In arrivo in giornata il nuovo Dpcm che entrerà in vigore il 16 gennaio fino al 5 marzo. Nuove e vecchie restrizioni sono state anticipate. Dopo la zona rossa, arancione e gialla, arriva la zona… Bianca. Ma vediamo tutte le novità in arrivo.
🛑BLOCCO spostamenti tra regioni, coprifuoco e zone colorate: in arrivo il nuovo DPCM dal 16 gennaio al 5 marzo
# Nuovo Dpcm in arrivo il 16 gennaio
Credits: ilmeteo.it
Il nuovo decreto entrerà in vigore il 16 gennaio e avrà validità fino al 5 marzo, salvo eventuali proroghe. Come già annunciato in Parlamento dal ministro della Salute, Roberto Speranza, nella bozza del nuovo Dpcm viene prorogato lo stato di emergenza fino al 30 aprile 2021. Quali sono però le nuove norme restrittive e di contenimento del virus?
# Le nuove restrizioni che entreranno in vigore
Credits: provincia.livorno.it
Reinserite alcune restrizioni non presenti nell’ultimo Dpcm e prorogate altre per evitare l’isolamento dalla vita sociale. Quali sono però le restrizioni al quale bisognerà sottostare dal 16 gennaio? Andiamo a scoprirle:
Confermato il blocco degli spostamenti tra Regioni fino al 15 febbraio, anche tra due o più zone gialle.
Permessi gli spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità per motivi di salute.
È sempre consentito il rientro alla propria residenza, domicilio o abitazione.
Le visite nelle case private sono consentite per un limite massimo di due persone al di fuori del nucleo familiare. Non sono compresi minori di 14 anni, persone disabili o non autosufficienti conviventi. Consentito anche in zona rossa spostarsi verso un’abitazione privata purchè sia all’interno dello stesso comune.
Vietato lo spostamento nelle seconde case fuori regione, salvo motivi di urgenza. In quel caso lo spostamento dovrà avvenire solo per il periodo necessario al risolvimento del problema e non deve trasformarsi in “trasferimento”.
Resta in vigore il coprifuoco dalle ore 22 alle 5 del mattino.
In zona arancione ci si può spostare dai Comuni con popolazione inferiore a 5 mila abitanti in un raggio di 30 chilometri, esclusi però i capoluoghi di provincia.
# Nuovi parametri e l’introduzione alla “Zona bianca”
Credits: baraondanews.it
Nella bozza si parla anche di un inasprimento dei parametri che fanno scattare le misure restrittive più severe. Le misure previste per le regioni che si collocano in uno scenario di tipo 2 e con livello di rischio moderato saranno applicate anche alle regioni con uno scenario di tipo 1, quindi con un livello di rischio alto. In questo caso scatta la chiusura di bar e dei ristoranti e il divieto di uscire dal proprio comune. Sono aperti i negozi, i parrucchieri e i centri estetici. Verranno introdotte le zone bianche nelle Regioni che si collocano in uno scenario di tipo 1 con un livello di rischio basso se all’interno dell’aria il numero dei contagi sarà inferiore ai 50 casi ogni 100.000 abitanti per due settimane consecutive.
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
Il blocco del traffico durante il lockdown non ha portato nessun miglioramento della qualità dell’aria. Nonostante in Lombardia la concentrazione delle sostanze inquinanti in aria fosse in calo negli ultimi anni, nel 2020 si è verificato un aumento dei giorni in cui il livello di PM10 ha superato il limite di 50µg/m^3 rispetto all’anno precedente. E questo nonostante la riduzione del traffico determinata dal lockdown. Ma vediamo i dati.
SMOG a Milano: AUMENTATO anche col LOCKDOWN
# La qualità dell’aria non è migliorata nonostante gli spostamenti limitati dovuti al lockdown. Solo i livelli di NO2 sono scesi sensibilmente
Credits: repubblica.milano.it – Inquinamento a Milano
Nel 2020, l’anno in cui il traffico è diminuito a causa dei lockdown, lo smog in Lombardia non è calato e i giorni in cui il famigerato Pm10 ha superato i limiti sono addirittura aumentati.
Per inciso la centralina con i valori più alti a Milano ha segnato 90 giorni di Pm10 «fuorilegge» nel 2020, l’anno prima 72 (diciotto giorni in meno) e prima ancora 79.
Smog aumentato perfino nel periodo in cui il lockdown aveva di fatto azzerato il traffico, come il 29 e 30 marzo, quando il Pm10 è schizzato. Ma sulle strade giravano solo i rider.
L’assessore regionale all’Ambiente e Clima Raffaele Cattaneo commenta la mancata riduzione dell’inquinamento durante il lockdown: “La riduzione del traffico durante i mesi di lockdownaveva fatto sperare nell’abbassamento del livello degli inquinanti e a un miglioramento generale della qualità dell’aria. I dati hanno però mostrato che questo non è accaduto. Le fonti di origine di queste sostanze sono molte e complesse. Non esistono prove scientifiche che dimostrino una relazione diretta tra l’intensità del traffico e la concentrazione degli inquinanti“.
# L’andamento meteorologico influenza la concentrazione di PM10 e il traffico incide solo per il 20%
Guido Lanzani aggiunge che il fattore principale che influenza la concentrazione di PM10 è infatti l’andamento meteorologico, infatti nei mesi di gennaio, febbraio e novembre in cui ci sono state precipitazioni molto ridotte “si è verificato il maggior numero di giorni di superamento dei pm10”. Inoltre, il traffico non è la fonte di PM10 più importante, incide solo per il 20% tra scarichi e usura dei freni, ma il riscaldamento a legna con il 40% oltre a tante altre fonti di PM10 secondarie causate soprattutto dalle attività agricole.
Per gli altri inquinanti l’ozono non mostra variazioni importanti con concentrazioni ben al di sopra dei valori obiettivo, mentre nessun superamento degli standard di benzene, monossido di carbonio e biossido di zolfo. Il presidente di Arpa Stefano Cecchin speiga che: “I dati sono stati sono stati rilevati da 87 centraline attive in tutta la regione” oltre a 22 campagne effettuate “con una stazione di rilevazione mobile su 9 province della Lombardia” nel corso del 2020.
# I presidenti delle Regioni del Bacino Padano hanno chiesto un piano di interventi in risposta alla procedura d’infrazione Ue
Credits: bighunter.it
Martedì 12 gennaio i presidenti delle Regioni del Bacino Padano hanno chiesto al presidente del Consiglio un incontro urgente per studiare un piano di interventi in risposta alla condanna della Corte di giustizia europea all’Italia per il superamento dei limiti di PM10, oltre alle altre due sugli ossidi di azoto e sul PM2.5, che potrebbero portare a una sanzione fino a 2,3 miliardi di euro.
Sempre l’assessore regionale all’Ambiente e Clima Raffaele Cattaneo commenta l’assenza di investimenti nella bozza di Piano nazionale di ripresa e ripartenza: “non c’è nessun impegno finanziario per interventi relativi in maniera specifica alla qualità dell’aria…già a novembre le Regioni del Bacino padano, sulla qualità dell’aria, avevano avanzato una richiesta specifica.” Ad oggi Regione Lombardia ha previsto 48 milioni di euro dal prossimo febbraio per incentivare il rinnovo del parco veicoli con mezzi non inquinanti per privati, aziende e trasporto pubblico, più ulteriori 52 milioni per diversi interventi tra cui: installazione colonnine elettriche per enti pubblici, sostituzione caldaie più inquinanti negli enti pubblici, impianti a reti locali a biomassa.
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
La grande fuga verso la provincia si sta concretizzando, come una profezia. Milano sta perdendo i non milanesi, un elemento fondamentale per il suo successo?
La GRANDE FUGA: Milano sta perdendo i NON MILANESI
Il calo delle vendite delle case e la diminuzione dei residenti sono i due segnali che la fuga dalla città è reale. Il movimento centripeto che ha sempre portato i pendolari verso Milano ora sta diventando sempre più centrifugo. Milano sta perdendo un elemento fondamentale per il suo successo?
# E’ iniziato il declino del mito della Grande Milano?
credit: abitare.it
Quest’anno è stata una vera e propria inversione di rotta. Se prima il capoluogo meneghino rappresentava per tutta l’Italia un potente polo attrattivo per la qualità della vita e la ricerca del lavoro, oggi l’unico modo per riprogettare il futuro sembra proprio allontanarsi dalla città, fuggire. Anche il detto popolare chi volta el cùu a Milan, il volta al pan (“chi volta le spalle a Milano, volta le spalle al lavoro”) ha sempre sottolineato l’innato talento della città, che infatti è considerata la Capitale Economica del Paese. Ma oggi il mito della Grande Milano ha iniziato il suo declino?
# I prezzi salgono e le persone scappano
credit: informazionesenzafiltro.it
I numeri parlano chiaro: rispetto al 2019 c’è stata una perdita di -13.000 residenti (fonte: Comune di Milano) e anche il numero degli immobili venduti è in netto calo. Uno studio Nomisma ha infatti dimostrato che la compravendita di appartamenti a Milano è passata da 26.000 unità nel 2019 a 22.000 nel 2020, un calo del 15% in un solo anno. Mentre l’acquisto in provincia ha registrato un aumento da 36.700 a 39.500 unità (+5,2%).
Cosa indicano questi dati? Indubbiamente che la crisi socio-sanitaria ha innescato nei milanesi un desiderio di spostarsi dal centro città verso luoghi più naturali e casa più spaziose. E se le vendite diminuiscono, ci si aspetterebbe anche un calo dei prezzi. E invece no. I prezzi continuano a salire non curanti del fatto che non ci siano più acquirenti: nel 2020 i prezzi degli immobili a Milano sono comunque aumentati rispetto al 2019, con l’apice nel mese di agosto con un valore di € 4.765 al metro quadro (fonte: immobiliare.it).
Milano sta convivendo con la sindrome dell’abbandono che ha colpito i suoi cittadini e al momento non sembra che il mercato immobiliare stia collaborando per impedirne la fuga.
# La più grande perdita per la città? I non milanesi
credit: ilgiorno.it
SenzaFiltro ha intervistato due professionisti che hanno confermato il cambiamento in corso a Milano. Anna vive a due passi dal centro città, Gianni invece fa il pendolare e da vent’anni percorre circa 50km per arrivare dalla provincia. Entrambi però lavorano a Milano e oggi non la riconoscono più.
