A Milano l’architettura contemporanea domina sempre più il panorama urbano. Ma c’è una strada che custodisce intatta la grande tradizione rinascimentale.
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La strada di Milano dove sembra di tornare al Rinascimento
# Via Rovani, una delle le strade più eleganti di Milano
Maps – Via Rovani
Ci troviamo in via Rovani. La prima cosa che balza agli occhi è il verde che contribuisce a rendere l’atmosfera ancora più elegante. Per il resto la via è costellata di ville e palazzi che si rifanno alla Milano del Rinascimento.
Angolo tra via Rovani e via Sebeto. Credits: @terredilombardia IG
Tra le ville più affascinanti in stile neo-rinascimentale spicca Villa Borletti, al civico 2, e la splendida villa situata all’angolo con via Sommaruga, i cui medaglioni raffigurano membri della famiglia Sforza. Da non perdere anche la palazzina della famiglia Donzelli, costruita nel 1904, che si trova poco distante, in via Gioberti 1.
Lo stile neo-rinascimentale è una caratteristica distintiva anche delle strade circostanti a via Rovani e, in generale, dell’intero quartiere Magenta. Le principali vie del quartiere includono via 20 Settembre e le parallele vie Tamburini e Rovani, che incarnano appieno lo charme senza tempo di questa zona esclusiva della città.
# Villa Borletti
Credits: milanofoto.it Villa Borletti
Al numero di 2 di via Rovani si trova Villa Borletti, accanto alle prestigiose residenze delle famiglie Flack e Recordati. Nel 1935 la villa fu ampliata con l’aggiunta di un avancorpo che si estende verso via Vincenzo Monti. Questo intervento rappresenta il primo progetto milanese di Ignazio Gardella, realizzato nello stile modernista ispirato all’architetto Ludwig Mies van der Rohe. Per quasi un secolo, la villa è appartenuta alla famiglia Borletti, una dinastia industriale di spicco nella Milano del XX secolo. Tuttavia, negli anni ’70, la proprietà fu acquistata da un allora poco noto Silvio Berlusconi.
Durante il periodo Borletti, Milano era guidata da una classe dirigente convenzionale ma, allo stesso tempo, spesso eccentrica. Questa élite era solita abitare in residenze spettacolari, e Villa Borletti, con il suo elegante colore rosa, ne è un perfetto esempio.
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Ci sono bar che, come diceva una celebre canzone di Ligabue, sono luoghi del cuore a tal punto da dargli addirittura del tu. Nella stessa canzone si parlava di un fantomatico posto chiamato Bar Mario. Molti anni prima, Vasco Rossi inneggiava alla vita spericolata, a Steve McQueen e tutto finiva nell’ormai leggendario Roxy Bar. Insomma per farla breve, il bar è un luogo del cuore, un luogo dell’anima, un posto dove s’incontrano amici, dove nascono amicizie, dove la parola “condivisione” è d’obbligo. Certo non tutti i bar sono uguali, ma alcuni sono diventati storici e la loro storia li ha proiettati nella leggenda (un po’ come il Bar Mario e il Roxy Bar). Uno di questi è di sicuro il Bar Jamaica nel cuore di Brera.
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Il Jamaica, il leggendario ritrovo dei grandi artisti di Milano
# Brera la piccola Montmartre milanese
Credits: @jamaicabarmilano Bar Jamaica
A Milano ci sono tanti quartieri con le loro caratteristiche e le loro attrazioni, ma Brera ha sempre rappresentato l’animo bohémienne di Milano. Un luogo di storia, cultura, arte e architettura che si mescolano insieme e creano un posto che richiama ogni anno numerosi turisti. Fa strano pensare che in realtà Brera deriva dal termine “braida” che vuol dire incolta, cosa che in realtà non è proprio. Nelle sue vie e stradine è facile incontrare artisti, pittori, cartomanti e studenti della vicina Accademia di Belle arti, infine i numerosi locali e bar sono luoghi d’incontro che ormai fanno parte della storia di Milano.
# Il Bar Jamaica
Credits: @_triolescano_ Bar Jamaica
Fra i tanti, quello che spicca, soprattutto per la sua semplicità esteriore, è il Bar Jamaica. Perché passando davanti al suo ingresso, non ti verrebbe mai da pensare che parlare del Bar Jamaica vuol dire parlare della storia di Brera e di tutta l’arte italiana del ventesimo secolo.
# Una storia lunga più di un secolo
Credits: jamaicabar.it Bar Jamaica
La sua storia nasce nel 1911 e già dall’inizio si differenzia per essere uno dei primi bar muniti di telefono e macchina del caffè espresso. Diversi personaggi in vista della Milano del tempo iniziano a frequentare il bar, tra questi Benito Mussolini, allora direttore del Popolo d’Italia, e il musicologo Giulio Confalonieri, cui si deve il nome con cui lo conosciamo oggi. La storia narra che Confalonieri, ispirato dal film La Taverna della Jamaica di Alfred Hitchcock, abbia suggerito ai proprietari dell’epoca di chiamare il proprio bar con il nome Jamaica e da qui parte la sua leggenda.
Il bar diventa il luogo prediletto degli artisti che frequentavano la vicina accademia ed è sempre qui che trovano spazio per le loro prime mostre che si scontravano con i tradizionalisti dell’arte. In breve tempo il bar Jamaica diventa il Caffè degli Artisti, una sorta di “casa” per le personalità della vita intellettuale milanese, un luogo, dove incontrarsi e discutere, litigare, scambiare idee, ma anche solo per fare una partita a carte, bersi un buon caffè e un ottimo bianchino.
# I frequentatori del bar
Piero Manzoni, Lucio Fontana, Germano Lombardi, Nanni Balestrini, Giuseppe Ungaretti, Salvatore Quasimodo sono solo alcuni nomi che gravitano attorno e dentro il bar in quegli anni. Lo scrittore Luciano Bianciardi ha dichiarato che i conforti alcolici del Bar Jamaica lo hanno aiutato e ispirato a scrivere il suo capolavoro La Vita Agra.
# La svolta
Credits: @casa.dei.tre.oci Bar Jamaica
Elio Mainini, figlio della storica proprietaria e fondatrice, prende in mano le redini del bar e, oltre ai vini, comincia a proporre diversi cocktail e aggiungere piatti da degustazione. Da questa intuizione al bar fanno la loro comparsa il carpaccio, tartine e tramezzini raffinati e le Caesar Salad d’importazione americana. Sono gli anni in cui si affacciano fotografi che ambiscono allo status d’intellettuali al pari dei pittori e scultori. D’altronde la fotografia è disegnare con la luce. Sono gli anni di Ugo Mulas, Mario Dondero, Alfa Castaldi e Guido Aristarco. Alla fine degli anni settanta il sindaco di Milano premia il Bar Jamaica per aver portato a Brera l’arte a 360 gradi, un lavoro che ha portato Milano a diventare una capitale dell’arte moderna al pari di Parigi o Londra.
# Il presente
Credits: @jamaicabarmilano Bar Jamaica
Il Jamaica, come viene chiamato amichevolmente, è ancora lì. Il quartiere e tutto il circondario ha subito numerosi e notevoli cambiamenti. Sono stati aperti diversi locali, la gente stessa è cambiata, ciò che rimasto immutato è il fascino discreto del Bar Jamaica. Un posto dove la gente, che ha trascorso la sua giovinezza tra quelle mura, è tornata per scherzare, litigare e ricordare i tempi che furono. Tutto può cambiare, ma i ricordi, le leggende, gli aneddoti continuano a vivere e lo faranno per sempre. E fortunatamente ci sono ancora gli eredi di Elio Mainini che portano avanti il bar, perché questo non è solo un posto dove si beve un caffè o un aperitivo, ma un luogo dove la tradizione non è morta e la passione è rimasta quella di sempre. Proprio come quei bar cui dai del tu.
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L’unico esempio rimasto a Milano di “grande casa da nobile“. Era anche lo storico ritrovo degli “Scapigliati” di Milano. Ma dove si trova? E che cosa la rende così unica?
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Questa è l’ultima «grande casa da nobile» di Milano
# Quando via Vivaio era la meta preferita dagli scapigliati
Celebre per essere la via dell’Istituto dei Ciechi, nella seconda metà dell’Ottocento via Vivaio era il ritrovo degli Scapigliati milanesi. In particolare, due erano i luoghi in cui si davano appuntamento: l’osteria del Polpetta e il giardino dei Cicogna. A quei tempi corso Monforte terminava sui bastioni chiusi dalle larghe ombre di ippocastani giganteschi, in mezzo ai bei giardini patrizi.
Il ritrovo a mezzogiorno era dal Polpetta, sull’angolo di via Conservatorio. La polpetta milanese, piatto povero e di recupero per antonomasia, era così popolare fra gli Scapigliati che il poeta e commediografo Ferdinando Fontana compose “la Polpetta del Re”.
