Borgo San Giuliano è il più antico e importante dei borghi della città di Rimini. Ecco la sua storia e il legame con il regista della “Dolce Vita”.
FelliniCittà: il BORGO romagnolo che celebra il grande regista con le sue CASE DIPINTE (Gallery Fotografica)
# Borgo San Giuliano è il più antico e importante dei borghi della città di Rimini
Credits: hotelvillaadriatica IG – Borgo San Giuliano
La storia del “Borgo San Giuliano” risale al XI secolo, a tutti gli effetti il più antico e importante borgo della città di Rimini. All’epoca era un quartiere popolare fatto di vicoli e casette basse, abitato da artigiani, agricoltori, pescatori e marinai. Questo, unito al fatto che fosse separato da Rimini da un ponte, ha reso per secoli questa zona autonoma dal resto della città.
Credits: nudecrud IG – Ponte di Tiberio Rimini che collega la città al “borgo”
Per raggiungerlo dalla “città moderna” si attraversa infatti il Ponte Tiberio di epoca romana, sopra il fiume Marecchia, eretto per decreto dell’Imperatore Augusto e portato a compimento al successore Tiberio. La sua popolarità come località di mare per i vacanzieri si è accresciuta a partire dalla metà dell’800 quando fu costruito il primo stabilimento balneare. Il borgo conserva ancora oggi il fascino della sua storia passata, con le sue stradine, le case colorate, le piazzette e quell’atmosfera marinara senza tempo, mescolato alle moderne attività e ai locali caratteristici, quali ristoranti e osterie.
# Fellini era uno dei suoi più grandi ammiratori e il borgo racconta il suo cinema con murales sulle pareti delle sue case colorate
Murales Borgo di San Giuliano
1 of 10
Credits: Hotel Corallo - Murale Fellini
Credits: Hotel Corallo - Murale Fellini
Credits: lawandenri
IG - Murale Dolce Vita
Credits: lawandenri
IG - Murale Dolce Vita
Credits: hotelvillaadriatica IG
Credits: hotelvillaadriatica IG
Credits: fely.33 IG
Credits: hotelvillaadriatica IG
Credits: borgosangiuliano.it
Credits: borgosangiuliano.it - Fellini e Mastroianni
Credits: borgosangiuliano.it -Ginger e Fred
Credits: borgosangiuliano.it
Federico Fellini è risaputo essere stato tra i più grandi ammiratori del borgo e non è un caso che le sue pellicole cinematografiche fossero popolate dalle suggestioni di questo luogo, dei personaggi e delle storie che lo hanno animato. Nel 1994, in occasione della scomparsa del regista de “La dolce vita” durante la “Festa de’ Borg”, le scene dei suoi film più famosi e i personaggi indimenticabili come Volpina, Scureza, Gelsomina, Ginger e Fred sono stati dipinti sui muri delle case da pittori riminesi e non solo. Quello che si presenta ai turisti è un museo a cielo aperto di murales dai colori sgargianti in un suggestivo borgo a un passo dal mare.
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
La percentuale di chi indossa la mascherina anche in luoghi aperti è cresciuta rispetto al periodo di lockdown nazionale. E questo accade nonostante il DPCM imponga l’obbligo solo in impossibilità di distanziamento tra le persone. Ecco nel dettaglio l’ultimo report dell’Istat che smonta uno dei luoghi comuni sull’indisciplina degli italiani.
I più prudenti al mondo? Gli ITALIANI: Il 93% usa sempre la MASCHERINA all’APERTO (anche quando non è obbligatoria)
# L’ultimo report dell’Istat rivela una crescita del 4% tra prima e seconda ondata: ora il 93,2% indossa sempre la mascherina negli spazi aperti
Credits: ilfattoalimentare.it
Nel suo ultimo report sul tema mascherine l’Istat rileva come l’utilizzo del dispositivo di protezione individuale contro il Covid-19 sia: “più diffuso che in pieno lockdown nazionale, quando ad usare la mascherina era l’89,1% della popolazione, prevalentemente per difficoltà di approvvigionamento o perché, non allontanandosi dalla propria abitazione, le persone non ne avevano necessità. L’utilizzo è diffuso in modo trasversale in tutta la popolazione e su tutto il territorio nazionale”. Il dato segnala una crescita del 4% rispetto alla prima ondata della pandemia, con il 93,2% degli italiani che utilizza sempre la mascherina quando si trova in luoghi aperti, il 5,9% lo fa spesso, mentre l’84% usa le mascherine sempre, anche in luoghi al chiuso in presenza di persone non conviventi.
# La percezione sull’uso della mascherina da parte degli altri. Nel Nord l’84,2% dice che gli altri la usano sempre, nel Sud sono più diffidenti verso i loro concittadini (anche se i dati provano il contrario)
Non cambia molto leggendo il dato sulla percezione di quanto gli altri usino la mascherina. In questo caso infatti la percentuale sale al 94,1% delle persone intervistate, che afferma da esperienza personale come le linee guida relative all’utilizzo delle mascherine vengano rispettate sempre nel 72,8% dei casi e spesso nel 21,3%. Andando in profondità, si osserva come la percezione di un utilizzo costante della mascherina sia più diffusa al Nord con il l’84,2%, segue il Centro con il 68,6% nel Centro e infine il Mezzogiorno con il 59,8%.
# Cosa dice il DPCM sull’utilizzo della mascherina: obbligo di portarla con sé e indossarla all’aperto solo se il distanziamento non è possibile
L’indagine dell’Istat riporta che gli italiani sono più ligi alle norme di sicurezza anche oltre quanto previsto dalla legge. Infatti anche nell’ultimo DPCM datato 2 marzo 2021, all’art. 1, viene esplicitato come l’unico obbligo richiesto è di avere con sé un dispositivo di protezione delle vie respiratorie e di indossarlo anche in luoghi aperti solo in caso di impossibilità di distanziamento da persone non conviventi.
Ecco i due commi:
È fatto obbligo sull’intero territorio nazionale di avere sempre con sé dispositivi di protezione delle vie respiratorie e di indossarli nei luoghi al chiuso diversi dalle abitazioni private e in tutti i luoghi all’aperto.
Non vi è obbligo di indossare il dispositivo di protezione delle vie respiratorie quando, per le caratteristiche dei luoghi o per le circostanze di fatto, sia garantito in modo continuativo l’isolamento da persone non conviventi.
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
Tra le attrazioni più iconiche della città di Rotterdam si trovano sicuramente le case cubiche progettate dall’architetto olandese Piet Blom. Si tratta di una fila di 39 case giallo acceso inclinate, una accanto all’altra e sopraelevate da terra. Trovatisi davanti bisogna capire se si ha di fronte un tipico villaggio da fiaba o un’architettura futuristica, ma probabilmente entrambi. Le Kubuswoningen (letteralmente case cubiche) sono un elogio alla follia, lo stesso architetto ammette che per idearle bisogna essere mossi da un po’ di pazzia e decide di far scrivere all’ingresso del complesso “Ehi, cos’è questo? Questo è un palazzo, o è questo un luna park?” .
Le CASE CUBICHE: baracconata o d’ispirazione anche per Milano?
# Le case cubiche di Rotterdam non sono le uniche olandesi
Credits: Erodoto108 case cubiche Helmond
Le case a cubo inclinato di 45° furono costruite tra il 1982 e il 1984 nella zona di Blaak, vicino al Markthal, il nuovo mercato coperto di Rotterdam. In realtà non furono queste le prime case olandesi di tale forma e inclinazione, l’architetto Piet Blom le aveva già progettate e fatte realizzare nella città di Helmond, famosa perché centro creativo del design olandese. Degna quindi della sua fama è Helmond ad ospitare, negli anni ’70, le prime case cubiche dell’Olanda, completamente identiche a quelle di Rotterdam ma di color legno e con rifiniture verdi, un po’ più sobrie del giallo acceso.
# Un boschetto surreale
Credits: @davewlbg case Rotterdam
L’obiettivo delle case cubiche di Rotterdam era quello di connettere il centro cittadino e il vecchio porto, andando a creare un vero e proprio quartiere con spazi comuni, giardini, negozi e bar. Tutte le 39 case, inoltre, vanno a formare un camminamento pedonale, perfettamente funzionale se si considera il grande traffico della strada vicina.
L’architetto voleva che l’insieme delle case, visto nel complesso, desse l’impressione di essere davanti ad un bosco urbano. I pali di cemento e le scale sono i tronchi, mentre le chiome sono le vere e proprie celle abitative, un bosco sicuramente surreale ma con un po’ di immaginazione si potrebbe dire che si coglie l’idea di Piet Blom. Una foresta stilizzata dal nome di Blaakse Bos, ovvero Bosco di Blaak.
# Un nuovo concetto di abitazione
Credits: @cristinagrecchi67 case cubiche
Se già dall’esterno si nota la “follia” del progetto, l’interno mostra come Piet Blom abbia innovato il concetto di abitazione, rivisitando gli spazi abitativi e inventandone di nuovi. Le case sono adibite ad appartamenti indipendenti organizzati su 3 piani e, seppure sembra impossibile guardandole, c’è un sacco di spazio: 100 mq in totale. Per capire come possano essere organizzate le case inclinate all’interno, è possibile soggiornare in una di queste diventata ostello StayOkay, oppure visitare la casa museo nel terzo cortile. Si dice, anche se non si è sicuri sia vero, che gli inquilini delle case scappino dopo qualche anno, il motivo non è difficile immaginarlo, abitare in queste case non deve essere il massimo della comodità!