Ogni giorno, nel periodo pre-Covid, la città di Milano veniva raggiunta da moltissimi pendolari che dalla provincia si accentravano nel capoluogo per dirigersi a lavoro. Questo contributo è sempre stato fondamentale per la città e oggi questo movimento centripeto si è fermato: secondo le stime di ATM, l’intero comparto del trasporto pubblico locale nel 2020 ha registrato perdite pari a due miliardi di euro.
Questa perdita economica del sistema di trasporto pubblico è una dimostrazione del fatto che i pendolari stanno sparendo, il flusso che collegava provincia-città oggi non esiste più. E’ lo stesso Gianni ad esserne un esempio: “L’ultima volta che ho fatto l’abbonamento mensile al treno è stato proprio nel mese di febbraio del 2020. Poi con i due lockdown e con l’attivazione dello smart working in ufficio, le volte che mi dovevo recare a Milano per lavoro l’ho fatto con la mia auto personale, visto che l’azienda ha istituito anche l’ingresso variabile al mattino a proprio piacimento. Questo anche per evitare che i dipendenti prendessero i mezzi nell’orario di punta: si è deciso di allargare la forbice per consentire di entrare in ufficio in fasce orarie differenti” e proseguendo con l’intervista, conferma la preoccupante ipotesi: “Milano ha perso i ‘non milanesi’ come me: a causa di una rivoluzione repentina è iniziato un cambiamento che la città non era pronta a sostenere. […] Ora faccio fatica a non avvertire un senso di straniamento nel vedere quello che è oggi rispetto a come l’abbiamo vissuta prima, ogni giorno.”
# Abbiamo pensato troppo al breve periodo?
credit: azzalinofficial.com
Gli uffici a Milano sono praticamente deserti. Anche Anna, pur vivendo in città, non si reca più molto in ufficio. “Diciamo che la pandemia e l’emergenza hanno accelerato un processo di cambiamento che alcune aziende avevano già avviato negli anni scorsi, adottando soluzioni che oggi sono per certi versi obbligate. Tieni conto che nell’azienda dove lavoro io – siamo circa quattrocento – quasi la metà è in smart working da fine febbraio dello scorso anno. Personalmente mi reco in ufficio lo stretto necessario, una o due volte a settimana, in base alle esigenze aziendali.”
La sua visione della gestione della pandemia da parte del capoluogo è piuttosto critica: “Lo zoccolo duro di chi lavora e vive a Milano è rimasto, ma tutto il resto si è dileguato. […] Ho vissuto e lavorato in Cina per diversi anni. I miei ex colleghi e amici mi dicono che lì hanno ricominciato la loro vita di sempre: perché la Cina ha sempre pensato al lungo periodo e non al breve. E ora ripartono”.
Anche se il movimento centripeto si è interrotto e la grande fuga dalla città si sta davvero concretizzando, dobbiamo tornare a credere nel detto a Milan, anca i moron fann l’uga (“a Milano anche i gelsi fanno l’uva”), nella città dove tutto è possibile. Ma in questa situazione la fiducia non è sufficiente, è necessario avere fiducia ma soprattutto la forza di reagire con un piano che pensi al lungo periodo.
Il blocco dell’account Twitter e Facebook di Trump ha innescato una reazione del mondo politico in diversi paesi. I governi di Francia e Germania si sono scagliati contro Facebook accusandolo di violare i principi della libertà di espressione in vigore in Europa. La notizia del giorno è la decisione presa dai governi in Uganda e in Russia.
POLITICA contro SOCIAL NETWORK: in Uganda bloccati per le elezioni, in Russia sospesi se discriminano cittadini russi
# Il presidente uscente dell’Uganda Yoweri Museveni blocca tutti i social network in vista delle imminenti elezioni del 14 gennaio
Credits: africa-express.info
In Uganda sono stati bloccati i social network e numerose applicazioni per scambiarsi messaggi, in vista delle elezioni presidenziali che si terranno il prossimo 14 gennaio. La decisione è stata ricondotta al presidente uscente Yoweri Museveni, tra i più longevi leader africani e a capo dell’Uganda dal 1986. Museveni ha detto di non avere avuto scelta in seguito alla decisione di Facebook di rimuovere alcuni account a sostegno del suo partito, il Movimento di Resistenza Nazionale.
Il blocco sta interessando Facebook, Twitter, WhatsApp, Instagram, Skype, Snapchat, Viber e alcuni store di applicazioni ed è giudicato dall’opposizione come uno dei sistemi impiegati da Museveni per ostacolare i suoi avversari e lo svolgimento democratico della campagna elettorale. Soprattutto ai danni di Bobi Wine, un cantante di 38 anni che rappresenta la Piattaforma di Unità Nazionale con un grande seguito in un paese dove circa l’80% della popolazione ha meno di 30 anni.
# Il presidente Putin ha firmato una legge contro la censura degli account russi da parte di Facebook, Twitter e YouTube
Credits: italianiemigrati.it
Il presidente Putin ha firmato una legge che consente di bloccare siti web, come Twitter, Facebook e YouTube, se giudicati colpevoli di censura o discriminazione. Il testo prevede la possibilità di bloccare, rallentare il traffico e imporre sanzioni amministrative a questi colossi. Alla base di questa legge il fatto di aver limitato l’accesso alle informazioni per motivi legati alla nazionalità, alla lingua e all’origine.
Secondo il servizio di supervisione dei media russi una ventina di organi di informazione russi sono stati censurati da Google e YouTube, Facebook e Twitter. Tra questi un gruppo di 13 account Facebook e due pagine collegate alla Russia per aver violato le sue regole sulla prevenzione delle interferenze straniere, mentre Twitter ha escluso l’account di RIA Novosti, l’Agenzia di informazione internazionale russa un tempo Agenzia Stampa di Stato, dai risultati di ricerca.
# Le motivazioni opposte per colpire i colossi del web americani
Credits: key4biz.it
Stanno prendendo direzioni diametralmente opposte alcuni Paesi nel contrasto ai colossi del web americani proprietari dei più diffusi social network. Da un lato alcuni Paesi intendono bloccarli perché potenzialmente pericolosi per le informazioni incontrollate che circolano al loro interno. Dall’altro Paesi come la Russia che intervengono invece contro chiusure o discriminazioni fatte ai danni di profili o pagine dei loro connazionali, per tutelare al contrario la libertà di espressione e di informazione.
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
Una delle caratteristiche del potere politico è l’assenza di responsabilità.
Per esercitare il potere il politico deve fare delle scelte. Ma nel momento in cui fa una scelta, sceglie qualcosa che dà vantaggi a qualcuno e crea danni a qualcun altro.
Di ogni sua decisione il politico ne deve rispondere politicamente, ossia come perdita del consenso della parte che si sente danneggiata dalla decisione. Un tempo questa perdita del consenso si manifestava solo con il voto. Oggi però avviene istantaneamente con la riprovazione sociale nei confronti del decisore, amplificata dai nuovi mezzi di comunicazione.
Questa condizione di stato permanente di reazione aggressiva conseguente a ogni vera decisione rischia di portare all’immobilismo e alla riduzione del potere a un aspetto puramente di etichetta.
Per scongiurare il rischio di impasse che cosa ha trovato chi ha il potere politico come modo per esercitarlo?
Attraverso la costituzione di figure intermedie a cui delegare la responsabilità sociale di ogni decisione.
L’esempio più evidente è quello del Comitato Tecnico Scientifico a cui viene data la responsabilità delle decisioni più impopolari durante l’emergenza sanitaria. Anche il ricorso alla figura del commissario è un altro esempio così come forse quello più eclatante è lo stesso presidente del consiglio: a capo di due governi politicamente opposti, senza essere mai stato eletto si prende la responsabilità per le decisioni prese dagli eletti.
Il principio che si sta diffondendo tra i governanti è che fanno ricadere su altri la conseguenza di decisioni che in realtà prendono o dovrebbero prendere loro.
Questo modo di esercitare il potere per interposta persona in modo da evitare la riprovazione sociale può aprire diversi scenari.
– Si può prevedere la proliferazione di organi intermedi che di fatto gestiscono la sovranità del popolo senza averne mai avuto il mandato. Che è una forma di autoritarismo e di abuso antidemocratico.
– Un’altra via è quella forse più idealistica: la soluzione opposta, ossia dare più potere di scelta direttamente al popolo che risponde direttamente della propria scelta. Questo era il modello della piattaforma Rousseau, fallito perchè di fatto più simile a un organo intermedio che a uno strumento di sovranità popolare.
– Infine c’è lo sviluppo più probabile: se il limite maggiore al potere è la reazione mediatica da parte di chi ha subito danno dalla decisione, il vero potere politico è nelle mani di chi controlla le informazioni.
Forse è già così: il vero oro sono le informazioni.
Credits: milano.corriere.it - Negozi chiusi in Galleria
Da domenica Lombardia e la Calabria rischiano di tornare zona rossa. Meno pericoli invece per il resto d’Italia. Eppure dai dati ufficiali sembra che la situazione in Lombardia sia non solo in progressivo miglioramento ma anche più rosea rispetto alla media italiana. Ecco i dati e che cosa potrebbe succedere.
🛑 La LOMBARDIA rischia il ROSSO. Nonostante i principali indici siano migliori del resto d’Italia
# Con il cambio di valutazione dei parametri Lombardia e Calabria a rischio zona rossa
Credit: artribune.it
Il cambio di valutazione dei parametri annunciato agli enti locali con il nuovo Dpcm e il decreto legge in arrivo entro il 15 gennaio potrebbe portare a una stretta in tutto il paese. L’ipotesi al vaglio al momento è quella di abbassare la soglia critica del tasso di occupazione delle terapie intensive e dei posti letto in area medica, fissata ora al 30% e al 40%, oltre a mettere il limite dell’indice Rt a 1,25. Sopra quelle soglie si entrerebbe in automatico in zona rossa.
