Dopo il nostro articolo sulla prima opera d’arte invisibile venduta in Italia (io sono: in Italia venduta la prima opera d’arte invisibile), la Spagna ha rivendicato il primato mondiale delle sculture inesistenti. Così veniamo a scoprire che il nulla si vende già da molti anni.
Scopriamo insieme le opere dell’artista spagnolo che detiene la paternità dell’arte invisibile.
La Spagna replica all’Italia: è nostra la prima SCULTURA INVISIBILE del MONDO
# Le sculture invisibili in Spagna ci sono da 20 anni
Credit: Fondazione Boyer Tresaco
Dopo le notizie sul progetto delle sculture invisibili realizzate dall’artista sardo Salvatore Garau, la Spagna ha deciso di rivendicare la paternità di questo tipo di arte.
La Fondazione Boyer Tresaco, che prende il nome dall’omonimo artista, ci informa infatti che l’idea delle sculture inesistenti esiste in Spagna già da oltre vent’anni.
Tra queste, la prima scultura invisibile del mondo è stata presentata in una mostra nella città di Barcellona nel 2001, 20 anni fa, venendo inserita anche in due libri e diverse pubblicazioni.
In due occasioni le opere invisibili di questo artista sono state esposte in due gallerie di New York.
# “Duemilacinquecento centimetri cubi di nulla”
Credit: Fondazione Boyer Tresaco
Un’altra di queste sculture invisibili è stata presentata in una mostra alla galleria THEREDOOM di Madrid nel 2015, mostra che è stata selezionata tra le migliori mostre del quartiere insieme a quella del Museo Reina Sofía dall’Huffington Post.
Opera tenuta dal comitato e dalla direzione della fiera Estampa 2020, la descrizione di un’altra di queste sculture invisibili dell’artista spagnolo Boyer Tresaco.
Il titolo era “Duemilacinquecento centimetri cubi di nulla”, Dimensioni 100x100x250 cm e doveva essere esposto l’anno scorso ma è stato cancellato a causa della pandemia.
Alcune delle sue sculture invisibili sono esposte permanentemente alla Fondazione Boyer Tresaco con sede a Cartagena, nella regione di Murcia e sono state viste dalle moltissime persone.
# Il primato italiano
Credit: @salvatore_garau
Una differenza tra le sculture invisibili spagnole e italiane c’è e sembra assicurare un primato tutto italiano.
Nella ricostruzione fatta dalla Fondazione Tresaco non ci sono informazioni riguardanti alla vendita delle sculture invisibili, che sembrerebbero essere state solamente esposte in alcuni musei.
L’opera di Garau invece, è stata venuta per ben 15mila euro, guadagnandosi il primato dell’unica opera invisibile venduta nel mondo.
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# Fu Foscolo a ribattezzare Milano con il nome di Paneropoli
Ugo Fuscoloverso la fine del ‘700visse per circa un anno a Milano, dopo aver lasciato Venezia. Durante la sua permanenza in città prese atto di un aspetto curioso della cucina milanese e dei territori limitrofi, l’utilizzo diffuso della “panera”, in dialetto lombardo panna, la crema del latte.
Per ironizzare su questa usanza alimentare il poeta nativo di Zante ribattezzò Milano col nome di Paneròpoli. Un appellativo non così sbagliato in quanto a quei tempi l’utilizzo in cucina del latte e dei suoi derivati come panna, burro, mascarpone, formaggio e ricotta era comune in quasi tutti i piatti.
# Polenta e latte, castagne e latte e riso e latte, i piatti tipici della cucina povera lombarda
Riso e latte
Tra i piatti poveri della cucina povera in cui si usava il latte c’era la polenta, le castagne, il riso, non ancora del tutto scomparsi. Ma nel latte veniva cotta anche l’urgiada, una minestra d’orzo, l’arrosto di maiale, il pollo, gli spinaci e il manzo alla California, dal nome di una località vicino a Monza. Soprattutto nella cucina borghese la panna veniva utilizzata come sostituito del latte, per “addensare salse, sughi e fondi di cottura di vario tipo e per condire tortelli e paste farcite”.
La panna era utilizzata anche per i dolci, ad esempio con le castagne, nel tipico lattemiele accompagnato ai cialdoni, tra i dessert più diffusi dessert agli inizi del ‘900 sulle tavole borghesi oppure nella panna cotta, aromatizzata con maraschino o rosolio. Una tradizione o usanza che rimane viva ancora oggi perché non si fatica a trovare un piatto dove ci sia un po’ di burro, un goccio di latte o di panna, o anche solo una grattugiata di formaggio.
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Milano Città Stato. Il nome dato a questa testata, di cui sono onorato di dare questo mio piccolo contributo, non è casuale. Ci fu un tempo, dal tardo Medioevo al Rinascimento, in cui le città-stato italiane furono più potenti, economicamente, dei regni europei.
Quando le CITTÀ -STATO italiane erano PIÙ IMPORTANTI di LONDRA
# Quando nacque il capitalismo
Credits: artspecialday.com Capitalismo secondo Weber
Nel 1905, il filosofo tedesco Max Weber, nel suo saggio “L’etica protestante e lo spirito del capitalismo”, sosteneva che l’attuale economia di mercato avesse origini dal pensiero luterano e calvinista anglo-americano, nato grazie ai riformatori europei del Cinquecento: Lutero, Calvino, Zwingli. Nel 1620, i puritani inglesi di fede calvinista, i Padri Pellegrini della nave Mayflower, salperanno verso le coste degli Stati Uniti, nell’odierno Massachussets, diffondendone lo spirito.
In realtà, non tutti gli studiosi sono concordi. In “Storia della finanza d’impresa”, Jonathan Baskin, docente di Corporate Finance all’Università di New York, afferma tutt’altra cosa. I primi banchieri, furono i cattolicissimi italiani, o meglio, i Fiorentini, i Veneziani e i Genovesi, già a partire dalla fine del Duecento, sulle rotte dei traffici marittimi dell’epoca, quando l’Italia, con le sue potenti Repubbliche e citta-stato, fu al centro dell’economia commerciale europea. I Bardi, i Peruzzi, i Medici di Firenze, i Soranzo di Venezia, o il Banco di San Giorgio di Genova furono i primi fornitori e banchieri d’Europa.
# Il capitalismo italiano del Medioevo
Una forma di capitalismo esisteva, quindi, già dal tardo Medioevo, nelle città-stato italiane, ben prima che a Londra e ad Anversa. Il fiorino toscano di oro puro, a ventiquattro carati, coniato a Firenze, fu nel Quattrocento, all’epoca del Rinascimento, la moneta di scambio preferita in Europa, come lo sarà la sterlina per il commercio mondiale nel XIX secolo e il dollaro oggi.
# L’importanza dei banchieri italiani
Credits: ilsole24ore.com banchieri toscani
I primi banchieri italianifurono, verso la fine del Medioevo, i cambiavalute, chiamati cambiatores, che allestivano i banchi di legno su cui poggiare le bilance per pesare, confrontare e scambiare le monete. Si riunivano alle fiere i principali centri di scambio e di esposizione delle merci nello Champagne, nelle Fiandre e a Ginevra. Ecco come impareranno il mestiere gli svizzeri. Poi, a partire dal Trecento, iniziarono a concedere prestiti e a custodire il denaro per i propri clienti. Prima ai soli mercanti, poi ai signori e infine, ai regnanti. Il punto di svolta per lo sviluppo delle operazioni bancarie e commerciali, arrivò con la “nota di banco” (l’antenata della banconota, e anch’essa, d’invenzione italiana), che attestava il deposito di monete preziose con il sigillo e la garanzia di un banchiere-custode.
La girata delle note di banco, permetteva ai mercanti, di ottenere dalla filiale estera la stessa somma depositata in patria. I mercanti potevano così contare sul proprio denaro nelle filiali delle principali città d’Europa e affrontare i costi di navigazione, di trasporto e di magazzinaggio.
# Le merchant banking partenerships del passato
Le prime banche, quindi, furono le banche commerciali italiane, delle vere e proprie merchant banking partnerships, come si direbbe oggi. Queste società di banchieri-commercianti, che arrivarono a prestare denaro ai regnanti per il finanziamento delle guerre, ottennero in cambio speciali licenze di esportazione e importazione, oltre al privilegio delle esenzioni doganali e della riscossione delle imposte verso i sudditi, per conto del Re. Venivano chiamate “Compagnie”, dai parte dei Fiorentini, “Colleganze” da parte dei Veneziani e “Commende”, da parte dei Genovesi.
# La fine del dominio finanziario italiano
Credits: pinterest.com Londra nel passato
Ma andiamo alle cronache, narrate dallo studioso tedesco di storia antica Curt Gutkind in “Cosimo de Medici, il Vecchio”. Nel 1450, dopo l’esperienza inglese dei banchieri fiorentini dei Bardi e dei Peruzzi, viene finanziata da Cosimo dei Medici e ceduta al figlio, Piero, con un capitale iniziale di 4800 fiorini, la società d’affari di Londra, Piero de’Medici e Gierozzo de’Pigli e Comp, con scopo: le importazioni di spezie per la via di Venezia, soprattutto pepe, mandorle, zucchero, broccati di seta delle botteghe degli stessi Medici a Firenze, oltre alla stessa lana inglese lavorata e tinta in Italia. Destinazione: le ricche famiglie di Bruges, Anversa, Bruxelles, Lione, Lubecca e Colonia.
