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Il PANETTONE sarà PATRIMONIO dell’umanità?

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Credits: 'The Medieval Cookbook', M.Black

Il panettone è una forma d’arte che si tramanda da secoli. E per questo deve essere tutelato. Quale modo migliore se non attraverso un riconoscimento a livello mondiale?
Così, la Lombardia ha deciso di candidare il panettone come patrimonio immateriale dell’umanità UNESCO.

Il PANETTONE sarà PATRIMONIO dell’umanità?

# “El Pan de Toni”: una tradizione italiana tramandata nei secoli

Credits: ‘The Medieval Cookbook’, M.Black

Il panettone è nato a Milano, dall’idea di un garzone di un fornaio. Pensate, dai lontani tempi di Ludovico il Moro, “El Pan de Toni” ha attraversato i secoli fino ad arrivare ad oggi. Al vero e proprio panettone, uno dei simboli del Made in Italy dolciario riconosciuto in tutto il mondo.

Una realtà che però deve essere protetta e tutelata.E così, dopo la Pizza Napoletana, è il turno dell’arte dei maestri pasticceri del Panettone.

# L’arte del panettone rappresenta Milano, la Lombardia e l’Italia e per questo deve essere valorizzata

Credits: www.dissapore.com

Infatti, il panettone sarà candidato per essere patrimonio immateriale dell’umanità UNESCO.

Un annuncio effettuato durante la finale italiana della Coppa mondiale del panettone a Milano, organizzata in totale sicurezza il 20 febbraio a palazzo Bovara in corso Venezia.

Per l’assessore regionale all’Agricoltura, alimentazione e sistemi verdi, Fabio Rolfi, il panettone “è un prodotto che rappresenta Milano, la Lombardia e l’Italia nel mondo. È il risultato di una forma d’arte che si tramanda da secoli e che è conservata e valorizzata dai nostri maestri pasticcieri che saranno ambasciatori straordinari di questa candidatura. Abbiamo già avviato interlocuzioni con le associazioni di categoria e con gli altri enti istituzionali. C’è unità di intenti per dare la giusta valorizzazione a un simbolo del nostro territorio. Il panettone è cultura e tradizione, ma anche economia. Crediamo che l’arte artigianale con cui viene realizzato meriti un riconoscimento mondiale”.

# Un riconoscimento mondiale per tutelare l’originalità e l’inimitabilità

Credits: www.filastrocche.it

Ed è quindi grazie alla collaborazione con Confcommercio e con l’associazione Maestro Martino che l’obiettivo di promuovere prodotti di eccellenza del territorio lombardo sta per diventare realtà.

Infatti, la candidatura a patrimonio immateriale dell’umanità ha lo scopo di promuovere nel mondo la specificità di un’antica testimonianza della panificazione pasticcera italiana, oltre che a volerne tutelare originalità e inimitabilità da parte di altri paesi.

# Paradossalmente, il più grande produttore di panettoni si trova in Brasile

Eppure, il più grande produttore di panettoni non si trova in Italia.

Infatti, si tratta del brasiliano Bauducco, con 6 fabbriche negli Stati Uniti per 200.000 tonnellate di prodotto l’anno. Ma non solo: anche il peruviano D’Onofrio ha fatto fortuna nella terra degli Inca producendo panettoni esportati in tutta l’America Latina.

Insomma, ci sono grandi preoccupazioni sul futuro dell’orgoglio dell’industria dolciaria italiana.

# Il mercato italiano dei panettoni è ancora florido, ma bisogna difendere la speciale tradizione artigianale della nostra pasticceria

Credits: www.italiaatavola.net

Però, il mercato italiano è ancora florido. Si fonda su ben 40.000 aziende che danno lavoro a 160.000 addetti, con un volume di affari che sfiora i 9 miliardi l’anno.

Quindi, è ovvia l’importanza del panettone italiano, un bene che deve essere difeso “dall’aggressione estera”. Non solo per tutelare le nostre aziende, ma anche per difendere quella che è la tradizione artigianale della grande pasticceria italiana.

E il riconoscimento mondiale servirà proprio a questo. A salvaguardare soprattutto l’anima più “genuina” che dà vita al panettone, che lo rende “unico ed inimitabile”.

Fonte: www.firstonline.info

Continua la lettura con: Il DOLCE più tipico di ogni regione del Nord Italia

ALESSIA LONATI

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MILANO sta diventando sempre più CLASSISTA?

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La protesta dei tassisti. Credits: Andrea Cherchi (c)

Giorgio Goggi, architetto, professore universitario ed ex-assessore ai Trasporti di Milano, personaggio dal lungo vissuto socialista, ha rilasciato qualche giorno fa un’intervista, pubblicata su “il Riformista”. Le sue dichiarazioni sono state molto severe e, muovendo diverse critiche alla Giunta Sala, l’ha accusata di aver contribuito a rendere Milano una città classista. Quali problemi e quali misure sono state chiamate in causa? E quali riflessioni possono emergere da questo suo punto di vista?