In totale sono 13 le regioni e le province autonome a rischio secondo il monitoraggio più recente: Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Veneto, le province autonome di Bolzano e Trento per tutte e due le voci, mentre Lombardia, Marche, Piemonte, Umbria, Puglia e Valle d’Aosta per una sola. Inoltre secondo il verbale della cabina di regia svolta l’8 gennaio scorso 12 regioni sono classificate a rischio alto questa settimana: Emilia-Romagna, FVG, Lazio, Liguria, Lombardia, Marche, Piemonte, PA Bolzano/Bozen, PA Trento, Puglia, Umbria, Veneto. A quanto pare però con le nuove regole più stringenti si troverebbero tutte in zona arancione tranne Lombardia e Calabria, le uniche in zona rossa. Ma vediamo l’attuale situazione dell’epidemia nella nostra regione.
# In calo decessi, indice di positività, ricoveri e nuovi casi. In rapporto alla popolazione situazione migliore che nel resto d’Italia
Tutti i principali indici sull’andamento dell’epidemia sono in miglioramento nella nostra regione:
I decessi sono da giorni tra i 50 e le 60 unità, in calo tendenziale, mentre anche ieri in Italia si sono superati i 600, in crescita.
In proporzione alla popolazione i morti in Lombardia rimangono quindi sotto lo 0,0006%, a livello nazionale tocca invece lo 0,0010%.
Lo stesso vale per l’indice di positività: quello della Lombardia ormai è da giorni prossimo o inferiore alla soglia fatidica del 10% e in media di 3 punti percentuali inferiore a quello nazionale. L’ultima rilevazione in Lombardia di ieri è a 7,2%.
I nuovi contagi in rapporto alla popolazione rimangono da giorni sotto il 13%, in Italia con il dato di ieri di 14.242 positivi totali sfiora il 25%.
I ricoverati negli ospedali Lombardia presentano da settimane un trend di riduzione, con un progressivo svuotamento dei reparti sia ordinari che in terapia intensiva. Nel resto d’Italia in diverse regioni da alcuni giorni il trend è invece di aumento dei ricoveri.
# Lombardia penalizzata nonostante i dati in miglioramento
Credits: milano.corriere.it
È giusto che il governo faccia chiarezza sul perché la Lombardia che registra i miglioramenti venga un’altra volta penalizzata, come già a inizio novembre quando fu messa in zona rossa nonostante gli indici in miglioramento da due settimane: RT in calo, la crescita dei contagi si stabilizzata e ricoverati in terapia intensiva sotto la soglia dell’1% dei positivi totali.
Oggi con l’indice Rt attorno all’1,25 la nostra regione sarebbe in zona arancio con le vecchie regole, che poneva come soglia di rischio più alto un Rt a 1,50. Nella Città Metropolitana di Milano siamo addirittura al 1,14, così come non preoccupa la soglia dei posti letto per ricoveri ordinari che è ben al di sotto del 40% di occupazione. Se si scendesse a livello provinciale la situazione sarebbe ancora migliore. Perché l’esecutivo quindi sta decidendo di danneggiare ancora una volta i nostri territori, mentre altri si trovano in condizioni peggiori? I lombardi e milanesi meritano una risposta.
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
Una bicicletta può funzionare senza catena? Il sistema DrivEn potrebbe rivoluzionare il mondo delle due ruote.
Una nuova RIVOLUZIONE COPERNICANA? Arriva la BICI SENZA CATENA
Sin dalla metà dell’Ottocento la forza delle pedalate viene trasformata in movimento tramite l’ausilio di una catena e da allora, la tecnica ciclistica dipende strettamente da questo funzionale elemento. Ma oggi sta succedendo qualcosa, qualcosa di davvero rivoluzionario, nel mondo delle due ruote: è stato presentato il prototipo di una bici che si muove senza la catena.
# Eppur si muove: presentato il prototipo di una bici senza catena
credit: mtbcult.it
Da secoli quindi la bicicletta possiede necessariamente due ruote e una catena. Oggi questo non sta solo cambiando ma sta rivoluzionando nel vero senso della parola il concetto di bicicletta che ciascuno di noi ha. Come disse Galileo riferendosi alla Terra, “eppur si muove”: può sembrare assurdo che le pedalate si convertano in movimento senza catena, eppure è così. Al momento ne esiste solo un prototipo ma l’azienda danese che l’ha prodotto, Ceramicspeed, è convinta che presto il mondo del ciclismo si libererà definitivamente della catena. Inizialmente si occupavano di pattini in linea, producendo cuscinetti a bassissimo attrito, e poi ci fu il lampo di genio: esportare il sistema sulle due ruote.
# Eliminando la catena, si elimina un fattore di rischio
credit: mtbcult.it
Così in collaborazione con il dipartimento di ingegneria meccanica di Boulder della University of Colorado è stato sviluppato un prototipo di bicicletta che non ha bisogno di tradizionale catena o di deragliatore (il meccanismo che permette di usare diversi rapporti di trasmissione). Ma quali sono gli effettivi benefici di una bici senza catena? Prima di esaminarne gli aspetti tecnici, è necessario sottolineare che la catena è un fattore di rischio: è esposta alle intemperie, alla sporcizia e ai colpi, questo può provocarne la rottura nel bel mezzo di una corsa causando pericolose cadute ai ciclisti.
# Il sistema riduce di quasi il 50% l’attrito: nuovi record e tempi di gara
credit: it.businessinsider.com
Esaminandone però gli aspetti tecnici, una bicicletta senza catena offre il doppio dell’efficienza del migliore sistema a catena attualmente disponibile, con una riduzione dell’attrito del 49%. Questo strabiliante miglioramento rappresenterebbe davvero una rivoluzione nel mondo del ciclismo, permettendo nuovi record di velocità e tempi di gara finora impensabili. E allora se questo prototipo è così efficiente perché non ne viene avviata la produzione? La risposta è semplice: perché il prototipo è molto efficiente ma non ancora perfetto.
# Quali sono gli ostacoli alla realizzazione di questa rivoluzione?
Il sistema, chiamato DriveEn, presenta delle problematiche di cui parleremo in seguito ma prima è necessario illustrare il suo funzionamento. La bicicletta DriveEn è composta da un albero con una serie di cuscinetti ceramici a ciascuna estremità che trasferiscono il moto proveniente dai pedali a un serie di tredici ingranaggi disposti in piano, che sostituiscono la tradizionale cassetta pignoni al posteriore. In questo sistema risiedono sia la rivoluzione che l’ostacolo alla sua realizzazione: per funzionare l’albero di trasmissione ha bisogno dello spazio che al momento è occupato dalla parte inferiore del triangolo posteriore del telaio. Se questo ostacolo sembrerebbe poter essere superato grazie a dei forcellini particolarmente inclinati verso l’alto, alcuni esperti restano comunque scettici. Considerando che i ciclisti più potenti esercitano una forza fino a 1700W sulla trasmissione, sarà DrivEn in grado di resistere? E la sabbia, il fango o i detriti, non saranno un problema per i punti di contatto del sistema?
Questo prototipo per affermarsi nel mercato delle due ruote ha bisogno di supporto, soprattutto da parte dei produttori di telai che dovrebbero riprogettare i prodotti per inserire l’albero di trasmissione. Ma la storia ci ha insegnato che ogni rivoluzione per affermarsi ha dovuto superare ostacoli e difficoltà, e DrivEn seppur con le sue problematiche sembra proprio essere il futuro della tecnica ciclistica.
La protesta è iniziata ieri 12 gennaio e andrà avanti ad oltranza finché gli studenti non avranno una risposta dal governo e dalla Regione Lombardia che ha deciso di posticipare la riapertura degli istituti superiori non prima del 25 gennaio. Anche i genitori sono dalla loro parte.
🛑 “Ci tolgono la SCUOLA? Noi ce la RIPRENDIAMO!”
# La protesta del “Collettivo Manzoni”: occupato il cortile del liceo classico
Credits: ilgiorno.it
Gli studenti del liceo classico Manzoni occupano da ieri mattina 12 gennaio il cortile dell’istituto. Il “piano” era già pronto da giorni: sfruttare il cambio dell’ora per entrare e “conquistare” il cortile della scuola. Sono riusciti a fare irruzione in una cinquantina. Nel corso della mattinata, a seguito di una chiamata da parte della preside alle forze dell’ordine, gli studenti sono stati identificati e subito dopo nelle chat è impazzata l’ipotesi sgombero: in poco tempo, grazie al passa parola, circa un centinaio di ragazzi si sono radunati davanti a via Orazio 3.
Tra gli studenti, anche alcuni genitori come Sabina Umberto Bona: “Mio figlio è dentro, sono fiera di lui.Questa azione dimostra quanto i ragazzi siano ormai stufi di essere presi in giro. Chissà magari chi ci governa ora li ascolterà”
# Dario del Prete “Siamo stufi. Chi ci governa deve smetterla di pensare che noi siamo oggetti con cui possono fare quello che vogliono“
“Siamo stufi, ha ribadito Dario Del Prete, la nostra è una azione doverosa che ci ha permesso di rientrare dove dovremmo essere di diritto. La scuola deve tornare davvero al centro del dibattito politico. La didattica a distanza deve finire. Chi ci governa deve smetterla di pensare che noi siamo oggetti con cui possono fare quello che vogliono“.
# Alle 14 previsto un grande presidio all’aperto
Alle 17,30, dopo la chiusura della scuola, alcuni degli studenti sono usciti dal liceo per permettere durante la notte il rispetto delle norme anti-Covid. Una ventina di loro ha deciso di sfidare le temperature e di passare la notte lì in cortile, nonostante il freddo si facesse via via insopportabile. Tende montate, un indumento sopra l’altro, sacchi a pelo pronti. Ma in extremis sono riusciti a strappare un accordo: si dorme nelle aule. “Alle 14 usciranno e ci uniremo in un unico grande presidio“.
Il classico Manzoni, storicamente, è stato apripista nelle mobilitazioni: “Abbiamo un collettivo molto forte, parte da qui una protesta che riguarderà tutti gli studenti e altri istituti“, ribadiscono dal Collettivo.
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
Stanchi della vita metropolitana? Paura del futuro in Italia? A soli 80km dal confine un paesino di montagna in Svizzera paga chi va a viverci. Vediamo cosa ha da offrire questo posto che sembra delizioso e quali sono le condizioni per godere dei vantaggi ad andarci a vivere.