Ma il 22 giugno 1457 la popolazione di Londra insorge contro gli esattori veneziani e i mercanti fiorentini. Le città-stato di Firenze, Venezia, Genova, allora, tramite i loro delegati, pattuiscono il seguente accordo: “Nel nome di Dio Onnipotente, della Santa Vergine Maria e di tutti i Santi del Paradiso e sotto minaccia di severe pene pecuniarie, si fa obbligo ad esercitare per tre anni, con effetti immediati, un boicottaggio commerciale e mercantile assoluto contro la città di Londra.”
Il boicottaggio non otterrà risultati negli anni a venire, perché i mercanti tedeschi della Lega Anseatica, che impareranno il mestiere dagli italiani, ne prenderanno il posto. Ma il modello italiano di merchant banking lascerà un impronta indelebile nella finanza tedesca, inglese ed olandese. Il primo grande banchiere tedesco del Cinquecento, Jacop Fugger, infatti, farà il suo apprendistato, proprio a Venezia.
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Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
Credits bkv.hu - Museo della metropolitana di Budapest
Nel mondo ci sono davvero tanti luoghi strani e bizzarri in cui dormire. Quali edifici o luoghi potrebbero diventare degli hotel a Milano in grado di sorprendere il mondo intero?
I più FANTASTICI HOTEL del mondo a MILANO? Si potrebbero realizzare in questi 7 LUOGHI UNICI
#1 Il Planetario per addormentarsi osservando le costellazioni dell’Universo
Credits: focus.it
Il planetario di Milano è stato realizzato negli anni ’30 in stile classico secondo un progetto dell’architetto Piero Portaluppi e donato alla città dall’editore italo-svizzero Ulrico Hoepli. Ha una forma ottagonale ed è il più grande d’Italia, ci sarebbe quindi tutto lo spazio per trasformarlo in un hotel. Gli ospiti potrebbero vivere una delle esperienze più incredibili della loro vita, addormentandosi osservando le costellazioni di Andromeda e Cassiopea.
#2 Il Museo di Storia Naturale per sognare “Una notte al Museo”
Credits: @fbertelloni IG
Il Museo di Storia Naturale di Milano, uno dei più importanti musei naturalistici d’Europa, ha sede in edificio dallo stile gotico appositamente realizzato. Trasformarlo in un hotel per far sognare le atmosfere del film “Una notte al museo” dove dinosauri, specie animali estinte e uomini delle preistoria prendono vita magicamente.
#3 Nel Museo della metropolitana per gli amanti dei trasporti
Credits bkv.hu – Museo della metropolitana di Budapest
Milano non ha un museo dei trasporti, come molte altre città del mondo, e nemmeno uno che celebri la metropolitana. Si potrebbe pensare quindi di realizzarlo anche come hotelper gli amanti della storia dei mezzi di trasporto pubblico.
#4 Un hotel di lusso nella “Sala Reale” della Stazione Centrale
Credits villeegiardini.it – Sala Reale Stazione Centrale
La Stazione Centrale è senza dubbio tra la più belle e maestose stazioni dei treni al mondo. Realizzata in diversi stili, Liberty e Art Déco uniti alla monumentalità dell’architettura fascista, potrebbe ospitare un hotel di lusso al binario 21. Qui si trova la “Sala Reale”, la sala d’attesa della famiglia reale italiana e della corte, divisa in sala reale e sala delle armi.
#5 Dentro un tram, ATMHotel, per farsi cullare dallo sferragliamento sui binari
credits: bcdtravel.com
A Milano si può già mangiare seduti a bordo dello storico tram Carelli con porte e interni in legno, grazie ad ATMosfera, mentre si percorrono le vie della città ammirando gli scorci più belli. Perché non realizzare anche un ATMHotel? Ci si potrebbe far cullare con il tipico rumore dello sferragliamento sui binari.
#6 In un centro commerciale per i nottambuli dello shopping
Quanti di voi vorrebbero avere un centro commerciale con i tutti i negozi a propria disposizione, o quasi? A Milano non si contano i centri commerciali, da quello chic di Citylife al mastodontico “Centro di Arese”, dove realizzare un hotel per i nottambuli dello shopping.
#7 Un Camping alla Montagnetta di San Siro per gli spiriti selvaggi
Monte Stella – Andrea Cherchi
Uno dei punti panoramici più suggestivi di Milano, il Monte Stella o Montagnetta di San Siro, potrebbe essere la location ideale per un camping dove dormire tra la natura con vista metropoli: dallo stadio o ai grattacieli di Citylife e Porta Nuova. Per gli spiriti più selvaggi.
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La collaborazione tra il Municipio 6, WAU (acronimo di We Are Urban) e l’organizzazione internazionale Nuova Acropoli, nell’ambito di una riqualificazione di alcune zone di Milano, ha portato il pregevole risultato di una trasformazione di Piazza Tirana.
Sede di una antica stazione ferroviaria e prossimamente di una fermata della linea metropolitana 4, la piazza ha vissuto un periodo di degrado come, d’altra parte, la zona adiacente.
Molte delle case Aler erano infatti state occupate abusivamente generando una situazione non arginata dal mancato intervento del Comune che per parecchio tempo ha latitato nei suoi interventi.
Il RESTYLING a colori di PIAZZA TIRANA
# Un’inversione di tendenza
Credit: milano.corriere.it
Negli ultimi mesi si è invertita la tendenza e sono stati effettuati dei lavori di riqualificazione tra via Segneri, Giambellino e Sanniti.
Piazza Tirana entra quindi a far parte di quegli spazi pubblici che subiranno una trasformazione quasi totale.
Un piccolo palco per esibizioni pubbliche, una scacchiera gigante, dei tavoli da ping pong, nuovi alberi e tanto, tantissimo colore faranno parte del nuovo arredo urbano della piazza che da qui al 2023, con l’arrivo della linea blu, subirà un vero e proprio cambiamento di look.
# Non solo Piazza Tirana
Credit: ilmilanese.news
Il quadrilatero Lorenteggio, Inganni, Giambellino, Odazio dovrebbe essere ridisegnato nel suo aspetto con l’obiettivo di rilanciarlo come quartiere di rinnovata vita sociale.
Si vedrà se gli spazi condivisi torneranno ad essere vivibili non solo per un make up fine a se stesso ma grazie a una serie di eventi che dovrebbero coinvolgere gli abitanti.
# Operazione di restyling frutto di una collaborazione
Per questo progetto si è chiesta la collaborazione a WAU, che da alcuni anni incentiva azioni culturali, street art, piccole trasformazioni urbane intervenendo direttamente con eventi volti al benessere fisico.
Tra questi troviamo tra il plogging, nuova disciplina che abbina la corsa e la camminata sportiva alla raccolta di rifiuti.
Non meno importante la presenza di Nuova Acropoli, organizzazione internazionale di carattere filosofico, culturale e sociale fondata nel 1957 a Buenos Aires (Argentina) dal professor Giorgio Angelo Livraga Rizzi (1930-1991), storico e filosofo e che opera nei 5 continenti.
Per tutte queste operazioni il costo è contenuto in linea con quanto richiesto da più tempo da parte di tutti gli organismi pubblici ma anche dalla cittadinanza sempre più esigente e attenta agli sprechi.
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Milano: tendenza, novità e innovazione. Ma anche arte, con i suoi monumenti, le sue opere e i palazzi dai tanti stili architettonici. In particolare, vogliamo soffermarci sullo stile Liberty, molto diffuso in città, con i suoi edifici da ammirare in un particolare tour “in stile floreale”.
La Milano LIBERTY: i 5 edifici dall’ “eccessiva eleganza decorativa” da non perdere
# Uno sguardo allo stile Liberty e alle sue caratteristiche
Detto anche Art Nouveau (arte nuova), il Liberty è un movimento artistico e filosofico che
in Italia fu molto in voga tra fine ‘800 e inizi ‘900 influenzando arti figurative, architettura e
arti applicate. Le sue caratteristiche sono le linee e le forme sinuose e l’eccessiva eleganza decorativa.
Tantissime sono le opere che si possono ammirare a Milano. Iniziamo allora questo tour nell’Arte Nuova meneghina, con gli edifici assolutamente da vedere.
#1 Ca’ di Ciapp (Palazzo Castiglioni), in Via Buonarroti
Credit: lestrade.com
Iniziamo da questo edificio perchè è stato proprio il primo di Milano costruito con questo stile e perchè è il più sfacciato e irriverente.
Il significato, anche per chi non mastica il milanese, è chiaro: sulla facciata ci sono le statue
di due donne prosperose, semi nude, girate di spalle che mostrano il loro lato B ai passanti.
Le due statue rappresentavano allegoricamente la pace e l’industria ma vennero viste come un oggetto scabroso che scandalizzò i ben pensanti milanesi di quegli anni.
Si trova in Via Buonarroti 48. Merita assolutamente di essere visto.