Il mezzo di collegamento con questa zona di atmosfere bucoliche era un omnibus color verde pisello. Via Vivaioera una zona campestre, con solo un paio di case moderne accanto a un paio di antiche case rurali: la costruzione più importante era Palazzo Cicogna.
# Palazzo Cicogna: l’unico esempio rimasto a Milano di “grande casa da nobile”
Palazzo Cicogna è visitabile in alcuni periodi dell’anno e con ingresso da corso Monforte e via San Damiano. Uno dei motivi di attrazione sono i giardini che hanno preservato la stessa tipologia floreale del ‘700, con le siepi che mantengono la sobrietà del tempo.
Il palazzo è considerato l’unico esempio rimasto a Milano che abbia conservato l’aspetto di una “grande casa da nobile”. Il palazzo fu costruito nel ‘500 in stile rinascimentale dalla famiglia Arrigoni. Nell’Ottocento diventò proprietà del conte Cicogna Mozzoni che fece chiudere il cortile verso corso Monforte con una decorazione romantica dell’architetto Sanquirico. Tale costruzione neogotica fu molto criticata perché in contrasto con l’aspetto sobrio del cortile.
# Affreschi del ‘600, soffitti in legno con cassettoni in oro zecchino, maioliche dipinte a mano
Solo nel 1973, a distanza di 150 anni, è stata ripristinata l’antica facciata in tinta unita ed è stato completato il cortile con una quarta facciata in stile rinascimentale, identica a quella originale. La facciata verso il giardino, posta oggi anche su via Mozart, venne ristrutturata nel 1906 nell’originale stile barocco dall’architetto Alemagna. “Lo Studio contiene affreschi del ‘600 appena restaurati” spiega l’avvocato Campagnolo ospitato nel palazzo, “soffitti in legno con cassettoni in oro zecchino, maioliche dipinte a mano, specchiere del ‘700, statue in marmo, camini decorati con stemmi in ferro battuto. Il complesso con annesso giardino originariamente occupava tutto il borgo Monforte, solo nel 1929/30 fu creata via Mozart che tagliò il parco. Dal lato che dava su via Vivaio l’area era coltivata ad ortaglia e qui, grazie a una intraprendente famiglia di portinai, ebbe origine la Scapigliatura milanese“.
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Oliviero Toscani, il celebre fotografo e pubblicitario italiano, è deceduto stanotte all’ospedale di Cecina. Lascia un grande vuoto nel mondo della fotografia e della comunicazione visiva. La sua carriera è stata caratterizzata da un approccio audace e innovativo, che ha sfidato le convenzioni e ha spinto i confini della creatività. Toscani era noto per le sue campagne pubblicitarie provocatorie, in particolare per il marchio Benetton, che ha utilizzato per affrontare tematiche sociali e politiche, portando l’attenzione su questioni come il razzismo, l’AIDS e i diritti umani.
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Ciao, Oliviero: il ricordo di Toscani, un milanese dissacrante
toscani
# Una vita dissacrante all’insegna di arte e attivismo
Nato nel 1942 a Milano, Toscani ha iniziato la sua carriera nel mondo della fotografia all’inizio degli anni ’60. La sua formazione artistica lo ha portato a sviluppare uno stile unico, caratterizzato da immagini potenti e messaggi forti. Nel corso degli anni, ha collaborato con numerosi marchi e ha lavorato a progetti che hanno avuto un impatto duraturo sulla cultura visiva contemporanea.
Una delle sue campagne più famose è stata quella per Benetton, che ha scatenato dibattiti e controversie in tutto il mondo. Toscani ha utilizzato il potere della fotografia per affrontare argomenti delicati, creando immagini che hanno colpito nel segno e costretto il pubblico a riflettere. La sua capacità di unire arte e attivismo ha ispirato molti e ha contribuito a cambiare il modo in cui la pubblicità viene percepita.
Oliviero Toscani non si è mai limitato a seguire le tendenze; piuttosto, ha cercato di crearle. La sua visione artistica e la sua passione per la fotografia lo hanno portato a esplorare una vasta gamma di temi, dall’identità culturale alla sostenibilità. Ha collaborato con artisti, designer e intellettuali, creando un dialogo tra diverse forme di espressione e contribuendo a una comprensione più profonda delle sfide contemporanee.
# Un intellettuale fuori dagli schemi
Oltre alla sua carriera nel campo della fotografia, Toscani era anche un intellettuale, un pensatore critico che ha sempre messo in discussione le norme sociali. Ha scritto libri e tenuto conferenze in tutto il mondo, condividendo le sue idee e il suo approccio unico alla creatività. Le sue riflessioni su temi come la bellezza, la verità e la responsabilità sociale hanno lasciato un segno indelebile nei cuori e nelle menti di molti.
Le immagini di Toscani non sono semplici fotografie: sono dichiarazioni, provocazioni, inviti alla riflessione. La sua capacità di utilizzare la fotografia come strumento di cambiamento sociale è stata pionieristica e ha aperto la strada a molti altri artisti e creativi.
# La scomparsa di un personaggio che scompaginava lo status quo
Con la scomparsa di Oliviero Toscani, il mondo perde non solo un grande fotografo, ma anche un visionario che ha saputo utilizzare l’arte per affrontare le verità scomode della società. La sua vita e la sua carriera ci ricordano l’importanza di usare la creatività come mezzo per comunicare e per stimolare il cambiamento. In un’epoca in cui l’immagine e la comunicazione visiva sono più rilevanti che mai, il suo lavoro rimane un faro di ispirazione.
La sua figura continuerà a vivere nelle gallerie d’arte, nei libri e nelle campagne pubblicitarie che ha creato. Ogni scatto, ogni campagna, ogni parola scritta porta con sé il suo spirito e la sua passione per la verità. Oliviero Toscani ci ha insegnato a guardare oltre l’apparenza e a cercare il significato profondo che si cela dietro le immagini.
La morte di Oliviero Toscani segna la fine di un’era, ma il suo impatto continuerà a influenzare generazioni di artisti e creativi. La sua eredità è un invito a riflettere, a provocare e a utilizzare l’arte come mezzo per affrontare le sfide del nostro tempo. La sua vita è stata un viaggio straordinario, e il mondo della fotografia non sarà mai più lo stesso senza di lui.
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Un tempo l’uscita del terrore era quella di Linate, sulla tangenziale Est. Per molti anni è stata l’unica uscita che si doveva prendere a sinistra, ossia dalla corsia di sorpasso. Il suo posto tra gli incubi degli automobilisti che arrivano a Milano l’ha preso quest’altra uscita, molto nota a tutti i milanesi.
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L’«uscita thrilling» della tangenziale di Milano
# La “tangenziale” dei milanesi e la sua uscita thrilling
Uscita Viale Certosa
Il primo dilemma è sul nome. Ufficialmente siamo sulla A4, ma di fatto è una tangenziale. Si tratta del tratto autostradale della A4 a nord di Milano, che per i milanesi è una tangenziale dato che scorre in maniera lineare appena oltre il confine comunale con tre importanti svincoli che consentono di entrare in città. Arrivando da Est ci si ritrova in una uscita da film dell’orrore. Chi si è trovato in questo svincolo almeno una volta sa di cosa stiamo parlando, come Ercolemy che ci scrive così: “L’uscita Milano Certosa Ospedale Sacco in direzione Torino è pericolosissima. Mentre si esce altri entrano ad alte velocità.”
Nello svincolo autostradale per Viale Certosa si innestano i flussi dei veicoli provenienti dall’Autostrada dei Laghi A8 e quelli dall’Autostrada A4 verso Trieste, entrambe con due corsie. Non solo: a loro si aggiunge l’uscita dell’A4 in direzione Torino a una sola corsia.
Uscita da A4 verso Viale Certosa
Come si può vedere dalle immagini street view di google, che fotografano l’uscita sia dal lato anteriore che posteriore dei veicoli, si può notare come quelli che percorrono le 4 corsie arrivino dal lato destro rispetto a chi si immette dall’unica corsia “tangenziale”. Solitamente un guidatore gira lo sguardo sul lato sinistro dato che chi arriva da destra generalmente lo fa più lentamente, perché appena entrato da un casello o uscito da un’area di servizio. In questo caso non può essere così perché ci sono tre flussi autostradali che convertono in un unico punto.
A questo si aggiunge il fatto che auto e camion viaggiano a velocità sostenuta rendendo questo svincolo decisamente pericolosoper chi, proveniente dalla “tangenziale”, deve inserirsi nella corsia più a sinistra.Quest’ultima infatti si unisce, diventando una corsia sola, all’uscita proveniente dalla “tangenziale”.
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Milano è un frullato di culture: fondata dai Celti, conquistata dai Romani, invasa dai Longobardi, dai Franchi, preda di Francesi, Spagnoli, Austriaci sino alla unificazione d’Italia. “[…] in queste condizioni si è formato il suo dialetto, vera e propria lingua che ha risentito di tutte le influenze culturali che l’hanno attraversata” dicono Enrico Casati, Guglielmo Scandolara e Roberto Villa, gli autori di Omnibus, Proverbi e modi di dire per vecchi e nuovi milanesi, tomo in cui 500 tra i più famosi modi di dire milanesi vengono spiegati e tradotti nelle principalilingue, inglese, tedesco, spagnolo, francese, russo, cinese, giapponese, arabo.