Fuggire in SVIZZERA? A soli 80 KM dal CONFINE c’è un PAESE che ti PAGA per andarci a VIVERE
# Un paese che vuole rimettersi in gioco: Albinen
credit: gentside.it
Quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare. Avviando una nuova tecnica per attrarre abitanti, un paesino svizzero a 80 km dal confine con l’Italia sta tentando di ripopolarsi. Stiamo parlando di Albinen e gli ultimi abitanti rimasti sono appena 300. I cittadini del caratteristico paesino nel Canton Vallese hanno deciso di rimescolare le carte in tavola per offrire ad Albinen una nuova partita, pagando chi decide di costruirci una casa e di andarci a vivere.
# Ad Albinen ti pagano per trasferirti: un’offerta da non poter rifiutare
credit: zz7.it
La proposta? E’ alquanto allettante. Ai nuovi cittadini viene offerto un finanziamento di 60mila euro per chi deciderà di costruire una casa: 21mila euro ad adulto e 8mila euro a bambino. Ma non tutti possono ottenere il finanziamento, i requisiti infatti sono:
avere meno di 45 anni
avere un permesso di domicilio in Svizzera
rimanere nel paese per almeno 10 anni, comprando la casa
# Perché trasferirsi qui significa cambiare vita?
credit: rizieroalberico.altervista.org
Dall’etimologia del suo nome, Albinen significa foresta da “arbignon” oppure alpe da “albignion”. Il paesino è infatti immerso nella natura più selvaggia e mozzafiato e offre l’opportunità di cambiare vita con tradizionalità ma anche moderna vivacità e voglia di crescere. Ad Albinen la montagna fa da padrona nelle vite dei suoi cittadini tra escursioni, scii, slittini o rilassanti passeggiate.
Ma Albinen non è solo montagna: nei pressi della cittadina si trova la località termale di Leukerbad, conosciuta da oltre 500 anni, addirittura già ai tempi dei Romani, per le sue rilassanti terme in cui riscaldarsi prima di tornare tra la neve.
Se sei un amante della montagna o semplicemente vuoi scappare dalla vita metropolitana, non puoi non farci un pensierino… verrai addirittura pagato per trasferirti in un posto da sogno.
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Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
Osservando che più’ dell’80% dei decessi è legato a soggetti con età superiore a 70 anni (pari al 17% della popolazione italiana), potremmo prevedere di fare un gran balzo in avanti in tempi relativamente brevi concentrando le vaccinazioni su questa fascia d’età? Questa la tesi di diversi esperti, rilanciata in particolare da Duilio Paolini che prende a riferimento l’economista Pareto e la sua celebre teoria dell’80/20.
L’IMMUNITÀ di PARETO: come RISOLVERE il problema COVID in TEMPI RECORD
# Il piano vaccinale italiano rischia di concludersi nel 2023
Credits: tg24.sky.it – Il piano di consegne dei vaccini
Il governo ha un piano vaccinale che termina entro il 2022, in quanto ipotizza di arrivare a una media di 160.000 dosi giornaliere, tuttavia ad oggi ci troviamo sotto la metà con circa 65.000 dosi iniettate ogni giorno. Questo è dovuto sia alla disponibilità limitata del vaccino e sia alle strutture dei sistemi sanitari delle regioni stanno tarando la propria operatività, anche se alcune regioni hanno già di fatto esaurito le dosi. Alla data di ieri 11 gennaio sono state eseguite 718.797 iniezioni pari al 1,19% della popolazione e tenendo conto di possibili ritardi nella produzione e nella distribuzione dei vaccini il rischio di prolungare la campagna al 2023 non si può escludere.
# L’80% dei decessi si riferisce a persone con più di 70 anni, perché non vaccinarle per primi?
Fonte: epicentro.iss.it
Una speranza di ridurre i tempi per rendere efficace il piano vaccinale arriva dalla fotografia sulla distribuzione dei decessi da infezione da SARS-CoV-2 per fascia d’età. Questo grafico mostra che la mortalità ha una incidenza preponderante nella popolazione sopra i 60 anni. Da notare che più’ dell’80% dei decessi è legato a soggetti con età superiore a 70 anni.
Credits: epicentro.iss.it – Morti per fasce d’età
# Applicare la teoria di Pareto alla campagna vaccinale: il 20% dei vaccinati consentirebbe di immunizzare più dell’80% dei soggetti pericolosamente esposti
Dunque per mitigare i rischi di ritardare nella realizzazione del piano di vaccinazione la miglior soluzione è quella di vaccinare gli over 70 per primi. Gli over 70 corrispondono a circa 10 Milioni di individui, ovvero a circa il 17% della intera popolazione.
Credits: duiliopaolini.medium.com
Si potrebbe trasporre in maniera analoga quanto enuncia la teoria di Pareto, secondo la quale “il 20% delle cause provoca l’80% degli effetti”, per la campagna vaccinale: circa il 20% dei vaccinati consentirebbe di immunizzare il più dell’80% dei soggetti pericolosamente esposti.
# L’Italia potrebbe essere immune in soli 2 mesi e uscire dall’emergenza sanitaria
Se si scegliesse questa strategia resterebbero due possibili scenari da valutare:
Il tasso di vaccinazione arriva a 160.000 dosi giornaliere come pianificato dal governo e quindi i 10 milioni di persone potrebbero essere vaccinate in soli 2 mesi.
Il tasso di vaccinazione rimane attorno alla quota di 65.000 al giorno e i 10 milioni di persone potrebbero essere vaccinate in circa 5 mesi.
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
I social producono profitti. Guadagnano sui contenuti che vengono prodotti da chi posta e scrive. E guadagnano profitti colossali proprio perché non pagano i costi di produzione. Non basta avere i muri della fabbrica per essere un imprenditore dell’automobile: bisogna avere anche gli operai che ci lavorano dentro e pagarli assieme alle materie prime che vengono lavorate.
Le aziende dei social network mettono a disposizione la piattaforma ma in realtà ci stanno usando. Anche perché la gente vorrebbe avere un Facebook open source. Gratuito, senza pubblicità, che non spia e non seleziona i nostri contenuti in base a ciò che gli fa più comodo. Tutti i cambiamenti che fanno i social network dicono che li fanno per noi invece li fanno per usare noi in modo da vendere la pubblicità.
Una delle cose più belle di Instagram in origine era che ordinava i post in senso cronologico. Al tramonto vedevi tutte foto al tramonto degli amici. Vedere tutti i tramonti insieme era bellissimo, c’era l’idea di vivere la contemporaneità del momento.
Quando Instagram l’ha preso Facebook i post non sono più ordinati per motivi cronologici, ma per importanza. Ora se entri all’ora del tramonto ti può apparire il post di un personaggio famoso che si lava i denti alla mattina. Anche se tu vorresti la connessione con i tuoi amici che postano la foto in quel momento lì.
Quello che sta avvenendo nel mondo dell’informazione con i social attuali è una restaurazione dell’ancient regime: la qualità dei contenuti o della nostra foto decade in nome di un privilegio definito dall’autorità suprema che crea un meccanismo di selezione che favorisce gli eletti dagli altri. Nel momento in cui i social network decidono chi rendere un eletto e chi no, in quel momento diventano editori.
Ma se diventano editori devono rispondere di tutti i contenuti pubblicati. Ma non solo: devono anche corrispondere a tutti quelli che scrivono un compenso adeguato.
Anche perché se bastasse avere i muri per avere una fabbrica saremmo tutti produttori di automobili.
Nel giorno in cui Germania e Francia hanno attaccato Facebook e Twitter per aver bloccato il profilo di Trump, nel nostro piccolo ci è capitata una cosa simile. Al direttore di MilanoCittàStato.it, Andrea Zoppolato, Facebook ha bloccato il profilo, senza preavviso, per tre giorni. Vediamo cosa è successo.
Zuck ha colpito anche me: profilo BLOCCATO per tre giorni
11 gennaio 2020. Nel giorno del quinto compleanno del sito milanocittastato.itFacebook mi ha voluto fare un regalo. A modo suo. Mi ha infatti bloccato il profilo personale per tre giorni. Senza preavviso. La prima volta che mi accade.
L’antefatto: il mio post contro l’abuso di potere dei social
Coincidenza curiosa, perchè è accaduto il giorno dopo che avevo postato un articolo che riprendeva l’attacco di Cacciari contro Facebook e Twitter per la censura a Trump: “È scandaloso che un social decida chi parla e chi no”, dice il filosofo veneziano nell’articolo che ho condiviso.
Condivido infatti il pericolo che un privato che ha una posizione di dominanza in un ambito così rilevante come quello del mondo dell’informazione, possa decidere a sua totale discrezione chi ammettere o chi rifiutare sulla base di sue simpatie o di policy che non trovino corrispondenza con le leggi sull’editoria. Un po’ come se una compagnia aerea leader su una determinata tratta o se Trenitalia e Italo non accettassero qualche passeggero sulla base di loro preferenze. Lo stesso se un’autostrada impedisse l’accesso ad alcune auto a suo piacimento. Anche per questo servono le leggi: a tutelare il cittadino dagli abusi di potere.
Anche perchè lo stesso Zuckerberg ha sempre rifiutato di definirsi editore proprio per non dover rispondere come editore di tutti i contenuti pubblicati.
La presa di posizione di Cacciari è stata la stessa posizione espressa in seguito anche dai governi di Germania e Francia che il giorno dopo hanno dichiarato che Facebook e Twitter se decidono liberamente chi accettare o meno sulle loro piattaforme commettono una violazione contro i principi della libertà di espressione regolati in Europa. Ma questa è un’altra storia. Torno alle mie vicende.
Facebook non ama gli indigeni Selknam?
Il primo pensiero dopo aver ricevuto il blocco è stato al post su Cacciari. Non tanto perchè pensavo di essere stato punito per ciò che avevo scritto, ma perchè mi sono ritrovato a capire cosa significa di punto in bianco non poter usare la principale piattaforma di comunicazione dei nostri tempi.
Il primo problema che ho riscontrato è che ognuno di noi è indifeso. Come è successo a me, a chiunque penso possa accadere di vedersi bloccato come profilo o come pagina in qualunque momento con l’accusa di aver violato le policy di Facebook.
Ma qual è la policy che avrei violato? Ho scoperto che sono stato bloccato per aver condiviso su alcune pagine di cui sono co-amministratore questo articolo pubblicato sul sito di milanocittastato.it: Finiremo come la tribù perduta della Terra del Fuoco?