Riproduzione vietata al sito internet che commette violazione di copyright appropriandosi di contenuti e idee di altri senza citare la fonte
Se vuoi collaborare al progetto di Milano Città Stato, scrivici su info@milanocittastato.it (oggetto: ci sono anch’io)
ENTRA NEL CAMBIAMENTO: Ti invitiamo a iscriverti alle nuove newsletter di milanocittastato.it qui:https://www.milanocittastato.it/iscrizione-newsletter/ Ti manderemo anche notizie che non pubblichiamo sui social. Riservato agli iscritti della newsletter: inviti a eventi, incontri e feste organizzati o promossi da Milano Città Stato
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
A Milano sembra prendere sempre più piede il degrado. Non è necessario uscire di notte per accorgersi delle condizioni in cui versano diverse zone della città, soprattutto quelle periferiche. Infatti, tutto succede alla “luce del sole”: edifici ed abitazioni in stato di degrado, case occupate, parcheggiatori e mercatini abusivi, spaccio, gang e baby-gang…
Lasciare in abbandono alcune aree significa coltivare la bruttezza dell’animo e comportamenti delinquenziali. Per questo vorremmo che si avesse un atteggiamento più estetico nei confronti di ogni parte della città, cercando di cogliere l’occasione di una città più rarefatta durante queste chiusure per poterla rimettere in sesto.
Anche perchè si aggiungono sempre più segnalazioni, come questi tre “nuovi” luoghi di degrado milanese da salvare.
3 LUOGHI in ABBANDONO a Milano da salvare SUBITO
#1 Il ponte ciclopedonale Rogoredo – Porta Romana
Credits: www.milanopost.info
Era il 31 luglio 2012 quando venne inaugurato il ponte ciclopedonale sopra la linea ferroviaria Milano Rogoredo – Milano Porta Romana. Una passerella-ponte costituita da una struttura metallica reticolare lunga 76 metri ed utilizzabile anche dai portatori di handicap grazie agli ascensori e alla giusta pendenza.
Un’opera con un costo che si aggirava intorno al mezzo milione di euro e con grosse potenzialità per il nostro territorio, ma da sempre abbandonata. I suoi padroni sono il degrado e i vandali.
Infatti, sono numerosi i danni inflitti a questo ponte: dalle scritte vandaliche, al danneggiamento degli ascensori, al costante abbandono di rifiuti nell’area sottostante fino agli accampamenti abusivi.
Un’area davvero dimenticata da tutti, soprattutto da chi amministra la città. Nonostante alcuni interventi, come l’installazione di barriere per dissuadere la sosta impropria di camper e roulotte, non è stato fatto molto per rendere questo angolo di città utile e fruibile da tutti.
La realizzazione del secondo lotto del parco Alessandrini potrebbe porre fine a questa situazionee ridonare un senso al ponte di via Varsavia?
#2 Un mercato storico abbandonato ad un triste destino
Un mercato abbandonato, quello che era il punto di riferimento affettivo e storico di un quartiere, ma non abbastanza importante per le azioni della Giunta. Si tratta del mercato di Gorla in viale Monza.
Quel che dispiace è che, a differenza di altre strutture, non ci siano state idee di riconversione in mercati d’eccellenza e di qualità. E ora, il rischio è che, nonostante le macerie, questo posto venga occupato abusivamente.
In più, nonostante le sollecitazioni del Municipio 2 e dell’ATS, il Comune non ha mai risposto alle proposte di riqualificazione dell’area, che prevedrebbero di realizzare un poliambulatorio e una biblioteca comunale.
Perché una Giunta che ricerca progetti, che ha l’obiettivo di riqualificare piazze e strade, non ha preso in considerazione il mercato di Gorla?
“Questa è la riprova che la tanto vivibilità di Milano sbandierata dal Pd è un’illusione ottica”. Ecco qual è la denuncia del consigliere comunale e regionale della Lega, Max Bastoni, in riferimento alle palazzine Liberty in viale Molise 66, prima sede di un macello comunale, ora casa di sbandati ed immigrati irregolari.
Infatti, i 150 mila metri quadri dell’ex mattatoio sono occupati dal degrado, da cumuli di spazzatura e da avanzi di cibo. Le strutture pericolanti non sono mai state oggetto di un progetto di riqualificazione urbanistica o di una messa in sicurezza, né tanto meno di programmi di integrazione sociale.
Insomma, un’altra prova tangibile del degrado e dell’illegalità che caratterizzano le periferie di Milano. Situazioni davanti alle quali le istituzioni milanesi non dovrebbero rimanere indifferenti.
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
Ufficiale. La Lombardia resta zona rossa. Non solo: ci attende un altro aprile di chiusura. L’unica speranza? Il sogno della libertà ritrovata, una volta finito il lockdown.
Le 7 cose off limits e un po’ pazze da fare finito il lockdown
#1 Una partita a calcio in piazza del Duomo
credits: milano.repubblica.it
Anche tanti contro tanti. Nessuna divisa, nessun abbigliamento particolare. Una palla, giubbotti o indumenti vari accartocciati a fare da pali come si faceva un tempo. La partita dei milanesi nella piazza simbolo.
Non esiste età, sesso o colore, ma soltanto il decidere in quale porta segnare. Generalmente si parte con il fair play per arrivare poi al rollerball estremo. Finirà con il proprietario del pallone che deve andare, nessun punteggio realmente tenuto e birra finale.
#2 Il tuffo in Darsena
credits: correre.it
Proibitissimo e sconsigliato per vari motivi, non ultimo quello sanitario. Infatti, la Darsena, a differenza del naviglio, ha un’acqua stagnante e mediamente inquinata oltre che fredda. Nonostante questo, nell’immaginario collettivo sarà un ambitissimo gesto di libertà da scolpire nella memoria.
#3 La corsa coi carrelli della spesa
credits: piemontetopnews.it
Un classico, ma dato che difficilmente si trovano carrelli liberi in giro di notte, eviteremo di suggerire come ottenerli. Uno spinge e il più temerario si siede dentro il carrello. Le curve sono il momento topico, dove non è raro volare fuori dal carrello ribaltandosi, è quindi caldamente consigliato un percorso rettilineo. Valgono sportellate, insulti fino alla terza generazione e tifo da stadio. Proibitissimo agganciarsi all’avversario, pena squalifica immediata.
Gettonatissimi come propulsori i rari atleti del bob presenti a Milano, anche se i praticanti del rugby possono comunque dire la loro, mentre nel carrello ci finisce sempre la più scricciola della compagnia che, essendo coccolata, indosserà sempre un casco integrale prestato da qualche anima pia.
Sarà un gesto catartico nei confronti dell’unico ambiente in cui abbiamo trovato un pizzico di libertà in questi mesi: il supermercato.
#4 Nascondino nei parchi pubblici di notte
credits: comune.bologna.it
Da utilizzare giardini pubblici dove comunque nascondersi è facile, ma anche leggermente inquietante, specie se c’è buio pesto.
La tana non può essere costantemente sorvegliata e chi sta sotto dovrà essere molto abile. Per rivivere l’ebbrezza di un tempo quando chi era nascosto in posti remoti si domandava se fossero ancora in cerca di lui o se fossero già tornati a casa.
#5 Scendere dal pendio del monte Stella con un cartone sotto il sedere (specie se ha piovuto)
credits: esse_ems IG
Esperienza incredibile. Si possono raggiungere velocità interessanti, certamente ci si sporca molto e soprattutto si prendono delle gran botte al fondo schiena. Meglio se si usa il casco da moto. Sarà una piccola rivincita alle due stagioni sciistiche ormai perdute.
#6 Improvvisare una discoteca in mezzo a una strada
credits: adnkronos.com
Semplicissimo: tutti sintonizzati sulla stessa frequenza, si aprono gli sportelli delle auto e si balla come non ci fosse un domani. Il domani però c’è e lo sanno quelli che, svegliati dal frastuono, avranno aggettivi inqualificabili da urlare nei vostri confronti.
Non esiste vincitore, ma solo voglia di fare casino. Si scopriranno dei novelli Tony Manero ma anche qualche orso scoordinatissimo.
Una festa doverosa che ci manca ormai da anni.
#7 Cena improvvisata intorno a un gruppo di panchine
credits: proiezionidiborsa.it
Ci si darà appuntamento a qualche panchina o muretto e poi si setacceranno i dintorni in cerca di forni, pizzerie, paninoteche o market aperti. Si condividerà tutto anche con chi passa di lì per caso.
Amicizie e amori sono nati con questa goliardata. Chissà se dopo l’anno record di crollo delle nascite non possa trasformarsi in esperienza di autentica rinascita.
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
La stato scandinavo come strategia di contrasto alla pandemia da Covid-19 ha fatto affidamento principalmente su consigli e su misure volontarie da parte dei cittadini. Senza divieti o chiusure. Non solo: la controtendenza svedese è stata anche nei confronti delle mascherine che sono state addirittura sconsigliate. I risultati sembrano aver premiato le scelte del governo svedese: non solo l’economia e la società sono state meno colpite degli altri paesi ma addirittura i risultati sono sensibilmente migliori alla media in Europa anche dal punto di vista sanitario.
