediamo tutti i dettagli.

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La riqualificazione di Loreto: la situazione dopo anni di rinvii

# Un anno di stallo e di rinvii: Loreto è ancora fermo

credits metrogramma ig

Ad osteggiare la realizzazione dei lavori è stato principalmente il blocco che ha colpito il settore urbanistico milanese, travolto dalle indagini della magistratura. Negli ultimi mesi del 2024 era uscita la notizia che l’inizio dei cantieri sarebbe arrivato nel marzo del 2025 ma, per adesso, ancora nulla.

# Il progetto nel dettaglio: una trasformazione totale

credits the minimizer ig

Loreto sarà oggetto di una trasformazione epocale. Il progetto “LOC”, sviluppato da Nhood Italia, punta a rivoluzionare piazzale Loreto, convertendolo da trafficato crocevia a una moderna agorà verde. Il team guidato da Ceetrus Nhood aveva vinto, nel 2021, il bando per la riqualificazione urbana di Piazzale Loreto a Milano con il progetto LOC – LORETO OPEN COMMUNITY, lanciato da Reinventing Cities. Il bando internazionale è stato promosso dal Comune di Milano insieme a C40 ed ha l’obiettivo di promuovere la trasformazione urbana attraverso progetti attenti alla comunità.

L’idea principale è quella di creare un collegamento naturale tra il quartiere a nord di Loreto, viale Monza e via Padova con corso Buenos Aires e le principali arterie cittadine come viale Abruzzi, viale Brianza e via Andrea Costa. L’area si presenterà con una grande piazza pedonale su tre livelli: al centro sorgerà una sorta di centro commerciale, filardi di alberi e piste ciclabili.

# Gli interventi previsti in sintesi

credits fausto.bassi ig

Tra gli interventi previsti, in sintesi, troviamo quindi:

– Aree pedonali per favorire la socialità e ridurre il traffico veicolare.
– Nuove piste ciclabili che collegheranno Loreto alle principali arterie cittadine.
– Spazi verdi pubblici, con alberature e zone ombreggiate per migliorare la qualità dell’aria e mitigare l’impatto del caldo urbano.
– Riqualificazione dell’arredo urbano, con un design moderno e funzionale.

# E Buenos Aires?

credits natipervivereamilano ig

Per quanto riguarda l’intervento di Corso Buenos Aires, i lavori vanno avanti. L’intervento in quest’area sarà completato entro la fine del 2025, dove i cantieri sono già in piena attività tra piazza Oberdan e via Melzo. Allo stesso tempo, i lavori nel lato dispari tra via Petrella e via Pergolesi sono ormai conclusi e i cantieri si sono spostati sull’altro lato della strada. È da ricordare poi che, per Corso Buenos Aires, è impossibile la piantumazione di grandi alberature, vista la presenza a pochi metri dei manufatti della metropolitana realizzata nei primissimi anni Sessanta.

Continua la lettura con: Le zone rosse di Milano salgono a otto: succederà come con il Covid?

ANDREA PARRINO

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I 3 ponti di Calatrava: una meraviglia dell’architettura in un luogo inaspettato

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Ph. @reggioemiliaeventi IG

All’interno di una città che rappresenta una traccia straordinaria della contemporaneità nel contesto urbanistico e sociale dell’Emilia Romagna, l’archistar Santiago Calatrava ha lasciato il segno.

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I 3 ponti di Calatrava: una meraviglia dell’architettura in un luogo inaspettato

# Dalle porte medievali alle infrastrutture contemporanee

Credits: @cm29.29
Ponti Calatrava

Nel 2002 la città di Reggio Emilia mette in atto un progetto di riqualificazione dell’area nord del Comune, in occasione del passaggio della linea ferroviaria ad alta velocità che da Milano, prima di giungere a Bologna, si ferma a Reggio Emilia. Ed è grazie a questo progetto che compaiono i 3 ponti dell’Archistar Calatrava, diventati ora le nuove porte della città. Ponti che, in un certo senso, vanno a sostituire le nove entrate del Medioevo, presenti lungo la cinta muraria. Se prima erano queste che, oltre alla funzione difensiva, accoglievano coloro che volevano entrare a Reggio Emilia, ora ci sono i 3 ponti e la stazione Av Mediopadana a svolgere questa funzione.

# Una infrastruttura diventata attrazione turistica

Credits: @cristian181084
Ponte Calatrava

“I nuovi ponti consolidano il legame fra Reggio e la cultura internazionale e, nel contempo, sono luogo di incontro, di ricucitura fra la città e il suo territorio, fra ambiti sociali diversi: potranno essere ‘vissuti’ ogni giorno dai cittadini come luogo di comunicazione simbolico e della concreta realtà quotidiana”, spiega il sindaco di Reggio Emilia. I ponti fanno parte, in realtà, di un progetto più ampio dal nome “Le Vele” che va a comprendere anche la linea ferroviaria ad alta velocità e la copertura ad onda del casello dell’autostrada A1.

I 3 ponti di Calatrava sono un elogio alla contemporaneità e si inseriscono in una città che abbraccia volentieri le nuove architetture, basta guardare la sua stazione. Il bello è che sono diventate vere attrazioni turistiche. Effettivamente i ponti sono attraversati, probabilmente, da 100 mila persone al giorno e l’architetto, alla funzionalità, ha voluto aggiungere la bellezza. Inoltre, Calatrava afferma che ha voluto stabilire un legame con il territorio creando un occhio nella spalla del ponte, non necessario all’infrastruttura, ma per ricordare il rosone del Duomo di Reggio Emilia.

Continua la lettura con: Tra le più belle d’Europa c’è anche una STAZIONE ITALIANA. Ma non è quella che pensate

BEATRICE BARAZZETTI

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La foto del giorno: dove siamo?

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Ph. @milanographies IG

La foto del giorno: oggi siamo a in Via Marocco davanti al murales di Nicholas Perra. 

Ph. @milanographies IG

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Continua la lettura con: La foto del Giorno (5 aprile) 

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Quando hai fallito il test per entrare in Bocconi ma ancora ti chiedi il perché

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E’ tutto un magna magna. 
 

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Le 5 cose meno azzeccate fatte dalla giunta Sala

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Comune di Milano - Campagna gentilmente cani

Roma chiama, Milano risponde. Ha fatto scalpore l’articolo sulle 5 cose più inutili fatte dalla giunta Gualtieri a Roma. Anche se Milano non riesce a raggiungere le vette di creatività degli amministratori della Capitale, la giunta Sala è riuscita comunque a sorprendere i milanesi con iniziative inutili. Come queste

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Le 5 cose meno azzeccate fatte dalla giunta Sala

#1 Le ciclabili «crea-traffico»

Urbanfile – Cantiere allargamento riqualificazione corso Buenos Aires

Quando il troppo stroppia. Difficile trovare un milanese che non riconosca che in fatto di ciclabili la giunta Sala si sia fatta prendere un po’ la mano. L’introduzione di alcune piste, come quelle in Corso Buenos Aires, ha suscitato molte critiche per la loro pericolosità e scarsa utilità, causando traffico senza migliorare davvero la mobilità sostenibile. Gli automobilisti si trovano con una carreggiata ridotta nell’arteria commerciale più lunga di Milano, aumentando la congestione e rendendo il transito più pericoloso. I commercianti lamentano una drastica riduzione degli spazi per carico e scarico merci, con effetti negativi sulle attività locali.

C’è poi l’incrocio tra corso Monforte e via Visconti di Modrone, un vero rebus anche per chi usa la bicicletta, oltre che pericoloso pure per i pedoni.

marinacicogna IG – Incrocio Corso Monforte-Visconti di Modrone

Leggi anche: Loreto, forse ci siamo: via ai cantieri per la riqualificazione. Ecco come diventerà: rendering della piazza e le foto di buenos aires

#2 Gli sfalci ridotti del verde per tutelare la biodiversità

La strategia del Comune di Milano per i parchi o comunque le zone inerbite è quella di ridurre lo sfalcio dell’erba. Ufficialmente “per tutelare la biodiversità”. Una scelta fatta da alcune città europee e che Palazzo Marino ha deciso di adottare. In questo modo, come spiegato dall’amministrazione comunale, le piante possono completare il loro ciclo vegetativo fino alla fioritura e alla produzione di seme, e oltre a salvaguardare la biodiversità, c’è un risparmio di risorse e viene migliorata la qualità del suolo e dell’aria. 

Il risultato al momento è erba alta fino a un metro, che rende inutilizzabili le panchine delle aree verdi, e più che la biodiversità sembra aumentare degrado e senso di incuria. 

Leggi anche: Il disastro verde di Milano: cambierà la situazione con la nuova gestione?