Il suo nome ufficiale era Albergo Diurno Metropolitano ed era davvero un albergo, attivo
tutti i giorni dalle 7 alle 23. Un vero e proprio gioiello sotterraneo, un viaggio nel tempo che accompagna il visitatore in una Milano di inizio ‘900. Costruito tra il 1923 e il 1925 e inaugurato all’inizio del 1926, l’albergo diurno era anche luogo di benessere: al suo interno c’era un barbiere, le terme e i bagni pubblici.
Si trova in Piazza Oberdan, e due passi da Porta Venezia.
In Via Malpighi 3, dietro a Porta Venezia, si trova un edificio che viene considerato il miglior stile Liberty di Milano: Casa Galimberti, progettata tra il 1903 e il 1905 dall’Architetto Giovanni Battista Bossi, commissionato dai fratelli Galimberti.
A rendere unico questo palazzo è il rivestimento della facciata esterna caratterizzata dai motivi floreali/bucolici in cemento e piastrelle in ceramica e ferro battuto. Un mix di materiali che rendono l’edificio la massima espressione del Liberty meneghino.
#4 Arco Buonarroti, davanti ai giardini di Via Palestro
Credits: blogspot.com
Grande, maestoso. Anche in questo caso ci troviamo davanti ad uno dei più grandi esempi
di stile Liberty milanese. Uscendo dalla metropolitana rossa fermata Palestro, si può ammirare l’imponente Arco Buonarroti, con i suoi decori e le sue piastrelle. Realizzato tra il 1926 e il 1930, la struttura è stata progettata da Piero Portaluppi.
Proprio questo Arco è considerato il punto di partenza di quello che i milanesi chiamano il “Quadrilatero del Silenzio”, il cuore dello stile Liberty che ha caratterizzato l’alta borghesia milanese nei primi del ‘900, in contrasto con Quadrilatero della Moda, che si trova al lato opposto di Corso Venezia.
#5 Ca’ de L’oreggia (Palazzo Sola-Brusca)
L’edificio si trova in una zona della città dove l’Art Nouveau raggiunge livelli altissimi. Siamo in Via Serbelloni 10.
Arrivando davanti al palazzo si capisce subito perchè l’edificio si chiama così: di fianco al portone del civico 10 c’è infatti un grande orecchio realizzato in bronzo dallo scultore e disegnatore Adolfo Wildt, nel 1930.
L’artista, con questa opera, voleva mettere in contatto l’esterno del palazzo con la portineria, sostituendo simbolicamente il citofono.
Non resta che scegliere l’itinerario e iniziare il Liberty Tour milanese.
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Dormire in mezzo alla natura non ha equali. Un’occasione per staccare la spina e rilassarsi con il canto degli uccellini, il rumore del ruscello e le chiome degli alberi spostati dal vento: sembra quasi un sogno. Eppure si sa che è quello che molte persone vogliono e cercano, per questo si stanno inventando i luoghi più strani dove poter dormire, purché immersi nella natura.
Dormire in una GIPSY ROULOTTE in Emilia
In questo caso la location non è così particolare, ma una semplice roulotte è diventata alloggio unico dove dormire.
# La Gipsy Roulotte
Credits: airbnb.it Interno Gipsy Roulotte
Gipsy Roulotte è una roulotte vintage degli anni ’70 situata a Cavezzo, in provincia di Modena, e donata da un benefattore dopo il sisma del 2012. Da semplice roulotte è stata sistemata ed è diventata una location particolare dove trascorrere una notte in tranquillità tra campi di raccolto e notti stellate. Con i suoi colori accessi e l’attenzione ai particolari, la roulotte è un piccolo nido per coppie o famiglie: è infatti dotata sia di un letto a castello che di un letto matrimoniale nascosto da tendine per creare intimità.
# Libri, natura e relax
Credits: airbnb.it particolari gipsy roulotte
La Gipsy Roulotte si trova in via Ronchi 39 esattamente dietro al parco di Villa Pacchioni, residenza ricostruita dopo il sisma. Gli ospiti hanno a disposizione l’interno parco circostante la roulotte per conoscere gli animali del giardino, leggersi un libro e rilassarsi. Insomma una location bizzarra per una vacanza alternativa.
# Torna la moda della roulotte
Credits: aribnb.it dietro Gipsy roulotte
Si potrebbe dire che, ormai da qualche anno, è tornata la moda del dormire in posti che un tempo erano amati solo da chi avesse un po’ di spirito di adattamento, perché la comodità non era il loro forte. Ora sono arrivati i glamping che hanno trasformato i campeggi in luoghi di lusso, o i camper super attrezzati e ultratecnologici, che insieme hanno reso più fruibili quegli alloggi prima un po’ ignorati. È qui che entrano in gioco anche le roulotte, come quella gipsy di Cavezzo, che vengono trasformate in location dove vivere esperienze uniche.
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Se i racconti in cui storia, guerra, e macabre vi affascinano, continuate a leggere. Vi porto nell’isola dei morti, sulla sponda del Piave.
Moriago della Battaglia, l’ISOLA dei MORTI
Un’isola di morti. Ma, anche, dedicata ai morti. No, non sto parlando dell’isola di San Michele, che ospita il cimitero monumentale di Venezia—che per altro è un ottimo esempio di isola di morti—ma di un posto un po’ più distante dalla città lagunare, forse più fresco e che sicuramente ha più legami con la Grande Guerra.
Credits: MagicoVeneto.it
Non si tratta nemmeno di una vera e propria isola in senso geografico, quanto più di un lembo di terra baciato dal fiume e dove un tempo si combatte una battaglia che segnò l’inizio della riscossa italiana durante la Prima Guerra Mondiale. Andiamo dalle parti di Treviso, precisamente oltre il Montello, in un piccolo comune con una storia insolita. Siamo a Moriago della Battaglia.
# Moriago, il “primo paese liberato” della Grande Guerra
Correva l’anno 1918, era la fine di ottobre e i giovanissimi soldati italiani continuavano a resistere e combattere, storici ed eroici, contro l’esercito austro-ungarico. Fu così che, nella notte tra il 26 e il 27 ottobre, gli Arditi della 1° Divisione d’Assalto e la Brigata Cuneo del 27° Corpo d’Armata costruirono un ponte di barche sfruttando anche l’Isola Verde, un piccolo lembo di terra lambito dal Piave, ed entrarono a Moriago, riconquistandola l’alba seguente e rendendola di fatto il primo paese liberato. Quella che una volta era chiamata Isola Verde, divenne Isola dei Morti.
Credits: MagicoVeneto.it
Questo nome gli fu tristemente assegnato proprio perché la corrente del Piave vi trascinava i numerosissimi corpi dei soldati caduti durante la Battaglia del Solstizio. Fin dalla fine del conflitto, infatti, il luogo fu deputato alla memoria, colpita dal continuo emergere di resti, di armi e di soldati dalla ghiaia del fiume.
Credits: MagicoVeneto.it
Ad oggi, grazie a un itinerario storico, è possibile percorrere i percorsi interni dell’ampia oasi boscosa, tutti intitolati ai reggimenti che combatterono sul Piave, e raggiungere il piazzale dei “Ragazzi del ’99”, dove sono collocati un monumento piramidale, un tempio votivo alla Madonnina del Piave, cippi e cimeli di guerra.
Credits: MagicoVeneto.it
# Moriago e l’origine del nome
Anche se a un orecchio che lo sente per la prima volta, il nome può ricordare quasi immediatamente i morti sepolti sotto le sue terre, il nome del comune non ha niente a che vedere con i defunti.
Credits: MagicoVeneto.it
“Moriago” sarebbe infatti un prediale—uno di quei nomi dati ai possedimenti in epoca romana in onore di chi li possedeva— e che derivi dal latino Maurellius o Maurilius a cui è stato aggiunto il tipico suffisso -ācum. Altre ipotesi lo avvicinano a “morìa”, in quanto la sua origine sembra essere legata alla distruzione dell’antico villaggio di Nosledo. Secondo una paraetimologia, poi—un processo per cui una parola viene reinterpretata in base ad altre parole a cui somiglia—potrebbe aver a che fare con “muore il lago”, dato che il paese sarebbe sorto al confine con una zona paludosa.
Credits: MagicoVeneto.it
Una piccola nota a margine per i curiosoni linguisti come me. Per quanto sembri di origine latina, il suffisso -ācum, è in realtà originario dell’antica lingua gallica, ed era tipico delle aree geografiche di lingua celtica. È tuttora utilizzato in Francia—soprattutto in Bretagna— e Svizzera, ma anche in Germania, Regno Unito e Irlanda del Nord. In Italia, lo ritroviamo soprattutto al Nord dove, tra Lombardia e Veneto, diventa il caratteristico suffisso -ago che conosciamo.
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Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
Ultime preghiere dei martiri cristiani (1875-1885). Dipinto di Jean-Léon Gérome, collocato presso Walter Art Gallery, Baltimora
La discriminazione porta spesso all’effetto opposto, ossia di rinforzare il gruppo che si vuole indebolire o a volte anche eliminare.
Questo per diversi motivi.
Il primo è che genera un senso di appartenenza e di unione su un tema particolarmente sentito in persone che magari non avevano nulla in comune fino ad allora.