La SVEZIA ha VINTO: MORTALITÀ 2020 tra le più BASSE in Europa (senza chiusure e mascherine)
# La strategia svedese basata su misure volontarie da parte dei cittadini
Credits: ig zahoorsyed- Stoccolma
Nonostante la Svezia abbia evitato i rigidi lockdown anti-Covid e non abbia imposto l’utilizzo di mascherine nel 2020 ha registrato un tasso di eccesso di mortalità inferiore rispetto a gran parte dei Paesi europei, come mostrato da un’analisi dell’Eurostat basata su dati ufficiali. La sua strategia è stata quella di “fare affidamento principalmente su misure volontarie da parte dei cittadini, incentrate sul distanziamento sociale, su un’attenta e regolare igiene e su regole mirate”. Oltre a questo ha lasciato sempre aperto scuole, ristoranti e negozi, assorbendo quasi completamente gli impatti negativi sull’economia locale rispetto al resto dell’Europa.
# In Svezia si è registrato il 7,7% di morti in più nel 2020 rispetto alla media degli anni precedenti. In Spagna e Belgio rispettivamente il 18,1% e il 16,2%
Nel 2020 in Svezia si è registrato il 7,7% di morti in più rispetto alla media dei quattro anni precedenti, mentre in Paesi come Spagna e Belgio che hanno adottato i lockdown più rigorosi l’eccesso di mortalità è stato rispettivamente il 18,1% e il 16,2%. Dei 30 Paesi che hanno messo a disposizioni le statistiche sul numero di decessi ben 20 hanno fatto peggio della Svezia. Tuttavia, la Svezia stessa ha fatto peggio degli altri Paesi nordici, con la Danimarca che ha fatto registrare solo l’1,5% di mortalità in eccesso rispetto agli anni precedenti e la Finlandia con l’1,0% che però ha optato per misure ancora meno restrittive dello stato svedese dall’estate in poi. Lo stesso discorso vale per la Norvegia non è nemmeno stata coinvolta da questa statistica di eccesso di mortalità.
# In un’altra analisi la Svezia è al 18° posto su 26 per eccesso di mortalità. Polonia, Spagna e Belgio ai primi posti
L’eccesso di mortalità della Svezia è risultato tra i più bassi anche in un conteggio separato di Eurostat e altri dati rilasciati dall’Ufficio per le statistiche nazionali del Regno Unito la scorsa settimana. Tale analisi, che includeva un aggiustamento per tenere conto delle differenze sia per età che nei modelli di mortalità stagionale dei Paesi analizzati, ha posizionato la Svezia al 18 ° posto in una classifica di 26. Polonia, Spagna e Belgio erano al vertice.
Il capo epidemiologo svedese Anders Tegnell intervistato da Reuters è convinto che questi dati mettano in serio dubbio l’utilizzo del lockdown: “Penso che le persone inizieranno a pensare molto attentamente all’utilizzo dei lockdown, a quanto siano stati davvero utili. Potrebbero aver avuto un effetto a breve termine, ma quando si guarda nel complesso tutta la durata della pandemia, i dubbi aumentano“.
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
A partire dai videogames fino ad arrivare al mondo social stanno togliendo a una generazione il suo ruolo nella società.
Nella storia del mondo i giovani sono sempre stati quelli che hanno rimescolato le acque. Hanno portato le novità, hanno messo in discussione lo status quo, a volte anche in modo aggressivo, in generale hanno avuto la libertà di sperimentare facendo così progredire il pensiero umano.
In questo momento è come se i giovani avessero lo stesso ruolo che hanno i vecchi.
Si stanno uniformando al conformismo all’idea dominante e il sentirsi sotto il giudizio di tutti li porta a preferire la non azione e il non pensiero rispetto al rischio di sbagliare.
Ma è proprio il fatto di poter prendere rischi che è la prerogativa della giovinezza e ciò che rende la giovinezza la condizione fertile per nuove idee e di un reale cambiamento.
Dove i giovani stanno invece indirizzando il loro tempo e le loro energie sono gli strumenti digitali come alternativa alla vita reale: siccome la vita reale presenta dei rischi si prendono solo rischi digitali.
Il giovane che un tempo rischiava con il motorino o con la protesta sociale oggi relega la sua aggressività nei videogames e nei contatti a distanza.
Potrà avere futuro una società in cui l’esperienza della giovinezza viene spostata in una dimensione virtuale?
Prosegue l’avanzamento dei lavori per la futura stazione Tibaldi, nel sud di Milano, una delle nuove fermata della circle line che entrerà in servizio nei prossimi anni. Ecco quando verrà inaugurata la stazione e come funzionerà la linea ferroviaria urbana della città.
In costruzione la PRIMA STAZIONE della futura CIRCLE LINE
# La stazione Tibaldi è la prima nuova stazione in costruzione sulla futura circle line. Inaugurazione prevista nel 2023
Lavori stazione Tibaldi
1 of 4
Lavori stazione Tibaldi
I lavori per la futura circle line entrano sempre più nel vivo, con l’avanzamento della Stazione Tibaldi, tra Porta Romana e Romolo, a servizio anche dell’Università Bocconi e che entrerà in funzione nel 2023. In un sopralluogo al cantiere l’assessore comunale all’Urbanistica Pierfrancesco Maran racconta la situazione attuale e lo sviluppo futuro della circle line che collegherà aree semicentrali e più periferiche di Milano attorno al nucleo centrale della città. “Proseguono i lavori per realizzare la nuova stazione Tibaldi-Bocconi che sarà pronta a inizio 2023. Uno dei punti centrali dell’accordo sugli scali ferroviari è appunto quello di usare la rete ferroviaria esistente come una vera e propria linea urbana, Circle Line, che connette le cinque metropolitane con treni che passano ogni 10 minuti. Perché sia ben fruibile è anche necessario incrementare le stazioni, come stiamo facendo con Tibaldi, e come accadrà a breve con due nuove stazioni tra Rho e Certosa“.
# Il percorso della circle line: 12 stazioni, interscambi con 5 linee metropolitane e passaggio dei treni ogni 10 minuti
Credits: wikipedia.org – Circle line Milano
La circle line milanese, anche se non sarà una vero anello in quanto sul lato ovest non esistono binari e non è previsto un progetto per realizzarli, vedrà altre 4 nuove stazioni oltre alla costruenda Tibaldi: Istria che interscambierà con la M5, Dergano con M3, Stephenson e MIND-Cascina Merlata a nord-ovest. Insieme alle 7 stazioni esistenti di San Cristoforo, Romolo, Porta Romana, Forlanini, Lambrate, Certosa, Rho Fiera ci saranno un totale di 12 stazioni a servizio della città e dei pendolari in ingresso. L’intero tracciato ferroviario su cui transita la linea suburbana S9 verrà rifunzionalizzato, saranno acquistati 20 treni dedicati che a regime passeranno ogniogni 10 minuti.
# Il progetto di circle line con 36 stazioni per realizzare un vero anello di metropolitana circolare
Progetto circle line completa
1 of 2
Credits: Chiara Quinzii, Diego Terna, Milano a pezzi, 2004 - Progetto Circle line
Credits: Chiara Quinzii, Diego Terna, Milano a pezzi, 2004 - Progetto Circle line
Un’ottima notizia l’avanzamento dei lavori, ma potrebbero non bastare per avere un servizio efficiente. La bassa frequenza, il ridotto numero di stazioni e la mancanza di tracciato nel quadrante ovest di Milano sono tre fattori che potrebbero però determinare l’insuccesso di questa infrastruttura. Osando di più come una vera metropoli mondiale, si sarebbe potuta realizzare un vera linea metropolitana circolare, sempre su parte del percorso della linea S9, ma con 36 fermate chiudendo l’anello ad ovest come in questo progetto del 2004.
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
È ufficiale: dopo un anno di pandemia, confinamento, limitazione della socialità e degli orizzonti, siamo profondamente provati. A livello psicologico ci sono problemi. Fisicamente alcuni hanno messo su peso. Anche sotto l’aspetto urbanistico siamo in cattive condizioni e si notano i primi cedimenti, il rischio è non riuscire a guardare più in là della propria… strada. Questo è ciò che sembra dimostrare uno stravagante episodio capitato a Rho, al confine Nord-Ovest di Milano, mercoledì 17 marzo scorso, dove i residenti di Via Ferrarin si sono svegliati e hanno trovato la via chiusa.
Quelli che inizialmente sono apparsi come ignoti burloni, hanno ostruito gli accessi alla via rhodense con grandi bidoni, impedendo sia agli estranei di entrare nella via sia ai residenti di uscire con le proprie auto.
L’unica scelta è sembrata fare intervenire i vigili per fare luce sul mistero del giorno.
«Questa strada ora è mia!». L’uomo che ha provato a COMPRARSI una STRADA di Milano
# Il vicino della porta accanto
Credits: dronezione.it proprietà privata
Ci troviamo alle spalle del cimitero centrale di Rho, in una traversa di Via Bersaglio e, nel corso delle indagini di rito, i vigili si sono imbattuti in un residente di Via Ferrarin che ha candidamente ammesso di aver chiuso la via a senso unico perché convinto di esserne diventato il proprietario, come nel gioco del Monopoli.
Alle domande degli agenti, il cittadino non si è per nulla scomposto e alla richiesta di un documento per essere identificato, l’uomo ha mostrato un bonifico di 800 Euro effettuato alle casse del Comune di Rho, secondo lui sufficiente a fargli affermare «questa strada ora è mia!»
Gli increduli agenti, per scrupolo, hanno sottoposto la questione agli uffici della Ragioneria del Comune chiedendo istruzioni, ricevendo la conferma che nessuno era al corrente di un’operazione commerciale del genere, che mai sarebbe stata autorizzata dall’amministrazione di Rho. Ai vigili non è rimasto che sequestrare gli ostacoli e rimuovere i bidoni con l’aiuto di un carro attrezzi, nonostante la forte opposizione dell’auto-proclamato proprietario della strada. In virtù della collaborazione tra forze dell’ordine, ora sull’episodio indaga anche la locale caserma dei Carabinieri.