Il blocco non è stato innescato dalle triste vicende dei Selknam, la tribù estinta della Terra del Fuoco, ma da questa foto degli indigeni che accompagnava l’articolo:
I Selknam, la tribù estinta della Terra del Fuoco
Foto antica, copyright free, presa da Google, su cui, come si vede, era già stata attivata la modalità di offuscare le parti nobili del corpo degli indigeni. Un offuscamento che per l’occhio di lince dell’algoritmo evidentemente non è risultato sufficiente. Così da violare la policy di Facebook che punisce immagini di nudo o di tipo sessuale.
Non vorrei qui sindacare sulla causa della violazione. E’ evidente, mi sembra, che questa immagine dei Selknam non è di tipo sessuale, ma è altrettanto evidente che l’algoritmo di Facebook così come è intervenuto per punire me probabilmente si aziona in tanti altri casi con automatismi che potrebbero individuare come violazioni contenuti che in realtà sono corretti.
Ognuno di noi è come un Selknam
Gli indigeni Selknam erano una tribù così indifesa che nell’incontro con gli occidentali sono stati spazzati via da un semplice raffreddore. E se penso alla mia condizione, mi sento indifeso come loro. Non solo per il fatto di essere stato bloccato da questo automatismo. Ma per quello che è successo dopo. Ho cercato di mettermi in contatto con l’assistenza per fare capire che non ho commesso alcuna violazione. Ma così come Facebook si basa su algoritmi e automatismi per controllare i contenuti pubblicati, allo stesso modo li utilizza per rispondere a chi si vuole mettere in contatto con lei. Provare a cliccare l’assistenza apre ad altre pagine con domande e risposte preconfezionate. Alla fine sono riuscito a trovare schiacciando il triangolino in alto a destra alla pagina del profilo, la sezione “segnala un problema” in “assistenza e supporto”. Ho mandato la mia richiesta di informazioni ma senza ottenere nessuna risposta.
Dopo alcune ore anche grazie ad altri canali più diretti sono riuscito ad avere un intervento di un tecnico. Una donna molto gentile che però mi ha risposto che, dopo aver convenuto sull’assurdità dell’intervento, anche causa Covid, non sarebbero potuti intervenire in tempi rapidi. Dopo oltre un giorno sono ancora qui in attesa e ormai mi sono messo il cuore in pace di dover scontare i tre giorni di punizione nonostante la stessa Facebook abbia di fatto riconosciuto l’errore: lo stesso post con il link “incriminato” è stato infatti riammesso alla pubblicazione. Però il mio profilo rimane bloccato. E l’esperienza di avere il profilo bloccato è davvero straniante.
Vedere senza poter comunicare, come l’angelo del film di Wenders
E’ straniante perchè io posso vedere tutto quello che viene scritto sul mio profilo, ogni commento o messaggio, ma senza poter rispondere. Mi sento come l’angelo del Cielo Sopra Berlino di Wim Wenders che sta in mezzo alle persone mortali ma senza poter interagire con loro. Un’esperienza straniante, anche curiosa, sopportabile anche perchè tre giorni non è la fine del mondo (anche se di questi tempi non si può escludere nulla), però è angosciante. Angosciante perchè fa capire il potere immenso che abbiamo messo nelle mani di qualcuno che anche per un semplice automatismo potrebbe cancellare nostri pensieri, esperienze, lavoro di anni, senza alcuna possibilità per noi di tutela.
Una cosa che in un paese moderno e civile non dovrebbe essere concesso. Né a un governo nè tantomeno a un privato. Io credo che questo periodo così duro per tutti ci stia mostrando che forse è proprio questo il punto.
Come cittadini dobbiamo pretendere di riprendere il potere sulla nostra vita che abbiamo consegnato a privati in posizioni egemoniche e a governanti. Privati e governanti che spesso trasformano il potere in un abuso di potere, sentendosi in diritto di decidere sulla vita di quelle stesse persone che invece dovrebbero essere loro a servire, non il contrario.
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
Ormai è assodato che il paziente 1 non sia Mattia Maestri, il 37enne di Codogno ricoverato per una grave polmonite il 20 febbraio. Secondo uno studio italiano pubblicato sul British Journal of Dermatology il primo caso certo di Covid sarebbe una 25enne milanese, che aveva iniziato a stare male e ad avere i sintomi sulla pelle nel novembre 2019. Tutti i dettagli della ricerca e le altre prove del virus a Milano prima del riconoscimento ufficiale della pandemia.
QUANDO a Milano si VIVEVA col COVID: CHI È la DONNA MALATA tre mesi prima di Codogno
# Lo studio del dermatopatologo Raffaele Gianotti, pubblicato sul British Journal of Dermatology, ha individuato una 25enne positiva al Covid a novembre 2019
Raffaele Gianotti, dermatopatologo dell’Università Statale di Milano e della Fondazione Cà Granda Ospedale Maggiore Policlinico di Milano e coordinatore dello studio pubblicato sul British Journal of Dermatology, ha individuato la presenza del virus SarsCov2 in una biopsia della pelle fatta il 10 novembre 2019. “Non abbiamo appurato se la donna avesse viaggiato fuori dall’Italia, ma i sintomi sulla pelle sono comparsi all’inizio di novembre. Con l’aiuto dei laboratori dell’Istituto Europeo di Oncologia e del Centro Diagnostico italiano, abbiamo rianalizzato una decina di biopsie cutanee che io avevo nel mio archivio, riscontrando le tracce del virus nella cute di questa donna“. La paziente, contattata a posteriori, ha riferito assenza di sintomi sistemici da infezione da Covid- 19, la scomparsa delle lesioni cutanee dopo cinque mesi e la positività degli anticorpi anti SARS- CoV-2 nel sangue periferico a giugno 2020.
L’idea di approntare lo studio è arrivata, aggiunge Gianotti, “dopo aver studiato le manifestazioni cutanee in pazienti affetti da Covid-19 dell’area milanese…Mi sono domandato se avessimo potuto trovare indizi della presenza della SARS-CoV-2 nella cute di pazienti con solo malattie della pelle prima dell’inizio della fase epidemica ufficialmente riconosciuta“. Come spiega Giovanni Fellegara, responsabile del Laboratorio di Anatomia Patologica del Centro Diagnostico Italiano “Nel caso della giovane donna è stato possibile dimostrare la presenza di antigeni virali nelle ghiandole sudoripare“.
Questo studio, conclude Gianotti, “è un’ulteriore conferma che il nuovo coronavirus ha iniziato a circolare in Europa e in Cina almeno tre mesi prima dell’inizio ufficiale della pandemia“.
# Le altre conferme della presenza del virus in città già a fine 2019
Questa non è l’unica prova che dimostra come il Covid-19 circolasse a Milano già alla fine del 2019. Ecco le più rilevanti:
#1 La testimonianza di una professionista milanese con sintomi a dicembre 2019
La prima prova era arrivata ad aprile con la testimonianza di una professionista milanese di 41 anni che aveva dichiarato al Corriere della Sera: “È iniziata con una febbre poco sopra il 37. Era il 22 dicembre. Poi la febbre è salita. La sera del 26 ha sballato i 39.” La successiva diagnosi di polmonite e il test sierologico hanno poi certificato la presenza di anticorpi da Coronavirus.
#2 La ricerca dell’Istituto dei Tumori che retrodata la presenza del virus all’estate 2019
La seconda prova è arriva dai risultati di una ricerca dell’Istituto dei Tumori, pubblicati a novembre del 2020, secondo la quale a Milano il Covid era già presente almeno dall’estate del 2019. Dall’analisi dei campioni di sangue di pazienti residenti in 5 regioni, prelevati durante uno screening per il tumore al polmone tra settembre 2019 e marzo 2020, era infatti emersa nel 14% dei casi la presenza degli anticorpi del coronavirus già a settembre 2019. Siccome è necessario un certo periodo di tempo affinché si sviluppino, è probabile che il virus circolasse almeno alla fine dell’estate.
#3 Il bambino ricoverato con sintomi e positivo alla data del 21 novembre 2019
A inizio dicembre 2020, un’indagine pubblicata sulla rivista Emerging Infectious Diseasese constatava la presenza del virus alla data del 21 novembre 2019 in un bambino milanese di 4 anni. Il bambino era stato ricoverato al pronto soccorso con sintomi respiratori e vomito il 30 novembre 2019 e un tampone orofaringeo fatto a quel tempo, analizzato successivamente nella seconda metà del 2020, è risultato positivo al Coronavirus.
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
Un interessante modello frutto del lavoro del Dottor Paolo Spada dell’ospedale Humanitas tiene conto dei dati di contagio provinciale e della disponibilità dei posti letto. Il vantaggio di operare in questo modo è che si potrebbe adattare rapidamente alla reale necessità del territorio. Ecco come cambierebbe la geografia del rischio e che impatto potrebbe avere per Milano.
E se le ZONE ROSSE fossero per PROVINCIA e NON per REGIONE?
# Il governo è al lavoro sul nuovo Dpcm in cui potrebbe essere introdotto il parametro dell’incidenza di contagi su 100.000 abitanti per determinare le fasce di rischio
Credits: tgcom24.mediaset.it – Conte, Borrelli e Speranza
Il governo è al lavoro sul nuovo dpcm, che stabilirà le fasce in vigore da sabato in poi. Oggi 11 gennaio è atteso il primo confronto con le regioni. Tra i criteri che peseranno di più verrà valorizzato quello dell’incidenza dei casi registrati in ciascuna regione nell’ultima settimana, tarato su 100 mila abitanti. Una proposta partita dall’Istituto Superiore di Sanità, subito condivisa dal Cts. Un ritocco reso necessario dopo che nelle ultime settimane, il peso eccessivo dato all’Rt e ad altri indicatori troppo riferiti ai giorni passati, facevano perdere un po’ il contatto con l’andamento in tempo reale. La situazione emblematica è quella della Regione Veneto, da tempo in zona gialla e da un mese ormai quella con il più alto incremento di contagi e decessi.