MILANO sta diventando sempre più CLASSISTA?

# Ignorate residenze pubbliche e housing sociale 

credits: expedia.it

Goggi ha esordito sostenendo che la Giunta, nonostante si dichiari di sinistra, in realtà si preoccupi più di un ecologismo e di uno sviluppo immobiliare particolarmente gradito ai ceti più abbienti. Il tema della casa è stato uno dei più trattati nell’intervista, è sicuramente una questione molto presente nel dibattito cittadino, non solo milanese. Possiamo infatti dire che diverse città europee hanno conosciuto un importante aumento dei prezzi delle case, accompagnato da una contrazione del mercato degli affitti e delle abitazioni a canone sociale.

L’intervistato ha sostenuto come, nonostante le 25.192 domande giacenti per alloggi di edilizia residenziale pubblica, il Comune di Milano non abbia osservato l’obbligo, imposto dalla legge 167/62, di determinare il fabbisogno e le aree destinate alla residenza pubblica. Inoltre, il PGT di Milano, Progetto di Governo del Territorio, sembra non prevedere vincoli sulle aree per la realizzazione di servizi urbani, come per esempio scuole e case popolari. In questo modo gli spazi cittadini sono del tutto disponibili ai privati, andando così a grande vantaggio dell’edilizia privata che prevede quantità minime di edilizia sociale.

# Housing: altre città europee più avanti nel rendere le città più inclusive

credits: ilgiornaledellarchitettura.com

Come già accennato, le tematiche residenziali interessano bene o male tutte le città europee, che hanno assistito a un generale processo di gentrificazione, come viene definito in sociologia. Questo fenomeno consiste nella trasformazione di quartieri abitati da ceti medio-bassi della popolazione in zone residenziali di pregio, che comporta il conseguente cambiamento dei prezzi e della composizione sociale, in quanto obbliga i vecchi residenti a lasciare le proprie abitazioni, diventate troppo care. Molte città si sono quindi adoperate per facilitare l’accesso alla casa, limitando da un lato le disuguaglianze sociali e territoriali, e dall’altro evitando lo svuotamento dei centri cittadini.

Barcellona, per esempio ha lanciato un piano statale per l’housing e la riqualificazione al fine di riorientare le politiche abitative nel settore degli affitti. A Lione, invece, sono state attuate diverse misure che hanno permesso di soddisfare il 50% della domanda di alloggi a basso costo, tra queste: la creazione di grandi banche pubbliche di credito fondiario usate per lo sviluppo dell’edilizia popolare e una quota minima di alloggi popolari per ogni futuro sviluppo immobiliare, pari al 20-25%.

# Tra monopattini, area C e zone 30: misure a vantaggio di chi vive in centro

credits: vaielettrico.it

Nel corso dell’intervista Goggi ha poi affrontato il tema dei trasporti, affermando che “la nuova politica dei trasporti, volta a incentivare monopattini e biciclette, a restringere i calibri stradali e a ridurre la quantità di stazionamenti, facilita gli spostamenti di breve distanza di chi abita nelle zone centrali”. A risentirne sarebbero quindi i pendolari e tutte le persone che, per motivi professionali, devono usare l’auto. L’architetto ha poi aggiunto che “nella presunzione di ridurre la mobilità si è operato un completo ribaltamento della tecnica internazionale che vuole che le zone 30 e le piste ciclabili siano poste nelle strade di quartiere”. Questi sistemi sono stati invece posti sulle strade foranee, quelle di immissione e di uscita dalla città, di fatto così riducendo gli spostamenti in entrata.

Anche l’Area C, a suo tempo era stata criticata da molti, vista come misura classista che avvantaggiava le zone centrali riducendo traffico e polveri sottili, a discapito delle aree circostanti.

# La politica inclusiva di altre città europee: mezzi pubblici gratuiti

credits: bikeitalia.it

Anche in questo caso diversi casi europei possono farci da esempio. In Estonia e in Lussemburgo, già da qualche anno i mezzi pubblici sono gratuiti. La prima è stata Tallin, la capitale estone, che, nel 2013, ha proposto ai suoi cittadini un trasporto pubblico gratuito e sostenibile. Altre città e nazioni hanno seguito a ruota e hanno adottato questa soluzione al fine di liberare le strade dal traffico, dall’inquinamento e garantire così uno stile di vita più sano. Questo passo importante e, per certi versi, rivoluzionario parte da un presupposto: la mobilità è un diritto e il trasporto pubblico gratuito è necessario per un mondo in cui tutti hanno pari accesso ai servizi, ai posti di lavoro e alle attività ricreative. Una misura inclusiva quindi che risulta anche un potente strumento contro i cambiamenti climatici, riducendo la circolazione di auto private.