# Questa cosa dell’autonomia ci sta sfuggendo di mano
Credits: 105.net Principato Di Dellavalle
Un tenero e, diciamocelo, romanticissimo Charles Darrow dei nostri giorni, che ha interpretato un po’ troppo alla lettera la voglia di decentralizzazione di cui il Paese ha bisogno.
La memoria corre al 2018 e alla proclamazione del Principato Dellavalle di Vercelli. L’episodio in cui Piergiuseppe Dellavalle, rivendicando la proprietà su una rotonda di accesso alla tangenziale, l’ha occupata piantandoci dei pomodori e proclamando un personale Principato, con tanto di cartello e statuto. La proprietà di Dellavalle era stata espropriata, con indennizzo, per la realizzazione di un asset fondamentale per la viabilità della provincia. La questione si è chiusa in un’aula di tribunale, dove la pubblica amministrazione ha giudicato un contenzioso tra un cittadino e sé stessa. Ha vinto la pubblica amministrazione, dichiarando legittimo l’esproprio e congruo l’indennizzo riconosciuto al Sig. Dellavalle.
A questi due coraggiosi e bizzarri concittadini possiamo suggerire di trasferirsi in Lichtenstein, dove la Costituzione sancisce il diritto di secessione dallo Stato, praticamente un confronto micidiale per il diritto costituzionale di ogni stato centralizzante.
# Le reazioni del web
Credits: freepik.com le reazioni del web
La notizia del Rhonopoli ha fatto il giro della comunità web, la quale divertita da quanto accaduto, ci restituisce una serie di commenti spiritosi, segno che gli internauti sono ancora muniti di sense of humor, un bene troppo prezioso per rinunciarvi dopo l’ultimo anno. Abbiamo raccolto alcuni di questi commenti in una breve carrellata, con la speranza di strapparvi un sorriso:
# Con 800 euro ne è diventato pRHOprietario…. – commenta una giovane utente romana
# Avrà già fatto il Rhogito? Si chiede un altro
# E al Comune di Rho sono caduti dal Pero – ci fa sapere un amico bolognese
# Chuck Norris anni fa, in una agenzia pubblicitaria di Dallas, comprò uno spazio; da allora l’universo è suo. Il tizio di Rho sarà un allievo che si esercita – aggiunge un ragazzo milanese
# I grandi giocatori vedono strade dove gli altri vedono sentieri – scrive un utente messinese che cita Vujadin Boskov.
Alcuni contestano il prezzo, 800 Euro. # Con 800,00 Euro non ci prendi neanche Bastioni Gran Sasso
# Con 1200 euro comprava Parco della Vittoria e lì avrebbe fatto i soldi
# Vista in foto 800€ sembrano assai
Mentre c’è chi si interessa per offerte del genere, ma in altre zone, perché il mercato immobiliare ha potere anche nei commenti.
# Quanto per Cesano?
Per quanto la storia sia singolare, rimarremo con un grandissimo dubbio: se l’uomo che voleva giocare a Monopoli nelle strade di Rho non ha comprato Via Ferrarin, quel bonifico da ben 800 euro, a cosa sarà servito?
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
Che cosa vorresti ELIMINARE da Milano? Le 10 risposte dei lettori con più like
#10 Il progresso sfrenato
Credit: @_colomarko_
“Vorrei eliminare la inutile corsa ad un progresso forzoso forzato e deleterio che sta stravolgendo il già precario modus vivendi della città… quando i milanesi si accorgeranno che non vivono Milano ma che è Milano che gli vive addosso, forse capiranno che tutto questo affannarsi e vivere x rincorrere la propria vita è innaturale e deleterio come la corsa spasmodica alla fatturazione….e alla lunga Milano ti presenta sempre il conto…” Raffaella N.
#9 Chi ci abita ma la critica
“Quelli che la abitano e poi la criticano”Simona D. B.
#8 Le persone che corrono in monopattino
Credit: hdmotori.it
“I monopattini e le biciclette che sfrecciano sui marciapiedi”Edoardo L.
#7 Le auto sui marciapedi e gli affitti alti
Credit: blog.urbanlife.org
“Le auto sui marciapiedi… Le ho viste solo a Milano. E gli affitti deliranti”Marco T. D.
#6 Chi vota lega
“Beh.. facile: Fontana, la Moratti, la Lega e chi vota lega”Ada R.
#5 I radical chic
“I radical chic, ma praticamente non ci sarebbe più nessuno…” Giorgia Z.
#4 Il degrado della stazione centrale
Credit: @ilciaparatt
“Il degrado alla stazione centrale”Leonida S. S.
#3 Le piste ciclabili
Credit: @pisteciclabilimilano
“Le piste ciclabili che hanno creato smog per il traffico quadruplicato” Take A. L.
#2 Sala
Credit: @beppesala
“Il triumvirato Granelli, Maran, Sala” Christian D. S.
#1 Le scritte sui muri
Credit: Pinterest
“Le scritte schifose sulle mura dei palazzi che non centrano nulla con la street art”Natasha K.
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
Vi ricordate il film horror fantascientifico “La Mosca” di David Cronenberg? Dove lo scienziato Seth Brundle inventa un’avveniristica macchina del teletrasporto… Forse, un giorno, tutto questo potrebbe diventare realtà, magari evitando l’esperienza vissuta da Jeff Goldblum nel film.
Cinematografia a parte, il fisico e matematico della Columbia University e co-fondatore del Worlds Science Festival, Brian Greene, spiega dove è arrivata la “magica arte” del teletrasporto.
Come funziona il TELETRASPORTO? Potremo usarlo in futuro? Lo SCIENZIATO risponde (Video)
# Un video esplicativo del fisico Greene: una testimonianza importante
In questo video il luminare spiega che esiste una “versione” del processo che viene utilizzata abitualmente dagli scienziati sulle singole particelle.
Come? Si parte da una particella, con determinate caratteristiche, che si trova in una determinata posizione. Gli scienziati sono in grado di riprodurne un’altraassolutamente identica, con uguali caratteristiche, stesse proprietà, stesso stato quantico, ma in un’altra posizione.
Durante questo processo, la particella di partenza viene distrutta. Dunque, quella che rimane e si trova in un altro punto, è quella che è stata teletrasportata.
# Il fisico austriaco Anton Zeiliger e il suo record di teletrasporto
Credits: cosmicoblog.com
Sempre nel video, il Dottor Greene racconta il record di teletrasporto, detenuto dal fisicoAnton Zeiliger, con cattedra all’Università di Vienna. Lo scienziato austriaco e il suo gruppo di studio hanno trasportato lo stato quantistico di fotoni tra due isole delle Canarie: da Tenerife a Las Palmas, a 143 km di distanza l’una dall’altra. Qualche giorno prima alcuni ricercatori cinesi avevano annunciato di aver effettuato un teletrasporto di fotoni a una distanza di 97 km. Quindi, questi successi spianano la strada a nuovi test sulle grandi distanze.
# Sarà possibile per noi umani il teletrasporto?
Credits: memory-alpha.fandom.com
Alla fine del video, il fisico americano spiega che le procedure per il trasporto delle particelle sono sempre le stesse, attualmente non modificabili. Quindi la risposta è no, non è possibile usare questo processo sugli esseri umani. Non esistono processi e dispositivi così importanti da dematerializzare un corpo umano e ricomporne le particelle trasportandolo in un altro luogo.
Ma conclude lasciando con un “chi può dirlo”: “Ma chi lo sa? Tra 500 o mille anni, forse avremo qualcosa che potremo provare. Se succede invece quando sarò ancora vivo, ti posso assicurare che non sarò io il primo a entrare in quel dispositivo”.
Forse anche il Dottor Greene ha visto la fine che ha fatto il suo collega cinematografico Seth Brundle.
# Il teletrasporto come potrà influire sulla nostra società?
Ricapitolando, per ora il teletrasporto non è quello che ci mostra il cinema. Ma rivoluzionerà comunque il nostro modo di comunicare.
Un processo che darà vita ad una rete internet quantistica, dove le comunicazioni saranno più veloci e più sicure poiché il teletrasporto quantistico cancella i rischi di essere spiati. Un modo perfetto per trasferire comunicazioni finanziarie o militari.
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
È ufficiale: non dire il vero nell’autocertificazione non costituisce reato, l’ha deciso il gup di Milano. Già l’11 marzo scorso il giudice Dario De Luca del tribunale di Reggio-Emilia aveva emesso una sentenza rivoluzionaria durante il processo di due signori, che avevano dichiarato il falso nell’autocertificazione. “Dpcm illegittimi e incostituzionali, l’autocertificazione falsa non è reato”. Questa volta è una sentenza di Milano a stabile che non c’è nessun obbligo di verità nell’autocertificazione.
Sentenza CHOC a MILANO: nessun OBBLIGO di VERITÀ nell’autocertificazione
# Il caso sentenziato
Credits: 7giorni.info controllo a Cadorna
Il 14 marzo 2020, poco dopo l’inizio del primo lockdown generalizzato, un 24enne era stato fermato alla stazione Cadorna per verificare il motivo del suo spostamento. Il ragazzo aveva affermato di aver appena concluso il turno di lavoro e star rientrando a casa. In realtà non era così. Nei giorni successivi, gli agenti hanno controllato se dicesse il vero, ma il titolare dell’attività indicata nell’autocertificazione aveva informato che quel giorno il 24enne non era neanche di turno. Il ragazzo è stato quindi denunciato per falso ad un pubblico ufficiale, ma non per violazione alle norme anti-Covid.