Il secondo motivo è che queste persone che si sentono in pericolo cercano di organizzarsi per difendersi al meglio contro chi le attacca.
Il terzo è che più la discriminazione si fa aggressiva e penalizzante, più si genera una forza contraria. Riuscire a mantenere la propria posizione nonostante attacchi sempre più pesanti allena alla resistenza e finisce con il dare più fiducia agli emarginati.
Queste ragioni spiegano come mai nella storia quasi sempre i gruppi discriminati, che non sono stati eliminati, sono diventati più potenti e spesso hanno sostituito nel comando quelli che li attaccavano.
Si parla in questo periodo di adottare discriminazioni di ogni tipo contro chi non è allineato alla politica dominante. Questo potrebbe far emergere forze nuove e trasversali, con estrazioni sociali ampie e competenze varie, in grado di prendere il potere e di sostituire le attuali forze politiche.
Più forte sarà la discriminazione, più forza avrà il gruppo contro cui la maggioranza indirizza le sue debolezze.
Continua la lettura con: il cavaliere bianco e il cavaliere nero del potere
MILANO CITTA’ STATO
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Com’è chi, per sua libera scelta, prende, mette in valigia tutto quello che ha e si trasferisce a Milano? Queste sono le 7 caratteristiche principali di sceglie di vivere in città.
L’IDENTIKIT di chi SCEGLIE MILANO: le 7 caratteristiche di chi ci viene a vivere
#1 Voglia di cambiamento
Credits: agoravox.it changes
In Italia trovare città come Milano è quasi impossibile. Milano è innovazione, è novità, è la patria delle opportunità, per questo chi sceglie Milano come posto dove abitare spesso è mosso proprio da questo. Ha voglia di cambiare. Una caratteristica che unisce tutti i “neomilanesi”.
#2 Gli/Le sta stretto il suo paese
Credits: girovagate.com Vicolo stretto
Direttamente collegata a questa voglia di cambiamento c’è la sensazione di trovarsi troppo limitati nel loro luogo di origine. Questo non significa non amare le proprie radici o, in generale, trovarsi male nel posto dove si abita, ma piuttosto è il paese a non riuscire a sostenere la persona che vuole trasferirsi. Chi vuole vivere a Milano è ambizioso, pieno di idee che non vedono l’ora di essere realizzate e di avere un luogo dove da semplice sogno possano diventare realtà. E Milano è proprio la scelta giusta.
A Milano si trasferisce chiunque: c’è chi viene da Pizzo Calabro, o in generale dal sud Italia, perché spesso in cerca di opportunità, ma anche chi viene da Torino o dalle città limitrofe al capoluogo lombardo semplicemente perché “Milano è Milano” e sicuramente è alla ricerca di più di quanto si possa immaginare nel paese da cui si arriva.
#3 Sente una grande voglia di esprimere se stesso
Credits: milano.repubblica.it gay pride a Milano
Quante volte si sente dire che i milanesi detestano i non-milanesi: se vengono dal sud Italia sono térun, se provinciali sono giargiana e, se vengono da qualsiasi altra parte, in generale non sono di Milano. In realtà non è così. Certo qualche battuta ad un milanese, sul fatto di non essere della sua città, potrebbe sempre scappare, ma Milano accetta tutti. A Milano puoi esprimere te stesso, senza aver paura dei giudizi degli altri. Anche perchè a Milano si ama la diversità di chi arriva da fuori.
#4 Ha coraggio
Credits: ggallotrainingacademy.com avere coraggio
Immaginatevi una ragazza che viene da un paesino di campagna che prende la decisione di trasferirsi a Milano, niente si può dire se non che sia una ragazza coraggiosa. Sì perché Milano, seppure si continui a ripetere che è grande ma non così grande, per la maggior parte delle persone che viene da fuori è enorme. E poi Milano oltre ad essere grande è tanto, o meglio: è veloce, costantemente in cambiamento e molto pretenziosa. Per (prima) sopravvivere e poi vivere a Milano è inevitabile che bisogna avere coraggio.
#5 Ha fiducia in sé stesso
Credits: stateofmind.it autostima
Solitamente chi si trasferisce nel capoluogo lombardo è molto ambizioso, nonché un vulcano di idee. A questo punto va a Milano perché crede nel suo sogno e in quello che fa, crede in sé stesso.
#6 Sente un’affinità elettiva con Milano
Credits: uptown-milano.it affinità con Milano
È vero che sono le persone a scegliere Milano, ma è anche Milano a scegliere le persone. Chi si trasferisce nel capoluogo lombardo ha proprio voglia di viversi la città, ma soprattutto sente come se fosse la stessa Milano a chiamarla. E dopo il primo periodo di ambientamento arriva a sentire la città come sua, tagliata su misura della sua personalità.
#7 Ha una vocazione internazionale ed europea
Credits:in-domus.it campus Milano internazionale
Milano è la città italiana internazionale per eccellenza, per questo chi si trasferisce a Milano spesso ha una vocazione europea. Vuole conoscere persone da tutto il mondo, ha una mentalità aperta e senza frontiere. Anche perchè da Milano si può vedere il mondo intero.
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Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
Non c’è davvero limite alla fantasia. Nel mondo ci sono abitazioni talmente assurde che si fa fatica a credere che esistano sul serio. Vediamo quali sono.
Le 7 CASE più INCREDIBILI del mondo
#1 Le case degli Hobbit
Credits green-magic-homes – Case Hobbit
Le omonime casette ricordano le case degli Hobbit e ingolosiscono gli amanti del fantasy promettendo un’esperienza fuori dal comune: quella di vivere in uno spazio letteralmente immerso nella natura e perfettamente integrato con l’ambiente circostante. Le casette degli Hobbit sono abitazioni eco-friendly, perché realizzate con materiali naturali e secondo alcuni principi della progettazione passiva e bastano 3 giorni per montarle. Modulabili e adattabili alle esigenze, queste casette prodotte da un’azienda americana vengono ricoperte da un tetto verde che può essere coltivato e piantumato e funge anche da isolante termico naturale. Il modello base è in vendita soli 15.000 dollari.
#2 Arca di Noè o navicella spaziale tra le montagne – Polonia
Credits idealwork.it – Koniecznys-Ark_KWK5
Quest’opera di architettura contemporanea in cemento irrompe in un maestoso paesaggio di montagna, realizzata da Robert Konieczny, architetto e proprietario dell’immobile, è un po’ Arca di Noè, un po’ astronave. Si trova in Polonia e la sua progettazione si è basata sulla conoscenza del territorio e delle problematiche locali, legate alle frane frequenti. Costruita su un unico piano, in realtà ricorda la struttura di un tipico fienile polacco, è stata concepita in modo che una sola parte toccasse il terreno, e la restante seguisse la pendenza della collina. Per accedervi si utilizza un “ponte levatoio” che non è altro che una delle pareti che si apre verso l’esterno.
#3 Il cementificio trasformato in abitazione e studio green a Barcellona – Spagna
Credits pera_studios IG – Il cementificio
Nel 1973 l’architetto spagnolo Ricardo Bofill scopre un cementificio in via di dismissione nella periferia di Barcellona. Decide di comprarlo e convertirlo a proprio studio e abitazione, trasformandolo in una piccola oasi di architettura. Una superficie totale di oltre 3.000 metri quadrati che ospita ogni giorno 40 architetti. Nel progetto di recupero si è prestata particolare attenzione alla rinaturalizzazione dell’area. Nell’area circonstante sono stati piantati eucalipti, palme, olivi, prugni, mimose e rampicanti, mentre al posto dei fumi, dalle ciminiere scendono cascate di verde e in primavera i muri in cemento si tingono di viola.
#4 La casa ecosostenibile incastonata nel Grand canyon – USA
Credits edilcasa.it – Cliff Haven
Cliff Haven è una casa completamente ecosostenibile e autosufficiente costruita tra le rocce rosse del Grand Canyon, nello stato americano dello Utah. Costruita nel 1986, l’abitazione è indipendente dal punto di vista idrico, in quanto l’acqua piovana arriva grazie a un tunnel sotterraneo che consente anche la circolazione dell’aria, ed energetico, grazie a una serie di pannelli solari.
#5 Goose Creek Tower, la “poesia verso il cielo” in Alaska – USA
Credits atlasobscura.co – Goose Creek House
Fuori Talkeetna, in Alaska, c’è una casa stranamente singolare conosciuta dalla gente del posto come Goose Creek Tower. Inizialmente Weidner, il proprietario, aveva previsto solo di costruire una capanna di tronchi a due piani, poi lasciò che la sua mente prese il sopravvento. Un piano dopo l’altro, nell’arco di 20 anni, è arrivato a costruire tra i 14 e i 17 piani, grazie alla sovrapposizione di case sempre più piccole per un’altezza complessiva di circa 56 metri. La casa, dall’aspetto di una torre, è stata soprannominata dal suo proprietario la “poesia verso il cielo”.
#6 Metà casa, metà Yatch è autosufficiente a livello energetico
Credits idealista.it – Livable Yatch
Livable Yacht è un’abitazione che si trova a metà strada tra uno yacht e una villa. La nave è solare e elettrica, dotata di un sistema di purificazione e dell’acqua piovana, con una superficie 250 mq di superficie coperta e 450 mq di superficie totale. Attrezzata con un sistema idraulico di elevazione automatica per evitare di essere colpite da alluvioni e per evitare che gli inquilini possano avere le vertigini, è resistente anche agli uragani di categoria 4. Il prezzo varia tra i 3 e i 5 milioni di dollari.