Fonti: ilriformista.it

Continua a leggere: 7 JOLLY per la RICONFERMA ELETTORALE di Sala

CHIARA BARONE

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Elogio dell’imperfezione

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Credits: https://www.tuscanypeople.com/

Il sistema democratico si regge sull’imperfezione. Il nemico più pericoloso per la democrazia è l’assolutismo. L’assolutismo significa presupporre che la propria posizione sia perfetta e debba essere imposta agli altri.

La consapevolezza dell’imperfezione è la migliore garanzia per la tenuta democratica. Che significa capire che ogni posizione è legittima e allo stesso tempo fallace e perfettibile.
Il potere della maggioranza va comunque esercitato in modo democratico e non assolutistico. Anche una maggioranza numerica non dà il potere di calpestare la minoranza.

Ci sono molte leggi che non assegnano un pieno potere alla maggioranza. Proprio perché la maggioranza non è sufficiente a garantire una democrazia. La stessa Costituzione esiste per impedire che la maggioranza momentanea possa trasformarsi in un potere assolutistico nei confronti della minoranza.

Questo vale anche come approccio culturale. Essere democratici significa riconoscere che ogni opinione è legittima e, in quanto opinione, nessuna ha il diritto di sopraffare le altre.
Ogni volta che non si accetta un’opinione diversa dalla propria ci si pone nello stesso ordine di idee dei regimi dittatoriali.

Continua la lettura con: La manna dal cielo

MILANO CITTÀ STATO

 

 

7 motivi che rendono LEGNANO una città ricca di SORPRESE

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la "Teresa d'Autunno" (credits: @federico_912 - INSTG)

Legnano è situata ai confini dell’Alto Milanese e attraversata dal fiume Olona. Ai tempi una delle aree rurali nei dintorni di Milano, oggi è diventata una delle città più rilevanti dei dintorni di Milano. Ma sappiamo veramente cosa ci può offrire Legnano? Ecco i 7 motivi che la rendono una città ricca di sorprese.

7 motivi che rendono LEGNANO una città ricca di SORPRESE

#1 La “Manchester italiana”: ha anticipato i tempi di mezzo secolo

credits: ivanstesso IG

Tra l’Ottocento e gli inizi del Novecento Legnano , come tutto l’Alto Milanese, per quanto riguarda l’industrializzazione del Paese, era già in anticipo di 50 anni. Sfruttando il corso d’acqua dell’Olona, furono costruiti macchinari per filare e nacquero i primi cotonifici di Krumm e di Costanzo Cantoni. È per questo motivo che Legnano prende il nome de “la vera Manchester italiana” ed è interessante come parte delle industrie, risalenti a quel periodo, siano ancora ben visibili nella città.

#2 La Ciminiera e il Campanile: le due cime di Legnano

I due punti alti della città sono ben diversi l’uno dall’altro, ma entrambi sono testimoni della storia legnanese. In stile rinascimentale, nella città, c’è la Basilica di San Magno, che sorge nella piazza omonima. Fu costruita agli inizi del ‘500 e si ritiene che il progetto iniziale sia del grande Donato Bramante. La cima a cui facciamo riferimento è invece il suo campanile, che è stato però inserito successivamente, intorno al ‘700.

Dalla particolare altezza c’è anche la ciminiera, situata nel complesso di 41 mila metri quadri dell’ex Manifatturiera di Legnano. La ciminiera è stata dichiarata come bene da tutelare dalla Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio della Città Metropolitana di Milano, in quanto esempio compiuto di quella che fu l’architettura della produzione in Lombardia.

#3 Il castello di San Giorgio

credits: ivanstesso IG

Nella città c’è anche un castello risalente al XIII secolo, si tratta del castello Visconteo di Legnano, conosciuto anche come Castello di San Giorgio. Circondato da un parco e purtroppo parzialmente diroccato, il castello rappresenta comunque parte della storia di Legnano.

#4 Il lilla del calcio italiano

credits: acleganano IG

Gli appassionati di calcio sicuramente conosceranno la società calcistica A.C. Legnano e la sua storia un po’ turbolenta. Partita come una delle prime società a giocare in massima serie, negli anni, retrocede in serie B, fino ad arrivare all’espulsione dai campionati e a giocare, ad oggi, nella serie D. Ma non bisogna dimenticare che nella squadra hanno giocato anche grandi campioni come Gigi Riva e che, per il suo colore lilla, rimane un unicum nel calcio italiano.