# Assolto “perché il fatto non sussiste”
Credits: www.tribunale.milano.it tribunale di Milano
Il gup di Milano ha deciso, però, per l’assoluzione del giovane 24enne. Non dire la verità nell’autocertificazione per gli spostamenti non costituisce reato. “È evidente come non sussista alcun obbligo giuridico, per il privato che si trovi sottoposto a controllo nelle circostanze indicate, di ‘dire la verità’ sui fatti oggetto dell’autodichiarazione sottoscritta, proprio perché non è rinvenibile nel sistema una norma giuridica (a proposito)”, conclude il giudice dell’udienza preliminare di Milano, Alessandra Del Corvo. Inoltre, anche se la legge sopracitata ci fosse, sarebbe incostituzionale perché non si può sanzionare penalmente ”le false dichiarazioni” di chi ha scelto “legittimamente di mentire per non incorrere in sanzioni penali o amministrative”.
# Ora che si è creato un precedente, cambierà qualcosa?
Credits: video.gazzetta.it liberi tutti
Ora che si è creato un precedente, cambierà qualcosa? No o comunque molto poco. Bisogna ricordare che il 24enne era stato denunciato per aver mentito ad un pubblico ufficiale e non per aver violato le norme anti-Covid e, effettivamente, solo poche persone hanno ricevuto questo tipo di denuncia. La maggior parte della gente controllata e sorpresa fuori dalla propria abitazione, senza motivazioni valide, infatti, di solito riceve una denuncia per violazione delle misure restrittive. Facendo l’esempio del giorno in cui è stato fermato il ragazzo, il 14 marzo dell’anno scorso, solo 112 persone su 138 994 controllate sono state denunciate per aver dichiarato il falso. Inoltre, il 25 marzo 2020, il governo Conte aveva stabilito che sarebbe stata preferita una sanzione amministrativa piuttosto che una denuncia penale. Dal 4 giugno sempre dello scorso anno, poi, le denunce per falsa dichiarazione a pubblico ufficiale non sono state più fatte.
Quindi no, non possiamo andare in giro violando le norme e giustificandoci dicendo il falso perché tanto non è reato. Sicuramente, però, coloro che hanno ricevuto una denuncia per aver detto il falso ad un pubblico ufficiale, potranno tirare un sospiro di sollievo.
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
Quando si pensa a Roma la prima cosa che ci viene in mente è il Colosseo, simbolo di una città eterna, certezza in un mondo che continua a cambiare. Il bello di Roma è anche un po’ questo: si evolve continuamente ma allo stesso tempo non cambia mai.
Quello che non tutti sanno è che a Roma di Colosseo, ce n’è più di uno. Nella capitale esiste infatti anche il Colosseo quadrato. Vediamolo insieme.
A Roma esiste anche il COLOSSEO QUADRATO
# La storia del Colosseo quadrato
Credit: @marcosalvinistudio
Roma è fatta di quartieri storici conosciuti in tutto il mondo ma anche di parti meno turistiche: è proprio in una di queste zone che si trova il Colosseo quadrato.
Il Colosseo quadrato è in realtà il Palazzo della Civiltà Italiana, noto anche come Palazzo della Civiltà del Lavoro.
Il motivo per cui viene chiamato Colosseo quadrato salta subito all’occhio: le sue numerose arcate rimandano subito all’anfiteatro più famoso del mondo risalente all’80 d.C.
Ideato già dal 1936 e progettato nel 1937 in vista dell’Esposizione Universale di Roma del 1942, l’idea per questo palazzo nasce dal governo fascista, che lo usò per celebrare i vent’anni di regime ed espandere la città.
A volere questo palazzo non è stato quindi un architetto ma Benito Mussolini che ebbe l’idea di creare un nuovo quartiere, che prese poi il nome dall’Esposizione Universale Roma, appunto Eur 42.
L’obiettivo di questo quartiere era di diventare simbolo della forza del potere fascista e del paese intero.
Come per tutte le altre costruzioni, i lavori furono interrotti nel 1943 a causa dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale, per poi venire ultimati solo nel dopoguerra.
# Un palazzo imponente, preciso e perfetto
Credit: @arqcatalogoarq
Il Colosseo quadrato è il simbolo dell’architettura razionalista del 900. Questa monumentalità è un chiaro simbolo degli ideali di città e di ordine tipicamente fascisti: un palazzo imponente, preciso e perfetto.
Nella mente di Mussolini, il Colosseo quadrato doveva infatti trasmettere forza e potere, proprio come faceva il Colosseo romano in riferimento all’Impero.
Il palazzo è alto 63 mt, per un totale di sette piani.
A fargli aggiudicare il paragone con l’Anfiteatro Flavio sono i numerosi archi: 9 per ogni piano, in totale 54 per ogni facciata.
Secondo la leggenda il numero di arcate non è casuale, ma corrisponderebbe al numero di lettere del nome e del cognome di Benito Mussolini, appunto 6 e 9.
A seguito di pubblico concorso, una giuria presieduta da Marcello Piacentini scelse il progetto degli architetti Giovanni Guerrini, Ernesto La Padula e Mario Romano.
La struttura, pensata originariamente in muratura, per ragioni di economia e di tempo, venne poi realizzata totalmente in cemento armato e ricoperta successivamente con il marmo travertino romano.
La scelta dei materiali non è casuale: la somiglianza con l’Anfiteatro Flavio ancora questa costruzione al passato ma dimostra anche la capacità italiana nel costruire un intero edificio in pietra locale senza bisogno di ferro o di cemento.
# L’esterno del Colosseo quadrato
Credit: @fabio.formato
Ai quattro angoli delle scalinate troviamo le sculture equestri opera di Publio Morbiducci che rappresentano i Dioscuri, mitologici figli di Zeus (Castore e Polluce).
Un altro elemento che rende il Palazzo della Civiltà Italiana unico è poi la frase scritta in stampatello e posta in cima all’edificio.
Queste parole sono la chiara e fiera espressione di quello che è il popolo italiano: “Un popolo di poeti di artisti, di eroi, di santi, di pensatori, di scienziati, di navigatori, di trasmigratori”.
# Le 28 statue
Credit: @igersroma
Ad accompagnare il significato della frase ci sono poi le statue.
Raggiunta la base del Colosseo Quadrato infatti, si possono scorgere al di sotto delle arcate 28 statue marmoree che sono le allegorie di arti e mestieri del popolo italiano: dalla pittura alla poesia, dalla musica alla filosofia, arrivando fino all’astronomia e l’archeologia.
#Simbolo di una Roma che guarda al futuro
Credit: @beautiful_italy_
ll Colosseo quadrato è diventato sfondo e citazione di film molto noti come “Otto e mezzo” di Fellini fino a “Notte prima degli esami “di Brizzi.
Oggi ospita il quartier generale della Maison Fendi e contiene al suo interno anche uno spazio aperto al pubblico, sede soprattutto di mostre ed eventi culturali.
La scelta di Maison Fendi è ricaduta su questo palazzo razionalista con lo scopo di tutelare un sito parte del patrimonio artistico e storico di Roma, ma sempre con uno sguardo al futuro.
Il Colosseo quadrato si dimostra così un simbolo perfetto della Roma che vogliamo rappresentare: ancorata al passato ma con uno sguardo al futuro.
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
Credits: laura_biscaro
finestrella di via Piella Bologna
Tra le sue architetture, le torri, la gastronomia e la sua vivacità, Bologna nasconde un segreto. In via Piella, c’è una piccola finestrella che se ci si affaccia si viene catapultati in un’altra città italiana, la bellissima Venezia. Un canale con casette colorate e balconcini, è questo che si vede dalla finestra che ormai viene chiamata la “piccola Venezia”.
La via di BOLOGNA dove sembra di essere a VENEZIA
# Bologna: città sull’acqua
Credits: @ Gli fabio_govoni1974 Canale delle Moline
Ci si potrebbe chiedere come può essere che Bologna assomigli a Venezia, eppure in realtà ci si è dimenticati, o semplicemente non se ne è a conoscenza, del passato del capoluogo emiliano romagnolo. Nella storia di Bologna per molto tempo l’acqua e i commerci navali occuparono un ruolo importante. Nel XIII secolo c’erano 5 porti e dal canale Navile si raggiungeva Ferrara, il Po e infine il mare. Sono tra i 60 e 80 chilometri di condotte, canali torrenti e corsi d’acqua in generale che attraversano il centro di Bologna. Inoltre, l’economia della città si basava sull’attività di mulini per la seta e opifici che funzionavano con un apparato idrico ben funzionante.
# Gli scorci d’acqua nella città
La finestrella in via Piella si affaccia su uno dei pochi tratti di canale che non è stato coperto dall’asfalto dopo la ricostruzione della città nel Dopoguerra, il canale delle Moline (prosecuzione del Reno). Tuttavia non è l’unico scorcio d’acqua ancora visibile nella città. Tra questi troviamo il canale Reno che entra in città e scompare poco dopo passando sotto la Grada, nella via omonima, il canale Navile e parte di un canale nel Parco del Cavaticcio, nei pressi di Porta Lame, nella zona dell’antico Porto Naviglio.