“I miei preferiti sono quelli storici o che raccontano uno spaccato della nostra storia di milanesi” mi racconta uno degli autori, Roberto Villa. Sfogliamo insieme il dizionario ed ecco i…
10 modi di dire divertenti a Milano
#1 Va’ a Bàgg a sonà l’orghén
Credits: Organo chiesa vecchia di Baggio | screanzatopo (YouTube)
Va’ a Baggio a suonare l’organo.
E’ un invito a fare qualcosa di impossibile visto che la chiesa di S. Apollinare a Baggio era sprovvista dell’organo, e pertanto nessuno lo poteva suonare. Sulla genesi del motto ci sono diverse interpretazioni: la più famosa di esse racconta che in realtà ci fosse un piccolo organo in chiesa, ma solo dipinto sul muro. Un’altra versione racconta che i soldati napoleonici avessero asportato le canne dell’organo per farne cannoni rendendo così lo strumento inutilizzabile.
#2 Offellée fà el tò mestée
credit: pasticceriamarchesi.com
Pasticciere, fa’ il tuo mestiere.
Detto a chi vuole impicciarsi o mostrarsi esperto in faccende di cui non ha esperienza. In altri termini: “a ognuno il suo” e si riferisce al DNA del milanese, schietto e concreto, che non ama chi si improvvisa. Un’espressione simile era in uso presso gli antichi romani: “Sutor ne ultra crepidam”, cioè “calzolaio non andare oltre la scarpa”. Insomma, un sempreverde invito a una sana umiltà.
#3 Andà a óff
Andare a ufo, a scrocco
Risale al XIV secolo quando le imbarcazioni, che navigavano i Navigli per portare in città i marmi destinati alla costruzione del Duomo, recavano la scritta A.U.Fa. cioé Ad Usum Fabricae, ovvero “materiale per la fabbrica (del Duomo)”. Grazie a quella scritta erano esenti dai dazi. Già allora vi erano dei furbi che sfruttavano la dicitura senza averne il titolo.
#4 Restà lì cóme quéll de la maschérpa
Restare lì come quello del mascarpone.
Si riferisce all’espressione sbigottita di chi rimane sorpreso da un avvenimento inaspettato. Il detto risale alla dominazione austriaca, quando si dice che un tizio fosse solito evitare di pagare il dazio per l’importazione in città di generi alimentari nascondendoli sotto un voluminoso cilindro sul capo. Un giorno però incontrò una bella signora, si levò il cappello in segno di galante riverenza e fece cadere a terra il mascarpone celato svelando alle guardie il suo trucco.
#5 Ghe voeur vint ghèj de tram a giràgh in gìr
Ci vogliono venti soldi in tram per girargli intorno
Detto ironico all’indirizzo delle persone grasse, per girare intorno alle quali è necessario fare un biglietto del tram, e di ben venti centesimi, come se fosse il giro di mezza città.
#6 Chi vòlta el cuu a Milan, le vòlta al pan
Chi volta il culo a Milano, lo volta al pane
Milano ha sempre dato da mangiare a tutti grazie alla laboriosità e alla concretezza della sua gente, lasciarla significa perdere un reddito certo.
#7 A trovà i parént a Milàn bisògna andà cói pée in man
A trovare i parenti a Milano bisògna andare con i piedi in mano
La gente di campagna, quando andava a trovare i parenti in città, era solita mostrare la propria generosità portando in dono il frutto del proprio lavoro, ovvero ruspanti galline tenute salde per le zampe.
#8 Milàn e poeu puu
Milano e poi più nulla I milanesi si sentono orgogliosi delle loro risorse, della intraprendenza e della dinamicità della loro città, luogo dove tutto è possibile, tanto da renderla unica e ineguagliabile al confronto con altre metropoli, non solo italiane.
Tiriamo avanti!
La frase venne pronunciata da Antonio ‘Amatore’ Sciesa prima di essere condannato a morte dagli Austriaci nel 1851 per non aver voluto confessare il nome dei compagni che cospiravano contro il Governo del Regno Lombardo-Veneto. Non cedette nemmeno dopo che le guardie lo fecero appositamente transitare sotto le finestre della sua casa. Oggi viene detto dalle persone determinate che non si pentono delle proprie scelte e non conoscono ripensamenti. Fuori dal senso storico, è usato anche per invitare qualcuno a non indugiare più del dovuto.
#10 I legg de Milàn dùren d’incoeu finna a dimàn
Le leggi di Milano durano dall’oggi al domani.
Il proverbio nacque al tempo in cui Milano era sotto la dominazione spagnola e non passava giorno senza che il governatore emanasse una nuova ‘grida’, annunciata in pompa magna alla popolazione agli angoli delle strade, ma poi puntualmente disattesa.
Elenco realizzato con il contributo di Roberto Villa | Immagine copertina: riproduzione del dipinto di Emilio Nava, Il Venditore di Tappeti Volanti
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Sul ponte sospeso tra gli alberi più lungo del mondo si può essere come un uccello che vola tra i tetti. Ma dove si trova? E quanto è lungo?
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Il ponte sospeso tra gli alberi più lungo del mondo
Può esistere un ponte sospeso tra gli alberi che permette di vivere un’esperienza straordinaria, passeggiando sul “tetto” di una foresta come un uccello vola sui tetti delle nostre case? Pare di sì, e sarà una passeggiata piuttosto lunga oltre che emozionante, visto che non è un ponte sospeso qualsiasi, ma il ponte tra gli alberi più lungo del mondo.
Dove si trova? E soprattutto: quanto è lungo? Scopriamolo insieme.
# Come un uccello sui tetti, ma della foresta
credit: returntonow.net
Tutti abbiamo pensato almeno una volta nella vita “se avessi dei superpoteri vorrei…” e molto spesso la frase finiva con “volare”. Volare è una capacità che l’uomo ha sempre invidiato agli uccelli, sino a tentare di imitarli costruendo grandi volatili di metallo. Sfortunatamente non abbiamo ancora imparato a volare ma se volessimo sentirci come un uccello che sorvola sui rooftop delle città, potremmo realizzare il nostro desiderio ad Anakeesta.
# Una passeggiata di quasi 300 metri sospesi a 20 metri di altezza
credit: returntonow.net
Cos’è Anakeesta? E’ un grandissimo parco avventura all’aperto che offre la possibilità di fluttuare tra la foresta grazie al ponte sospeso tra gli alberi più lungo del mondo. Ci troviamo in Tennesse, più precisamente a Gatlinburg, un piccolo paesino di montagna sulle Smoky Mountains. Qui le zipline e le cabinovie sono solo alcune tra le attività a disposizione, ma il vero principe del parco è indubbiamente il ponte con i suoi 20 metri di altezza. E’ stato pensato per essere molto resistente e per questo non è costituito da un unico ponte ma da una serie di 16 spettacolari ponti tra un albero e l’altro, sino a raggiungere una lunghezza di ben 270 metri.
# Un ponte tanto suggestivo quanto resistente
credit: returntonow.net
Durante la passeggiata sul “tetto” della foresta, se si guarda con attenzione, si possono scorgere orsi, picchi e altri animali che vivono nelle Smoky Mountains. L’immersione nella natura è totale e la si vive da una dimensione insolita, quella dell’aria.
In Aprile purtroppo una forte tempesta si è abbattuta sul parco e molti alberi sono caduti, danneggiando il ponte. Nonostante ciò la suggestiva struttura ha dimostrato di essere sufficientemente resistente per restare in piedi, infatti solo 5 dei ponticelli che lo costituiscono sono crollati, mentre gli altri 11 sono tutt’ora aperti al pubblico.
Se prima rispondere “volare” alla domanda “quale superpotere vorresti avere?” sembrava davvero un’opzione surreale, dopo un’esperienza fluttuante sul ponte sospeso tra gli alberi più lungo del mondo lo sembrerà un po’ meno.
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Milano avrà una piazza della libertà. Non solo: ci saranno anche il Parade Ground e il Liberty Building: scopriamo il progetto nel dettaglio con rendering e immagini dal cantiere.
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Milano vuole fare l’americana: a che punto è la nuova Piazza della Libertà?
# Nel 2021 il restauro della palazzina Liberty dell’ex Tiro a Segno
Tiro a Segno riqualificato
Alla Cagnola, in piazzale Accursio, sta nascendo la nuova casa del Consolato Generale USA. Il primo segno di cambiamento nell’area è avvenuto nel 2021 con la riqualificazione della palazzina Liberty dell’ex Tiro a Segno del 1905. I lavori nel cantiere per la costruzione del nuovo complesso edilizio sono partiti nel 2022. La realizzazione del progetto è coordinata dal Bureau of Overseas Buildings Operations, agenzia governativa USA responsabile della supervisione della costruzione e della gestione delle strutture diplomatiche statunitensi in tutto il mondo. Per la progettazione e l’esecuzione sono state scelte due realtà statunitensi, rispettivamente la newyorkese SHoP Architects e la Caddell Construction Company LCC.