#5 L’unica città, insieme a Roma, ad essere citata nell’inno d’Italia

credits: storia_sale_e_limone IG

“Dovunque è Legnano, Ogn’uom di Ferruccio Ha il core, ha la mano” questi sono i versi dell’Inno di Mameli in cui la città viene nominata. Legnano viene infatti ricordata, perché fu sede della grande battaglia che si concluse con la vittoria dei lombardi contro Federico I Barbarossa nel 1176.

#6 I legnanesi: un’icona di Milano 

credits: i_legnanesi_official IG

Chi non conosce la famosa compagnia teatrale nata nella città di Legnano nel secondo dopoguerra? I legnanesi sono tra i più grandi comici della zona che propongono commedie satiriche della tipica corte lombarda in dialetto legnanese.

#7 La casseoula è nata qua

credits: bruttocheffo IG

Un piatto non particolarmente leggero della tradizione legnanese è la casseoula, con il suo misto di verze, carote, sedano, cipolle , costine, cotenne e molta carne di maiale. Indubbiamente questo piatto è entrato nei pranzi domenicali di quasi tutta la popolazione lombarda.

 

Continua a leggere: Busto Arsizio, l’incognita lombarda

BEATRICE BARAZZETTI

 

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“E’ TUTTO UN MAGNA MAGNA”. Quali sono i RISTORANTI dei POLITICI a MILANO?

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credit: ilpost.it

Le decisioni politiche più importanti vengono prese a tavola. Ma quali sono i “ristoranti del politici” a Milano?

“E’ TUTTO UN MAGNA MAGNA”. Quali sono i RISTORANTI dei POLITICI a MILANO?

A Milano sono numerosi i luoghi che sono stati scenario di decisioni politiche che hanno cambiato le sorti della capitale economica del Paese e, in alcuni casi, di tutta Italia. Se a Roma sono famosi gli aneddoti politici che si sono svolti nei salotti di meravigliose dimore storiche, a Milano ce ne sono altri che hanno avuto luogo tra mura altrettanto suggestive e tra le più disparate.

# Il potere della convivialità: da Cicerone al Matarel

credit: gramberorosso.it

Tra queste sicuramente possiamo annoverare quelle di alcuni ristoranti all’ombra delle Madonnina dove si è fatta la storia recente dell’Italia o più semplicemente si riuniscono alcuni tra i politici lombardi più noti. L’importanza della convivialità, del resto, era già conosciuta per fini strategici e per creare sodalizi già in epoca antica tanto da portare Cicerone a dire: ”Bisogna mangiare insieme molti moggi di sale perché il dovere dell’amicizia sia compiuto”.

Famosi sono i “pranzi del lunedì” che Bettino Craxi teneva con i suoi fedelissimi nel  periodo più fiorente del socialismo da al Matarel di Corso Garibaldi tanto da farne il suo ristorante preferito. La cucina è tipica lombarda e negli anni si sono susseguiti artisti che hanno anche lasciato un ricordo del proprio passaggio decorandone le pareti, imprenditori e politici più recenti come l’ex governatore della Lombardia Roberto Maroni

# La cucina tradizionale di Berti amata da tutti, da Craxi a Formigoni

credit: Facebook – @daberti

“Berti”, che nasce come osteria nel 1866, oggi è un bel ristorante con sale a tema in cui si sono ritrovati esponenti politici di schieramenti diversi; Craxi, Veltroni, Formigoni e molti altri hanno pranzato qui. La cucina è quella della tradizione lombarda e se Craxi ordinava sempre il bollito misto, Formigoni era affezionato al “riso al salto”. Di recente è stato frequentato da governatori e consiglieri regionali essendo a due passi da Palazzo Pirelli, sede di Regione Lombardia.

# Il ristorante preferito dal Cavaliere: “Giannino dal 1899”

credit: tripadvisor.it

“Giannino dal 1899”, in via Vittor Pisani, è stato invece per anni il ristorante di riferimento del “Cavaliere” quando, dopo le partite del Milan, lui e i suoi collaboratori più stretti come Adriano Galliani si riunivano qui. Noti erano anche i pranzi di Berlusconi con gli esponenti di partito come Mariastella Gelmini, neo ministro degli affari regionali nel Governo Draghi. Meno numerosi ma comunque presenti erano anche alcuni politici del PD.

# Dal ristorante vegetariano della Brambilla alla tradizione lombarda di Pisapia

credit: cucinaeco.wordpress.com

Michela Vittoria Brambilla, parlamentare e attivista animalista, ex ministro del turismo, dicastero appena ripristinato nel governo Draghi affidato a Massimo Garavaglia, si mantiene coerente con la sua scelta di difesa degli animali e dell’ambiente e per questo sceglie come suo preferito a Milano un ristorante vegetariano e vegano. Brambilla cena spesso con i suoi collaboratori allo Joia dello chef Pietro Leemann, primo ristorante vegetariano in Europa ad essere stato premiato con una stella Michelin. Joia si trova tra Porta Venezia e p.zza della Repubblica, in via Panfilo Castaldi.