#7 La casa dei Flinstones a Malibù, California – USA
Credits keblog.it – Casa dei Flinstones
Appartenuta al conduttore televisivo americano Dick Clark, questa casa bizzarra è stata costruita per esserela riproduzione più fedele possibile alla famosa casa dei Flintstones a Bedrock. Di modeste dimensioni, con una stanza da letto e due bagni, ha una forma libera, interni fatti con acciaio e legno ricoperti di cemento per conferire un look roccioso e preistorico e una vista a 360 gradi. Si trova a Malibù, in California
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All’essere umano non basta la terra, vuole anche conquistare i fondali marini. Così, in questo nuovo progetto l’acqua diventa protagonista.
La prima CITTÀ SUBACQUEA del mondo: progettata da un ITALIANO
# J1 Odyssée: Atlantide rinasce al largo di Marsiglia
credits: atelierfemia.com
L’architetto italiano Alfonso Femia ha progettato, con la collaborazione di alcuni progettisti come Roland Carta, Jacques Rougerie e Christiane Schmückle-Mollard, “J1 l’Odyssée”, un rivoluzionario progetto che forse cambierà il nostro modo di concepire gli spazi marini. Il 75% della Terra è coperto da mari e oceani che per noi rappresentano una realtà ancora da esplorare ed è sulla base di questo presupposto che nasce il progetto della città nel mare studiato per la città di Marsiglia.
# Si annulla il confine tra terra e mare
credits: atelierfemia.com
Presto saremo protagonisti della nascita della prima città subacquea tra la baia e l’insenatura del porto di Marsiglia in un complesso di edifici che non si fermerà dove l’acqua incontra la sabbia, ma proseguirà oltre. Il team di architetti ha sviluppato un modo per ridimensionare gli spazi intorno alla facciata archeologica dell’antico avamposto delle strutture portuali, J1. “Quella che prima era solo una linea di confine, ora diventa una linea di contatto” così spiega Alfonso Femia. L’obiettivo è, quindi, quello di ricercare un dialogo tra la terra e il mare, creando un contatto con quella straordinaria risorsa che è l’acqua.
# Un invito nella CITTÀ del FUTURO
credits: atelierfemia.com
Come si vede nel video del Corriere della Sera , il mare si scontra con la tecnologia e dà vita alla “sostenibilità blu”, o economia blu. Femia afferma che la città del futuro è “un invito al viaggio e alla conoscenza, ma anche allo stupore del vedere il mondo sottomarino da dietro a una finestra.”. Egli intende stupirci anche con la straordinarietà del progetto dove mare e architettura diventeranno un’unica cosa. In un totale di 46mila metri quadrati, sarà prevista un’alternanza tra edifici aerei e subacquei e comprenderà anche un ristorante, un museo, un albergo e un centro commerciale.
“L’orizzonte di J1 è quello del mare che si fonde nel cielo e del cielo che si fonde nel mare. Sentilo, scoprilo, sperimentalo a diversi livelli, attraverso mondi diversi, dalla città al porto e dal porto verso il mare; questi sono i sentimenti che guidano tutte le fasi del nostro progetto, cercando sempre questa sospensione tra acqua e aria o tra mare e cielo, in una relazione sempre chiara tra il valore del patrimonio, dell’esistente, di J1, lo spazio pubblico, il porto, lo spazio della scoperta e lo spazio sottomarino.”
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Ormai siamo al tutti contro tutti. Materia del contendere è sempre lei, l’infrastruttura più divisiva di Milano: la “famigerata” ciclabile di corso Buenos Aires. Esplode la protesta dei commercianti: oltre l’80% chiede di toglierla. Furiosi anche gli automobilisti. Ma c’è chi la difende. Vediamo le ultime notizie.
Quel pasticciaccio brutto della CICLABILE di BUENOS AIRES: “ha generato il caos, bisogna toglierla”. La protesta dei commercianti
Per il 92% dei commercianti ha peggiorato il traffico, l’81% chiede di toglierla
Credits: www.mitomorrow.it
Sondaggio di Confcommercio tra le 136 attività di Corso Buenos Aires. Per il 92% ha avuto un impatto negativo sul traffico. Per il 55% anche sugli affari. L’81% chiede che venga tolta. I commercianti chiedono a gran voce che il Comune riveda i piani di sviluppo delle ciclabili e quanto meno sposti suddetta pista ciclabile in altra sede. Gabriel Meghnagi, il Presidente della Associazione ”Ascobaires” che raccoglie la voce dei commercianti del Corso meneghino, denuncia: “ha generato caos” e chiede “un passo indietro riguardo la pista che piace solo a chi usa la bicicletta” e, pare, non sia supportata anche da molte persone che prediligono la mobilità alternativa alle auto ma che ritengono le nuove piste estremamente pericolose.
“Spostarla nelle vie parallele”
Credits: mianews.it
I commercianti chiedono alla Giunta un tavolo di confronto tramite il quale possano essere ascoltati. La loro richiesta è di spostarla nelle vie parallele. Non solo l’ubicazione delle piste ma anche la modalità con la quale sono segnalate e non protette, vedi il caso in cui molte centinaia di metri sono delimitate da strisce disegnate e che utilizzano i mezzi parcheggiati come delimitazione fisica tra chi pedala e chi guida un mezzo, oppure il grande problema del carico e scarico merce con l’impossibilità, anche per pochi secondi, di poter lasciare un mezzo in doppia fila, insomma un insieme di più inopinabili ragioni che mettono a dura prova qualunque difesa venga mossa nei confronti dei lavori tanto voluti dall’Assessore Granelli e supportati da tutta la giunta Sala.
Una pista che si snoda da Piazza San Babila e Villa San Giovanni che idealmente dovrebbe alleggerire il traffico cittadine ma che al momento sta gettando nel caos l’intera zona. A questo va aggiunto il fatto che il traffico, quello vero e endemico di Milano non è ancora ripartito ma che, sperando in una ripresa delle attività a pieno regime, potrebbe portare Milano stretta in una morsa inimmaginabile.
Anche molti cittadini denunciano la ciclabile. C’è chi chiede di eliminarla e chi di rivederla, “vanno tolti i parcheggi, la ciclabile va messa a fianco del marciapiede“, dice Cesare D.
In generale molti cittadini denunciano questa corsa a costruire ciclabili spesso viste come iniziative di greenwashing, realizzate solo per motivi ideologici. Ma che creano un effetto opposto a quello desiderato, ingolfando il traffico, aumentando l’inquinamento e venendo spesso evitate dagli stessi ciclisti perchè abbozzate e costruite a volte in modo approssimativo o perfino pericoloso.
Ma c’è chi si schiera per la ciclabile
Credits: fanpage.it – Ciclabile Viale Monza
Si è alzata anche una levata di scudi per difendere la ciclabile. La voce più forte delle ultime ore è quella del blog UrbanFile che dichiara “la ciclabile di Buenos Aires non si tocca!“. Gran parte dei commenti dei lettori condividono la posizione del blog che difende in primis gli utilizzatori di biciclette e monopattini che hanno trovato nel nuovo tracciato un valido supporto ai loro spostamenti.
Si spera ovviamente si arrivi al più presto ad un tavolo di discussione dove all’approccio ideologico si preferisca un dibattito aperto e sincero che possa portare quanto prima a soluzioni gradita a tutti, bikers, commercianti e abitanti del quartiere e non solo.
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Il Magnet Fishing o Pesca col Magnete è un nuovo sport che si è diffuso in Italia. Ora è arrivato anche a Milano.
Per questo tipo di pesca non è necessario un gancio e nemmeno tutte le attrezzature tradizionali, a dire la verità, non c’è neanche bisogno dei pesci.
Vediamo insieme di che cosa si tratta.
A Milano arriva la PESCA COL MAGNETE: cos’è il Magnet Fishing
# La Pesca col Magnete: in cosa consiste
Credit: @frozen_snake
Nella Pesca con Magnete non serve un gancio e tutte le attrezzature della pesca tradizionale, a dire la verità, non serve neanche un pesce. Questo perché la preda nella Pesca col Magnete è molto diversa da quella della pesca convenzionale.
La Pesca col Magnete è una particolare tecnica che consente di recuperare in acqua ferraglie, monete, ma anche materiali preziosi.
I pescatori magnetici usano lenze a cui sono attaccati potenti magneti con alta forza adesiva. Spesso vengono anche chiamati magneti da recupero, magneti di ricerca, super magneti o magneti al neodimio (che attirano anche oro e argento).
Come funziona? Si lega il magnete a una corda e, una volta fatto roteare, lo si lancia in acqua, recuperandolo lentamente fino a quando si sente aumentare il peso del magnete, segno che la calamita ha agganciato qualcosa.
# Pesca col Magnete: qualche consiglio
Prima di iniziare questo sport bisogna tenere conto che la Pesca col Magnete non è un gioco.