# La proposta di istituire le zone rosse in base ai dati di contagio provinciale lanciata dal Dottor Paolo Spada
Il dottor Paolo Spada, specializzato in Chirurgia Vascolare ed Endovascolare all’ospedale Humanitas di Rozzano, propone un sistema alternativo a quello attuale delle regioni a colori, che prevede solo aree rosse provinciali, istituite sulla base del valore di incidenza nella provincia (casi ogni 100.000 abitanti in sette giorni). Il vantaggio di questo modello rispetto al sistema attuale è che esso si adatta rapidamente alla reale necessità del territorio, valorizzando il senso di responsabilità del cittadino. In questo modo la Città Metropolitana non sarebbe a rischio zona rossa. Qui il link alla mappa interattiva, basata su dati del Ministero della Salute e di Agenas.
Al di fuori delle aree rosse, è ipotizzabile la riapertura di tutte le attività, sottoponendole solo a contingentamento. La soglia delle zone rosse sarebbe stabilita in base alla disponibilità di posti letto, cioè posti letto non occupati da pazienti Covid, che varia sensibilmente da una Regione all’altra. La soglia regionale è determinata da posti letto liberiin Area Criticaogni milione di abitantipiù posti letto liberi in Area Non Critica ogni 100.000 abitanti. La progressiva vaccinazione della popolazione, riducendo gradualmente l’occupazione ospedaliera, alzerebbe proporzionalmente la soglia di restrizione.
# La città metropolitana di Milano sarebbe a cavallo tra zona gialla e arancio
Credits: milano.corriere.it
Anche utilizzando tutti i parametri individuati dal governo Milano non sarebbe considerata zona a rischio elevato, ma guardiamo prima la situazione a livello regionale. In base ai dati dell’ultima settimana relativa ai contagi ogni 100.000 abitanti la Lombardia si ferma molto sotto la soglia di 250 casi che, se introdotta come parametro di valutazione dell’andamento della pandemia, porterebbe il territorio in fascia rossa in caso di suo superamento. L’indice Rt a 1,27 e l’occupazione delle terapie intensive oltre la quota di sicurezza del 30% la classificherebbe però in zona rossa, così come paventato dal governatore Fontana se i numeri dovessero peggiorare ulteriormente.
La situazione è diversa nella Città Metropolitana di Milano, così come quasi in tutte le altre province lombarde escluse Como, Sondrio, Brescia e Mantova. Infatti il numero di contagi ogni 100.000 abitanti è a 109, distante dai 250 ipotizzati per le zone rosse, e l’indice Rt è a 1,14, entro la soglia per essere in zona arancione. Prendendo quindi i due parametri principali, contagi settimanali ogni 100.000 abitanti e l’indice Rt, l’area metropolitana inclusa anche Monza Brianza potrebbe posizionarsi a cavallo tra la zona gialla e quella arancione.
Una valutazione sicuramente più puntuale e rispettosa dell’andamento dell’epidemia a livello territoriale rispetto alle ipotesi al vaglio dell’esecutivo. Il caso più eclatante arriva da Bergamo.L’area più colpita d’Europa durante la prima ondata, con diversi studi che ipotizzano una sorta di immunità di gregge già presente, registra solo 43 contagi ogni 100.000 abitanti nell’ultima settimana.
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
M4: l’inaugurazione del primo tratto era fissata per la fine di questo gennaio. Ma per percorrere le prime tre fermate da Linate a Forlanini Fs, si dovrà attendere ancora. Ecco la situazione aggiornata.
🛑 M4: NUOVO RINVIO. Da gennaio a (forse) aprile
# La tratta di 3 fermate Linate-Forlanini Fs prevista per Expo 2015 non aprirà a fine gennaio
La storia infinita: la linea M4 dovrà attendere ancora per vedere inaugurata la prima tratta di 3 fermate, tra Linate e Forlanini Fs, che avrebbe dovuto aprire addirittura entro l’Expo 2015. Purtroppo la data del 31 gennaio non potrà essere rispettata, a causa dei ritardi sui lavori ufficialmente dovuti alla pandemia, e sono previsti almeno 3 mesi di ritardo sulla tabella di marcia.
Il nuovo cronoprogramma vede Aprile come mese fissato per l’apertura e nel frattempo Atm ha preso in carico la tratta ed ha iniziato il pre-esercizio, cioè il collaudo di convogli, strutture e impianti, che per legge dura due mesi al termine dei quali i convogli dei treni potranno iniziare le corse. Ma l’Assessore Granelli ne mette in dubbio la sostenibilità economica: “Il costo di esercizio delle tre stazioni M4 che collegheranno lo scalo cittadino al passante ferroviario è di 650mila euro al mese: bisognerà valutare se in primavera avrà senso mettere in esercizio una mini-linea che rischia di servire un aeroporto ancora deserto.”
Credits: Urbanfile – Ritrovamento muro romano nella stazione De Amicis
Per il resto della linea al momento è confermata l’apertura delle stazioni sino a a Dateo per la fine dell’anno prossimo, e per l’inizio del 2023 fino a San Babila, con uno slittamento anche in questo caso di circa tre mesi. Sul lato ovest della linea invece ci sono meno certezze, complice il ritrovamento del Muro romano alla stazione De Amicis che sarà spostato nel parco Archeologico dell’Anfiteatro Romano e che ha comportato il prolungamento degli scavi.
# Non è l’unico ritardo, la M1 è già da record con oltre 9 anni di lavori per meno di 2 km
Credits: Urbanfile – Vista area Cantiere Restellone
La M4 non è l’unica linea metropolitana di Milano ad essere indietro sui tempi. La linea M1 con il prolungamento di poco più di 1,5 km a nord oltre la stazione di Sesto San Giovanni F.S., con le future stazioni Restellone e Monza Bettola, ha il cantiere aperto da oltre 9 anni, un vero record.
Anche questa tratta avrebbe dovuto aprire entro l’Expo 2015, ma dopo numerose vicissitudini quali il fallimento delle aziende appaltanti, l’insufficienza di fondi, gli intoppi burocratici e in ultimo l’arrivo del Covid con lo stop ai lavori, l’opera attende ancora di essere conclusa. I lavori dovrebbero riprendere la prossima settimana e terminare entro il 2023.
Un altro ritardo considerevole si era avuto con la diramazione della linea M2 di 4,6 km da Famagosta ad Assago Milanofiori Forum, comprendente la stazione intermedia di Assago Milanofiori Nord: nonostante la tratta interamente in superficie a fianco dell’autostrada per Genova ci sono voluti 7 anni per portarla a termine.
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
Negli anni Novanta si prendeva in giro Michael Jackson che era così terrorizzato dalle malattie da dormire in una camera iperbarica e da usare ogni forma di precauzione, dai guanti alle mascherine, per evitare qualunque contatto potenziale con virus o batteri.
Lo si prendeva in giro perché era ancora diffusa la cultura millenaria, per cui i bambini si lasciavano contagiare dalle malattie esantematiche e si considerava il contatto con agenti patogeni come essenziale per rinforzare il sistema immunitario.
Il rischio che stiamo correndo oggi è di diventare come quelle tribù che se vengono in contatto con l’uomo bianco vengono sterminate da un raffreddore.
Il tema vero è domandarsi se sia corretto impostare la nostra società sulla prevenzione e sull’evitare qualunque contatto potenzialmente pericoloso per la nostra salute, o se così facendo stiamo andando verso un processo di autoconsunzione.
Per contrastare il Covid si stanno adottando delle misure che debilitano l’organismo, come la sedentarietà o il vivere al chiuso. Ma non solo questo. C’è soprattutto l’indebolimento che si sta arrecando al sistema immunitario. Lo stesso esercito ha questo nome perché la sua forza deriva dal tenersi costantemente in esercizio. Ma un sistema immunitario che sta sempre protetto non si esercita e alla prima battaglia andrà in difficoltà, con qualunque avversario.
E il rischio è che tornando alla vita normale saremo molto più deboli e impreparati al confronto con la Natura.
A quel punto quale strategia si adotterà: rinchiudersi ancora di più o riaprirsi alla vita?
Con la pandemia gli unici viaggi internazionali consentiti sono ormai quelli con il pensiero. Grazie alle politiche di gestione del virus ci sono molti paesi che hanno riaperto o stanno riaprendo i propri confini ai turisti stranieri. Ma quali sono le mete più sicure in cui viaggiare nel 2021? Questa la classifica ricavata dal sito Siviaggia che ha combinato gli indici di sicurezza generale (safe standard) con la situazione Covid.
I 9 POSTI più SICURI in cui VIAGGIARE nel 2021
#9 Aruba: dalla sabbia bianca al mare cristallino
Credits: costacrociere.it
La paradisiaca Aruba si distingue per bellezza e sicurezza, un riconoscimento che detiene da anni e confermato anche nel 2021. L’isola vanta alcune delle spiagge più belle del mondo caratterizzate da distese di sabbia bianca, un mare cristallino con sfumature dall’acquamarina al blu profondo, palme e una costante brezza. Situata nel Mare Caraibico, a nord del Venezuela, nell’America centrale caraibica attira ogni anno turisti che arrivano principalmente dal Canada, dall’Europa (è una nazione costitutiva del Regno dei Paesi Bassi) e dagli Stati Uniti (il suo più grande partner commerciale). Aruba in totale ha avuto 51 morti Covid ma da mesi i casi sono diventati irrisori e la situazione sembra sotto controllo.
#8 Costa Rica: in cerca di felicità
Credits: royalcaribbean.com/
Il Costa Rica, uno dei Paesi più felici del pianeta, offre ai visitatori molto da vedere e da fare all’aperto. Lo Stato dell’America centrale è stato classificato al primo posto per la felicità media della popolazione nella classifica della graduatoria Happiness in nations 2000-2009. Dopo una prima ondata che ha portato a oltre 2.000 morti, negli ultimi mesi la situazione Covid sembra tornata sotto controllo e ora risulta uno dei paesi più sicuri dell’America Centrale.
#7 Singapore: lo skyline dominato dai grattacieli
Credits: mywowo.net
Tra i Paesi più sicuri in cui viaggiare nel 2021 c’è sicuramente la Città Stato di Singapore. Lo skyline dominato da numerosi grattacieli è il giusto mix tra arte e cultura oltre alle numerose bellezze naturali che lo circondano. Per la sua unicità viene chiamato in diverso modi: la ‘Svizzera d’Oriente’, la ‘città giardino’ e la ‘città dei primati’. Singapore è stato uno dei primi paesi colpiti dal Covid ma anche uno dei primi a uscirne. In totale ha avuto 29 decessi pari a 5 morti per milione di abitanti. In massima parte avvenuti nei primi mesi della pandemia.