# È sempre più conosciuta
Credits: laura_biscaro finestrella di via Piella Bologna
La “piccola Venezia” bolognese sta diventando sempre più un’attrazione turistica: casette colorate e un canale, un pezzo di una città in un’altra, una volta trovata, non poteva essere da meno. Sicuramente non facile da scoprire però, dato che la finestrella è dipinta dello stesso colore del muro, arancione tono su tono. È in pieno centro storico e attraverso i social e il passaparola, è possibile trovare sempre più gente affacciata alla finestra ad osservare la bellezza dello scorcio o a fare una foto. In realtà la finestra ha solo circa 20 anni, era stata infatti coperta e poi riaperta.
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
A pochi km da Treviso, c’è una splendida residenza che è uno dei capolavori dell’architettura italiana del XVI secolo. Scopriamo insieme Villa Barbaro, detta anche Villa Maser.
La VILLA CAPOLAVORO del Palladio
Durante i miei anni all’università di Venezia, ho avuto la fortuna di fare da tutor a una delegazione di studenti di Harvard venuti fin qui per seguire le lezioni del programma estivo a loro dedicato: da classica studentessa squattrinata, per di più “bloccata” in una città senza auto, è stata un’occasione unica. Ho avuto infatti la possibilità di scoprire un po’ di quel Veneto di cui mi sarei poi innamorata, tra giardini incantevoli, gite in barca sul Brenta, e ville venete indimenticabili.
# Le tipiche ville venete: 24 sono patrimonio dell’Unesco
Queste ultime sono una particolare tipologia di abitazione nobile tipica della terraferma della Repubblica di Venezia, sviluppatesi tra il XV e il XIX secolo. In questo periodo, sembra siano state costruite oltre 4000 ville sparse per l’intero Veneto, fino anche ad alcune pianure nel Friuli-Venezia Giulia.
Credits: @artemisiadt (IG)
Sono molti i nomi degli architetti celebri a crisi deve la costruzione delle meravigliose ville venete: tra loro, 24 ville sono state inserite nell’elenco dei Patrimoni dell’Umanità dell’UNESCO nella metà degli anni Novanta: si tratta di uno specifico tipo di villa veneta, e prendono il nome di ville palladiane, dall’architetto che le ideò, Andrea Palladio, a partire dal XVI secolo.
Oggi vi porto a scoprirne una che mi è rimasta nel cuore al primo sguardo, per la sua bellezza e maestosità: Villa Barbaro, detta anche Villa Maser.
# Villa Barbaro “Maser”
Sebbene la maggior parte delle ville palladiane si trova nel vicentino, Villa Barbaro invece si trova a Maser, un piccolo comune di poco più di 5000 abitanti a nord-ovest di Treviso. La villa di Maser fu ideata nel 1554 dal Palladio per i fratelli Daniele e Marcantonio Barbaro, sulla base del preesistente palazzo medievale di proprietà della famiglia. Per la decorazione delle sale della loro tenuta agricola, inoltre, i fratelli Barbaro si affidarono al pittore Paolo Veronese, che ha realizzato uno splendido ciclo di affreschi.
La villa sorge a mezza costa sui colli asolani, poco lontano da una sorgente che secondo la tradizione fu un luogo di culto dove—forse—sorgeva anche un tempio. Il Palladio prese ispirazione proprio dalle forme degli antichi templi romani per disegnare la facciata di Villa Barbaro. Davanti alla facciata, ci sono due leoni di pietra e statue raffiguranti le divinità dell’Olimpo a dare un maestosobenvenuto agli ospiti.
Credits: @artemisiadt (IG)
Sul timpano decorato, infine, si trova lo stemma dei Barbaro al centro di un’allegoria che rappresenta la pace e l’armonia. Si tratta degli stessi ideali che hanno ispirato la costruzione dell’edificio e che si ritrovano come tema negli affreschi.
A differenza delle ville romane e medicee, le ville palladiane non avevano lo svago come unico scopo: erano soprattutto dei complessi produttivi. Solitamente circondate da campi coltivati e vigneti, le ville comprendevano anche magazzini, stalle e depositi per il lavoro agricolo. La Villa di Maser non è da meno. La residenza, abitata ancora dai proprietari, è al centro di una fiorente azienda agricola i cui vini sono esportati nel mondo.
Credits: @artemisiadt (IG)
In primavera, la villa accoglie i suoi visitatori (per il momento, ridotti a zero a causa delle restrizioni anti-Covid attuate di recente) con l’allegria e il colore dei glicini rampicanti e, passando per la Siepe delle Rose, con un profumo inebriante.
Completano il complesso della Villa la cantina storica, non visitabile, ma che con i suoi 30 ettari produce varietà tradizionali come Merlot, Cabernet, Chardonnay, e Prosecco, rigorosamente raccolte a mano, il Tempietto del Palladio, a lui caro per la sua pianta circolare, e la Collezione di Carrozze, una raccolta di una trentina di veicoli del periodo tra la fine XVIII secolo e gli inizi del XX secolo
Credits: @artemisiadt (IG)
So che tutte queste chiacchiere su posti che non possiamo andare a vedere potrebbero mettere il broncio sul viso di qualcuno, per cui vi lascio le immagini del drone di SKey FPVe della sua panoramica eccezionale della meravigliosa Villa di Maser, delle sue spettacolari sale affrescate, e del suo splendido giardino.
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
Un progetto atteso da 30 anni dai pendolari che ogni giorno intasano la Paullese. I sindaci dalla provincia di Crema hanno scritto al governo per far inserire l’opera tra le infrastrutture prioritarie nel Recovery Plan. Ecco il possibile tracciato e quanto costerebbe.
“Vogliamo il METRÒ fino a PAULLO”
# I sindaci del cremasco scrivono al premier Draghi per inserire il prolungamento della M3 fino a Paullo nel Recovery Plan
Credits: ilpost.it
L’assessore al bilancio di Crema Cinzia Fontana commenta la lettera firmata da tutti gli esponenti dei partiti cremaschi, in cui viene chiesto di finanziare il prolungamento della M3 fino a Paullo, indirizzata al premier Mario Draghi, ai ministri Daniele Franco ed Enrico Giovannini, al presidente della Lombardia Attilio Fontana e al sindaco di Milano Beppe Sala: “Mosse dall’interesse comune di sostenere azioni positive che portino beneficio al nostro territorio le forze politiche dell’area cremasca hanno condiviso un appello unitario a Governo, Regione e istituzioni locali affinché il progetto di prolungamento della MM3 San Donato-Paullo sia inserito tra gli interventi infrastrutturali prioritari e strategici nel Piano Nazionale Ripresa e Resilienza finanziato col Recovery fund“.
# L’ultimo progetto redatto da MM costerebbe 1,1 miliardi di euro: 14 km di estensione con 8 nuove fermate
Progetto MM Prolungamento M3 Paullo
Oltre ad agevolare il viaggio dei pendolari con un collegamento puntuale e efficiente, il prolungamento della linea gialla fino a Paullo andrebbe a snellire il traffico sulla Paullese i cui lavori non sono ancora arrivati a conclusione. L’ultimo progetto nella versione più estesa redatto da Metropolitana Milanese tra la fine degli anni ’90 e l’inizio degli anni ‘2000, insieme ad altri successivi, sono stati tutti bocciati dalla Corte dei conti per mancanza della sufficiente copertura finanziaria e un rapporto costi/benefici non ottimale. L’estensione della M3, come da immagine in alto, prevedrebbe 8 nuove fermate per una lunghezza di circa 14 km con metà del tracciato in sotterranea fino a Peschiera e il resto quasi completamente in superficie o trincea fino a Paullo Est.
Tavola Paullo Teem e Prolungamento M3
Il finanziamento richiesto sarebbe di 1,1 miliardi di euro e secondo i sindaci del cremasco i fondi si troverebbero se l’opera fosse inserita come infrastruttura prioritaria nel Recovery Plan. A questo si aggiunge che la TEEM, tangenziale est esterna di Milano, è stata progettata e realizzata lasciando la spazio necessario per l’estensione delle M3 fino alla fermata di Paullo Est e per il deposito dei treni.
# L’ipotesi più probabile ad oggi: 2 fermate fino a San Donato Est, il resto con metrotranvia o bus rapidi
Prolungamento M3
Al momento l’ipotesi più fattibile contempla un’estensione della M3 per 2 fermate fino a San Donato Est e il resto del percorso realizzato tramite infrastrutture meno impattanti sia a livello costruttivo che finanziario, come metrotranvia o bus rapidi in corsia protetta.
Credit: nord24milano.it
Da anni però anche i comuni a nord di Milano chiedono il prolungamento della M3. Le ultime ipotesi vedono un’estensione massima di altre 2 fermate dopo il capolinea di Comasina: Cormano e Paderno Dugnano.
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
L’acquisizione di una libertà virtuale ci sta rendendo più disponibili alla perdita della libertà reale.
Fino a trent’anni fa sarebbe stato impossibile applicare il confinamento come soluzione di salute pubblica. Sia per un motivo politico, perché il confinamento veniva associato alle dittature del novecento, sia per le caratteristiche della vita quotidiana.
Perché fino ai primi anni novanta tutta la vita era fuori di casa. In casa si studiava, si mangiava e si dormiva. Fine. Tutta la vita consisteva in quello che accadeva fuori. Soprattutto vivere significava la ricerca della socialità e dell’incontro con gli altri. In quel caso non sarebbe stato mai stata accettato un limite ad uscire proprio perché sarebbe stato interpretato automaticamente come perdere la vita.