#3 Il divieto di fumo all’aperto 

teleone_16 IG – Divieto di fumo

Dal 2021, il Comune ha imposto restrizioni sul fumo in luoghi pubblici come fermate dei mezzi, parchi e stadi, con la promessa di una Milano più pulita e respirabile. Il divieto è stato di recente esteso a qualsiasi area della città, anche agli spazi aperti, con l’obbligo di stare almeno a 10 metri di distanza dalle altre persone. Prevista una sanzione da 40 a 240 euro. Il problema? È un divieto praticamente inapplicabile. Non esistono controlli seri e la maggior parte dei milanesi neppure sa dove può o non può fumare. 

#4 L’acqua del sindaco nel brick

Credits giampaolog IG – Acqua del Sindaco

Nel 2022 l’amministrazione di Milano ha avuto un’idea curiosa: prendere l’acqua del rubinetto, gratuita e disponibile in tutta la città, e confezionarla in brick di cartone. Un’operazione che, secondo l’assessore all’Ambiente Elena Grandi, ridurrebbe il consumo di plastica monouso. Peccato che il cartone poliaccoppiato utilizzato contenga anche plastica e alluminio, rendendolo più difficile da smaltire rispetto alle normali bottiglie di plastica.

L’acqua in questione è la stessa che sgorga dalle 650 fontanelle e 53 casette idriche della città, spacciata come “minerale” ma essendo sottoposta a processi di disinfezione e potabilizzazione non potrebbe esserlo. Invece di incentivare i cittadini a bere direttamente da queste fonti gratuite, si è preferito spendere soldi pubblici per imbottigliare e distribuire acqua in eventi e alla Protezione Civile e soprattutto generare nuovi rifiuti.

Leggi anche: L’ACQUA del SINDACO: Milano mette l’acqua potabile nel CARTONE

#5 La campagna “Gentilmente” per sensibilizzare i milanesi al rispetto delle regole

Sempre nel 2022, la giunta Sala ha deciso di realizzare una campagna di comunicazione volta a sensibilizzare i milanesi al rispetto delle regole stradali, di decoro e di civiltà. Il fil rouge era dato dalla parola “gentilmente”, con la quale si voleva in modo educato convincere i milanesi a raccogliere gli escrementi del cane e gettarli nel cestino, a non buttare i mozziconi in strada o al rispetto della precedenza di pedoni. L’esito non è stato quello sperato e anche cittadini e associazioni avevano espresso la loro contrarietà per l’inutile iniziativa.  

Questi alcuni commenti lasciati dai cittadini sotto al post dalla pagina facebook di Palazzo Marino:

  • «Se ripristinate i cestini forse la gente eviterebbe di lasciare gli escrementi degli animali per terra. Nella mia zona ne avete tolti parecchi. Cortesemente ripristinateli.» – Simona Ventura
  • «Magari, sempre gentilmente, far circolare anche qualche vigile, perché altro che mozziconi ci sono per strada» – Simona Baraldo
  • «Per strada non ci sono solo mozziconi …ma bottiglie di birra , spazzatura abbandonata , secchi di imbianchini e materiale edile in giro , materassi , pannolini, bicchieri, ciabatte, mobili x non chiamare Amsa, ma perché non fatte i controlli? Non esiste solo il centro … Ma perché anziché togliere i cestini non li mettete ? Siamo stufi di fare segnalazioni di inciviltà e maleducazione … Mettete le telecamere almeno potete individuare i responsabili … O no?» – Maria Luisa Uras
Genitori Antismog – Campagna “impunemente” doppia fila

L’Associazione Antismog invece aveva replicato con la campagna “impunemente”, soprattutto per quanto riguarda il rispetto del Codice della Strada, con la presidente Lucia Robatto che aveva detto: «Anche noi amiamo la gentilezza, ma quando si tratta del Codice della Strada è bene per prima cosa ricordare che rispettarne le regole non è una questione di fare le cose ‘gentilmente’ ma di assoluto dovere».

Continua la lettura con: A Milano non si può più: la città delle opportunità è diventata la «capitale mondiale dei divieti»

FABIO MARCOMIN

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7 cascine entro un’ora dal centro di Milano

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massaro.patricia IG - Locanda Macconago

Queste cascine, tutte a meno di un’ora dal centro di Milano, sono il rifugio perfetto per una giornata di relax, buon cibo e natura. Ogni luogo ha una storia da raccontare e un piatto da assaporare, offrendo l’opportunità di riscoprire la bellezza della campagna lombarda.

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7 cascine entro un’ora dal centro di Milano

#1 Tenuta Valcurone (Montevecchia, 37 km)

tenuta_valcurone IG

Un angolo di paradiso nel Parco naturale Regionale della Valle del Curone, dove la tradizione brianzola si fonde con una filosofia di cucina stagionale. Il ristorante è un trionfo di piatti che celebrano i prodotti locali, mentre la cantina è un luogo perfetto per scoprire il mondo del vino. La tenuta, con la sua natura incontaminata, è ideale anche per matrimoni ed eventi esclusivi. Il punto di forza è la cantina aperta per le degustazioni, abbinata alla cucina brianzola autentica, ma anche raffinata in un ambiente naturale e suggestivo, ideale per eventi e ricevimenti.

#2 Cascina Caremma (Besate, 30 km)

Credits cascinacaremma IG

Un agriturismo biologico che fa della sostenibilità il suo fiore all’occhiello. Con 120 ettari di coltivazioni biologiche, Caremma è un paradiso per chi cerca un’esperienza a 360 gradi, tra natura, benessere e cucina. La Nature SPA, riscaldata con energie rinnovabili, è il luogo ideale per rilassarsi, mentre il ristorante offre un menù degustazione che cambia ogni mese, basato sui prodotti freschi dell’azienda. Possibile l’acquisto in loco di prodotti biologici come formaggi e frutti di bosco.

Leggi anche: I 7 agriturismi top nei dintorni di Milano

#3 Agriturismo Luna (Marudo, 30 km)

simoneperoncini IG – Agriturismo Luna

Nel cuore della campagna lodigiana, l’agriturismo Luna è la meta ideale per una gita all’insegna del gusto e della genuinità. Il menù, che varia in base alla stagionalità, offre piatti preparati con ingredienti a km 0, provenienti dalle coltivazioni e allevamenti locali. La storia del luogo, un tempo teatro di passaggi e storie di banditi, si riflette nella sua cucina semplice e autentica.

#4 Cascina Sant’Ambrogio (Rosate, 26 km)

Credits: conoscounposto – Cascina S. Ambrogio

Più che un agriturismo, è un luogo dove cultura e natura si intrecciano. La struttura della cascina è un perfetto esempio di recupero architettonico che unisce tradizione e innovazione. Il menù fisso include piatti tipici lombardi, anche se il servizio lascia a desiderare, soprattutto per le famiglie con bambini. Tuttavia, il luogo è un rifugio perfetto per rilassarsi nella campagna milanese, circondati da animali come asini, pecore e pavoni.

Leggi anche: Le 7 cascine più belle da visitare a Milano (Mappa)

#5 Cascina Cassinazza (San Giuliano Milanese, 17 km)

l_ele IG – Cassinazza

Immersa nel bosco della “Brughiera di Orsenigo”, questa cascina del 1600 è un angolo di tranquillità dove gustare piatti tipici preparati con ingredienti locali. Tra salumi, carni e formaggi, ogni piatto racconta la tradizione di queste terre. Il ristorante è un’oasi di freschezza, con piatti preparati con ortaggi freschi e carni locali. In estate, puoi mangiare all’aperto, circondato da gerani e gelsomini, mentre nei giorni freddi il calore del camino ti accoglie all’interno.

#6 La Bettolina (Gaggiano, 16 km)

Bettolina

Una cascina del ‘500 che oggi ospita un ristorante dal fascino storico. Conosciuta per il suo carrello dei bolliti, la Bettolina è un punto di riferimento per chi cerca piatti tipici lombardi in un’atmosfera elegante, con una cucina raffinata e piatti a base di griglia e affumicatura. Tra glicini secolari e spazi ristrutturati, il ristorante è il luogo perfetto per una cena romantica o un evento speciale.

#7 Locanda Macconago (Milano, 8 km)

massaro.patricia IG – Locanda Macconago

Concludiamo con un angolo di Milano che è ancora campagna dove si trova il più antico castello della città. Un piccolo borgo all’ombra della Madonnina, Macconago ospita la Locanda Macconago al civico 20 dell’omonima via. La cucina, gestita dallo chef Alessandro Bianucci, è un viaggio nei sapori della tradizione lombarda, con piatti come pasta fresca e risotti. Il locale propone un ambiente rustico ma elegante, con un’ottima atmosfera romantica e intima, ideale per pranzi e cene fuori dal caos cittadino. 