# Il progetto si sviluppa su un’area di 4 ettari e si caratterizza per tre elementi distintivi
Nuovo Consolato USA a Milano
L’investimento previsto è di 351 milioni di dollari. Il progetto si sviluppa su un’area di quattro ettari e prevede la riqualificazione, oltre a quella già terminata dell’edificio dell’ex Tiro a Segno, anche del Cortile liberty e della Piazza d’Armi. Questa zona è stata pensata come cornice della Cancelleria e come spazio condiviso e punto di accesso al complesso, accogliendo i visitatori e il personale.
Mappa Consolato
Il nuovo Consolato USA si caratterizza per tre principali elementi.
#1 La Liberty Plaza
Palazzina Liberty e Liberty Plaza
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Cortile Liberty
Bar nella palazzina Liberty
Di forma triangolare con giardino pubblico, la “piazza della libertà” sarà uno spazio di accesso all’edificio restaurato e dedicato, una volta inaugurato, a mostre ed eventi, con galleria espositiva per mostrare immagini della storia del sito e dell’area circostante. All’interno anche un bar che rende omaggio allo storico caffè presente un tempo.
#2 Il Parade Ground
Rendering padiglione e piazza d'Armi
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Rendering padiglione ad arcate ricostruito
Specchio d'acqua e piazza d'Armi sul retro edificio ex Tiro a Segno
Palazzina Liberty ex Tiro a Segno e Liberty Building
Sarà un luogo di ritrovo e per eventi, con un padiglione ad arcate posto di fronte all’edificio principale da ricostruire identico all’originale, demolito a causa della suo pessimo stato di conservazione, e affacciato su uno specchio d’acqua di 120 mq.
#3 Il Liberty Building
Liberty Building
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Liberty Building
Torre Consolato
Altra vista nuovo edificio consolato
Vista laterale edificio consolato
Interno nuovo edificio
Vista interna Consolato
Altra vista interna consolato
Edifici bassi Consolato
In fondo all’area troviamo il Liberty Building, destinato alla cancelleria e agli uffici, e formato da due volumi: una torre di cinque piani sopra ad un basamento di forma orizzontale. La facciata si compone di pannelli in pietra di fabbrica e lavorata digitalmente in colore crema, a richiama gli edifici del centro storico e nelle piazze di Milano e di altre città italiane. I pannelli sfumano da trasparente a solido, dal basso verso l’alto. L’effetto evoca una base rustica, con una colorazione che richiama richiama i toni rustici dei tetti in terracotta e delle colonne lignee del Padiglione e della Palazzina Liberty. All’esterno alberi e giardini sono intervallati ad ampie sedute. Si affiancano poi due modesti edifici a terra in mattoni.
# Preservate strutture murarie e inserite opere d’arte nei giardini
Resti di mura
Si prevede poi il mantenimento a vista delle storiche strutture in muratura, a testimonianza del passato del luogo.
Scultura Wave-Cave
A lato della piazza d’Armi, frontale all’estremità padiglione ad arcate, è prevista la posa della struttura autoportante in terracotta Wave/Cave progettata da SHoP Architects e da NBA Keramik, costruita originariamente per la mostra “Material Immaterial” di Interni al FuoriSalone del 2017.
Scultura Beverly Pepper
All’entrata della Palazzina Liberty una scultura di Beverly Pepper.
# Le immagini dal cantiere e la data prevista di fine lavori
Urbanfile - Mockup edificio consolato
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Urbanfile - Cantiere Consolato
Urbanfile - Cantiere Consolato altra vista
Urbanfile - Mockup edificio consolato
L’ultimo fotoreportage di Urbanfile mostra lo stato dei lavori e un mockup al naturale del revestimento finale della facciata della parte centrale del Liberty Building. Il cronoprogramma prevede la conclusione dei lavori per la fine del 2025.
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Ci sono diverse cose da sistemare, soprattutto al Terminal 1: lo segnala Manuele Mariani. Vediamo quali sono gli interventi da fare
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Quello che manca a Malpensa per volare più in alto
# Le panchine negli spazi esterni
Manuele Mariani - Area esterna Malpensa
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Manuele Mariani - Area esterna Malpensa
Manuele Mariani - Panchina senza schienale
Manuele Mariani - Panchina girata nel senso opposto
Lo scalo è fresco di cambio del nome in Aeroporto internazionale Milano-Malpensa “Silvio Berlusconi”, dopo la bocciatura dell’istanza di sospensiva da parte del Tar, ma il cambio di nome non basta: serve una bella sistemata. In particolare, il Terminal 1 ha diverse pecche e cose che non funzionano. All’esterno, al piano arrivi presso l’area bus, è praticamente impossibile sedersi. Rimangono esclusivamente due vecchie panchine di quando ancora si chiamava Malpensa 2000, negli anni ’90, di cui solo una è integra: l’altra è senza schienale e rivolta nel senso sbagliato.
# All’interno mancano i divanetti e le prese di ricarica nella “piazza del lusso”
piccolocatus IG – Negozi lusso Malpensa
Problemi anche all’interno, addirittura nella piazza del lusso: sono presenti tutti i marchi di moda più famosi, ma non ci sono divanetti e chaise longue dove stendere le gambe e nemmeno le prese per ricaricare i dispositivi elettronici. Siamo all’ABC.
# Sparita la food court fatta per Expo2015 e no area giochi
La food court a Malpensa (che ora non c’è più) ph. archilovers.com
C’era ai tempi di Expo2015, era stata realizzata proprio per quell’occasione. Da tempo la food court non esiste più: è stata smantellata per aumentare i varchi di controllo passaporto per gli imbarchi B extra Schengen.
Zero spazi anche per lo svago. Gli aeroporti internazionali sono soliti avere aree giochi destinati ai più piccoli, l’Aeroporto di Malpensa non è tra quelli a metterne a disposizione una.
# I monitor non funzionano
Manuele Mariani – Monitor che non funzionano
Agli arrivi sono pochi i monitor, quelli accanto alla riconsegna bagagli, che funzionano. E quelli attivi mostrano le informazioni relativi ai treni in partenza da Milano invece che dall’aeroporto. Per chi avesse dei bagagli a mano da trasportare, mancano i carrellini duty free dove appoggiarli.
# Da smantellare i muri che ostruiscono la vista degli schermi
Manuele Mariani – Muri agli arrivi
Andrebbero poi rimossi i muri che ostruiscono la visuale dei monitor. Inoltre questi monitor non indicano in modo chiaro ai passeggeri in arrivo e a chi li attende se si trovano all’imbarco A o B. Identico problema è presente per le partenze. Si dovrebbero dividere le informazioni su schermi differenti: da una parte i voli diretti o in partenza dall’imbarco A o B. Un terzo schermo andrebbe dedicato al Terminal 2.
# Manca l’insegna Malpensa al Terminal 1
Manuele Mariani – Terminal 1 Fiumicino
Dulcis in fundonon c’è nemmeno l’insegna del Terminal 1, sia dal lato della strada che da quello delle piste, cosa che c’è invece al Terminal 2. Basterebbe fare come a Fiumicino, mettendo delle semplici scritte adesive sulle vetrate.
E a proposito di insegne: a Milano città non ci sono cartelli per Malpensa, ma solo per Linate. Qualcuno se ne è mai accorto?
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Il palazzo misterioso. Lo si vede già dal citofono. Lo abitano “Fuoco”, “Vento” e “Terra”. Un liberty che profuma di gotico. Sarebbe l’ambientazione ideale per uno dei film di Tim Burton, tipo Edward Mani di Forbice o Batman. In sintesi, uno spettacolo che non tutti i milanesi conoscono.
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I segreti del palazzo più misterioso di Milano, dove vivono “Fuoco”, “Vento” e “Terra”
# Un palazzo romanticamente inquietante, nato da una visione di Arata
Ph. andreacherchi_foto IG
Ci troviamo in zona Buenos Aires. All’angolo tra via Settembrini e via Boscovich con la sua facciata in mattoni a vista, uno scenografico palazzo spicca tra le costruzioni della zona. Dall’aspetto austero e imponente, con particolari eccentrici e inquietanti.
Un palazzo spettacolare, unico nel suo genere: si tratta di Casa Felisari, o Palazzo Pathè, un’estrosa creazione dell’architetto visionario Giulio Ulisse Arata, esponente della Belle Époque e dell’Art Nouveau a cui si deve anche un’altra bellezza Liberty spettacolare di Milano: Casa Berri-Meregalli in via Cappuccini, il “palazzo più eclettico di Milano”. Ma torniamo a Casa Felisari.