La libertà era al centro non solo della vita quotidiana ma era un pilastro della politica. Nella politica interna si rivendicava una maggiore libertà per il singolo o per le diverse categorie, con la progressiva conquista sociale di diritti e libertà sempre più ampi. E anche a livello internazionale sulla spinta della voglia di libertà dei popoli si assisteva al crollo dei muri e alla nascita di un mondo senza frontiere.
Tutte cose che oggi sono state barattate in campo di una buona connessione internet e di un rapido servizio delivery.
Kim Jong-un è il nuovo vate della nostra epoca?
Talking teens è un progetto nato dagli adolescenti per gli adolescenti, ma non solo. È un’iniziativa culturale e educativa nata da studenti delle scuole superiori, per questo nel nome c’è la parola “teens” (adolescenti), e che è riuscita a coinvolgere insegnanti, cittadini e attori. Che cos’è però Talking Teens? È un viaggio nel tempo dove se ci si avvicina ad una statua del centro città di Parma, si potrà sentire la stessa parlare.
Talking teens: le STAUTE PARLANTI di Parma
# “Salve, sono Giuseppe Verdi”
Credits: @talkingteens_parma Alcune tra le statue
L’iniziativa ha coinvolto 350 studenti che hanno scelto le statue, approfondito la storia delle stesse e del personaggio rappresentato e scritto il testo delle telefonate. Inoltre, sempre gli studenti hanno contribuito al lancio del sito web facendo foto, video e modellini delle statue stesse. Insieme ai vari licei e istituti di Parma, essenziali per il progetto sono stati l’associazione culturale ECHO, il Comune di Parma e altri enti della città. Ci si avvicina alla statua, il cellulare squilla e quando rispondi senti “Salve, sono Giuseppe Verdi…”, un’esperienza unica! Tra i personaggi delle statue troviamo Verdi, Giuseppe Garibaldi, Il Parmigianino, Il Correggio e molti altri. A dar voce alle statue ci sono, invece, attori di cinema e teatro, tra cui Lino Guanciale, e 5 studenti che hanno registrato la storia del Gruppo del Sileno.
# È accessibile a tutti
Credits: @talkingteens_parma Statue Parma
Nonostante l’iniziativa sia partita dai giovani per i giovani, è un’esperienza di visita che possono fare tutti: dai più grandi ai più piccoli, stranieri (le registrazioni sono fatte anche in inglese), ma soprattutto anche le persone con disabilità. La “chiacchierata” la si può fare anche con una videochiamata in LIS e la targhetta con la spiegazione su come funziona è scritta in rilievo per poter essere capita anche dai non-vedenti.
# Ma come funziona?
Credits: @talkingteens_parma Talking Teens
Talking Teens è un percorso di 16 statue delle piazze della città. Ovviamente non è automatica la “chiacchierata” con la statua, altrimenti già due statue nella stessa piazza darebbero fastidio ai visitatori che non vogliono sentirle parlare. Il progetto è un modo perfetto per unire tecnologia e cultura, valorizzando i monumenti della città. Innanzitutto, per poter sentir parlare le statue bisogna essere muniti di un telefono cellulare, ma ormai è difficile trovare qualcuno che non lo abbia. Ci si deve avvicinare ad esse e seguire le indicazioni scritte su una targhetta segnaletica. Da qui o componendo il numero di telefono riportato sulla targa, o scansionando il QR code presente o scaricando la APP si può far partire la telefonata con le statue.
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
In Veneto, fino a pochi anni fa, non esisteva famiglia che non avesse ALMENO una Graziella. E in paese, a 2021 ingranato, la situazione, non è ancora cambiata. Senz’ombra di dubbio, sto parlando della bicicletta pieghevole più famosa del mondo.
Le SPECIAL EDITION più curiose della GRAZIELLA, la BICICLETTA pieghevole più famosa del mondo
# Vittorio Veneto, Treviso 1964
La storica bicicletta Graziella nasce a Vittorio Veneto, nel 1964, dal progetto creativo di Rinaldo Donzelli, brianzolo (di Mariano Comense).
Viene prodotta inizialmente a brand Bottecchia dall’azienda Carnielli di Vittorio Veneto (Tv). Si distingue subito per la sua straordinaria praticità.
Robusta, pieghevole ed unica, la Graziella ha canna orizzontale, ma è dotata di una cerniera centrale, piccole ruote, sella e manubrio smontabili. Può essere comodamente riposta nel portabagagli delle macchine utilitarie; da piegata occupa infatti uno spazio di 75x60x30 cm per un peso complessivo di 16 kg.
# Testimonial d’eccezione
Nel corso degli anni, per merito dei suoi elementi innovativi, la Graziella riesce a conquistare il pubblico. Ma il successo non si ferma qui: Graziella riesce a farsi amare anche dalle personalità più significative degli anni ’60.
Brigitte Bardot, icona della sensualità femminile del tempo, fu protagonista di una campagna pubblicitaria che definì la Graziella “La Rolls Royce di Brigitte Bardot”
Credits: @bottecchia.com – Brigitte Bardot a bordo della Graziella, la sua “Rolls Royce”
Anche lo spirito anticonformista e surrealista di Salvador Dalì subì il fascino della Graziella. Il celebre artista spagnolo venne ritratto mentre trasportava alcune sue opere a fianco della sua inseparabile Graziella.
Credits: @bottecchia.com – Salvador Dalì e la sua inseparabile Graziella
# Edizioni Speciali
E come ogni oggetto prodotto in serie degno di nota, non sono di certo mancate le Special Edition di Graziella. Tandem, triplet, Floreali.
Un artigiano tedesco, appassionato della mitica Graziella, si è addirittura superato e ne ha realizzato un modello unico. Interamente placcato d’oro 24 carati con un complessivo di 150 grammi di oro, il telaio Graziella n° 82826 è oggi preziosamente conservato alla Bottecchia Cicli all’interno di una teca per preservarlo dal trascorrere degli anni.
Credits: @bottecchia.com – Graziella OroCredits: @bottecchia.com – Graziella Oro
# Il marchio
Nel corso degli anni, “Graziella” è diventato sinonimo nell’uso comune del termine per identificare tutte le bici pieghevoli. Ma l’originale è sempre rimasta inconfondibile, anche nel marchio. Volutamente elegante e “graziato”, il font voleva essere un omaggio alle testate dei più famosi magazine di moda femmile dell’epoca, in particolare alla rivista Grazia. La Graziella è stato un fenomeno sociale degli anni 60′, simbolo di anticonformismo e di emancipazione femminile.
# Ritorno in grande stile
A metà degli anni ’90 il marchio Bottecchia, separato da quello Carnielli, viene rilevato dall’attuale compagine societaria che porta l’azienda da Vittorio Veneto nell’attuale sede di Cavarzere, in provincia di Venezia.
Nel 2012, grazie alla Bottecchia Cicli srl, è nata la nuova Graziella.
Il modello richiama rigorosamente quello originale e ne conserva fascino e valori. Al tempo stesso, la nuova bicicletta pieghevole made in Italy si configura come un prodotto completamente nuovo ed innovativo, soprattutto grazie alla componentistica e ai suoi accessori tecnologici hi-tech di ultima generazione, oltre che fashion. Per omaggiare il suo passato, Graziella viene proposta in tre colorazioni (il Bianco Brigitte, il Blu Salvador e il Nero Passione).
Con l’occasione, sono stati realizzati anche dei bellissimi accessori da abbinare alla Nuova Graziella, elementi di design non indifferenti: borse, cestini, fino ad un Sound System dedicato.
Credits: @bottecchia.com – Gli accessori di design della Nuova Graziella
# Graziella e dintorni
Se Bottecchia è diventata famosa nel mondo per merito di Graziella, non di certo ad essa si limita la fama della aziende venete del settore. La continua ricerca della qualità si è dimostrata, nel corso del tempo, un’arma vincente per il successo. Chi corre in bici conosce bene aziende come Bottecchia, Esperia, Olympia, per citarne alcune, e non può che elogiare le qualità dei loro prodotti. La fama di queste aziende, nell’ambito della corsa, è diventata mondiale.
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
Perché, noi milanesi, abbiamo questa voglia di confrontarci con la vecchia Milano, con i ricordi per i tempi andati? Quando la nostalgia per il passato smette di essere semplice rimpianto e diventa costruttiva? La risposta è disarmante: succede quando i ricordi sono esclusivamente nostri, creano complicità e permettono di capirci con un semplice sguardo di intesa. Hanno formato la nostra identità e alimentano la nostra cultura. Quali sono gli anelli di congiunzione tra passato e futuro, di cui dovremmo prenderci cura?
Le 7 cose che NON CI SONO più a Milano e che RIVOGLIAMO indietro
Anche se le archistar ormai pensano ad altro e non si costruiscono più, i ballatoi e i cortili delle case di ringhiera sono un vero e proprio simbolo architettonico di Milano. Un modello che ha attraversato decenni con la leggerezza dei suoni e profumi più belli del mondo: gli schiamazzi del cortile e le cucine tradizionali di ogni regione.
Affacciandosi dal portoncino si entra in un universo fatto di colori, panni stesi, porte socchiuse, dialetti e tradizioni provenienti da ogni parte. Nate come case popolari, sono simbolo di vita e inclusione tipicamente milanese, che abbiamo il compito di traghettare nei prossimi anni.
Sui ballatoi si rinuncia ad un po’ di privacy, per godere della compagnia dei vicini appena fuori dalla porta di casa. C’è poi lo spazio per giocare all’interno del cortile, quasi sempre invisibile ai più e che rappresenta una piccola bolla che lascia fuori tutta la città e diventa un borgo personale, silenzioso e pacifico. Che è esattamente ciò di cui ha bisogno anche la città di domani: tradizione e senso di comunità, comodità e spazi aperti. Tutto a portata di mano.