Leggi anche: Questo è il primo castello di Milano

Spunto: tildediscovery IG

Continua la lettura con: Il borgo dei ricchi expats alle porte di Milano: antiche cascine agricole trasformate in residenze di lusso

MARTA BERARDI

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6 aprile. Il giorno più nero del Covid in Italia: il picco dei ricoveri nel 2020 e nel 2021

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Il 6 aprile è stato il giorno di massimo numero di ricoveri Covid nel 2020 e nel 2021. Il commento dell’Ing. Caronia nell’aprile del 2021: «Il picco degli ospedalizzati in Italia nella prima ondata fu raggiunto il 6 Aprile 2020 esattamente come il picco di quest’ultima ondata, il 06 Aprile 2021. Non è tutto, il numero di ospedalizzati cala con la stessa inclinazione della prima ondata. Basta sovrapporre le curve per accorgersene.»

Il numero di casi ufficiali alla fine della pandemia (estate 2023) sono risultati: 25 milioni 870 mila 833. Di questi i decessi sono stati: 190.517

Una curiosità a livello internazionale? Il Paese al mondo che nel periodo della pandemia ha registrato la minore crescita nel tasso di mortalità è stato quello che ha adottato le misure meno stringenti, senza applicare neppure un giorno il lockdown per persone e attività né imporre Green Pass o obbligo di mascherine: la Svezia

Leggi anche: La Svezia ha vinto: mortalità più bassa in Europa senza lockdown e mascherine

Continua la lettura con: 4 aprile: nasce a Milano Marcello Marchesi

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10 insulti del milanese doc

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Milano non è una città per signorine. E’ un luogo dove se tu sei un idiota trovi sempre qualcuno che te lo ricorda.

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10 insulti tipici del milanese d.o.c.

boomer milanese IG

#1. Va a fas dì in gesa

Vai in Chiesa a farti benedire
Detto a una persona inutile, che si deve togliere di torno.
In alternativa: Va föra di pè

Idem come sopra, ma se non c’è reazione segue la pedata.

#2.El gh’ha el dun de Dio de capì nagott

Ha il dono di Dio di non capire niente

#3. Te se propri un pirla!

Sei proprio un cretino!
Un classico. C’è chi ne ha fatto una canzone da hit parade.

#4. Va scuà l mar cun la furchèta

Vai a scopare il mare con la forchetta.
In alternativa: Va scuà l mar cun vert l’umbrelaVai a scopare il mare con aperto l’ombrello

#5. Logia!

Vacca! o Maiala!
Logia si legge come se sulla ‘o’ ci fosse la umlaut tedesca, i due puntini sopra le lettere. Una via di mezzo tra la i e la u.
Altri modi per definire una sgualdrina: E’ una mangiachilometri

#6. Ciaparàtt!

Letteralmente “acchiapparatti”, ovvero buono a nulla!
Altrimenti: Va a ciapà i ratt, ovvero “vai a prendere i topi”. E’ un invito a perder tempo altrove.

#7. Va a dà via el cù!

Va a da’ via i ciap

#8. We, terun! Và a dà via i ciap!

Hei, persona di origine meridionale, vai a quel paese!

#9. Vöia de laurà saltum adoss

Voglia di lavorare saltami addosso = scansafatiche

#10. Sei proprio un pantula

Pantula = persona imbranata

Foto: Eccezzziunale veramente Dopo 20 anni,il secondo atto – foto dal web

Continua la lettura con: Le 20 parole più indecifrabili del dialetto

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Il progetto di «metropolitana aerea» di Milano: le fermate

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Urbanfile - Percorso Metro volante

Un progetto folle, visionario. Milanese al 100%. Negli anni cinquanta si immaginava una metropolitana aerea che attraversasse la città dal cielo. Oggi ne restano solo disegni. Ecco come avrebbe potuto essere.

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Il progetto di «metropolitana aerea» di Milano: le fermate

# Un sogno nato sopra i tetti

Urbanfile – Progetto Mattioni, torri dall’alto

Era l’epoca in cui Milano costruiva tangenziali, svincoli e cavalcavia come se il cemento non costasse nulla. Ed è in quel contesto che si è immaginata una “metropolitana del cielo”. Un sistema sopraelevato di convogli leggeri che avrebbe sorvolato la città seguendo un percorso circolare. Niente tunnel, niente scavi, ma torri che reggevano un’infrastruttura futuristica. Sarebbe stato il simbolo di una Milano moderna, industriale, ambiziosa, che voleva stupire e correre più veloce anche nel trasporto pubblico.

# L’ideatore e le tecnologie immaginate

Urbanfile – Progetto Mattioni

L’idea originaria venne elaborata per la prima volta nel 1952 da Padre Leonardo Maria Adler, allora direttore dell’Azienda Tranviaria Milanese, che propose un sistema di trasporto teleferico per la città. Successivamente, l’architetto Luigi Mattioni sviluppò il concetto tra il 1954 e il 1955, elaborando un sistema di funivie collegate a torri sparse nel centro di Milano per agevolare la mobilità già congestionata dal traffico.

Mattioni concepì la proposta come parte di un progetto generale per risolvere i problemi del traffico, prevedendo tre livelli di viabilità: in superficie per i mezzi pubblici, i pedoni e le biciclette, il livello sotterraneo per i veicoli privati, e quello aereo per quei collegamenti difficili da realizzare in superficie. Le funivie cittadine rappresentavano contemporaneamente un sistema di trasporto e di parcheggio, montate su edifici destinati ad autosilo, in grado di creare nuove vie dirette scavalcando blocchi di fabbricati in qualsiasi punto del tessuto urbano

# Una rete sospesa nel cielo milanese: un anello di 8 km e 13 fermate

Urbanfile – Percorso Metro volante

Il percorso pensato per la metropolitana aerea copriva un anello di 8 km, collegando punti strategici della città. Le torri-stazioni, distanti tra loro 660 metri, sarebbero state posizionate in luoghi pubblici come: piazza Diaz, largo Augusto, Monforte, corso Buenos Aires, stazione Centrale, centro direzionale, porta Volta e stazione Nord per un totale di 13 fermate.

Il tracciato avrebbe messo in connessione il cuore storico, i principali nodi ferroviari e il centro affari. Tra i piloni previsti, la torre del Centro Diaz e il grattacielo Pirelli, all’epoca ancora solo su carta. Ogni torre in cemento armato, alta 80 metri, avrebbe ospitato 600 auto su 40 piani, con ascensori ad alta capacità e tutte le funzioni di una stazione metropolitana sospesa. 

# Tecnologia da fantascienza, ma tutta italiana

Urbanfile – Progetto Mattioli, Torre in Largo Augusto

Questa non era una funivia da montagna, ma poligonale. Mattioni immaginava un sistema continuo e ad alta capacità, con aerobus sospesi da 2 o 4 funi portanti e traenti. I veicoli, dei veri e propri filobus appesi, in acciaio inossidabile, a forma di fuso, lunghi 5 metri e capaci di trasportare 50 persone, avrebbero potuto muovere fino a 16.000 passeggeri all’ora. Come sulle linee tranviarie.

Le porte si aprivano frontalmente e sul retro per far salire due persone alla volta, e ogni vettura, a pieno carico, pesava circa 5 tonnellate. Partner del progetto sarebbero state aziende d’eccellenza nel settore come Ceretti & Tanfani e Brown-Boveri. La proposta, pur visionaria, era tecnicamente realizzabile in meno di un anno e persino autofinanziata. 

# I motivi dello stop

Credits: arcgis.com – Immissione M1 in Castello

Nonostante la visione futurista e l’approccio innovativo, il progetto della metropolitana aerea non riuscì a concretizzarsi. Sebbene fosse tecnicamente possibile, la proposta di Mattioni non ottenne il supporto istituzionale necessario. Il Comune e l’Azienda Tranviaria Milanese erano preoccupati dalla complessità della sua realizzazione e dai costi elevati. L’utente avrebbe dovuto poi stravolgere le proprie abitudini. Avrebbe dovuto lasciare l’auto in un garage alto 50 metri, comprare il biglietto, salire con un ascensore fino a 80 metri d’altezza e attendere l’arrivo del mezzo. Certo non comodo come prendere il bus o negli anni successivi la metropolitana sotterranea. 

In quegli anni era infatti in corso la progettazione della metropolitana tradizionale, considerata una soluzione più praticabile, con primi scavi nel 1957 e inaugurazione della M1 nel 1964. Il sogno della metropolitana sospesa rimase così nel cassetto, insieme a schizzi e plastici, segnando la fine di un’idea che avrebbe potuto cambiare il volto di Milano.