# Una commistione di stili che conferisce originalità e impatto visivo
Credits: Milano Segreta FB
Inquietante, ma terribilmente affascinante: Casa Felisari venne realizzata tra il 1902 e il 1914 e il suo stile rappresenta un perfetto ibrido tra il neoromantico, il decò e il liberty.
Tra i primi motivi di attenzione c’è all’ingresso il bel mosaico di Galileo Chini, con gli elementi decorativi orientaleggianti e medievaleggianti che si uniscono a quelli a tema animale.
# Casa Felisari fu la sede della Pathè Cinema
Ph. andreacherchi_foto IG
Per alcuni anni, Casa Felisari fu la sede della casa di produzione cinematografica Pathè, una delle più antiche case di produzione francesi che scelse questo palazzo al numero 11 di via Settembrini per avere la propria sede italiana.
Nel 1919 la Pathè Cinema dovette lasciare il palazzo. Da allora, per molti anni, rimase vuoto. Finché a prendere il posto della casa cinematografica francese ci sono oggi degli inquilini molto particolari.
# Chi vive in Casa Felisari? “Fuoco”, “Vento” e “Terra”
Credits: @pasquarana IG
Ora la casa sembrerebbe abitata, o comunque occupata, da qualcuno. A certe ore della sera le luci sono accese, anche se dall’interno proviene un silenzio tombale.
Ma è singolare e intrigante anche il citofono all’ingresso in via Boscovich. Come inquilini figurano queste scritte: “Fuoco”, “Vento”, “Terra”.
In molti hanno provato a citofonare per chiedere informazioni, nella speranza che qualcuno aprisse, ma con scarsi risultati.
Il mistero su chi viva nella Casa Felisari continua. Quindi, non resta che passarci davanti, ammirare gli elementi architettonici di grande pregio e fantasticare sulla sua storia misteriosa ed inquietante.
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Di un secondo passante per Milano si è tornato a parlare di recente da parte dell’Assessore ai traporti regionale. L’idea era stata lanciata dal Presidente di Regione Lombardia, Attilio Fontana. Ecco come potrebbe essere e le stazioni da realizzare.
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Queste le possibili stazioni del futuro passante di Milano
In questo articolo avevamo proposto la soluzione dell’Associazione Regionale Trasporti per creare un passante di serie A per Milano. Si potrebbe realizzare ripristinando l’ex cintura ferroviaria milanese Ovest e raccordando le stazioni di Romolo e Porta Genova con le linee afferenti a Garibaldi. In questo modo si avrebbe il collegamento del Secondo Passante Ferroviario con Milano Garibaldi Superficie, Milano Garibaldi Passante e Milano Ghisolfa in modo da permettere ai treni della linea Mortara di accedere a tutte le direzioni presenti e future. Il passante attivo attualmente verrebbe utilizzato da treni a lunga percorrenza e Interpolo.
# Quali potrebbero essere le stazioni?
Nuove stazioni passante
Ma quali potrebbero essere le stazioni? Sul ramo che sale verso nord-ovest ce ne potrebbero essere quattro:
Foppa ad intersecare la M4, per intercettare i treni che arrivano da sud est;
Porta Genova interrata dove far fermare i convogli in arrivo da Mortara, mantenendo l’interscambio con la M2;
Pagano per scambiare con la M1 è raccordata in sotterranea con Porta Genova,
Domossola/Sempione dove cambiare con la M5 o i treni della stazione FNM.
Il tratto finale in sotterranea del secondo passante si diramerebbe in due: quello nord est, come linea passante anche con la stazione Garibaldi, e quello nord ovest verso le stazioni di Villapizzone e Certosa Fs da un un alto e quella di Bovisa FNM dall’altro. Nella prosecuzione verso nord ovest si instraderebbe nell’area di Scalo Farini dove potrebbe essere realizzata una quinta stazione, sue due livelli:
al primo livello in trincea 6 binari, di cui 4 dedicati alla traccia Milano P.ta GARIBALDI FS – Milano CERTOSA FS (2 esistono già) e 2 alla nuova linea Milano CENTRALE FS – Milano P.ta GARIBALDI FS – Milano FARINI – Milano BOVISA FNM – AEROPORTO INTERNAZIONALE di MALPENSA.
al secondo livello, interrato, la stazione del secondo passante con 4 binari, due diretti
# Il passantino diretto alla Stazione Centrale
Il passantino verso la Stazione Centrale
Per consentire la connessione della Stazione Centrale con quelle di Porta Garibaldi, Farini e Bovisa per far proseguire i convogli fino a Malpensa servirebbe un “passantino” e il ripristino del Bivio Mirabello. Il passante Milano Greco-Milano Repubblica, con l’aggiunta di due binari, potrebbe avere un bivio a raso con la linea “Passantino” Garibaldi-Bivio Mirabello e così i treni del passante potrebbero interagire anche con il Bivio Mirabello e quelli uscenti dai binari di Milano Garibaldi Superficie dirigersi nella nuova linea Milano Greco-Milano Repubblica, ripristinando l’ex Bivio Magna.
# Un investimento da 1,2 miliardi di euro
Ph. @vandalos13 IG
Il Secondo Passante avrebbe lo scopo di raccogliere i treni che entrando da Sud (Bologna, Genova e Mortara) non potrebbero circolare sulla cintura ferroviaria a causa della saturazione già in atto. Si aggiungerebbero circa 60 treni giorno del Comprensoriale S9 (Saronno-Seregno-Milano-Mortara) oggi esclusi da Milano Porta Garibaldi e altri 60 che sostano sui vari scalo di Milano. L’investimento per l’infrastruttura si aggirerebbe attorno a 1,2 miliardi di euro, o qualcosa di meno realizzando una stazione Ghisolfa-Farini conglobando sulla stazione a 4 binari i rami Bovisa ed i rami Villapizzone.
Assieme al Passante Ferroviario di Monza, al raccordo Milano Greco-Milano Repubblica e all’uso dell’attuale passante ferroviario esclusivamente per i treni a Lunga Percorrenza ed Interpolo, verrebbero risolte tutte le interferenze sul nodo ferroviario di Milano e nei dintorni e ci sarebbero molti più treni tra Milano Porta Vittoria e Milano Lancetti.
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Passeggiare nei parchi di Milano significa immergersi non solo nella natura, ma anche nell’arte. Da sculture storiche a installazioni contemporanee, le opere disseminate nei polmoni verdi della città creano un dialogo unico tra cultura e paesaggio urbano. Ecco una selezione delle 10+1 opere imperdibili che rendono i parchi milanesi unici nel loro genere, prendendo spunto dalla selezione della storica rivista di architettura DomusWeb.
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Le 10+1 opere più spettacolari da ammirare nei parchi di Milano
#1 Teatro Continuo, Alberto Burri, 1973 – Parco Sempione
Credits: Paola Di Bello, Teatro Continuo di Burri, Parco Sempione, Milano, 2015, serie di fotografie a colori, fine art ink jet print su carta baritata
Realizzato per la XV Triennale di Milano, il Teatro Continuo è una struttura aperta costituita da sei pannelli mobili dipinti di bianco e nero. Collocato strategicamente nel Parco Sempione, funge da telescopio prospettico che inquadra il Castello Sforzesco e l’Arco della Pace. L’opera, demolita nel 1989 per controversie sul suo valore estetico, è stata ricostruita nel 2015 in occasione di Expo Milano, per restituire alla città un importante simbolo di dialogo tra natura e architettura.
#2 Chiosco Scultura, Giorgio Roccamonte, 1973 – Parco Sempione
Credits: Stefano91, Tripadvisor
Il Chiosco Scultura, ideato durante la XV Triennale, è una struttura in cemento armato che funge da piccolo padiglione. Pensata per promuovere la lettura e lo scambio culturale, rappresenta un’opera partecipativa che trasforma lo spazio pubblico in un luogo di incontro. La sua forma essenziale e modulare si integra perfettamente con l’ambiente circostante.
Opera iconica della XV Triennale, Accumulazione Musicale rappresenta una combinazione unica di strumenti musicali e sedie inglobati in una colata di cemento. Questa scultura teatrale evoca il rapporto tra ordine e caos, vita e arte. Attualmente in condizioni di degrado, è in corso un progetto di restauro per preservare la sua unicità e il messaggio simbolico che racchiude.
I Bagni Misteriosi sono una delle opere più enigmatiche di Giorgio De Chirico. Rappresentano una vasca stilizzata con nuotatori, trampolini e sfere, creando un’atmosfera onirica e surreale. Restaurata nel 2015, l’opera è oggi una delle attrazioni principali del Giardino della Triennale, simbolo dell’unione tra arte e paesaggio urbano.
#5 Daily Desiderio, Riccardo Benassi, 2018 – Parco di CityLife
Credits: ArtLine Milano, Facebook
Quest’opera contemporanea combina una struttura minimale in alluminio con un display LED, che trasmette messaggi quotidiani generati autonomamente. Daily Desiderio rappresenta un dialogo costante tra tecnologia e pubblico, sfidando i visitatori a riflettere sulle interazioni tra uomo e città in un’epoca digitale.