L’ex sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, invece ama portare sua moglie in una trattoria tipica lombarda in zona Corvetto, il Casottel mentre non pare che l’attuale sindaco Peppe Sala abbia un ristorante preferito. Si sa solo che ne frequenta diversi a Milano e che ama ordinare il tipico “risotto giallo” meneghino ovvero quello allo zafferano.

# “La piccola Atene” a due ore da Milano: la roccaforte della sinistra radical chic

credit: panorama.it

Una menzione speciale infine la merita un ristorante a due ore da Milano che per le sue frequentazioni ed iniziative culturali è stato soprannominato la “Piccola Atene” della Toscana. “L’ultima spiaggia” di Capalbio, bar- ristorante con vista mare annesso alla spiaggia, è stato scelto infatti negli anni da imprenditori, artisti e politici e viene considerato un po’ la roccaforte di quella parte della sinistra definita radical chic. Rutelli, Fassino, Giorgio Napolitano ma anche Peppe Grillo si sono visti spesso in questo ristorante ma anche Renzi vi ha presentato un libro. L’ambiente è rilassato ed è aperto da marzo a settembre.

Leggi anche: Il RISTORANTE più ECONOMICO di Milano: MENU completo a soli 8 EURO

SILVIA FUSARI IMPERATORI

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Le 5 SUPERCAR della MOTOR VALLEY ITALIANA

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Credits: carlottaadreani IG - Pagani

In Emilia-Romagna, dalla provincia di Parma fino a Rimini lungo la Via Emilia, c’è la più alta concentrazione a livello mondiale di case automobilistiche, con marchi di fama internazionale e importanza storica. Ecco quali sono.

Le 5 SUPERCAR della MOTOR VALLEY ITALIANA

#1 Dallara, da sempre focalizzata nelle auto da competizione sportiva, nel 2017 il suo primo modello stradale

Credits: italiancars_story IG – Dallara

La Dallara, fondata nel 1972 a Varano de’ Melegari dall’ingegner Gian Paolo Dallara, nel  corso della sua storia ha concentrato la sua produzione nelle auto da competizione sportiva. Oggi è presente a vario modo nei campionati di IndyCar, Indy Lights, F2, F3, World Series by Renault, Super Formula e Formula E e in passato anche in quello di Formula 1. 

Solo nel 2017 è arrivato il primo modello per la vendita, la “Dallara stradale”: un’autovettura di tipo barchetta, priva di portiere, equipaggiata con un 4 cilindri 2300 turbocompresso di derivazione Ford in grado di erogare 400 CV, per una velocità massima di 280 km/h e un’accelerazione da 0 a 100 in 3,25. Il peso estremamente ridotto di soli 855 kg, grazie alla fibra di carbonio, e l’enorme carico aerodinamico di ben 820 kg alla massima velocità sono le due peculiarità distintive di questo modello.

#2 Ferrari, il cavallino rampante di Maranello, l’auto di lusso sportiva per eccellenza

Credits: ferrarimagnet IG – Ferrari 458

Fondata da Enzo Ferrari nel 1947, la Ferrari è soprannominata “il cavallino rampante” per il suo stemma iconico che deriva da quello in uso durante la prima guerra mondiale dall’aviatore italiano Francesco Baracca. Le autovetture Ferrari sono celebri anche per la loro esclusività, per questo la loro produzione è limitata. Tra i progettisti e carrozzerie più famose che hanno collaborato al design della “rossa” ci sono Pininfarina, Scaglietti, Bertone e Vignale. I motori con cui sono equipaggiate le vetture sono prevalentemente V8 e V12. A livello di competizione sportiva la Scuderia Ferrari è la più titolata nel campionato del mondo di Formula Uno, con quindici titoli piloti e sedici costruttori.

#3 Lamborghini, nata da una lite tra Enzo Ferrari e Ferruccio Lamborghini, l’emblema del lusso sfacciato

Credits: ethanm4k IG – Lamborghini

La nascita della Lamborghini viene solitamente ricondotta ad una lite, realmente accaduta, fra Enzo Ferrari e Ferruccio Lamborghini. Quest’ultimo era un’imprenditore già riconosciuto, con la sua “Lamborghini Trattori”, e da proprietario di una Ferrari 250 GT andò a lamentarsi di alcuni difetti da Enzo Ferrari in persona che rispose: “Che vuol saperne di auto lei che guida trattori?”. Fu così che Ferruccio Lamborghini decise di iniziare la produzione di un’auto “perfetta anche se non rivoluzionarianel 1963 a Sant’Agata Bolognese.