Leggi anche: Il progetto di trasformare la 90/91 in una «metro di superficie»

Fonte: Urbanfile e Luigi Mattioni : architetto della ricostruzione / a cura di Giovanna Alfonsi e Guido Zucconi. – Milano : Electa, c1985

Continua la lettura con: Taxi volanti: queste le fermate della “metro del cielo”

FABIO MARCOMIN

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Le 7 cose che un romano apprezza di Milano

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Ideogram AI - Romano a Milano

Ormai in poco più di 3 ore di treno, Roma è facilmente raggiungibile. Per lavoro, per amore, o anche solo per una trasferta turistica. Ma cosa un romano apprezza di più quando “sale” a Milano?

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Le 7 cose che un romano apprezza di Milano

#1 La puntualità dei mezzi

Credits federfana IG – Linea M5

Se poi è la prima volta che sbarca a Milano, capita di vederlo sgranare gli occhi, in metro, alla vista del tempo di attesa calcolati sui 30 secondi. Incredibile ma vero.

#2 Aperitivo 

zizania.milano IG – Aperitivo

È un ottimo modo per staccare la spina ma a Milano è un vero e proprio rito che può durare fino a cena. Cosa c è di meglio per un romano che ama fare caciara?

#3 Il lavoro? Si fa sul serio

ptra-pixabay – Postazione di lavoro

Vieni preso sul serio anche se sei giovane perché Milano è la città delle opportunità, per tutti. Bisognerà pur incominciare da qualche parte per fare esperienza no?

#4 Progettualità 

A Milano si riesce ad avere una visione di insieme, bene o male si capisce dove la città stia andando e quali prospettive future andranno a beneficio del cittadino. Roma è più dispersiva, più schiava di una politica frammentaria e poco aderente alla realtà di una metropoli così estesa.

#5 Milano è piccola 

Milano e Roma

Ciò permette una maggiore comunicazione tra zone, quartieri esplorabili e raggiungibili in poco tempo anche a piedi. Roma è la città delle distanze enormi, si sa quando si parte ma non quando si arriva e questo provoca una sorta di ghettizzazione nel quartiere di appartenenza. 

#6 Azione, energia 

Forse Roma deve darsi una bella svegliata, perché se non approfitta delle sue enormi potenzialità, i problemi diverranno sempre di più e sempre più difficile sarà risolverli.
Meno politica e più spazio alla libertà delle idee?

#7 Europa e futuro

trainline – Parigi-Milano

Milano è una città europea che guarda al futuro, sempre pronta a reinventarsi e alzarsi dopo periodi di crisi. Geograficamente baciata dalla fortuna, é collegata all’Europa e al mondo. A Roma invece, spesso è difficile spostarsi da un quartiere all’altro.

Continua la lettura con: Quello che i romani dicono dei milanesi

ALESSANDRA GURRIERI

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La Valtellina scollegata da Milano: i progetti perduti e quelli che si potrebbero realizzare

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Di Marco Lambruschi - Opera propria, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=118215575 - Ferrovia dello Stelvio

La stagione dello sci volge al tramonto. La prossima sarà quella delle Olimpiadi: purtroppo per i collegamenti con la Valtellina le Olimpiadi suonano già come un’occasione perduta. Ma vediamo come le cose potrebbero migliorare nel corso del prossimo futuro.

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La Valtellina scollegata da Milano: i progetti perduti e quelli che si potrebbero realizzare

# Il treno si ferma a Tirano

Credits listaviaggi.com – Valtellina

Se vogliamo prendere il treno da Milano Centrale, in due ore e trenta minuti è possibile raggiungere TiranoLa ferrovia della Valtellina parte da Lecco, affianca tutto il Lago di Como fino a Colico, da qui va prima a Sondrio e poi a Tirano dove si interrompe bruscamente. La linea è a binario singolo, il che impedisce di avere un traffico intenso e aumenta il tempo di percorrenza.

Essendo alcuni tratti piuttosto a ridosso del Lario e altri in mezzo alle città, non è molto facile pensare ad un possibile raddoppio che garantirebbe una maggiore frequenza, tempi di percorrenza inferiori e un traffico merci che potrebbe diminuire il numero di veicoli sulla strada statale dello Stelvio.

# La ferrovia “mozzata” del Bernina

hikingsnaps_com IG – Bernina Express a Tirano

Da Tirano però si può prendere una linea perlopiù turistica, la ferrovia del Bernina, che collega Tirano con Sankt Moritz. Una linea unica, aperta nel 1910 e diventata patrimonio dell’UNESCO nel 2008. La ferrovia però ha diverse caratteristiche che la rendono poco integrabile, come l’alimentazione a 1000V (contro i 3000V delle altre reti), lo scartamento ridotto, la pendenza (fino al 70 per mille) o la sede promiscua in alcuni tratti.

La linea interseca altre ferrovie montane svizzere, che sono però dotate di alimentazione in corrente alternata, il che rende vincolante il percorso di questo affascinante treno. Il progetto della linea era ben diverso: infatti la linea sarebbe dovuta essere prolungata fino a Chiavenna, dove avrebbe incontrato nuovamente le linee ferroviarie valtellinesi, ma questo progetto non fu mai portato a termine.

# La ferrovia dello Stelvio

Di Marco Lambruschi – Opera propria, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=118215575 – Ferrovia dello Stelvio

Passiamo sul fronte opposto quando si pensò di costruire una ferrovia che collegasse la Valtellina al Trentino, passando sotto il passo dello Stelvio. La ferrovia avrebbe visto alcune fermate intermedie a Grosio e Bormio (in Lombardia), a Lasa Marmo (in Trentino) dove si sarebbe congiunta con la linea per Merano. Il progetto è stato ripreso nel 2015 e dal 2016 sono in corso gli studi di fattibilità che arriveranno però troppo tardi per essere sfruttata per i giochi olimpici.

Non ci aspettiamo che la linea possa arrivare in Trentino, ma se solamente la linea arrivasse a Bormio, il viaggio tra Milano e Bormio sarebbe possibile senza cambiare diversi mezzi di trasporto, come accade oggi, e garantirebbe la possibilità di accedere alle piste valtellinesi direttamente da Milano.

# La ferrovia dell’Aprica: il progetto per collegare Valtellina e Valcamonica

Di User:Arbalete – Opera propria, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=15699797 – Ferrovia dell’Aprica

Un’altra linea che avrebbe rivoluzionato lo scenario ma non è mai stata realizzata è quella che avrebbe collegato Edolo a Tirano, passando sotto il passo dell’Aprica, così facendo si sarebbe collegata la Valtellina alla Val Camonica. Attualmente il problema principale sarebbe la differenza tra i mezzi tra le due linee: sulla Brescia-Edolo sono presenti i nuovi treni ad idrogeno. In questo caso solo questi treni potrebbero viaggiare sull’intera linea.

Oltre a questo andrebbero ripensati i sistemi di rifornimenti per i convogli in quanto andrebbero costruiti i sistemi necessari al rifornimento al centro di Tirano, dove lo spazio è piuttosto limitato e tutti questi lavori potrebbero creare non poco malcontento.

# Qualcosa di realizzabile: la ferrovia per Bormio e il raddoppio da Lecco

gbardellotto IG – Bormio

Per offrire ai milanesi e non solo un compromesso che non sia esageratamente costoso, si potrebbe iniziare a pensare ad un prolungamento della ferrovia prima fino a Bormio e poi fino a Santa Caterina, fornendo una vera e propria alternativa a chi desidera recarsi in alta valle.

In un secondo momento si potrebbe pensare al raddoppio dell’intera tratta Lecco-Santa Caterina pensando anche ai carichi merci, per poi collegare la linea con la Val Camonica e la Val Venosta, garantendo così una grande possibilità di movimento in tutta la Valtellina.

Continua la lettura con: Milano – Istanbul in treno: il viaggio più avventuroso da fare in Europa

SAMUELE GALBIATI

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Monza sì, Pavia no: perché è così snobbata dai milanesi?

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A pochi chilometri da Milano, due città lombarde offrono un mix perfetto tra storia, cultura e qualità della vita: Monza e Pavia. Eppure, mentre Monza è spesso considerata una naturale estensione di Milano, Pavia viene sistematicamente snobbata. Questa differenza di percezione ha senso di esistere? Scopriamolo.

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Monza sì, Pavia no: perché è così snobbata dai milanesi?

# Il confronto che sorprende: distanze e qualità della vita

Monza – Milano e Milano – Pavia in macchina

Guardando ai collegamenti, la differenza non è così marcata come si potrebbe pensare.

Monza dista solo 15 km circa da Milano ed è facilmente raggiungibile con il treno, mentre Pavia, a circa 35 km, è servita da treni regionali frequenti che permettono di arrivare in città in soli 25-30 minuti.