#6 I Sette Savi, Fausto Melotti, 1981 – Giardino del PAC
Credits: Padiglione d’Arte Contemporanea
Sette figure in marmo di Carrara immerse nella natura del Giardino del Padiglione d’Arte Contemporanea (PAC). L’opera, simbolo di silenzio e riflessione, è l’ultima versione dell’originale creata per la VI Triennale del 1936. Ogni figura rappresenta un saggio che invita il visitatore alla contemplazione.
#7 I Quattro Cavalieri dell’Apocalisse, Harry-Pierre Rosenthal, 1976 – Porta Venezia
Credits: Secondo cavaliere, Tripadvisor
Queste sculture in bronzo rappresenta quattro cavalieri e un cavallo pacifico, in netto contrasto con l’immagine apocalittica. Donata alla città nel 1976, l’opera invita a riflettere sul significato della guerra e della pace. La sua collocazione nei Giardini Pubblici di Porta Venezia accentua il dialogo tra storia e attualità.
Situata su una collina a forma di doppia elica, questa scultura metallica celebra la rigenerazione urbana e il legame con la vita. Helix simboleggia il DNA umano, evocando la complessità e la bellezza dell’esistenza. È un simbolo della rinascita di Milano, connesso alla trasformazione del quartiere Portello.
Credits: Outis – Centro Nazionale di Drammaturgia Contemporanea, Facebook
Due grandi murales in bianco e nero che riflettono la storia e la comunità del quartiere NoLo. Realizzati con la tecnica dello stencil, celebrano il passato industriale del quartiere e il presente multiculturale. Il Parco Trotter diventa così un luogo dove arte e comunità si incontrano, creando un ponte tra tradizione e innovazione.
Il Cavallo di Leonardo, una delle sculture equestri più grandi al mondo, è un tributo al genio rinascimentale. Concepito da Leonardo da Vinci nel 1482, il progetto è stato realizzato solo nel 1999 grazie all’artista Nina Akamu. L’imponente statua, alta 7,3 metri, si erge maestosa all’ingresso dell’Ippodromo del Galoppo, simboleggiando la perseveranza e il trionfo dell’ingegno.
Quest’opera contemporanea, nota anche come L’uomo nudo di Porta Nuova, raffigura un individuo in posizione vulnerabile, immerso tra i grattacieli futuristici del business district. Creata dall’artista Agenore Fabbri, rappresenta una provocazione sul rapporto tra progresso tecnologico e fragilità umana. Collocata in uno dei quartieri più dinamici di Milano, l’opera ha scatenato dibattiti per il suo carattere simbolico e controverso.
C’è anche Milano tra le destinazioni da visitare assolutamente nel 2025: lo dice il NY Times. Scopriamo le tre ragioni e quali sono le altre italiane consigliate.
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NY Times: Milano è uno dei place to go mondiali, dove andare nel 2025
Secondo la giornalista Ceylan Yeğinsu, autrice della descrizione della città per il New York Times, Milano sta vivendo una profonda trasformazione. Queste sono le 3 novità più interessanti per un pubblico internazionali.
Uno degli elementi chiave del successo di Milano, secondo la Yeğinsu, è rappresentato dalle Olimpiadi Invernali del 2026, la cui preparazione sta cambiando radicalmente il volto della città, contribuendo alla riqualificazione di edifici e intere zone.
Tra i progetti più significativi, l’ex-Scalo Romana, che, dopo i Giochi, ospiteranno una residenza universitaria per 1.700 studenti, accompagnata da un nuovo quartiere con un parco pubblico di 100.000 mq e un “Bosco sospeso” sopra la ferrovia. Il Milano Ice Park, che avrà spazi nei padiglioni di Rho Fiera, ospiterà eventi sportivi, concerti e congressi, con una capacità di 30.000 posti.
Altri progetti includono Santa Giulia, con 3.500 nuove abitazioni, un parco di 270.000 mq, una nuova area commerciale. O San Siro, che ospiterà la cerimonia inaugurale delle Olimpiadi, potrebbe subire un parziale rinnovamento, con spazi commerciali, museali e sportivi, sebbene il suo futuro resti ancora incerto.
#2 Grande Brera: la cultura milanese colpisce anche oltreoceano
Un altro progetto che ha attirato l’attenzione del New York Times è la Grande Brera. Questo ambizioso complesso culturale riunisce alcune delle istituzioni più prestigiose di Milano, come la Pinacoteca di Brera, la Biblioteca Braidense e Palazzo Citterio. Quest’ultimo, recentemente restaurato, è stato trasformato in uno spazio dedicato all’arte moderna, circondato da giardini che costituiscono una vera oasi nel cuore della città.
Brera, con le sue stradine pittoresche, i caffè e le boutique, è descritto come uno dei quartieri più affascinanti dove vivere. A completare il fascino del quartiere c’è il nuovo hotel Casa Brera, esempio di architettura razionalista con uno sky bar panoramico e ristoranti di alto livello curati dallo chef stellato Andrea Berton.
Tra gli appuntamenti più attesi, il New York Times segnala la Design Week, che si terrà dal 7 al 13 aprile 2025. Questo evento annuale è un appuntamento imprescindibile per gli amanti del design, dell’architettura e dell’arte. L’edizione di quest’anno avrà come tema Connected Worlds, esplorando il ruolo del design nel connettere mondi fisici e digitali, culture e persone. Durante la Design Week, Milano si trasforma con il Fuorisalone in un palcoscenico creativo, con mostre, installazioni e iniziative aperte a tutti, non solo agli addetti ai lavori.
# Le altre mete italiane nella selezione del NY Times: Dolomiti per il trekking e Sicilia per le bici
Milano non è l’unica destinazione italiana nella lista del New York Times. Anche la Sicilia (45° posizione) e le Dolomiti (15° posizione) sono state selezionate tra le 52 mete imperdibili.
La Sicilia è celebrata per il Sicily Divide, un itinerario cicloturistico che attraversa l’isola da costa a costa, offrendo un’esperienza autentica nelle aree interne. Le Dolomiti, invece, sono state inserite grazie al Cammino Retico, un percorso di trekking che unisce paesaggi alpini mozzafiato a siti storici di grande fascino.
# Milano l’unica città italiana presente: più interessante perfino della Roma del Giubileo
Rendering riapetura Navigli Comune di Milano
Milano è dunque l’unica metropoli italiana nella lista, considerata più interessante perfino della Roma del Giubileo. E si distingue per la sua capacità di coniugare cultura, moda e innovazione. Progetti come il Rinascente District, che unisce realtà moderne e simboli tradizionali (come la Galleria Vittorio Emanuele e il Duomo), sono tra quelli che hanno convinto il quotidiano statunitense. Secondo il New York Times, questo mix unico rende Milano una destinazione completa, capace di soddisfare i gusti degli statunitensi, alla ricerca di arte, buon cibo, design e, naturalmente, shopping.
La futura sede di A2A è pronta a segnare un duplice traguardo importante: primo grattacielo nel sud della città e sesto edificio più alto in assoluto, subito dopo Palazzo Lombardia. Il progetto prevede inoltre un ampio intervento di riqualificazione urbana, coinvolgendo l’area compresa tra Piazza Trento, Viale Toscana e il piazzale antistante la Chiesa di Sant’Andrea in Via Crema, inclusi gli spazi del sagrato. Questo il progetto nel dettaglio e le ultime immagini dal cantiere.
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Il «Faro di Milano» con belvedere panoramico: i nuovi rendering e le ultime immagini dal cantiere
# Torre Faro: il primo grattacielo per il sud Milano, alto 145 metri per 28 piani
Rendering Acpv – Torre Faro
Sul finire del 2023 sono iniziati i lavori per la “Torre Faro”, destinata a diventare un simbolo dell’innovazione e della sostenibilità nella zona sud di Milano. Questo grattacielo, il primo a sorgere in quest’area della città, è in predicato di diventare la nuova sede di A2A, la multiutility che opera nei settori dell’energia e della gestione dei rifiuti a Milano e Brescia. Con i suoi circa 145 metri di altezza distribuiti su 28 piani è un esempio di architettura moderna, progettata per integrare avanzati sistemi di efficienza energetica e tecnologie eco-sostenibili. Al suo completamento diventerà il sesto edificio più alto in assoluto, subito dopo Palazzo Lombardia.
# Una forma tubolare, uno sky garden e un belvedere panoramico a 125 metri d’altezza
Gallery Torre Faro A2A e riqualificazione aree circostante
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ACPV - Torre Faro da via Crema
ACPV - Vista dalla strada Torre A2A
Credits: Urbanfile - Cascata acqua
Torre Faro A2A
Credits: fanpage.it - Torre Faro A2A
Veduta Torre Faro da Viale Toscana
Veduta Torre Faro da sud
Il grattacielo, ideato dallo studio di architettura Antonio Citterio – Patricia Viel, si distingue nel panorama urbano grazie al suo design unico. Caratterizzato da una struttura tubolare e una pianta circolare, presenta un elemento particolarmente originale: una spaccatura a circa 61 metri di altezza, che ospita giardini pensili chiamati Sky Garden, con una sorprendente altezza di 3 metri. Questo dettaglio architettonico rende l’edificio un’icona di innovazione e armonia tra natura e modernità.