É altamente sconsigliato collegare un magnete domestico a una corda e lanciare la lenza nel fiume più vicino.
I magneti come quelli sul frigorifero non sono uguali a quelli della Pesca col Magnete, questi ultimi possono infatti tirare su anche qualche centinaio di chili.
Serve l’attrezzatura giusta, un posto adatto, tenere in considerazione la cura dell’ambiente e soprattutto farlo in condizioni legali.
# La Pesca col Magnete a Milano: la testimonianza di Giuseppe Trovato
Credit: initalia.virgilio.it
Giuseppe Trovato, membro di “Pesca col Magnete”, uno dei pochi gruppi di Magnet Fishing in Italia ha raccontato la sua esperienza in Darsena a Milano: “Sempre più, nell’ultimo periodo, la gente pubblica ritrovamenti e fa domande. La Pesca col magnete è uno sport che si può fare dappertutto, dove c’è un fiume, un lago, il mare o per esempio in Darsena, come qua a Milano. Basta avere passione e voglia di tornare bambino e fare una caccia al tesoro. In più puliamo l’ambiente. Se si trova qualcosa di interessante ci si è divertiti, se si trovano solo chiodi o tappi non importa”.
Secondo Giuseppe Trovato questo sport si pratica prevalentemente nei paesi del Nord in Friuli e Veneto ci sono ragazzi che vanno e cercano reperti militari.
L’esperto consiglia a chi vuole iniziare a praticare questo sport a Milano di provare in Darsena, la zona molto attiva e popolata è perfetta per questo sport perché si possono trovare moltissimi oggetti persi dai ragazzi durante le serate, come ad esempio i cellulari.
Quando si pratica la pesca tradizionale c’è sempre l’emozione del momento in cui un pesce abbocca all’amo. Con la Pesca col Magnete quest’emozione è triplicata poichè rimane l’effetto sorpresa fino all’ultimo momento.
La calamita ha attaccato qualcosa, che cosa sarà? Una moneta, una chiave, un tappo di una birra, un coltellino svizzero, un anello, un telefono?
# La Pesca col Magnete: uno sport divertente che pulisce l’ambiente
Credit: ilgiornaledeimarinai.it
Ma quanto costa praticare il Magnet Fishing? La spesa per un magnete parte dai 10 fino ai 100 euro per un magnete di ottima qualità, che alla fine è l’unica spesa che serve per la Pesca col Magnete.
Questo sport è adatto a tutti, anche ai bambini curiosi di scoprire cosa si trova nelle acque della loro città.
A questo va anche aggiunto che la Pesca col Magnete è uno sport ecosostenibile perchè aiuta a pulire l’ambiente.
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A Milano e dintorni ci sono tre aeroporti principali, diversi per origine e sviluppo, che rappresentano una parte importante del tessuto urbano lombardo, e che si portano dietro alcune curiosità sconosciute ai non addetti al settore aeronautico. Vediamole assieme.
Storia e curiosità sui TRE AEROPORTI di MILANO
# Linate nasce per il tramonto dell’idrovolante
credits: @filosnet su IG
La storia degli attuali aeroporti civili di Milano ebbe inizio nei primi anni ’30, quando si percepì l’esigenza di dotare la città di uno scalo aereo più moderno ed attrezzato rispetto al campo di volo di Taliedo(Aerodromo d’Italia) primo e unico aeroporto milanese fino ad allora. All’epoca, ad adempiere alle funzioni aeronautiche ci aveva pensato l’Idroscalo, dato che verso la fine degli anni’20 l’idrovolante era considerato ancora il mezzo di trasporto aereo del futuro.
Concepire le piste di lunghezza e portata più imponenti fu semplice, ma era qualcosa che ci mise più di un bel po’ a trovare affermazione pratica, dato che fino al primo conflitto mondiale la maggior parte degli scali terreni era costituita da avio superfici in erba.
La svolta arrivò nel 1932, quando le autorità milanesi inoltrarono a Italo Balbo (all’epoca Ministro dell’Aeronautica) l’invito ad avallare la chiusura del piccolo scalo di Taliedo e a poter progettare un nuovo aeroporto. Ovvero, Milano Linate, inaugurato nel 1937 ed intitolato ad Enrico Forlanini, pioniere dell’aviazione e inventore del moderno elicottero.
La curiosità legata a Linate è purtroppo di natura tragica, in quanto l’aeroporto è stato teatro del più grave incidente nell’aviazione civile italiana. A ottobre del 2001, infatti, un Cessna Citation privato con quattro persone a bordo e un MD 80 della compagnia Scandinava SAS si scontrarono a causa di fitta nebbia ed errate comunicazione fra piloti e torre di controllo, uccidendo tutti i passeggeri, l’equipaggio dei due aerei e alcuni addetti allo scalo bagagli, per un totale di 118 vittime. Sopravvisse solo il signor Pasquale Padovano, quasi completamente ustionato da un getto di carburante infuocato ma salvato in tempo.
Di fronte all’aeroporto, nell’adiacente Parco Forlanini, si può trovare il bosco dei faggi, installazione naturalistica eretta negli anni seguenti alla strage in memoria delle vittime. Oggi, Linate è gestito dalla SEA, che detiene anche il controllo operativo di Malpensa.
# Malpensa, nato come area test di prototipi
credits: @danilo_lavizzari su IG
L’aeroporto di Malpensa è situato nella provincia di Varese, ed è il secondo italiano per traffico di passeggeri, dopo quello di Roma-Fiumicino. Anche se di questi tempi il rimescolamento di slot e compagnie aeree ha confuso un po’ le carte acciaccando non poco il settore trasporti, l’aeroporto principale della Lombardia resta un importante scalo soprattutto per Easyjet, Ryanair e compagnie di voli charter/lungo raggio come Neos e Blue Panorama.
Malpensa nacque sul territorio dell’antica Cascina Malpensa, edificio adibito a campo d’aviazione dove due grandi imprenditori come Caproni e Augusta erano soliti testare i loro prototipi di progetti aeronautici. Siamo nel 1909, e lo sviluppo dell’aviazione lombarda e italiana in generale era solo all’inizio. Durante la seconda guerra mondiale alcune delle sue piste di atterraggio vennero distrutte e, fortunatamente, ci fu chi nel periodo post- bellico si assunse la responsabilità del loro ripristino. Tra questi facoltosi industriali c’era anche il Cavalier Benigno Ajroldi.
L’aeroporto venne ufficialmente aperto al traffico nel 1948, con la denominazione Aeroporto Città di Busto Arsizio. Negli anni del boom economico e in linea con la velocità e l’impegno tipico del Nord Italia, Malpensa crebbe esponenzialmente sia per estensione e per strutture/edifici nati attorno alla sua area, sia per numero di passeggeri trasportati.
Il 2 febbraio 1950 alla presenza dell’ambasciatore statunitense in Italia avvenne il primo collegamento diretto con New York. Gli snodi chiave dello sviluppo sono essenzialmente tre: nel 1960, parte del traffico Alitalia legato ai voli nazionali ed europei fu trasferito presso l’aeroporto cittadino di Linate. Poi va ricordato che l’aeroporto non vide impennarsi il proprio sviluppo fino all’inaugurazione dell’Autostrada Milano Varese nel 1962 e infine, va segnalata l’apertura, nel 1998, del Terminal 1. Inoltre non possiamo dimenticare che nel 2007 e 2008, a causa della crisi di Alitalia, Malpensa viene clamorosamente abbandonata dai voli passeggeri e cargo della compagnia di bandiera, perdendo in un sol colpo 8,5 milioni di passeggeri solo per i transiti.
Le curiosità principali? Recentemente, in occasione dell’EXPO Milano 2015, è stato firmato il progetto di un massiccio piano di ristrutturazione e restyling, che ha portato Malpensa ad aggiudicarsi nel 2015 il premio “Best European Airport” dell’Aci Europe nella categoria 10-25 milioni di passeggeri. Inoltre nel 2019 è stato registrato un record: sono infatti transitati da Malpensa circa 560.000 tonnellate di merci, confermandolo il primo aeroporto italiano per traffico cargo.
# Orio, la regina dei voli low cost
credits: @oriospottedgroup su IG
Non insorgete, amici bergamaschi. Lo sappiamo che Bergamo non è Milano come del resto non lo è Ferno (il comune di Malpensa) ma sapete anche quanto, pur gestito da una società diversa (la SACBO), la stessa destinazione orobica sia venduta come Milano dalla maggior parte dei tour operator e compagnie aeree.
Nato nel 1937 e ben collegato al centro di Milano grazie ad un regolare servizio shuttle, questa struttura non solo è un polo economico e turistico di notevole importanza per l’operoso territorio bergamasco, ma il suo alto grado di efficienza e professionalità lo rende anche motivo d’orgoglio a livello lombardo e nazionale Lo scalo sorge a 5 km di distanza dal centro di Bergamo ed è situato nel comune di Orio al Serio.
Prima della pandemia era il quarto scalo italiano per numero di passeggeri, ma l’aspetto curioso è che per lungo tempo è stato il primo in Italia per numero di passeggeri di voli low cost, grazie anche e soprattutto al colosso dei cieli che risponde al nome di Ryanair.