Se questa differenza temporale minima in treno non dovesse convincere, va anche notato che, in un certo senso, in macchina, la distanza tra Milano e Pavia si riduce ancora di più in termini di tempo: partendo da Milano Sud, per esempio dalla zona del Giambellino, bastano pochi minuti di guida, magari spingendo un po’ sull’acceleratore, per arrivare rapidamente a destinazione.

Sul fronte della qualità della vita, le classifiche del Sole 24 Ore posizionano Monza e Brianza tra le province migliori d’Italia, mentre Pavia si trova più indietro.

Ma questa discrepanza si riduce analizzando alcuni settori chiave: Pavia eccelle in ambito sanitario, grazie alla presenza di uno dei migliori ospedali d’Italia, il Policlinico San Matteo, e ospita una delle università più prestigiose del paese, che la rende una città dinamica e ricca di fermento culturale. Monza, pur offrendo una vita ben organizzata, in alcuni quartieri si presenta sempre più densa e caotica, soprattutto per un milanese in fuga dalla ressa.

# Il mercato immobiliare: Pavia costa un terzo di Monza

Credits: immobiliare.it

L’aspetto che più dovrebbe interessare un milanese, magari anche con il fiuto per gli affari, riguarda il mercato immobiliare. Con il crescere della propria popolarità, Monza ha visto negli ultimi anni un aumento vertiginoso dei prezzi, con un costo medio al metro quadro di 3.444 euro, una cifra sempre più simile a quella di Milano.

Pavia, invece, offre soluzioni abitative più accessibili, con un prezzo medio di 1.089 euro/m², un terzo rispetto a Monza. 

Ma non si tratta solo di prezzi più bassi. Pavia offre un ambiente vivibile, con un centro storico affascinante e più raccolto rispetto a Monza, che, pur vantando un duomo maestoso, rischia di apparire dispersivo. L’ex capitale longobarda è anche ricca di botteghe artigianali, ristoranti e caffè.

In più, la presenza dell’università, assente a Monza, garantisce un’atmosfera sempre attiva, con eventi culturali, festival e un’ampia offerta di servizi per giovani e famiglie. Monza, pur mantenendo un’ottima qualità urbana, non ha forse perso quella dimensione a misura d’uomo che la rendeva affascinante?

Leggi anche: Perché i Longobardi hanno messo la capitale a Pavia e non a Milano?

# I tre assi di Pavia: cultura, storia e tempo libero

La Certosa di Pavia. credits: www.in-lombardia.it

Ma Pavia non è solo una città universitaria: è un luogo ricco di tesori culturali e storici che meritano di essere scoperti. In primis la Certosa, uno dei monasteri più affascinanti d’Italia, meta imperdibile per gli amanti dell’arte e della storia.

Poi il Castello Visconteo, con i suoi musei e il parco circostante, offre un’esperienza unica, così come il Ponte Coperto sul Ticino, perfetto per una passeggiata romantica. Anche la natura e il tempo libero giocano un ruolo fondamentale nella qualità della vita pavese. A pochi minuti dal centro si trovano le campagne dell’Oltrepò Pavese, con le sue colline ricche di vigneti, perfette per gite fuori porta, degustazioni di vini e percorsi cicloturistici.

Se Monza vanta il celebre parco, Pavia offre un intero territorio da esplorare, tra il fiume Ticino e le riserve naturali circostanti. Questo la rende una città ideale per chi ama il verde e desidera una vita meno frenetica rispetto alla realtà metropolitana.

Monza ha beneficiato negli anni di una strategia di marketing territoriale efficace, che l’ha resa una scelta quasi scontata per chi desidera vivere vicino a Milano senza rinunciare ai servizi di una città moderna. Pavia, invece, è rimasta nell’ombra. Ma la differenza tra le due sembra più una questione di percezione, che di sostanza. pavia sarà dunque il prossimo the place to be del milanese?

Continua la lettura con: Milano e Monza hanno perso la voglia della metropolitana inter-urbana?

MATTEO RESPINTI

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Il quartiere dei «palazzi da sogno» di Milano

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Credits: milanogramma IG - Villino Maria Luisa

Il quartiere residenziale più chic della città ospita numerosi esempi di ville e palazzi incredibili. Ecco i 5 palazzi più iconici del quartiere. 

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Il quartiere dei «palazzi da sogno» di Milano

E’ considerato il quartiere dei «palazzi da sogno» di Milano: Porta Magenta. Questi i capolavori che si possono ammirare sulle sue strade. 

#1 Casa Vanoni-Tarolli, il liberty floreale

Credits: italialiberty.it – Casa Vanoni Tarolli

In via Francesco Petrarca 16 la casa Vanoni-Tarolli realizzata nel 1902 dall’architetto Alfredo Menni, dove fanno bella mostra di sé le gioiose pitture floreali e i ricchi ferri battuti tipiche del periodo del Liberty più pulito e floreale.

#2 Casa Apostolo, disegnata dal futuro architetto della Stazione Centrale

Credits: francescarosa IG – Casa Apostolo

Il futuro architetto della Stazione Centrale, Ulisse Stacchini ha disegnato la Casa Apostolo in via Torquato Tasso, 12. Edificata nel 1907 in stile Liberty-Decò e dei richiami all’Egitto, presenta finestre inquadrate da essenziali cornici in muratura e balconi con pregevoli balaustre in cemento e ferro.

#3 Casa Castelli, con la bussola in vetro e ferro battuto

Credits: gecca88 IG

Realizzata nel 1907 da Dino Castelli utilizzando ferro battuto, mattoni per la facciata , ornamenti floreali in cemento, “Casa Castelli” si trova al civico 15 di Via Giuseppe Revere 15. Particolare la bussola in vetro e ferro battuto che chiude il terrazzo al primo piano e si congiunge a quello posto al secondo.

#4 Il villino liberty “Maria Luisa” con il mosaico colorato

Realizzato nel 1906, è uno dei più sfavillanti esempi di Liberty milanese. Il Villino “Maria Luisa” in via Tamburini 8 colpisce sulla facciata uno splendido mosaico con un cielo stellato di influenza neogotica, che ricorda quasi una piccola Cappella degli Scrovegni. Il cancello e il balcone in ferro battuto, con i tipici motivi floreali, sono opera del mastro ferraio Alessandro Mazzuccottelli, molto conosciuto all’epoca come il re del dettaglio e il principe del liberty italiano e realizzato nel 1924 dopo la ristrutturazione voluta dal proprietario.
Una curiosità: durante la Seconda Guerra Mondiale un soldato tedesco rimase così colpito dal cancello da ordinare di risparmiarlo dai saccheggiamenti.

#5 Casa Donzelli, in stile liberty e decò

Al civico 8 di via Torquato Tasso, una delle traverse di via Tamburini c’è Casa Donzelli realizzata nel 1903 da Enrico Zanoni in stile Liberty e Decò. Presenta un arco ribassato, su cui si erge sull’architrave il busto di Torquato Tasso, funge da elemento caratterizzante per l’ingresso. Ai lati della porta finestra del terrazzo, con inserti in ferro battuto, ci sono due dipinti che decorano la parete.

 

Continua la lettura con: Le tre aree residenziali con le VILLETTE più belle di Milano

MILANO CITTÀ STATO

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Quando a Orio ti imbarchi per gli USA senza bagagli

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Qui il video: Quando a Orio ti imbarchi per gli USA senza bagagli

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Continua con: La telecamera dell’Area C quando vede entrare un mezzo alternativo

SMAILAND, “il sorriso di Milano”: ogni giorno su milanocittastato.it

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La foto del giorno: dove siamo?

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Ph. @mi2fructuoso76 IG

La foto del giorno: oggi siamo in viale Elvezia davanti alla “Faccia Triste”

Ph. @mi2fructuoso76

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Continua la lettura con: La foto del Giorno (4 aprile) 

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Il crollo dei mercati post dazi: non è neanche lo stuzzichino dell’oliva del Martini

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Ph. Avalon_Art IG

Il venerdì nero dei mercati. Un crollo che non si vedeva dai tempi del Covid. Energy is the Economy: la ragione è tutta qua. Solo che nessuno se ne accorge. Che cosa potrebbe succedere ora?

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Il crollo dei mercati post dazi: non è neanche lo stuzzichino dell’oliva del Martini

Ph. thedigitalartist

Non è neanche lo stuzzichino dell’oliva del Martini. Seguirà l’aperitivo e poi la cena. Stiamo osservando la storia mentre si fa: i mercati stanno crollando perché il mondo sta cambiando. Che cosa potrebbe succedere ora?