#6 Isola di Santa Lucia: comfort e spiagge nascoste in mezzo alla baia
Credits: turistaweb.com
L’isola di Santa Lucia, lembo di terra noto per la gran quantità di piccoli resort di lusso, è stata per anni sotto l’egemonia dell’Inghilterra fino all’indipendenza ottenuta nel 1979. Sono due le principali cittadini tanto simili quanto diverse: Rodney Bay, nel nord, offre il comfort delle strutture moderne in mezzo a una splendida baia a differenza Soufrière, nel sud, che regala spiagge nascoste e la meraviglia geologica dei Pitons. Sull’isola ci sono stati 438 contagiati Covid con 5 morti in totale. Al momento non risultano ricoverati in terapia intensiva.
#5 Portogallo: il Surf e le città romantiche
Credits: aclicesate.it
Altra destinazione considerata sicura del nostro continente è il Portogallo a tal punto da ottenere il 3 scalino del podio nel Global Peace Index del 2020. Le città romantiche come Lisbona, Porto e Coimbra sono in grado di attirare l’attenzione dei visitatori grazie alla loro bellezza e la loro atmosfera fuori dal tempo. Il mare, o meglio l’Oceano Atlantico, è grande protagonista di ogni vacanza in Portogallo nel quale ci si può cimentare nello sport acquatico del Surf, disciplina molto praticata dagli abitanti del posto e dai turisti. Dopo essere stata particolarmente colpita con più di 7.000 morti, ora lo stato iberico risulta tra quelli con il maggior numero di contagi e di morti in Europa.
#4 Canada: il paese più sicuro per tutte le fasce d’età
Credits: reloadvisor.org
Il Paese nord americano è stato valutato come la destinazione più sicura tra gli intervistati al sondaggio condotto dalla compagnia di assicurazione di viaggio Berkshire Hathaway Travel Protection. Inoltre si è classificato sul podio nella classifica dei posti più sicuri al mondo in tutte e tre le fasce d’età: millennial, viaggiatori di mezza età e anziani. Da cogliere l’occasione di visitare città come Toronto, Montreal o Vancouver, che da secoli sono diventate le nuove case di molti italiani in cerca di fortuna all’estero. Dopo essere stata piuttosto colpita durante la prima ondata ora risulta relativamente sicura anche sul fronte Covid.
#3 Thailandia: le bellezze naturali e lo sviluppo industriale
Credits: siviaggia.it/
Uno dei posti più sicuri è la Thailandia, dove ci si può perdere tra spiagge tropicali, templi, cultura, cibo ottimo, natura e un clima mite tutto l’anno. Dagli anni ’80 e ’90 ha dato il via a un processo di industrializzazione che l’ha portata ad essere una delle principali potenze a medio reddito tra i paesi sul Pacifico. La Thailandia è stata in grado di valorizzare le bellezze naturali che la contraddistinguono facendone un punto di forza per il turismo ma allo stesso tempo aggiornandosi sempre più dal punto di vista tecnologico. Al momento la Thailandia risulta uno dei paesi al momento in grado di ridurre i danni del Covid. Malgrado abbia una popolazione superiore a quella italiana di circa 10 milioni di persone, finora risultano morte per Covid 67 persone, ossia meno di 1 per un milione.
#2 Nuova Zelanda: dall’altra parte del mondo rispetto al Covid
Credits: lonelyplanetitalia.it/
Non da meno è la Nuova Zelanda che ha risposto bene alla crisi da Covid-19. Situata al secondo posto nel Global Peace Index 2020, lo stato del continente Oceanico è un paese di rara varietà paesaggistica: valli alpine, giungla, spiagge, montagne glaciali, laghi ribollenti, fiordi, vulcani attivi e geyser. Da non perdere l’esperienza in barca nel paese con il maggior numero di barche per abitante al mondo sempre in stretto contatto con la natura, caratteristica degli abitanti del posto. Praticamente fuori dal pericolo Covid che l’ha solo sfiorata con 25 morti, meno di 5 per milione di abitanti.
#1 Islanda: il sole di mezzanotte, le cascate e l’aurora boreale
Credits: cdt.ch
Classificata al primo posto nel Global Peace Index 2020, l’Islanda è una delle destinazioni più sicure. Tra sole di mezzanotte, aurore boreali, cascate che fanno sognare e panorami unici, è davvero possibile fare un viaggio in grado di accantonare l’esperienza annuale della pandemia. Forte di una robusta politica di tracciamenti e tamponi ha domato fin da subito ogni focolaio di Covid, limitando i danni a 29 morti, quasi tutti nella prima ondata. Attualmente in tutta l’isola risultano ancora contagiate meno di 150 persone.
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
Sono usciti due studi che mostrano dove avvengono i contagi: nelle case. Mentre all’esterno la presenza del virus misurata nell’aria rende il contagio praticamente impossibile, con o senza mascherina. Vediamo gli studi che trovano riscontro anche negli ultimi dati sull’origine dei contagi e che mettono in discussione alcuni pilastri delle strategie utilizzate per contenere la diffusione del Covid.
I CONTAGI? “IMPOSSIBILI all’APERTO”. Il virus “è nelle CASE”
# Impossibili i contagi all’aperto: lo dice uno studio dell’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima del Cnr e di Arpa Lombardia
Credits: repubblica.milano.it – Inquinamento a Milano
Secondo lo studio dell’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima del Cnr e di Arpa Lombardiale probabilità di contagiarsi all’aperto di Covid-19 sono irrilevanti, anche nel caso in cui si viva in zone fortemente urbanizzate con un’elevata presenza di particolato nell’aria composto dagli inquinanti prodotti da veicoli, riscaldamenti e attività industriali (Pm 2,5, Pm 10 e N0x). Potrebbe quindi cadere l’ipotesi in base alla quale il particolato potrebbe essere veicolo per la diffusione delle particelle di virus nelle persone. La ricerca ha analizzato le concentrazioni di Sars-Cov2 nell’aria di vari luoghi, partendo proprio dai reparti Covid negli ospedali. Il risultato è che il coronavirus è più presente nelle case che negli ospedali e all’aperto sostanzialmente non c’è.
# Nell’aria delle case concentrazioni massime del virus, irrisorie invece in esterno: lo dice lo Studio di Arpa Piemonte
Credits: automoto.it
A conclusioni simili arriva un secondo studio, questa volta effettuato da Arpa Piemonte. Secondo questo studio il virus non è risultato rilevabile nell’aria esterna ma le più alte concentrazioni si riscontrano nelle case. Anche negli ambiti ospedalieri, e in particolare all’interno dei reparti con presenza di malati anche caratterizzati da elevati carichi virali, le concentrazioni rilevabili del SARS-CoV-2 sono risultate generalmente molto contenute.
Invece nell’ambito domestico, le concentrazioni di Sars-Cov2, sono molto consistenti. Nell’aria di casa di un soggetto positivo, si possono trovare fino a 40:50 copie genomiche del virus su metro cubo di aria. Più che nei reparti Covid degli ospedali, sia per le attenzioni messe in corsia, sia per il ricambio dell’aria imposto.
# Risultati Covid seconda ondata: 93% di contagi avvenuti in casa
Credits: gazzettadelsud.it
Un nuovo studio firmato da Carlo Signorelli, docente di Igiene e Sanità pubblica all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, e dal direttore generale della Prevenzione del ministero della Salute Gianni Rezza, pubblicato su ‘Acta Biomedica’, insieme a colleghi dell’Università di Pavia, mostra come in Lombardia fino al 93% dei contagi nella seconda ondata di Covid-19 dopo il lockdown è stato di tipo domestico.
Intervistato su Adnkronos Salute Carlo Signorelli spiega che lo studio: “mirava a identificare le dinamiche della trasmissione di Sars-Cov-2 attraverso l’analisi dei cluster e dei piccoli focolai rilevati dal sistema di sorveglianza della Regione Lombardia nel corso della seconda ondata epidemica“.
Dal confronto con i dati registrati prima e dopo l’introduzione di misure restrittive quali coprifuoco notturno, chiusura parziale di scuole e attività commerciali, smart working, è stata osservata “una significativa diminuzione delle infezioninei luoghi di lavoro, in incontri sociali, bar, ristoranti e centri sportivi.” Nelle scuole è passato dal 9,8% al 3,4%, negli ambienti ospedalieri e nelle case di cura dal 5,2% al 2%, mentre le infezioni domestiche sono salite dal 72,8% al 92,7%“.
Questi dati mettono discussione le politiche restrittive adottate dal governo, visto che la diffusione del virus nella seconda ondata è avvenuta quasi esclusivamente nelle case, mentre l’attenzione dei governi, nazionali o regionali, si è concentrata sui contatti all’esterno (limitati da mascherine e distanziamento) e sulla chiusura di locali e delle scuole, mentre invece è risultata assente qualunque politica di gestione dei contagiati nelle case e di un corretto loro isolamento.
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
Consegna Ambrogino 2019 a Milano Città Stato. Credits: tg24.sky.it
11 gennaio 2016. Viene messo on line il sito www.milanocittastato.it.
Obiettivo è di rendere Milano libera di gestirsi come le principali città d’Europa. La finalità dell’iniziativa è illustrata in questoManifesto.
16-25 gennaio 2016. Vengono organizzati i tavoli di ideazione di Milano Città Stato a Copernico. Ingresso libero. Viene coniato lo slogan identificativo del progetto:
“Milano città stato è un progetto trasversale alla politica che ha l’obiettivo di coinvolgere i cittadini nella costruzione della città ideale”
3 marzo 2016. Viene pubblicata la Restaurant Mapdi Milano Città Stato. Il primo articolo a superare i 10.000 lettori. La Restaurant Map New Edition supera i 30.000 lettori.
9-12-16-23 marzo 2016. Vengono organizzati i tavoli per la definizione dei progetti prioritari di Milano Città Stato.
7 aprile 2016. Il Crowdparty al Botinero inaugura il crowdfunding per Milano Città Stato su Indiegogo.
