Milano vista da un ROMANO: bastano 3 minuti e mezzo per apprezzarla

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La capitale morale e quella umorale

Quando ho scoperto che il mio intervento (agli Stati Generali di Milano Città Stato, il 16 maggio 2017, Teatro Franco Parenti, Milano, ndr) sarebbe stato di tre minuti, mi sono chiesto subito se si trattasse di tre minuti milanesi o di tre minuti romani. La differenza c’è e non è di poco conto.

A Milano quando sei sulla banchina della metropolitana e il display dice “3 minuti e mezzo”, dapprima ti sorprendi per quella che ti sembra una minuzia cervellotica quasi da nerd (ma a Taipei le metropolitane segnalano addirittura i secondi!), poi puoi scommettere che entro due minuti e 40 secondi le porte del convoglio ti si apriranno scorrevolmente davanti. A Roma l’ipotesi di segnalarti il mezzo minuto non viene nemmeno presa in considerazione, se qualcuno lo facesse verrebbe denunciato per procurato allarme. E anche l’indicazione non va presa troppo sul serio: “3 minuti” significa abbastanza presto, spesso i minuti sono 4, 5. E io queste cose non le dico per dire, ho fatto prove cronometriche come all’autodromo di Monza. Sì, lo so, la cosa non depone a mio favore, ma tant’è. Il fatto è che io ero imbruttito prima ancora di essere milanese. Mi sono portato avanti con il lavoro. Sono l’ebreo che trova il suo Israele.

Io sono romano, lo ammetto. Sono un romano che vive a Milano da venticinque mesi, che è troppo poco tempo per sentirsi milanese ma abbastanza per non sentirsi più romano. Al momento mi sento da qualche parte nella carrozza di un treno dell’alta velocità, diciamo nel tratto Firenze-Bologna, anzi subito dopo Bologna, almeno prende il wifi. E quindi credo di potere avere un’idea di entrambe le città, Milano e Roma, intendo dire. Anzi, ho una vera ossessione che va al di là – spero – degli stereotipi sulla relazione di questi due luoghi di cui l’uno, Milano, è di fatto una città-Stato, come da ragione sociale dell’associazione, nel senso di metropoli autosufficiente e indipendente. L’altro, Roma, è invece uno Stato-città, anzi due Stati in un’unica città, entrambi ben sotto la sufficienza. Cosa vuol dire esattamente non so ma suona bene, no?
L’impressione che fa Milano a chi come me arriva da una città sterminata, languida, autoindulgente, passivo-aggressiva è che sia un’altra nazione. Davvero. Milano è già altrove, con le valigie pronte per l’Europa. E se l’incontro non avverrà non sarà colpa del capoluogo lombardo ma semmai dell’Europa. Prima di andarsene per la sua strada Milano però sta riempiendo i bagagli con tutto il meglio dell’Italia: la moda, il cibo, i libri, perfino il clima, che sembra sempre più mediterraneo. Milano è diventata un’enorme Expo, un’Italialand in cui è concentrato il meglio del nostro Paese, al netto delle cose peggiori. Sì, lo so, anche a voi ogni tanto rode perché c’è traffico (ma davvero credete che sia traffico quella cosa là? Davvero davvero?), anche voi avete ogni tanto una linea della metro che si guasta (ma perché un convoglio si guasti primo requisito è che esista e funzioni), anche voi beccate le multe e siete spesso antipatici (effettivamente avete un certo talento in materia). Ma sono cose fisiologiche. Normali. Ecco, questa è la parola chiave: normalità. Milano è una città normale, il che non vuol dire che sia una normale città. È questo che la rende così diversa dalle altre metropoli italiane, così folli, così atipiche.

Roma è il cimitero dei sindaci: hanno fallito tutti. Il sindaco della Città Eterna è destinato a essere sempre sulle prime pagine dei giornali, in tutta Italia si discetta della questione romana come fosse roba propria. Ogni italiano si può dire abbia due sindaci: quello del luogo in cui abita e quello di Roma, che appartiene a tutti come una maschera, come Arlecchino e Balanzone. E adesso Colombina, naturalmente. Il sindaco di Milano due mesi dopo le elezioni entra in una zona grigia da amministratore delegato di un’azienda che fa utili. Qualcuno ne dimentica persino il nome, come dovrebbe accadere agli amministratori efficienti, che quindi non fanno notizia.

Io non sono un sociologo, un politico, un intellettuale. Sono un giornalista ma in fondo quello che ho da dire su Milano e su Roma non attiene al mio lavoro ma alla mia condizione di cittadino curioso, convinto che ogni luogo sia fatto dalle persone che lo fanno: ci sono quelle simpatiche da cui non compreresti un’auto usata e quelle noiose ma affidabili. I tre minuti stanno finendo, il treno è arrivato.

ANDREA CUOMO

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Andrea Cuomo
Romano, trapiantato a Milano qualche giorno prima dell'inaugurazione dell'Expo (giorni fatidici quelli per la città), è da ventun anni giornalista del Giornale, del quale è stato capo della redazione di cronaca di Roma, giornalista politico, capo della redazione esteri e cronaca, e ora inviato. E' appassionati di cibo e vino e sommelier diplomato, ed è critico enogastronomico. In tale veste collabora con Identità Golose e Gambero Rosso. Ha una figlia. Beve, corre, legge, tifa Roma, coccola i gatti e le donne. Non necessariamente in quest'ordine.