# Il crollo dei mercati: cosa succederà adesso?

Ph. Avalon_Art IG

È prevedibile che seguirà a breve un rally trainato dalla FED, anche se tra un tentativo tampone e un altro, il rischio più reale è l’escalation. Il Segretario di Stato Rubio ha dichiarato che i mercati crollano perché si stanno riaggiustando a una nuova realtà. Ma la transizione sarà drammatica. Immaginiamo come una società iper-finanziarizzata, che era un derivato della globalizzazione, possa tornare a essere una società che si fondi di nuovo sulla produzione rilocalizzata di beni e servizi. Sarà una rivoluzione dolorosa e, per molte conseguenze, imprevedibile. 

Negli USA la Borsa è connessa al welfare, con i fondi pensioni che sono tra i maggiori possessori delle azioni quotate. Più che il bail-out delle banche si cercherà un bail-out delle persone, per sostenere pensioni e stipendi. Mettendo però ancora più a rischio le finanze statali che negli USA sono già a un indebitamento critico. La FED, comprando la gran parte del debito, cercherà di mantenere i tassi artificialmente bassi, come sta facendo il Giappone. In un contesto del genere le banche centrali potrebbero passare di nuovo sotto il controllo del Tesoro. Si potranno avere livelli altissimi di debito al prezzo di sacrificare la crescita. In quel modo si potrebbe avere un’alta inflazione reale con tassi artificialmente bassi, portando in crisi la moneta. 
Ma il problema più grosso è per l’Europa. Perché è un vaso di coccio tra vasi di ferro. L’Europa non ha unità politica, non ha materie prime, ha la peggiore demografia del pianeta, l’Europa è il ventre molle da incidere. Non si prospetta un bel tempo per la comunità europea che sotto questa forma di pressione non potrà durare. Ma qual è la vera causa di tutto quello che sta succedendo?

# La vera causa del crollo: senza energia non si ha economia

Ph. @ArtTower IG

Energy is the Economy. Prima di tutto, l’economia è energia. Senza energia non si ha economia. Il mondo ha un problema di carenza energetica. La teoria economica moderna è nata da una completa astrazione rispetto alle risorse fisiche che sono alla base di uno sviluppo economico. Questo è capitato perché le teorie si sono fondate su un presupposto: la disponibilità delle risorse energetiche necessarie per alimentare la crescita del sistema. Un presupposto che non esiste più.

Ogni astrazione della teoria economica moderna è stata consentita dal fatto che nel Settecento e nell’Ottocento l’economia mondiale era così poco sviluppata da poter mantenere ogni teoria indifferente alle risorse fisiche. Ma il mondo di oggi non è più quello di allora ed è tale che le teorie che vengono ancora oggi utilizzate non sono in grado di cogliere le dinamiche reali. Gli esperti sono completamente persi. Basterebbe comprendere che gli idrocarburi che sono alla base di questo modello di sviluppo non sono più in grado di crescere, anzi registrano un calo dello stock globale. Soprattutto, non si riesce a produrre i combustibili pesanti che sono il motore della globalizzazione. 

Quello a cui stiamo assistendo, che viene chiamata la fine della globalizzazione, è un principio fisico. Un principio di termodinamica. La continua riduzione dell’energia netta che entra nel sistema non riesce a sostenere la complessità di funzione raggiunta dalla globalizzazione nella nostra epoca. Quindi, stiamo assistendo alla necessità inevitabile di dover ridurre le funzioni in modo corrispondente all’energia disponibile. Se le funzioni diminuissero in modo sostanziale allora l’energia sarebbe sufficiente a sostenere una crescita economica. Chi ha ancora energia residua, come USA o Russia, sta inseguendo una strada che per quanto drammatica è la strada corretta. Quello che sta facendo Trump in modo un po’ folle è una scelta obbligata, almeno per gli USA: della fetta rimanente cercano di prendere quello che non può essere più condiviso e, in questo caso, il più forte vince. Ma a lungo non basta: bisogna accorciare fortemente la struttura della supply chain, perché quello che prima poteva viaggiare per 10.000 chilometri, oggi non se lo può permettere. Bisogna accorpare le macro aree, es. agricoltura, commercio o militare, per consentire un tipo di crescita che miri all’autosufficienza invece che alla globalizzazione. Non si tratta di una novità, ma è lo stesso processo che accade alla fine di ogni grande impero.

# La vera transizione che ci aspetta

Ph. @
vinodkmavilla IG

Anche l’Impero Romano ha subito lo stesso destino con il passaggio dall’Impero al Comune: è stata una ridefinizione energetica. Non si possono mantenere le grandi vie di comunicazione e quindi gli esseri umani si riuniscono in comunità più piccole. E’ un processo inesorabile, come è inesorabile la termodinamica. Se si tiene lo sguardo puntato alla luna anziché al dito, tutta la dinamica in atto assume una logica. E si capisce così il disastro fatto dall’Europa negli ultimi anni. Invece di prendere consapevolezza da questa realtà, l’Unione Europea ha voluto intraprendere la strada della transizione green, distruggendo trilioni di risorse che avrebbero potuto essere usate per sostenere la vera transizione, quella dall’abbondanza alla scarsità energetica, che non può essere compensata da forme di energie inefficienti che, tra l’altro, sono anch’esse dipendenti dai combustibili fossili. Questa transizione green sta oggi sfumando davanti agli occhi di tutti, ma nessuno viene considerato responsabile di questo disastro. Anzi, gli stessi che hanno causato il danno sono quelli che ancora ci governano. La frammentazione è inevitabile, perché risponde a un principio fisico. Che spiega perché tutti gli imperi nascono e finiscono: perché tutti i sistemi si fondano sull’energia che usano per crescere e, quando l’energia arriva al punto di non poter più sostenere la crescita, il sistema crolla. Confermando il principio che resta immutabile nel tempo: quello della termodinamica. 

Continua la lettura con: Milano è tra le 4 città in Europa che producono più ricchezza

LA FENICE

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Un casinò a Milano? Dai 50 ai 100 milioni all’anno per renderla una città spettacolare

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Casinò Montecarlo - ph. @nrc_naty IG

Milano è stretta in una morsa. Tra uno stato centrale avido di risorse e un mondo che si fa sempre più complicato tra dazi e guerre. Risultato? La città sta andando sempre più indietro nelle classifiche internazionali. Eppure soluzioni per invertire la rotta ce ne sono. Una è quella di diventare una città stato, con più poteri e risorse, come sono le principali città d’Europa. Un altro è quello di prendere esempio da una delle città stato indipendenti più vicine ai nostri confini: Montecarlo. Una città che vive e prospera anche grazie a un casinò di proprietà di chi amministra il territorio. 

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Un casinò a Milano? Dai 50 ai 100 milioni all’anno per renderla una città spettacolare

# Milano non ha mai avuto un casinò, ma i milanesi giocano

Ph. @heikoshouses IG

Quella dei casinò in Italia è una legge strana. In teoria non si possono aprire, per la normativa anti gioco d’azzardo, ma ci sono eccezioni per motivazioni turistiche o economiche. Innanzitutto nei luoghi vicini alla frontiera, come Campione d’Italia, Saint Vincent o Sanremo. E poi c’è Venezia, dove il casinò serve a finanziare la città. Milano è l’unica grande città italiana così vicina a una frontiera (la Svizzera con i suoi casinò è a 50 chilometri). Non solo: come Venezia ha bisogno di risorse per diventare più attrattiva a livello internazionale. Quindi sembra avere tutte le carte in regola per ospitare un casinò. E, invece, sorprendentemente, Milano un casinò non lo ha mai avuto.

Nemmeno ai tempi della Belle Époque, quando l’azzardo animava i salotti europei. Nemmeno nel dopoguerra, quando si sperimentava ogni forma di attrazione.

Eppure la domanda esiste, eccome. Ogni fine settimana, migliaia di cittadini lombardi scelgono Campione e, molto più spesso, i casinò svizzeri, convertendo euro in franchi. Il paradosso è evidente: mentre la città snobba l’azzardo, i suoi cittadini lo praticano altrove, e altrove finiscono anche i relativi guadagni.

È un atteggiamento che rischia di essere più ideologico che pragmatico. Proibire non elimina il fenomeno. Lo sposta, e con esso anche le ricadute economiche. Per questo, la vera domanda non è se un casinò sia “giusto” o “sbagliato”, ma se abbia ancora senso continuare a rinunciare a una risorsa che esiste… e che frutta molto.

La verità è che qualcuno ha scelto per Milano di non avere un casinò, ma siamo sicuri che i cittadini siano d’accordo? E che, soprattutto, avere un casinò a Milano porti più svantaggi che vantaggi?

# Il business dei casinò da cui si tiene fuori Milano 

Casinò di Montecarlo – ph. @klara_apanasewicz IG

È un modello esclusivo, ma molto redditizio. I dati parlano chiaro: il fatturato complessivo dei quattro casinò italiani oscilla tra i 250 e i 300 milioni di euro l’anno. Una parte consistente di questi introiti finisce nelle casse pubbliche, tra tasse dirette e indotto.