ACPV – Belvedere Torre Faro
In cima alla torre, a circa 125 metri di altezza, è previsto un belvedere panoramico aperto al pubblico che con la sua illuminazione sera illuminerà la città.
acpv - A2A
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Hall ingresso
Museo energia
Credits, ACPV - Sezione parziale della torre con il Museo dell’Energia riqualificato
Al piano terra, una spaziosa hall d’ingresso darà il benvenuto ai 1.500 dipendenti, arricchita da una suggestiva cascata d’acqua visibile anche dall’esterno.
ACPV - Museo dell'energia
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ACPV - Museo dell'energia
Il progetto include inoltre un cortile verde che collegherà la nuova sede al futuro Museo dell’Energia, previsto all’interno di un edificio storico da riqualificare.
# La trasformazione dell’area di 63mila mq da Piazza Trento a Via Crema
acpvarchitects – Sagrato Chiesa di Sant’Andrea
Oltre ai lavori nell’ex Scalo Romana, con il Villaggio Olimpico ormai terminato, e al grattacielo di A2A, anche l’area limitrofa è soggetta ad un’importante riqualificazione. Stiamo parlando di una superficie di 63.000 mq che interessa: l’intera Piazza Trento, la piazza antistante la parrocchia di Sant’Andrea, compreso il sagrato, e le vie Crema, Palladio e Adige.
acpvarchitects – Nuova piazza tra Via Creama, Salmini e Verona
Nel dettaglio si prevede:
la trasformazione di Piazza Trento consiste nel rendere l’area un luogo accessibile ai cittadini, ideale per l’aggregazione, con una revisione completa degli spazi pubblici, la creazione di un’area verde fruibile, e interventi di riqualificazione su marciapiedi e parterre centrale;
un nuovo sagrato per la chiesa;
la pedonalizzazione del tratto sud di via Crema con l’aggiunta di un’area giochi;
la creazione di una nuova piazzetta pedonale tra le vie Crema, Salmini e Verona;
l’allargamento dei marciapiedi fino a 10 metri;
l’incremento alberature, con aggiunta di un filare di alberi in Via Adige.
# Le ultime immagini dal cantiere
Fabio Marcomin - Cantiere della Torre Faro
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Fabio Marcomin - Cantiere della Torre Faro da altra vista verso est
Fabio Marcomin - Cantiere della Torre Faro da altra vista su Ripamonti
Fabio Marcomin - Cantiere della Torre Faro altra vista Ripamonti
Fabio Marcomin - Cantiere della Torre Faro vista Ripamonti
Fabio Marcomin - Cantiere Torre Faro vista diversa
Fabio Marcomin - Cantiere Torre Faro
Fabio Marcomin - Cantiere Torre Faro altra vista
Fabio Marcomin - Cantiere Torre Faro da sud
Fabio Marcomin - Cantiere Torre Faro rendering
Fabio Marcomin - Cantiere della Torre Faro da via Isonzo
Fabio Marcomin - Cantiere Torre Faro da via Isonzo
Fabio Marcomin - Cantiere Torre Faro da strada
Fabio Marcomin - Cantiere Torre Faro da vicino altra vista
Fabio Marcomin - Cantiere Torre Faro da vicino
Il cantiere è in pieno fermento. Si vede già la struttura di base a “V” rovesciate in metallo sopra la quale è prevista l’apposizione di una corona. Da quel punto la forma tubolare del grattacielo sale per arrivare ai 145 metri. Nell’ultimo reportage fotografico che abbiamo realizzato il 10 gennaio 2025 si può vedere la struttura crescere da diverse angolazioni:
dal cavalcavia di via Ripamonti, oltre lo studentato Aparto e quello presente da diversi anni sempre di Bocconi;
dall’Osservatorio dentro lo Scalo Romana, la vista da sud, con il campanile della Chiesa di Sant’Andra e la Torre di Porta Romana sullo sfondo;
sotto le cesate lungo via Isonzo.
La conclusione delle opere dovrebbe avvenire nel 2026. L’obiettivo iniziale era arrivare in tempo per le Olimpiadi Invernali di Milano Cortina, staremo a vedere se riusciranno nell’impresa.
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Milano ha il vizio di concentrarsi troppo sul centro. E perdere di vista i suoi angoli più straordinari in periferia. Un esempio? Alzi la mano chi conosce la Cagnola. Un quartiere quasi ignorato dai milanesi ma tra i preferiti da svizzeri, tedeschi e, soprattutto, dagli americani.
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Navi, crocifissi magici e case-castello: le sorprese del quartiere più «americano» di Milano
# Dai Corpi Santi agli Asburgo
credits: blog.urbanfile.org
La Cagnola era una parte dei Corpi Santi di Milano, con cui si indicava, fino al 1800 circa, il cerchio di territorio fuori delle mura spagnole. In questa fascia c’erano le cascine e i borghi che circondavano il comune di Milano.
Nel 1500 Cagnola, accostato ai comuni di Boldinasco e Villapizzone, era già di notevoli dimensioni e risulta menzionato in un atto notarile firmato dall’arcivescovo di Milano, Carlo Borromeo.
Nel 1755 gli Asburgo trasformarono il nome in Comuni rurali.
# L’area da piazzale Accursio a Piazza Firenze
Il curioso nome ‘Cagnola’ quasi certamente deriva dal nome di un proprietario fondiario che risiedeva qui nell’antichità. Il borgo si sviluppava a ridosso della antica via Varesina che partiva da Porta Tenaglia e arrivava a Saronno o Varese. Comprendeva l’attuale piazzale Accursio, che un tempo si chiamava Piazza del Bersaglio, a causa della presenza del Tiro a segno nazionale, e si estendeva fino al cosiddetto Rondò della Cagnola, oggi Piazza Firenze. Nel 1923 il comune di Milano annesse Villapizzone, Musocco, Garegnano, Boldinasco e il quartiere Cagnola. La viabilità fu modificata e nacquero in quel periodo via Gassendi e via Pacinotti.
# Il “furto” dei tre santi in marmo: dalla Cagnola al Castello Sforzesco
Nel 1644 gli abitanti della Cagnola decisero di far erigere un oratorio e posizionarlo al confine con i tre comuni in cui il borgo era suddiviso. L’oratorio fu intitolato a San Giovanni Battista. Di tale costruzione oggi rimangono solo tre statue in marmo bianco del 1400 che raffigurano tre santi nell’atto della preghiera e che oggi sono conservati al Castello Sforzesco.
# Il crocifisso magico trasferito a Campione. Galleggiava per davvero!
credits: blog.urbanfile.org
Un altro pezzo storico è stato portato via dal quartiere. Questa storia mescola sacro e profano. Alla Cagnola vi era un’antica osteria, anch’essa ormai scomparsa, chiamata dell’Ostone che era posizionata proprio in fronte all’oratorio di San Giovanni Battista. Di fronte all’osteria fu ritrovato sul fondo della roggia un crocifisso in rilievo su marmo. La leggenda vuole che il blocco di marmo scolpito galleggiasse sull’acqua. Fu raccolto e appeso nell’osteria: oggi lo si può ammirare nella Galleria Civica di Campione d’Italia.
# Un assaggio di Svizzera a Milano
All’interno del quartiere, nelle adiacenze di viale Certosa, si trova un insieme di vie che celebrano lo stato confinante con la Lombardia: la Svizzera. Via Chiasso, Bellinzona, Locarno e Monte Generoso. La caratteristica di queste vie è la presenza di piccole ma molto eleganti villette liberty.
# Il Liberty District: Cinema Trieste e Tennis Club Bonacossa
credits: blog.urbanfile.org
In via Giovanni Antonio Plana, di fronte al civico 20 si trova un meraviglioso palazzo liberty. In via Pacinotti poi si trova un edificio del 1912 che era un cinema, il cinema Trieste. E’ uno degli edifici liberty più di pregio della zona. Nel tempo è diventato cinema Sempione e ha in seguito conosciuto momenti di abbandono e incuria. Oggi è stato restaurato e trasformato in uno spazio culturale.
Anche in via Pietro da Cemmo è possibile notare rilievi smaltati con motivi floreali in stile liberty che sovrastano i portoni di ingresso delle abitazioni. Poco distante da via Plana si trova però la perla liberty per eccellenza:il Tennis club Bonacossa. Questo palazzo meraviglioso è nello stesso tempo un’istituzione dello sport cittadino e un bene culturale ed artistico di pregio. Fu progettato nel 1923 dall’architetto Muzio per il conte Bonacossa, a cui fu dedicato.