Le vacanze si avvicinano e molti italiani, lombardi e milanesi partiranno da uno di questi aeroporti per le loro fughe nazionali o internazionali.
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Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
Divide et impera era l’antico motto romano che ha permesso alla repubblica e all’impero di prosperare per secoli.
Il modo più semplice per ottenere il potere è quello di mettere in competizione tra loro tutti quelli che potrebbe metterlo a rischio.
In una democrazia la principale fonte di potere è il popolo. E quindi per governarlo è necessario dividerlo. Tanto più il popolo è diviso e contrapposto tanto più forte sarà il potere dell’autorità.
Questo è un concetto elementare, tramandato nei secoli. Ma c’è un ulteriore livello di sofisticazione del potere che è quello di riuscire a diventare il riferimento di ogni parte in cui il popolo è stato diviso.
E’ il modello del cavaliere bianco e del cavaliere nero. In ogni decisione che ha impatto sul popolo, il potere deve riuscire ad incarnare sia il riferimento per le istanze più a favore del provvedimento che di quelle contrarie.
In questo modo può esercitare la piena autorità sul popolo diviso.
Questo modo di fare è diventato molto evidente durante l’emergenza che stiamo vivendo. Ogni decisione determina non solo una spaccatura tra le persone, ma ha sempre un cavaliere bianco che si erge a difesa di una parte e un cavaliere nero che difende l’aspetto più impopolare del provvedimento. Può essere in un caso un ministro oppure un rappresentante di uno dei partiti della maggioranza.
La strategia è di individuare all’interno del governo i riferimenti di ogni punto di vista che emerge in società. Se il governo riesce ad essere contemporaneamente autorità e opposizione esercita di fatto un potere senza limiti. Creando una relazione empatica tra esponenti del governo e le parti del popolo che si sentono comunque rappresentate.
Il popolo per non trasformare il potere in un abuso dovrebbe cercare di restare unito sulle questioni fondamentali. Anche perché il limite di questa strategia è se ci si accorge che il cavaliere è uno solo ed è quello nero.
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Sembra di essere arrivati in Provenza, ma in realtà siamo a poca distanza da Milano. Qui, tra le colline dell’Oltrepò Pavese, ogni estate succede una magia e tutto si tinge di viola in tutte le sue sfumature
Andiamo a scoprire com’è possibile e fino a quando si può ammirare lo spettacolo.
“L’ORO BLU” che ci fa sognare a UN’ORA DA MILANO
# La raccolta dell’ORO BLU è già iniziata
credits: @barba_rona su IG
Una distesa all’apparenza infinta di fiori lilla e un profumo che ti avvolge in tutta la sua dolcezza, sono diversi i bellissimi campi di lavanda che sono stati realizzati nelle colline dell’Oltrepò. Più di 5mila piante che, nei mesi giusti (maggio e giugno), ci regalano questo magnifico e profumatissimo spettacolo.
Si chiamano lavandeti e l’azienda agricola “Impoggio” di Borgoratto Mormorolo è stata tra le prime a realizzarlo, dieci anni fa. La varietà di lavanda angustifolia, la quale prende anche il nome di “Vera” o “Officinale”, è conosciuta con il nome di “oro blu” proprio per la sua particolare colorazione violacea e blu molto intensa.
# Lo SPETTACOLO non è per TUTTI
credits: @isa_going su IG
Come ricorda il sito siviaggia questa è la stagione migliore per ammirare l’incantevole fioritura che sfortunatamente dura solo fino al 22 giugno. Tuttavia, l’accesso è esclusivo. In quanto proprietà private, vi possono accedere solo coloro che soggiornano nell’agriturismo.
Possiamo trovare diversi lavandeti nell’Oltrepò, il primo tra tutti è quello a Godiasco Salice Terme della Fattoria Cabanon. Qui, oltre al suggestivo paesaggio, si potrà usufruire e comprare numerosi prodotti naturali a base di lavanda. Anche il vino è particolare: una volta raccolti i fiori, le piante vengono utilizzate per creare il terriccio fertile per i terreni.
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Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
Il 2020 è stato un anno difficile che ha lasciato un segno, in un modo o nell’altro, e non ha escluso nessuno. Un anno dove ci siamo visti costretti a rinunciare a un bel pezzo della nostra quotidianità senza sapere quando e se ci sarebbe stata restituita.
Ancora adesso non ne abbiamo l’assoluta certezza, ma con la zona bianca finalmente sentiamo allentare un poco la morsa della pandemia e possiamo tornare a respirare. Il nuovo colore ha, però, portato molti di noi alla consapevolezza di aver rinunciato a tante cose e ci ha permesso di renderci conto di quante siano le piccole cose della vita che abbiamo sempre dato per scontato.
Uno studio svolto dalla compagnia Jabra, specializzata in soluzioni audio e consumer, ci svela quali sono i suoni che più hanno suscitato nostalgia nel resto del mondo e tra gli italiani, come riportato da 4News. Ma vediamo quali sono i primi 5.
I SUONI nel SILENZIO: uno studio svela i 5 suoni che più ci sono MANCATI durante la PANDEMIA. E a Milano?
#1 Musica live e concerti
credits: urbanpost.it
Nell’indagine svolta da questa compagnia risulta che al 65% degli intervistati gli sia mancata, più di ogni altra cosa, la musica live e la musica dei concerti. La musica è sempre stata una delle tante cose che ha contribuito ad unire persone di ogni genere e di ogni età. La pandemia in un certo senso ce l’ha portata via. Certo, non è improvvisamente diventato vietato ascoltare la musica. Tuttavia, assistere a concerti negli stadi, nelle piazze e ballare e cantare con amici e sconosciuti era una grossa parte del divertimento e dell’esperienza. Questo studio ha dimostrato, però, che la pandemia ci ha divisi fisicamente ma non ha diminuito le nostre passioni: il 49% delle persone ha affermato di aver incrementato l’ascolto della musica durante la pandemia.
In Italia, la musica è mancata al 45% circa delle persone e ciò ha portato alla crescita esponenziale dell’ascolto di podcast da parte di donne (26,13%) e uomini (27%) e della radio (40,28% per le donne e 41,30 per gli uomini).
#2 spruzzi d’acqua e risate in piscina
credits: @johnatan_kinoo su IG
Il 74% degli Americani ha affermato che, rispetto alla musica, ciò che è mancato di più è il rumore degli schizzi nell’acqua e delle risate durante le tranquille giornate trascorse al mare o in piscina. La pandemia ci ha abituati al silenzio e alla solitudine, per cui è comprensibile come la semplice risata divertita dei bambini che giocano a schizzarsi nell’acqua riesca a farci sorridere teneramente.
Sono il 60% gli italiani che risultano avere la stessa preferenza.
#3 Rumori delle posate al ristorante
credits: @thecutleryhouse su IG
Posate che graffiano la ceramica dei piatti, bicchieri che cozzano tra loro durante un brindisi, il chiacchiericcio confuso delle persone sono solo alcuni dei suoni tipici del ristorante che mai avremmo pensato ci potessero mancare. Eppure, il 58% degli intervistati ha dimostrato che è così. In particolare, in Umbria si registra un bel 42,86%.
#4 Gli applausi alla fine di uno spettacolo teatrale
credits: @susanj_f_balletpictures su IG
Uno dei momenti più emozionati, per il pubblico e per i musicisti, è l’applauso liberatorio e le standing ovations alla fine di uno spettacolo teatrale. Un applauso che esprime euforia, gioia, soddisfazione e apprezzamento. Per più di un anno, i teatri sono rimasti in silenzio e questo momento è stato rimpianto dal 35,37% (in particolare le donne con il 40,08% mentre gli uomini con il 30,63%).
#5 Il tipico rumore dei bar e dei pub
credits: @aperolspritz_be su IG
La mancanza d’interazione sociale e il desiderio di conversare davanti a un buon aperitivo, con la musica e il vociare di altre persone di sottofondo rappresenta un altro elemento di cui si è sentita molto la mancanza. Il 37,14% ha espresso chiaramente la voglia di movida, di ritornare a passare il sabato sera con gli amici a ballare e mangiare insieme. Tra gli italiano, il primato lo ottiene sempre l’Umbria con il 57,14%.
# Cosa è mancato ai Milanesi?
Tra i suoni che la pandemia ha annullato e di cui i milanesi hanno sentito più la mancanza secondo il sondaggio tra i nostri lettori troviamo sono, a sorpresa, i suoni del traffico e quelli tipici della città. Chi mai avrebbe potuto immaginare che il rombo dei motori di auto e moto, i clacson ripetutamente suonati davanti ad un semaforo verde scattato da pochi secondi, il fischio dei tram che passano sulle rotaie, il suono degli abbonamenti passati ai tornelli della metro, sarebbe potuto mancare a qualcuno? La Milano deserta dei mesi scorsi ha sicuramente fatto sentire i milanesi un po’ smarriti.
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Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
Ha così tante sorprese che l’Italia ci lascia sempre a bocca aperta. Le sue città, i suoi monti, il suo mare e le sue spiagge: un paese che, esteticamente parlando, ha tutto ciò che si possa desiderare. Spesso nasconde meraviglie sconosciute alla maggioranza dei suoi abitanti. Come questa.