Tra alti e bassi e numerosi passaggi di proprietà, oggi la Lamborghini rappresenta l’auto sportiva di lusso sfacciata. Il simbolo scelto dal fondatore per la casa automobilistica, il toro alla carica incorniciato da uno scudetto, era il suo segno zodiacale e anche oggi quasi tutti i modelli portano nomi che richiamano alla tauromachia.

#4 Maserati, il lusso discreto della casa del tridente 

Credits: superkilometerfilter IG – Maserati

Tra le auto sportive di lusso non può certo mancare la Maserati. Nata nel 1914 a Bologna, all’inizio fu solo produttrice per conto terzi dell’Isotta Fraschini di Milano e delle auto per gare su strada. Alla fine degli anni ’30, con il trasferimento della sede a Modena iniziò a realizzare dei propri modelli stradali, mantenendo la produzione per le competizioni sportive e vincendo il mondiale di Formula 1 con Manuel Fangio. La casa del tridente è passata di mano più volte prima di entrare stabilmente nel gruppo Fiat, oggi Stellantis, e si inserisce nel segmento delle auto sportive dal lusso discreto, rispetto a quello più sfacciato delle Lamborghini.

#5 Pagani, la supercar più estrema in assoluto ispirata da Leonardo Da Vinci che detiene anche un record mondiale

Credits: carlottaadreani IG – Pagani Zonda

L’azienda automobilistica Pagani è piuttosto recente, risale infatti al 1991 la sua fondazione da parte di Horacio Pagaini a San Cesario sul Panaro in provincia di Modena. Figlio di un fornaio d’origine comasca, ma nato in Argentina, Horacio torna in Italia grazie all’incontro con Manuel Fangio. Dopo essere stato per anni dipendente della Lamborghini, decide di volere mettersi in proprio.

Come dichiarato più volte, la figura di Leonardo Da Vinci è sempre stata la sua fonte di ispirazione, per la capacità di incarnare prodigiosamente il perfetto connubio tra arte e scienza. I suoi modelli sono caratterizzati da alte prestazioni, alcuni sfiorano i 400 km/h e scattano da o a 100 in meno di 3 secondi, e alcuni esemplari sono stati venduti a costi esorbitanti. Pagani detiene infatti il record di auto più costosa al mondo: i 3 esemplari della Zonda Hp Barchetta sono stati messi in vendita a 20 milioni di euro.

Continua a leggere: 1 MILIARDO di EURO per realizzare l’AUTO dei SOGNI nella Motor Valley d’Italia

FABIO MARCOMIN

Leggi anche: Le supercar cinesi saranno Made in Emilia

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Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.

FORTE MARGHERA torna protagonista con il restauro delle CASERMETTE NAPOLENICHE

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Credits: Metropolitano.it

Da simbolo di difesa di Venezia a emblema di cultura, Forte Marghera è oggetto di un progetto di riqualificazione: un altro pezzo di storia restituito alla città con una nuova luce per le Casermette Napoleoniche.

FORTE MARGHERA torna protagonista con il restauro delle CASERMETTE NAPOLENICHE

Era il 2015 quando per la prima volta mi sono ritrovata a Forte Marghera per uno dei numerosi eventi sociali e social organizzati dalla Fondazione che lo gestisce. Abitavo già da qualche anno a Venezia, ne avevo a fatica compreso la geografia della sua terraferma, e mi ero già chiesta più volte perché un posto chiamato Forte Marghera non fosse effettivamente a Marghera ma a Mestre.

Non sono una persona che chiede molto in giro, così dopo aver cercato su internet le mie due parole chiave, ho scoperto che il nome deriva dal primo centro abitato di Marghera, che poi si stabilì altrove—non troppo distante ma pur sempre altrove—e anche che il Forte Marghera, un grandissimo complesso di edifici militari di fattura ottocentesca, aveva iniziato lavori di restauro che l’avrebbero portato a nuovo lustro e fama.

Oggi, nel 2021, ulteriori lavori di riqualificazione si apprestano a restituire a due grandi edifici che si affacciano sulla baia del Forte colore, forza, e nuova vita.

Credits: IlSestanteNews.it

# Il forte e la sua storia

Forte Marghera è una fortezza ottocentesca, ex-caserma dell’Esercito Italiano situata sulla terraferma veneziana, a circa cinque chilometri dal centro storico di Venezia. Il forte era parte del campo trincerato di Mestre e del più ampio sistema difensivo della laguna. Oggi è proprietà del comune, che nel 2015 ha creato la Fondazione Forte Marghera per la gestione del Forte e per lo studio e valorizzazione del patrimonio culturale e naturale delle fortificazioni locali, rendendo il forte parco pubblico e sede di eventi e produzioni culturali.