A Saint-Vincent, per esempio, il casinò dà lavoro a centinaia di persone ed è una delle principali fonti di entrate per il Comune. Campione d’Italia, dopo il clamoroso fallimento del 2018, è ripartito proprio grazie al rilancio del suo casinò, che nel 2023 ha registrato una crescita degli incassi superiore al 50%. Poi c’è il Casinò di Venezia: fondato nel 1638, è la casa da gioco più antica al mondo e fattura oltre 100 milioni di euro all’anno, di cui circa 25 milioni vanno al Comune. Un’attrazione capace di finanziare le casse comunali: perché Milano dovrebbe rinunciarvi a priori?

# 25% dei ricavi al Comune: Milano potrebbe avere dai 50 ai 100 milioni all’anno 

Ph. @sintaille IG

Ma facciamo qualche conto: quanto potrebbe valere un casinò a Milano? Abbiamo menzionato quello di Venezia. Ma per dimensioni della città e numero di turisti, per Milano sarebbe più sensate confrontarsi con quello di Montecarlo. I ricavi annui (2023) provenienti dai giochi del casinò sulla Costa Azzurra hanno raggiunto i 200,8 milioni di euro, a cui si aggiungono gli introiti alberghieri di proprietà del gruppo che sono stati di 213,3 milioni di euro. Secondo la normativa vigente in Italia, il 25% dei ricavi di un casinò vanno destinati al Comune che lo ospita. In questo caso sarebbero 50 milioni ogni anno che potrebbero arrivare fino a 100 milioni se si adottasse lo stesso modello di business di Montecarlo o di Lugano, organizzando anche l’ospitalità (l’hotel che ospita il casinò). 

Si tratta di risorse imponenti che potrebbero essere destinate a potenziare la mobilità urbana, le connessioni con l’hinterland, la programmazione culturale, la sicurezza, la promozione del territorio e i servizi per le case e per i bisognosi. 

Non solo. Un casinò comunale, ben progettato e inserito in un contesto urbano strategico – come l’area di Porta Nuova, o un’area da riqualificare in periferia – potrebbe anche rappresentare un polo dell’intrattenimento legale e sorvegliato, capace di generare occupazione diretta e indiretta, attrarre turismo, oltre a produrre nuove entrate per il bilancio cittadino. Come le grandi fiere o persino gli aeroporti, un casinò può essere una leva di sviluppo urbano.

Naturalmente, i rischi esistono. Le infiltrazioni mafiose, per esempio, sono una minaccia da prendere sul serio. Ma è proprio dentro un sistema legale e trasparente che si può esercitare il controllo più efficace.

Lasciare il gioco ai margini – tra sale slot e scommesse incontrollate – è ben più pericoloso. Meglio un casinò pubblico, regolato, vigilato. E soprattutto utile alla collettività. È ora di aprire un dibattito serio e senza ipocrisie. Perché il vero azzardo, oggi, è non cogliere un’occasione che altri stanno già sfruttando al posto nostro.

Continua la lettura con: Milano, «spese record di 4 miliardi». Ma ogni anno «regala» 20 miliardi allo Stato

MATTEO RESPINTI

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Questi sono i 10 più ricchi di Milano

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Ph. @gentlemaniere IG

4 su 10 sono donne. Il 40% dell’aziende rappresentate fa parte del settore della moda, un altro 40% di quello dell’industria agroalimentare. Vediamo chi sono i 10 milanesi più ricchi nel 2025 secondo Forbes.

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Questi sono i 10 più ricchi di Milano

#10 Stefano Gabbana: 2,2 miliardi di euro

Credits: corriere.it

Apre la graduatoria Stefano Gabbana, co-fondatore insieme a Domenico Dolce del celebre brand di moda Dolce & Gabbana, è una delle figure più riconoscibili nel mondo della moda. Il suo patrimonio è stimato in 2,2 miliardi di euro.

#9 Alessandra Garavoglia: 2,3 miliardi di euro

Alessandra Garavoglia è una figura di rilievo nel panorama economico italiano, grazie al suo ruolo di spicco, è membro del consiglio di amministrazione, all’interno del Gruppo Campari, leader globali nel settore degli aperitivi e delle bevande alcoliche. Si posiziona al nono posto della classifica con un patrimonio di 2,3 miliardi di euro.

#8 Susan Carol Holland: 2,5 miliardi di euro

Susan Holland


Susan Carol Holland è presidente del gruppo Amplifon, fondato da suo padre a Milano nel 1950 e tra i big mondiali nel settore degli apparecchi acustici. Detiene un patrimonio di 2,5 miliardi di euro.

#7 Augusto Perfetti: patrimonio di 2,7 miliardi di euro

Augusto Perfetti


Augusto Perfetti è il presidente della Perfetti Van Melle, il colosso della dolciaria mondiale, noto per brand come Mentos, Chupa Chups e Tic Tac. Ha saputo guidare l’azienda verso l’internazionalizzazione, portando i suoi prodotti in tutti i continenti. Con un patrimonio di 2,7 miliardi di euro si prende la settima piazza tra i più ricchi di Milano.

#6 Alberto e Marina Prada: patrimonio congiunto di 2,75 miliardi di euro

dagospia – Marina Prada

Alberto e Marina Prada sono i principali eredi della leggendaria casa di moda, famosa per il suo stile senza tempo, nata a Milano agli inizi del ‘900. Con un patrimonio combinato di 2,75 miliardi di euro si assicurano la sesta posizione in classifica. 

#5 Luca Garavoglia: 2,9 miliardi di euro

topmanager – Luca Garavoglia

Al quinto posto troviamo l’esponente di spicco del Gruppo Campari, il presidente Luca Garavoglia, fratello di Alessandra. Il suo patrimonio ammonta a 2,9 miliardi di euro.

#4 Giorgio Perfetti: 3,2 miliardi di euro

Giorgio Perfetti, fratello di Augusto, è uno degli azionisti principali della Perfetti Van Melle. Con un ruolo da azionista e investitore, ha contribuito alla crescita del gruppo. Il suo patrimonio è valutato in 3,2 miliardi di euro.

#3 Gianfelice e Paolo Rocca: patrimonio combinato di 5,9 miliardi di euro

Di Alessandra Bertoli – http://www.cavalieridellavoro.it/n/l/small2_foto_roccagianfelice_gallery.jpg, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=17316887 – Gianfelice Rocca

I fratelli Gianfelice e Paolo Rocca sono i fondatori e i principali azionisti di Techint, un colosso dell’ingegneria e delle costruzioni con un’influenza globale. Con un patrimonio combinato di 5,9 miliardi di euro si prendono il gradino più basso del podio. 

#2 Patrizio Bertelli e Miuccia Prada: patrimonio congiunto di 6,2 miliardi di euro

Patrizio Bertelli e Miuccia Prada sono una delle coppie più influenti nel mondo della moda internazionale. Con un patrimonio combinato di 6,2 miliardi di euro, sono alla guida del gruppo. Sotto la loro guida, Prada ha saputo coniugare tradizione e innovazione, imponendosi come un brand simbolo del lusso contemporaneo. 

#1 Giorgio Armani: 12,3 miliardi di euro

Credits: d.repubblica.it – Giorgio Armani

Al primo posto, quarto in Italia, troviamo Re Giorgio, milanese d’adozione e piacentino di nascita. Armani il più ricco del 2025, con un patrimonio di 12,3 miliardi di euro. Il suo impero nel mondo della moda, con il suo marchio iconico che porta il suo nome, è diventato un simbolo assoluto di lusso e classe. Il suo quartiere generale si sviluppa tra Brera e Montenapoleone, mentre in Tortona trova spazio il teatro utilizzato per le sfilate e il museo, l’Armani Silos.

Continua la lettura con: Milano è tra le 4 città in Europa che producono più ricchezza

FABIO MARCOMIN

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L’album “Quelli che…” di Enzo Jannacci festeggia 50 anni

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Quelli che

Cinquant’anni fa usciva l’album di Enzo Jannacci “Quelli che…”, partito un po’ in sordina, divenne un’icona di quella musica d’impegno, mescolata con l’intelligente goliardia. Non c’era solo la mente di Enzo a creare questo capolavoro artistico, si prese spunto anche da lavori di Dario Fo, Cochi e Renato e Beppe Viola.