Siamo nati in un paese che è la bellezza tridimensionale, eppure abbiamo subito alcune decisioni contrarie ai canoni minimi di bellezza. Il giallo è uno dei colori primari della nostra città, el giald, mentre il taxi bianco è ciò che di più impersonale esiste sulla terra.
Giallo è il colore del risotto, ed è anche la tonalità “Giallo Maria Teresa” – giallo Milano– che fa parte della nostra tradizione, ci siamo cresciuti dentro e intorno: è uno dei filamenti del DNA meneghino. Togliere quel colore ai “nostri” taxi è stato un po’ come segare una delle nostre radici più forti e antiche.
Provate a togliere gli Yellow Caba NYC. Oppure chiediamoci perché questa decisione è stata accettata quasi senza protestare.
E se proprio dobbiamo avere il bianco, usiamolo per quello che è: nella città del design è un fondo neutro da dipingere con tutti i contributi colorati, di immagine e contenuti spot possibili. Si può fare, è concesso. Osiamo.
Guardando alle grandi capitali, come Parigi e Londra, Milano crea alla fine del 1800 il proprio corpo di Vigili, primi in Italia ad allenarsi nella lotta senza armi, con l’intento di dare autorevolezza senza l’uso della brutalità. Prima del traffico, prima ancora dell’Italia, nascono i Canòn de stüa, cannone della stufa (di ghisa). Questo il primo soprannome del corpo dei Sorveglianti, poi Vigili Urbani ora Polizia Locale. Ghisa pare abbia due possibili origini: la somiglianza appunto con il tubo della stufa, oppure perché nei primi anni si trovarono al servizio dell’assessore Ghisalberti.
Il corpo dei Vigili Urbani di Milano, seppure militarizzato, è uno dei pochi che disobbedisce a Beccaris, rifiutando di andare contro i cittadini in rivolta e questo gesto trasforma i vigili milanesi negli amici dei cittadini.
Quel copricapo, forse scopiazzato dai Bobbieslondinesi, ha fatto del ghisaun simbolo di Milano. In effetti è ancora in dotazione, ma viene indossato in poche occasioni, quasi con vergogna, preferendo sostituirlo con un cappellino da baseball. Come sempre, aver tolto un simbolo non ha giovato a Milano e nemmeno ai Vigili stessi, percepiti oggi come una élite lontana anni luce da quella che si è guadagnata il rispetto dei rivoltosi di fine ‘800. Riproporlo come abbigliamento fisso dell’uniforme, potrebbe essere invece il primo tentativo per rimettere le cose a posto.
Senigà…. Sinigà…. Sinigallia? Senigaglia?
Com’è che l’antico mercato delle pulci ha, nel nome, più storpiature della Royal Family?
La “colpa”, se così si può dire, è solo della grande inclusività di Milano, che ha accolto e accoglie cittadini provenienti da ogni parte di Italia e del mondo e che prova a condividere una parte della propria tradizione, che ognuno pronuncia come può o come sa.
Ma non è la dizione il problema più grosso di questo capitolo. Il “crimine” è aver smembrato la Fiera di Sinigaglia ovvero il mercatino più antico di Milano.
Risale all’800 ed è stata una tappa fondamentale dei sabati di molte generazioni milanesi. Sinigaglia ha sempre avuto tutte le carte in regola per funzionare, finché la burocrazia ha tenuto le mani lontano. Poi sono iniziati i disastri: interessi esterni sull’area espositiva, lo smembramento e la divisione in zone e giorni diversi, lo spostamento sulla Ripa Ticinese in un lungo Naviglio affascinante quanto inadatto.
Nella città del futuro ci sarà ancora posto per i mercatini delle pulci? Gli anni a venire non si prospettano esattamente come quelli di Bengodi, quindi riqualificare e re-interpretare Sinigaglia come spazio cittadino che parla anche di moda sostenibile, di vita dei prodotti di seconda mano, di donazione e ricerca di qualità ad un prezzo inferiore del nuovo, sarebbe un vero successo e un forte impulso a migliorare la città dal basso.
La storia del Vivaio Riva, o meglio, la sua fine è l’emblema degli errori commessi a Milano negli ultimi anni di crescita.
Nato negli anni 20 del ‘900 e gestito sempre dalla famiglia Riva, è arrivato a diventare un meraviglioso giardino in uno degli angoli più inaspettati di Milano. Da vivaio nato per la coltivazione di fiori da destinare all’addobbo delle chiese ambrosiane, fino a giungere a un giardino botanico, arredato con ottimo gusto, è divenuto negli anni un adorabile spazio di offerta culturale senza eguali, in ogni stagione dell’anno.
Il Vivaio Riva ha tracciato una strada per la nuova modernità milanese, fatta di socialità ed educazione al verde sostenibile in pieno centro storico con musica, mostre, laboratori di giardinaggio, meritando a pienissimo titolo l’appellativo di “incantevole”. Anche nei mesi freddi, offriva la vista sul giardino d’inverno.
Le sorelle Riva hanno insegnato a Milano come avere sui balconi, fiori tutti i mesi. Non si doveva permettere ad un cavillo burocratico come la scadenza di un contratto di affitto, di interrompere questa strada, che altre realtà avrebbero potuto imitare e migliorare. Il mancato rinnovo del contratto da parte del Comune, ha procurato una profonda cicatrice alla città che nemmeno la nuova corsa al green new deal post pandemia, o la pennellata di verde prevista per le prossime elezioni comunali, potranno far sparire. Indietro non si torna, ma si può, anzi si deve, fare in modo che un errore così madornale serva da esempio per non ripetere più questo spreco di identità e di luoghi di aggregazione tanto cari, quanto indispensabili, per tutti noi di Milano.
#6 La Milano di MTV e Total Request Live in Piazza Duomo
credits: sorrisi e canzoni tv
La trasmissione TRL, in onda tutti i pomeriggi su MTV e trasmessa in diretta da Milano, è una vera e propria icona del divertimento milanese, giovanile e non solo. Da quando MTV ha deciso di trasmettere affacciandosi su Piazza del Duomo, gruppi di ragazze e ragazzi hanno iniziato a radunarsi sotto il piccolo studio del Centro Culturale Sardo. Col binocolo, il cannocchiale, il cellulare e i primi SMS mandati in onda in diretta, commentando la puntata o anche solo per rassicurare la mamma che andava tutto bene. In qualunque condizione atmosferica, si poteva mettere l’orologio sull’urlo dei ragazzini raccolti sotto quella balconata: le 14:00, inizia TRL.
Le scolaresche in gita a Milano hanno iniziato a loro volta a darsi appuntamento davanti al Duomo, per urlare con gioia l’entusiasmo rivolto agli idoli affacciati. E come dimenticare i divertentissimi e sguaiati cori “Fateci salire!” o i cartelli colorati esposti a favore di telecamera.
Il sorriso benevolo e divertito dei milanesi più grandi ha sempre fatto da cornice a questi gruppetti.
Anche la disapprovazione e le proteste, quelle non sono mancate mai. Ma i giovani a cavallo del millennio hanno scritto un’allegra pagina di storia, personalizzando il modo di vivere Piazza Duomo come mai prima di allora. Purtroppo, neanche dopo. Ci mancate ragazzi, grazie per l’allegria che ci avete regalato.
#7 Il dialetto milanese
credits: wikipedia
La migliore arma di inclusione di Milano sembra essere quella di non fermarsi più di tanto a giudicare le inflessioni dialettali delle new entry. Sì certo, può capitare che qualcuno si senta preso in giro perché, ammettiamolo, è troppo divertente scherzare con chi non apre le vocali come si fa a Milano.
Allo stesso tempo ognuno è libero di pronunciare le vocali finali come vuole: qui si sente sempre a casa. Quindi sembra che il dialetto milanese non sia così importante. Anzi, sta proprio scomparendo in virtù di questa grande inclusione. Tuttavia una delle fondamenta dell’identità è proprio quel divertente idioma: il milanese, o meneghino.
Dovremmo portarlo a scuola, come materia alternativa ad una delle materie facoltative, un’ora o due a settimana, sacrificando una delle materie convenzionali? Sicuramente sì, se questo significa avere uomini e donne migliori in futuro, attenti al loro territorio, alle loro origini, in grado di fare la cernita tra il meglio e il peggio del passato, battersi per salvarlo e consegnarlo al prossimo futuro di Milano. Perché se c’è una costante nell’evoluzione è proprio il tramandarsi il meglio del passato per portarlo dietro come bussola nel viaggio alla scoperta del futuro.
Guardare il passato con affetto è come guardare un album fotografico e ridere dei bei giorni andati, ma poi soffermarsi su alcune foto e riflettere. Anziché rimpiangere l’istante che si sta osservando, è possibile proiettarlo nel futuro e immaginare come potrebbe essere?
Portare alcuni gesti del passato con noi anche negli anni futuri, trasformarli e migliorare certi atteggiamenti è una cosa naturale che facciamo tutti: si chiama “crescere”. Può sembrare strano, ma è proprio quello che fa la differenza tra la lungimiranza e l’immobilità. La nostalgia è l’unico sentimento che ci mostra il passato facendo intuire il nuovo in arrivo. Come ci ha insegnato il filosofo Soren Kierkegaard: «La vita si può capire solo all’indietro, ma va vissuta in avanti».
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.