Credits: VeneziaToday.it

Il forte è un esempio di fortificazione entrato in uso a partire dal XV secolo. Si estende per una superficie di circa mezzo km² e si affaccia sul navigabile Canal Salso, che lo collega a Venezia. Il nucleo centrale del forte ha pianta pentagonale delimitato da quattro bastioni. In prossimità di ognuno dei bastioni, una polveriera ed una casermetta. In corrispondenza di una di esse, ora sede del Museo dell’Artiglieria, si trova un piccolo cimitero che raccoglie i caduti dell’assedio del 1849.

Credits: IlSestanteNews.it

Spostandosi a Sud-Est in direzione di Venezia, vi è la darsena-porticciolo ovale che garantiva collegamenti e rifornimenti tra la città lagunare e la terraferma. In prossimità del porticciolo si trovano due casermette a due piani di epoca napoleonica (1805-1814) realizzate in pietra d’Istria e con copertura anti-esplosione: queste erano concepite per contenere circa 200 uomini ciascuna, consentendo non solo di alloggiare le truppe, ma anche di proteggere un’eventuale evacuazione fungendo da estremo baluardo.

# Le Casermette Napoleoniche

Sono proprio le casermette francesi—napoleoniche, appunto—a essere oggetto dell’ultimo e più importante passo nel progetto di restauro che dura da ormai sei anni. «Con questo ulteriore stanziamento – commenta il sindaco di Venezia Luigi Brugnaro – siamo arrivati ad oltre 22 milioni di euro che dal 2015 ad oggi abbiamo destinato al recupero di un Forte che è il simbolo della difesa di Venezia». Egli stesso ha infatti annunciato con orgoglio di riconsegnare “alla Città un altro pezzo di storia” portando avanti un’opera «per il consolidamento e il recupero delle strutture da destinare ad uso espositivo e museale, ma anche per la realizzazione di nuovi servizi, come una caffetteria o punto ristoro, una zona accoglienza, servizi igienici dedicati, e dotazioni impiantistiche in modo da garantire un utilizzo continuativo per tutto l’anno.»

L’intervento sulla Casermetta Est—Edificio 9—sarà «rigorosa la conservazione dell’assetto originario», afferma l’assessore Zaccariotto. Per la maggior parte, si tratterà di lavori di messa in sicurezza e consolidamenti strutturali che non ne intaccheranno l’assetto morfologico.

Credits: VeneziaToday.it

La Casermetta Ovest—Edificio 8—profondamente danneggiata, subirà invece un restauro più profondo: tra i tanti, spiccano i lavori per recuperare la terrazza originale e quelli per rendere accessibile e fruibile l’edificio installando scale esterne di emergenza e ascensori per disabili. Anche per la Casermetta di ovest è prevista la realizzazione di una caffetteria con servizi, impianto elettrico e termico.

Credits: VeneziaToday.it

«Abbiamo tenuto alla fine l’intervento più importante che va così a completare un percorso fatto di duro lavoro» scrive ancora il sindaco, orgoglioso di aver contribuito alla creazione di «un vero e proprio spazio per le famiglie, per i giovani e per quanti hanno voglia di trascorrere una giornata passeggiando su viali completamente sistemati e illuminati, ponti e pontili ricostruiti, padiglioni un tempo diroccati e ora luoghi di mostre della Fondazione MUVE o padiglioni della Biennale».

Fonte: VeneziaToday, @LuigiBrugnaro, Fondazione Forte Marghera

 

Continua la lettura con: Le 7 COSTRUZIONI più SPETTACOLARI in arrivo nel 2021

Giada Grasso

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Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità. 

La MILANO di BUZZATI

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Milano è sempre stata una città che ha dato i natali a molti scrittori e poeti oltre ad aver ispirato registi, pittori e giornalisti.

A volte capita che queste persone non siano neanche nate a Milano, ma l’amore che hanno provato per questa città e tutto quello che essa ha restituito loro è talmente grande, da far quasi dimenticare i propri luoghi di origine. Non sto parlando o dicendo che ci si ritrova a rinnegare il proprio passato, è solo che molto spesso è capitato di ritrovarsi a Milano e sentirsi come a casa, a provare la sensazione di averla sempre vissuta.

Dino Buzzati è stato uno di questi ed è significativa una sua dichiarazione: “A Milano sono sempre vissuto, la quasi totalità dei miei ricordi di ogni genere appartiene a Milano, è logico quindi che qui mi trovi a mio agio, che Milano sia per me la città più ricca di significati”.

La MILANO di BUZZATI

# Gli anni dell’infanzia e gli anni scolastici 1906-1932

Buzzati nasce nel 1906 a San Pellegrino di Belluno, una località veneta, dove l’autore passerà solo il periodo estivo. Il padre è un noto docente di diritto internazionale e insegna alla neo nata Università Bocconi, per questa ragione Milano diventa a pieno diritto la sua città.