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L’album “Quelli che…” di Enzo Jannacci festeggia 50 anni

# Quell’inconfondibile “oh, yeah”

Genius – Quelli che

Il disco prendeva il nome dal brano di nove minuti su quella inconfondibile base blues, accompagnata dal sassofono e con quell’inconfondibile “oh, yeah” di Jannacci. Ma in quel LP troviamo capolavori di mostri sacri del mondo del canzoniere meneghino, come ne “Il Bonzo” (di Fo), “L’Arcobaleno” (di Ponzoni e Pozzetto), con monologhi brevi a cura di Beppe Viola.

# Un prodotto (quasi) milanese al 100%

discogs.com – Regson studio

“Quelli che…” fu incisa presso la Regson Studio, in via Lodovico il Moro a Milano, nel mese di gennaio 1975. Fu un prodotto milanese (quasi) al 100%, con i già citati artisti, a cui vanno aggiunti il fotografo e regista meneghino Cesare Montalbetti, creatore della copertina, sergio Bardotti, pavese adottato da Milano, autore della traduzione di “Nove di sera” dal portoghese all’italiano, Bruno De Filippi, addetto alla chitarra, all’armonica e al Mandolocello e Silvia Annichiarico, corista.

# 14 canzoni al suo interno con “Vincenzina e la fabbrica” a fare da traino

Vincenzina

L’album contiene 14 brani, tra questi “La Televisiun”, “Viva la galera” e “Vincenzina e la fabbrica”, incisa dopo il grande successo riscontrato come colonna sonora di “Romanzo popolare”. E fu questa la canzone che trainò il 33 giri. Infatti il brano “Quelli che…” non ebbe subito un grande apprezzamento: è una canzone in cui la voce di Jannacci non segue una vera e propria melodia, ma pronuncia parole recitandole, parole che corrono senza un ordine preciso, che sottolineano vizi, costumi, contraddizioni e luoghi comuni di una tipica Italia anni ’70. Ma quanto è ancora attuale questo brano ?!

Poi Enzo Jannacci, quando la proponeva dal vivo, la cambiava sempre un po’, aggiungendo frasi, togliendone altre, modificandone altre ancora, tanto che “Quelli che…” divenne poi il simbolo del cambiamento nell’agitato divenire di una società sempre più difficile da capire, soprattutto se si cede alla tentazione di voltarsi indietro perchè il presente (e figuriamoci il futuro) si presenta a noi tanto incomprensibile.

Leggi anche: I 50 anni di “Romanzo Popolare” e la canzone “Vincenzina e la fabbrica”, uno degli inni della classe operaia

# I brani in dialetto milanese e l’utilizzo del Grammelot

Quelli che

In questo album c’è poi il dialetto milanese, a ricordare che si tratta, si direbbe oggi giorno, di un “progetto musicale popolare”, ma allora il termine “progetto” era quello utilizzato per costruire un palazzo o per cambiare l’impianto elettrico di casa, non lo si accostava certo alle canzoni. Allora, quando usciva un lavoro “popolare” si diceva che “doveva essere intercettato anche dal proletariato”.

E “Quelli che…”, come un po’ tutti i lavori di Jannacci, venne apprezzato sia dal mondo radical-chic, che ne so…del chiostro rinascimentale del Piccolo Teatro, fino ad arrivare alle periferie di Quarto Oggiaro. Dicevamo del dialetto milanese: in questo disco lo troviamo ne “La televisiun”, “El me indiriss”, senza dimenticarci del tocco Grammelot in un altro iconico pezzo, “El Marognero”.

“Quelli che…”, nel corso degli anni, non solo diventò il titolo di una trasmissione simil-calcistica della domenica, ma anche un modo di pensare, un modo per aumentare il disordine nelle già abbastanza disordinate nostre menti, con la speranza che, nella sovrapposizione di due disordini, si crei un ordine, però chissà quanto noioso.

FABIO BUFFA

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Pierina Legnani, la prima milanese a diventare “prima ballerina assoluta”

Vera Vergani, l’attrice più amata del teatro degli anni ’20

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BRUNO CANFORA, l’autore delle hit evergreen per TV, cinema e i grandi della musica italiana

LELLA LOMBARDI, l’unica donna a punti in FORMULA UNO

DIDI PEREGO, la Sofia del film italiano candidato all’Oscar

MARCO MIGNANI, l’autore della pubblicità diventata FILOSOFIA di VITA a Milano

AMBROGIO FOGAR, l’ “Ulisse” di Milano

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D’ANZI, il papà della “bela Madunina”

GASPARE, ZUZZURRO e la brioche più celebre della TV

LUISELLA VISCONTI, la voce più bella del CINEMA

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GAETANO SBODIO: il guerrigliero del dialetto

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ENRICO RUGGERI: contro corrente da sempre

FRANCA VALERI: la signorina snob dello spettacolo

Nuto NAVARRINI: il grande attore milanese ormai dimenticato

Liliana FELDMANN: la VOCE di Milano

VALENTINA CORTESE: la stella milanese di Hollywood

 ERMINIO SPALLA, il PUGILE ARTISTA adottato da Milano

EDOARDO FERRAVILLA: uno degli ATTORI del teatro DIALETTALE più importanti di sempre

MARIA MONTI, la prima “CANTAUTRICE” della storia

ENZO JANNACCI, il cardiologo chansonnier

LIÙ BOSISIO, l’artista milanese con viso e voce più CELEBRI del nome

Quando, a Milano, VISCONTI girava “ROCCO E I SUOI FRATELLI”

MARCELLO MARCHESI, un ciclone di ironia

NANNI SVAMPA, l’ironico artista della canzone milanese

ADRIANO CELENTANO, il “molleggiato” nato a due passi dalla CENTRALE

GINO BRAMIERI, il RE delle BARZELLETTE

CLAUDIO ABBADO, il GENIO eternamente insoddisfatto

Quelli di VIA OSOPPO: la STANGATA di Milano

GIORGIO GABER, l’inventore del TEATRO CANZONE

ADRIANA ASTI, l’artista ribelle amata dai grandi del cinema e del teatro

GIANLUIGI BONELLI, il creatore di TEX WILLER, sempre in lotta contro il POTERE

LUISA AMMAN: un’OPERA d’ARTE di Milano

LUCIANO LUTRING: il bandito più popolare di Milano

BRUNO ARENA, il fico di Milano

Sandra MONDAINI: uno dei punti fermi della televisione italiana

TINO SCOTTI, il milanese del “Ghe pensi mi”

ORNELLA VANONI, Milano e Settembre

MARIANGELA MELATO, da “ranocchietta” a mito del cinema

MARTA ABBA: la musa di Pirandello

Quelle DIABOLIKE sorelle GIUSSANI

GIANNI MAGNI: il re del cabaret milanese

COCHI e RENATO: una coppia diventata il MARCHIO del CABARET

Giorgio AMBROSOLI: il RIVOLUZIONARIO in GIACCA e CRAVATTA che sfidò anche lo Stato

Peppin MEAZZA: il più grande MITO MILANESE del calcio mondiale

FRANCO CERRI: quel genio che partì suonando nei cortili

I KRISMA: la coppia più PUNK della storia di Milano

LILIANA SEGRE, la testimonianza milanese dell’Olocausto

MARIA CALLAS, la Scala e BIKI, quel legame che ha fatto la storia dell’arte

WALTER VALDI, cintura nera di dialetto milanese

LORENZO BANDINI, lo sfortunato campione adottato da Milano

ALEX BARONI, il “chimico” prodigio della musica

MICHELE ALBORETO, il “pilota gentiluomo”

BEPPE VIOLA: il geniale raccontatore del calcio

Storia di una GRANDE DONNA di Milano: ALDA MERINI

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5 aprile. Una giornata storica per il collegamento tra Milano e il Canton Ticino

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5 aprile 2021. Diventa operativa la nuova linea RE80 tra la Lombardia ed il Ticino. Come una metro per il servizio e la frequenza. 

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5 aprile. Una giornata storica per il collegamento tra Milano e il Canton Ticino

# I nuovi TiLo

5 aprile 2021. Diventa operativa la nuova linea RE80 tra la Lombardia ed il Ticino: collegamenti diretti per Milano Centrale ogni ora e collegamenti ogni 30 minuti tra Locarno, Lugano e Chiasso. Nasce così una Metro Ticinese, che accorcia ampiamente i tempi di percorrenza tra le località.

Questo è stato reso possibile grazie all’apertura definitiva della galleria del Ceneri, che ha eliminato la risalita del monte Ceneri da parte dei treni con velocità ridotte.

Dal 5 aprile 2021 Lugano e Bellinzona sono così a 15 minuti di treno e Locarno e Lugano a distanza di 29 minuti. Il collegamento per Milano ha fatto risparmiare altri 30 minuti con fermate a Como San Giovanni, Albate-Camerlata, Seregno e Monza.

Continua la lettura con: 3 aprile: dall’unione di due giornali nasce il primo quotidiano nazionale

MILANO CITTA’ STATO

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