25 maggio 2016. Beppe Sala in un’intervista dichiara: “Se ricominciamo dalla Città Stato, come sostiene il centrodestra, campa cavallo”. A questa dichiarazione i firmatari dell’associazione Milano che promuove Milano Città Stato rispondono con una lettera aperta: “Caro Beppe, Milano è Campa Cavallo“.
30 maggio 2016. “Milano Città Stato invita i candidati sindaco alla Triennale“. Accettano l’invito tutti i candidati sindaco ad eccezione di Sala e Rizzo. I candidati rispondono SI o NO ai progetti prioritari di Milano Città Stato nel salone d’onore della Triennale e in diretta streaming su corriere.it. Qui le loro risposte: SI o NO a Milano Città Stato
2 giugno 2016. Sul sito viene pubblicata lalista dei candidati al consiglio comunale che si sono espressi a favore di Milano Città Stato.
9 giugno 2016. Lettera aperta di www.milanocittastato.it a Beppe Sala: “Caro Beppe, anche i tuoi vogliono l’autonomia. Ripensaci e impegnati anche tu per Milano Città Stato”
14 giugno 2016. “Io mi impegnerò che succeda“. Stefano Parisi, candidato al ballottaggio come sindaco, manda una lettera aperta al sito www.milanocittastato.it in cui dichiara il suo impegno per Milano Città Stato.
16 giugno 2016. “Proviamoci. Mi impegnerò personalmente“. Anche Beppe Sala manda una lettera aperta a www.milanocittastato.it in cui dichiara il suo impegno per Milano Città Stato se fosse diventato sindaco:
19 giugno 2016. Sala vince il ballottaggio con Parisi e diventa il nuovo sindaco di Milano.
Foto Sala brunch di Vivaio @Atelier Forte
7 settembre 2016. Viene firmato da Renzi e Sala il patto per Milano.
11 gennaio 2017. Primo compleanno di Milano Città Stato. Lo festeggiamo con questo articolo.
13 marzo 2017. Primo passo del Consiglio Comunale per Milano Città Stato. Il consiglio comunale ha messo ai voti un ordine del giorno in cui “invita il sindaco e la giunta ad individuare ed attuare in ogni sede iniziative politiche e amministrative tendenti ad ottenere maggiore autonomia finanziaria e normativa a tutela degli interessi dei milanesi“. La proposta fatta dal consigliere Alessandro Morelli viene approvata quasi all’unanimità, con 36 voti a favore e un solo astenuto.
30 aprile 2017. “Le città stato“. Puntata di Reteconomy (Sky) dedicata ai desideri di Londra e di Milano di diventare delle città stato. Qui la puntata.
16 maggio 2017. “Gli Stati Generali di Milano Città Stato” al Teatro Franco Parenti in diretta streaming su corriere.it. Politici (Barberis del PD, Cappato dei Radicali, Morelli della Lega, Nicolò Mardegan), imprenditori (Regina De Albertis, Marco Gualtieri, Gianmarco Senna, Cristina Pepe), esponenti della cultura e della società civile (Andree Ruth Shammah, Francesco Cancellato, Corrado Passera, Gaingiacomo Schiavi, Fabio Massa) e altri personaggi di spicco di Milano rispondono alla domanda: “Perchè Milano Città Stato?“.
14 giugno 2017. “Per Milano un regime d’attrazione su misura“. Presentata alla Camera una proposta di legge per dotare Milano di poteri speciali. Primo firmatario: Maurizio Bernardo, Presidente della commissione finanze di Montecitorio)
24 ottobre 2017.Philippe Daverio: «Milano si sente come una Città Stato. Parla col mondo intero. Non ha bisogno delle mediazioni regionali»
1 settembre 2018. Inizia la call to action “ci sono anch’io” per invitare chi vuole supportare il progetto ad affiancarsi alla rete di volontari di Milano Città Stato.
3 dicembre 2018. Vengono lanciati i Milano Città Stato Awards per premiare le eccellenze di Milano. Partecipano al voto oltre 20.000 persone. Clicca per la sezione AWARDS
31 dicembre 2018. Si chiude un anno record per il sito con una media di oltre 150.000 lettori al mese e un incremento medio del 20% su scala mensile. 56.000 fans su Facebook e su Google “Milano città stato” (con virgolette) ha oltre 27.000 risultati (erano meno di 3.000 quando abbiamo aperto il sito).
18 maggio 2019. Primo sondaggio su Milano Città Stato. Vengono pubblicati i risultati del sondaggio sui milanesi:
il 93% è a favore di un referendum sull’autonomia della città
il 94% è per dare più autonomia a Milano (in maggioranza, 61%, sono per una “città regione” sul modello di Berlino, Madrid o Amburgo, segue l’ipotesi di “legge speciale”, votata dal 33%).
3 luglio 2019. Via al progetto Referendum. Evento di presentazione per organizzare la raccolta firme per il Referendum per Milano città stato nella primavera 2020 (iniziativa sospesa successivamente causa pandemia del Covid)
22 ottobre 2019. Viene predisposta la lettera d’intenti di coinvolgimenti dei sogetti promotori per il referendum per l’autonomia di Milano. Qui la lettera d’intenti
15 novembre 2019. L’intervista su Milano All News ad Andrea Zoppolato, fondatore di Milano Città Stato: Video intervista
7 dicembre 2019. Milano città stato riceve l’ Ambrogino (Attestato di Benemerenza Civica)
13 febbraio 2020. Vengono votati dai milanesi i 10 effetti preferiti a diventare una città stato: qui i risultati
Al primo posto:
#1 Ora: A differenza di Milano, tutte le maggiori città del mondo hanno poteri e autonomia simili a una regione. Milano no.
Con Milano città stato: Milano avrà poteri simili a tutte le principali città del mondo (20,5%)
31 dicembre 2020. Si chiude un anno record per il sito con una media di oltre 2.500.000 visualizzazioni pagine al mese, con un picco di 120.000 lettori unici giorno, e un incremento del 500% rispetto all’anno precedente. 90.000 fans su Facebook e su Google “Milano città stato” (con virgolette) ha oltre 76.700 risultati (oltre il triplo più rispetto a un anno fa).
Fondatori del progetto editoriale: Andrea Zoppolato, Duilio Forte, Cristiano Longhi, Francesco Boz e Paola Perfetti
Redazione: Fabio Marcomin, Francesco Moretto, Hari de Miranda, Letizia Dehò, Andrea Urbano, Laura Costantin, Carlo Chiodo, Luisa Galbiati, Federico Pozzoli, Natalia Molchanova, Silvia Boccardelli, Rosita Giuliano, Marco Abate, Andrea Stefania Gatu, Roberto Binaghi.
Edizione inglese: Antonio Buonocore
Un grazie agli autori/collaboratori: Andrea Cherchi, Arianna Ricotti, Debora Cantarutti, Federico Pozzoli, Flavio Incarbone, Francesca Spinola, Michela Spinola, Giorgia Sarti, Giulia Piccinini, Ivan Salvagno, Marco Torchio, Isabella Labate, Antonella Tagliabue, Valentina Petracca, Paola Merzaghi, Michela Parlato, Mattia Galbiati, Lucia Marti, Luca Bensaia, Giuseppe Marzagalli, Fabio Cefalì, Alberto Oliva, Laura Lionti, Pietro Furlan.
Un grazie speciale a Corrado Passera, Alessandro Fracassi, Andree Ruth Shammah, Andrea Pezzi, Copernico Milano e all’indimenticato Claudio De Albertis.
Guido Nicheli, l'eccellenza dell'impersonificazione del Bauscia
E’ diventato un modo per definire il milanese da parte dei non milanesi. Bauscia rappresenta quei modo un po’ da sbruffone, un po’ da imbruttito che secondo alcuni sono l’essenza del milanese doc. In realtà l’origine ben diversa. E nel corso dei tempi è diventato perfino un termine calcistico.
BAUSCIA = MILANESE? Non scherziamo: ecco cosa si significa realmente
Credits: Facebook – Sncci Lombardia
Ai confini della città: si proponevano di fare da guida per i turisti
Bauscia: sinonimo di milanese? Per alcuni sì. In realtà questo termine dialettale indicava nel secolo scorso una persona particolare a metà strada tra un Cicerone e un poco di buono che aiutava i forestieri nella ricerca delle botteghe e artigiani in cambio di denaro. I bauscia erano infatti disposti ai confini della città per poter abbordare turisti e far loro da guida.
giannibrera. credit: https://www.oasport.it/
I bauscia diventano nerazzurri
Gianni Brera, all’inizio degli anni Sessanta in ambito sportivo calcistico durante i derby di Milano iniziò a parlare dei bauscia neroazzurri, cioè i tifosi del Inter (appartenenti alla media e grande borghesia meneghina) che si contrapponevano ai casciavid rossoneri, cioè i tifosi del Milan che provenivano solitamente dagli strati più bassi della popolazione, come gli operai (da qui infatti cacciavite).
L’imprenditore ghe pensi mi
Negli anni tale parola si è trasformata parallelamente alla crescita della piccola impresa e all’industrializzazione e ha assunto in senso ironico il significato di piccolo imprenditore poco aperto alle innovazioni, che non ama collaborare e condividere. Tipicamente vuole decidere ed intervenire anche laddove non ha competenza.
Tino Scotti
Da bauscia a cumenda
Tino Scotti, celebre attore e cabarettista milanese, contribuì alla diffusione dell’immagine del bauscia milanese con la sua partecipazione allo spot dei confetti Falqui. Egli interpretava infatti un vero e proprio bauscia doc con modi eleganti e affettati e con vocabolario ricercato. A lui si deve lo sdoganamento della frase “ghe pensi mi”, che era il tormentone dei suoi spettacoli.
Dalla parola bauscia si genera il “cumenda”. Il bauscia, nella sua evoluzione verso la figura dell’imprenditore altero, attento solo al guadagno e ai dané e poco incline ai rapporti con gli altri, diventa a tutti gli effetti un cumenda. Il cabarettista Ugo Bologna, a partire dagli anni Settanta e i primi anni Ottanta diventa il cumenda principale della commedia italiana. Celeberrime sono le sue interpretazioni nei vari film dell’epoca come Sapore di mare, del 1983, dove diventa noto come il commendator Carraro, padre dei due fratelli interpretati da Jerry Calà e Christian De Sica.