Sorprese d’Italia: la SPIAGGIA-PAESE scavata nella ROCCIA (con un mare da sogno)
Tra le sue bellezze nascoste, in Sicilia, esiste una spiaggia letteralmente scavata dentro la roccia. Si tratta della Spiaggia di Pollara, la più bella dell’Isola di Salina nelle Eolie.
# Dove si trova e perché si chiama spiaggia-paese
Credits: @ciccio_ds_ Spiaggia di Pollara
Pollara si trova in un comune di circa 1000 abitanti sull’isola di Salina, Malfa. È raggiungibile attraverso un sentiero scosceso sul mare che dista circa 30 minuti dal centro abitato, ma una volta giunti alla spiaggia di Pollara si può ammirare l’unica spiaggia-paese italiana.
Perché è chiamata “spiaggia-paese”? La spiaggia è circondata dalle pareti rocciose di un vulcano inattivo e sorge proprio sui resti di un cratere sprofondato in mare. La sua particolarità sta però nelle piccole case incastonate nella roccia e oggi diventate depositi delle attrezzature per i pescatori. Questa porzione di spiaggia è raggiungibile attraverso una scalinata tra gli scogli dall’effettiva Spiaggia di Pollara ed è conosciuta come Le Balate e famosa anche perché ambientazione di alcune scene del film “Il Postino”.
# Il tramonto più bello del mondo
Credits: zingarate.com Tramonto dalla Spiaggia di Pollara
Dalla Spiaggia di Pollara si dice, inoltre, che si possa ammirare uno dei tramonti più belli del mondo: il sole, tramontando, colora di rosso fuoco il cielo e illumina le isole di Filicudi e Alicudi.
# Un mare stupendo
Credits: @socialeolie Mare di Pollara
Pollara si trova in Sicilia e già qui si è detto tutto, se poi si specifica che fa parte delle Eolie è inevitabile il fatto che il mare sia stupendo.
# L’arco naturale
Credits: slow-sicily.com Spiaggia di Pollara
Come ricorda poi proiezionidiborsa.it la bellezza dell’area balneare di Pollara non si esaurisce però nella spiaggia-paese, infatti, a pochi metri dalla spiaggia, si può ammirare un arco naturale scavato dal vento nel corso dei secoli. Da mozzare il fiato.
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Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
G.R.A. è l’acronimo utilizzato per il Grande Raccordo Anulare di Roma. Un nome pomposo che non ha eguali al mondo per descrivere il sistema di autostrade di circonvallazione della capitale. Ha l’aspetto di una strada, è trafficata come una strada, è segnalata sulle mappe come una strada. Ma in realtà di grande c’è la burla all’origine del nome.
La GRANDE BURLA: l’origine del nome del GRANDE RACCORDO ANULARE di Roma
# L’unicum della “Circonvallazione romana”
Credit: stradeanas.it
Le dimensioni del Raccordo Anulare, o la mole di traffico, rendono questa strada unica in Italia. 172mila veicoli percorrono quotidianamente il G.R.A., pari a 62 milioni all’anno, un po’ come dire che più di ogni singolo italiano passa per i 68 km di asfalto che circondano Roma.
Il diametro dell’anello cittadino, che raccorda le strade consolari antiche, è di circa 21 km, oltre il casello di Melegnano per Milano, giusto per rendere l’idea.
Il percorso nasce nel 1948 con decreto approvato dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, che sancisce l’inizio realizzazione della “Nuova Strada di Circonvallazione di Roma”, nome che non è mai più stato utilizzato. Al suo posto un nome enfatico, pomposo, noto in tutta Italia. Il GRA, il Grande Raccordo Anulare. Ma perchè si chiama così?
# La Grande Burla del GRA
Sarà che Roma è unica di per sé, fatto sta che il termine di “Circonvalla” viene lasciato a Milano, mentre per una delle strade più importanti della Capitale è stato scelto un altro nome.
Come tutti sanno la circonvallazione di Roma si chiama GRA (senza puntini). Qual è l’origine? Anche se ufficialmente è un acronimo, il termine proviene dal cognome del progettista che l’ha concepita per primo: l’Ingegner Eugenio Gra.
Già Gra. Un progettista dal grande ego. Poiché la legge italiana vieta di intitolare le strade e le vie alle personalità ancora in vita, o decedute da meno di 10 anni, si è studiato un nome, Grande Raccordo Anulare, studiato appositamente per celare dietro un acronimo fittizio, l’omaggio a Eugenio Gra.
# L’autentico GRA
Credit: AutoScout24
L’ing. Gra, nato nel 1886, nella sua vita ricoprì due cariche istituzionali pesanti: Direttore di ANAS e Capo di Gabinetto al Ministero dei Lavori Pubblici.
Non ancora a capo di questi uffici, Gra prese parte al progetto del 1948 della Nuova Circonvallazione di Roma, nonché alla successiva realizzazione tra Appia e Aurelia, inaugurata nel 1951.
Circonvallazione era un termine poco consono per i romani che amano le abbreviazioni. Infatti, fin dai “primi passi” di quest’opera, è diventata consuetudine chiamare la gigantesca arteria come “Il Gra”.
# Una carezza d’asfalto per rispettare i confini dei quartieri romani
Credit: la romana toponomastica
L’anello stradale esterno, a parte brevi tratti, negli anni ’50 e successive fasi di avanzamento, viene realizzato in pieno Agro Romano.
I quartieri suburbani di Roma come li conosciamo noi adesso, non esistevano affatto. La realizzazione del G.R.A., con i suoi svincoli e i primi insediamenti commerciali e industriali nelle sue vicinanze, ha accompagnato, se non propriamente creato l’urbanizzazione della periferia, avvenuta col boom economico.
La caratteristica forse più bella del G.R.A. è che cammina esattamente al confine degli insediamenti “al suo interno” e quelli nati, o presenti “al suo esterno”.
In pratica il G.R.A. non divide mai in due un comprensorio o un suburbio imponendo la sua ingombrante presenza.
Piuttosto il tracciato in Agro Romano ha creato i nuovi confini capitolini, quando si sono creati insediamenti laddove prima era tutta campagna. Ma quel che è di più bello, è che nei brevi tratti di presenza di insediamenti umani, il percorso è stato tracciato rispettando i confini dei quartieri già presenti.
Tanta sensibilità e rispetto in progettazione e realizzazione, sono rimaste intatte anche nei seguenti lavori di ampliamento della sede stradale. La linea teorica dello spartitraffico centrale segue infatti il confine toponomastico dei distretti ormai presenti.
# (Quasi) tutto dentro i confini del Comune di Roma
Credit: SiViaggia
Una strada su cui transitano oltre 60 milioni di veicoli l’anno, ha per forza di cose delle caratteristiche stupefacenti, ma non tutte “fuori dal comune”. Il Grande Raccordo Anulare è infatti quasi del tutto compreso nel comune di Roma. Fanno eccezione pochi metri, all’altezza del km. 43, in cui si trova a lambire il Comune di Ciampino.
Dal punto di vista squisitamente toponomastico, il G.R.A. è la somma di 4 circonvallazioni: Settentrionale (da Aurelia a Nomentana), Orientale (da Nomentana ad Appia Nuova), Meridionale (da Appia Nuova a Ponte di Spinaceto) e Occidentale, che chiude l’anello ritornando in Via Aurelia.
Per questa caratteristica residenza comunale, il G.R.A. è pertanto una strada del Comune a tutti gli effetti.
Sebbene oggi non siano quasi più visibili, o vittime dei lavori di ammodernamento, il Comune di Roma doveva segnalare il Grande Raccordo Anulare, con le classiche targhe toponomastiche presenti in tutto il territorio municipale.
Per ottenere il G.R.A. come lo conosciamo oggi, a tre corsie per ogni senso di marcia, dobbiamo aspettare il Giubileo del 2000: 52 anni di convivenza tra Roma e il G.R.A., dal progetto del 1948, per avere l’anello di fidanzamento completato.
# GRAArt: il percorso d’arte del GRA
Una città a forte vocazione culturale, da sempre vicina anche alla street art, concede il G.R.A. ai percorsi d’arte.
Nel 2018, infatti, è nato GRAArt, un progetto di Urban Art sulle pareti del Raccordo. Da traffico e smog a colore, con la firma di artisti di tutto il mondo, le rampe e gli svincoli raccontano la storia di Roma evidenziando la ricchezza culturale ed artistica di Roma.
# Nato come strada statale, ma senza numero
Quel che è poco considerato, mentre è curiosità degna di nota, è che il G.R.A. nasce come strada statale, ma senza numero.
Il suo nome era S.S. GRA. Oggi invece è a tutti gli effetti un’autostrada, la A90.
Se nell’antica Roma dare i nomi delle strade consolari agli Imperatori responsabili della nuova via era quasi un obbligo, sembrerebbe che l’Ing. Gra non abbia solo dato il proprio nome ad una strada mentre era in vita, lo ha addirittura dato ad un’autostrada.
Non ci vogliamo sbagliare, ma potrebbe essere il primo italiano, in vita, non imperatore, a farlo.
Una burla fenomenale: la grande beffa, in barba a tutte le rigide e invalicabili restrizioni, volute dalle regole italiane.
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