# Le case-castello
Villa La rotonda – ph. @clauz73 IG
Girando per il quartiere ci si imbatte in case o villette alquanto particolari. In via Gassendi 3 e in via Bodoni, per esempio si possono trovare strani edifici multicolore che assomigliano a dei piccoli castelli. Sempre restando sul tema castelli è impossibile non citare le ‘case-castello’ presenti all’angolo tra via Bartolini e via Arimondi. Sono case merlate realizzate all’inizio del secolo scorso, recentemente acquistate dall’hotel Mercure.
# Sta diventando il quartiere americano: dal Poligono alla Piazza della Libertà
Tiro a Segno riqualificato
In piazzale Accursio si trovava il tiro a segno nazionale, un edificio realizzato nel 1906 con il nome di ‘Poligono della Cagnola’ che sorgeva nella ex piazza Bersaglio, oggi piazzale Accursio. I soci milanesi tiratori furono qui ospitati fino al 1972, anno in cui si trasferirono. Nel 1985 viene posta sotto tutela come bene monumentale perché rappresenta un esempio di architettura liberty e perché possiede al suo interno particolari di valore storico ed architettonico. L’intero edificio originariamente è stato ceduto al consolato americano di Milano che sta trasformando l’intera area. Stanno infatti sorgendo la Piazza della Libertà, il Parade Ground e il Liberty Building.
# Ma quella è una nave o un benzinaio?
In piazzale Accursio, oltre al Tiro a segno, c’è un altro particolare interessante. Percorrendo viale Certosa in direzione nord, laddove si forma una biforcazione con viale Espinasse, proprio in tale biforcazione si trova questa stazione di servizio della AGIP, costruita negli anni ’50 e rimasta in attività fino agli anni ’80. L’edificio è molto originale perché realizzato somigliante alla tolda di una nave. Le pensiline sembrano essere ali di un aviogetto. Negli anni 50, in pieno boom economico, l’architettura rispecchiava lo spirito di movimento, di fermento che permeava la società dell’epoca. Qualche anno è diventato Garage Italia su intuizione di Lapo Elkann.
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In una metropoli nota per la celerità dei cambiamenti, che si evolve di continuo e che non teme le novità, ecco le tendenze che caratterizzeranno la ristorazione milanese del 2025 appena iniziato.
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Ma dove andando il mondo del food a Milano? Le 5 tendenze per il 2025
#1 Si va sempre più verso Est
glutenfrix IG – Sushi and sound
In generale si registra un interesse crescente verso la cultura orientale in senso lato. Un interesse che riguarda in primis la ristorazione legata alle proprie tradizioni che non vengono sporcate per assecondare il gusto occidentale. Un fenomeno a tutto tondo, che abbraccia sia i ristoranti di alto livello e sia lo street food, quest’ultimo, sempre più radicato in città e sempre meno circoscritto alla sola Chinatown.
#2 Mono-proposte: tutto in uno
goldstyles IG – Casa Ramen
Una sola pietanza, o cibo, declinata in più varianti. Ramen, ravioli, risotterie o locali specializzati in cotolette o polpette. Cresce insomma la curiosità verso pietanze proposte in molteplici versioni, da quella classica a versioni più gourmet.
#3 Cucina etnica verso mete sempre più esotiche
Credits mariocalixtro IG – Vietnammonamour Milano
Milano ne è sicuramente la capitale indiscussa e non potrebbe essere diversamente in una metropoli internazionale. La cucina etnica piace perché è teatro di novità, sperimentazione di gusti nuovi, fucina di sapori insoliti e foriera di curiosità verso un mondo diverso dal nostro. Un modo per viaggiare alla scoperta di nuovi cibi e nuove culture.
#4 La riscoperta della cucina milanese DOC
Ph. @italian.food.milan.blogger IG
Va bene la cucina etnica, ma la tradizione non va abbandonata. Anzi, va riscoperta nei suoi più autentici e genuini sapori. Via quindi ai piatti italiani e in particolare, via ai piatti della tradizione meneghina come risotto, cotoletta, mondeghili e ossobuco. I pilastri della cucina milanese vengono mantenuti intatti perché si può guardare al futuro soltanto se si è fieri portavoce della propria tradizione.
#5 Il boom delle esperienze immersive
viewliverestaurant IG
Il cliente va coccolato ed accompagnato con garbo verso una vera e propria esperienza di gusto ma non solo. Esperienza visiva grazie a lampadari strani o luci soffuse, installazioni artistiche o esperienzeuditive grazie a buona musica e olfattive per via di profumi particolari. Atmosfere uniche che si portano a casa destando forti emozioni. Come quando si è visto un bel film al cinema.
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Compie centodieci anni il primo film girato con scene in esterna a Milano. Scopriamo la sua trama e quali sono state le location utilizzate.
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I protagonisti del primo film girato a Milano in esterna
# “Il jockey della morte”
masedomani.com – Cineteca Milano – Il Jockey della Morte
Centodieci anni fa veniva girato il primo film, con scene in esterna, a Milano. Era infatti il 1915 quando il regista danese Alfred Lind, con una fama ormai consolidata, girò il lungometraggio “Il jockey della morte”. La casa di produzione fu la meneghina “Armando Vay”, che aveva sede nell’ex Corso San Celso. I decenni e una oggettiva trascuratezza, avevano reso la pellicola assai rovinata, ma nel 2004 la Cinematheque Royale del Belgio ha provveduto a restaurare l’opera “ripulendo” la pellicola, che passerà dai 1600 metri iniziali ai 1180 dopo l’intervento di circa vent’anni fa (durata oggi di 58′ 18”).
Il film in oggetto è rigorosamente muto, con l’accompagnamento musicale attuale realizzato dal gruppo ARTO di Bologna. “Il jockey della morte” vede la recitazione del regista Lind (nel ruolo di Henry), di Miss Evelyn (in quello di Elda) e di Trude Nick.
# La trama del film
Jockey
La storia è romantica, con connotazioni da film “giallo”: il Conte Raoul de Castelroc viene ucciso da un proprio socio. Quest’ultimo ha l’ambizione criminale di voler prendere possesso delle proprietà del nobile. Non solo, per non avere rivali nell’accaparrarsi le ricchezze, il collaboratore si disfa della della figlia ancora in fasce (Elda) di Raoul, consegnandola a marito e moglie circensi, in cambio di denaro e della promessa che i due spariscano al più presto con la bambina. Quindici anni dopo, arriva al castello il giovane Visconte Henry de Castelroc, nipote di Raoul, il quale, venuto a sapere della morte dello zio, chiede conto al collaboratore assassino sulle eventuali ricchezze del Conte. Il criminale, che intanto abitava nel castello della sua vittima, non dà spiegazioni sufficientemente esaurienti al ragazzo. Henry si mette alla ricerca della cugina, che ora lavora in un circo come funambola, schiavizzata dai coniugi ai quali, quindici anni prima, il collaboratore del Conte aveva ceduto la stessa ragazza, quando era ancora piccina.
# La svolta thriller
masedomani.com – Cineteca Milano – Il Jockey della Morte, fuga sui tetti
Mano a mano che la storia si svolge, si arricchisce di una ventata di thriller, con Herry che, per “agganciare” Elda, si traveste da cavaliere circense con il costume da scheletro, esibendosi nello stesso circo dove lavora la giovane cugina. Poi c’è la fuga, avventurosa, spericolata e romantica, dei due giovani, dalle grinfie dei coniugi che avevano adottato con l’inganno Elda. Una fuga tra equilibrismi mozzafiato sui tetti, attraversamenti di fiumi, lanci dai ponti, per finire in una estrema nuotata che finisce su una spiaggia di un corso d’acqua. Dove li raggiunge il perfido collaboratore e assasino dello zio (che, d’accordo con i genitori adottivi della ragazza, vuole l’eliminazione dei due cugini) ma, invece di ucciderli, si pente del male inflitto al Conte e si suicida.
Il lieto fine è garantito, col matrimonio tra Henry ed Elda, che vanno ad abitare nel lussuoso Castello del Conte Raoul de Castelroc, entrando in possesso, come è loro diritto, delle ricchezze di quest’ultimo.
# Tutte le location del film: da Milano a Varese
festival.ilcinemaritrovato.it – Il jockey della morte, scena al Teatro dal Verme
Come dicevamo, questo film è il primo girato in esterna a Milano, alcune scene sono state effettuate in provincia di Como, altre di Varese: la residenza della famiglia Castelroc, che si vede nelle scene iniziali e in quelle finali, è il Castello di Carimate (Co), risalente al 1345.
La struttura che ospita gli spettacoli circensi che si vedono nel film, è il Teatro dal Verme di via San Giovanni sul Muro. Lo stesso stabile è protagonista nelle le scene in cui Henry ed Elda scappano dalla malvagia prevaricazione dei coniugi che quindici anni prima avevano preso la ragazza. Sui tetti del Teatro avviene una prima roccambolesca fuga, poi la scena si sposta nel varesotto, dove i due giovani innamorati si arrampicano sul ponte sul Ticino, per poi gettarsi nel fiume stesso. In lontananza, sull’altra sponda del fiume, si vede Castelletto Ticino, nel novarese.
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