La sua prima abitazione è in via San Marco 12. L’autore ricorda quest’appartamento al primo piano, illuminato a gas e un misterioso cassetto della madre che sarà fonte d’ispirazione per la sua narrativa ricca di avventure a metà tra il fantastico e il misterioso.
La famiglia si trasferisce in Piazza Castello 28. La piazza e la vita che si svolgeva intorno era completamente diversa da come la conosciamo oggi.

L’autore guardando fuori dalla finestra immagina la piazza come una pista di corse automobilistiche ed è in questo periodo che compone i primi racconti rimasti inediti e purtroppo andati perduti, ma da alcune fonti e ricerche fatte negli archivi, pare che fossero racconti ispirati al mondo dell’automobilismo. Un mondo che in qualche modo ritorna nel suo romanzo Un Amore.
Dopo una breve parentesi in via Donizetti 20, la famiglia si trasferisce in via Fatebenefratelli.
Sono gli anni del liceo Parini che al tempo si trovava proprio in questa via e non in via Goito come oggi. Sono gli anni in cui l’autore affina e perfeziona il suo stile che è molto apprezzato e amato e talvolta non capito dai suoi professori. Dai suoi scritti di quinta ginnasio emerge la presenza in questa via di un parapetto di pietra su un tratto di Naviglio, esattamente dove a quel tempo come anche oggi si trova la questura centrale.

# Gli anni del Corriere della Sera e i romanzi 1933-1963

Credits: mattatoio5.com

Nel 1932 Buzzati aveva cominciato una collaborazione gratuita presso la sede del Corriere della Sera. Il direttore Aldo Borelli vede nel giovane grandi potenzialità e nel giro di un anno lo assume a tempo pieno.

Sono gli anni vissuti tra via Solferino 28 e via Marsala 2. Anni trascorsi ad apprendere notizie nei diversi commissariati di polizia, anni di inchieste, anni a scrivere di cronaca nera e anno in cui stringe amicizia con Arturo Brambilla, un’amicizia che durerà per sempre. Buzzati parla dell’amico di una persona amante dell’arte ma diametralmente opposta alla vita bohemienne. L’autore nei suoi diari parlerà sempre con affetto del suo amico e della sua piccola abat-jour di seta verde a cupola che illuminava momenti di grandi discorsi sulla poesia di quegli anni.

Dopo aver abitato per qualche anno in un piccolo appartamento vicino alla sede del Corriere, Buzzati si trasferisce definitivamente in via Majno 18. Sono gli anni in cui affianca la sua carriera giornalistica a quella di scrittore ed è proprio in questa casa, chiuso nel suo studiolo, che scrive tutti i suoi romanzi da Barnabò delle Montagne (1933) a Un Amore (1963).

Nel 1946 scriverà un articolo dal titolo “Un’ombra gira tra noi” che passerà alla storia.        Il 29 settembre di quell’anno in via San Gregorio, Rina Fort massacra a colpi di spranga la moglie del suo amante e i tre figli piccoli. L’articolo esce prima ancora che la polizia faccia partire le indagini, Buzzati si dimostra un cronista attento e sempre pronto a raccontare quello che vede intorno a lui.

# Buzzati scrittore, giornalista ma anche pittore


Dino Buzzati non è solo uno scrittore, un giornalista, ma anche un pittore e sono questi gli anni in cui comincia a dipingere immortalando vie di Milano come Piazza Duomo, Piazza Diaz, Via Boito, i Giardini di Porta Venezia, via Moscova, Brera, Piazza Missori ed è nel 1958 che inaugura la sua prima personale presso la Galleria Re Magi in via Boito dal titolo Le Storie Dipinte che otterrà un grande successo di pubblico e di critica. Buzzati era un’instancabile camminatore, amava spesso passeggiare per Milano e i luoghi da lui privilegiati erano il Cimitero Monumentale e lo zoo dei Giardini di Porta Venezia.

Pare che sia stato proprio in quest’ultimo luogo che abbia conosciuto Almerina Antoniazzi che sarebbe diventata sua moglie poco tempo dopo. In via Amedei c’era anche il ristorante preferito di Buzzati, un luogo dove andava tutte le sere per cenare e dove aveva il suo tavolo sempre prenotato, un luogo che fu teatro di un diverbio con la Almerina, ma che fu fondamentale per la loro storia d’amore che durerà per sempre.
Nell’aprile del 1963 viene pubblicato forse il suo romanzo più famoso (ad esclusione del Deserto dei Tartari) e controverso: Un Amore. Il romanzo, a parte la trama, è una dichiarazione di amore per Milano, sono numerose le zone, le vie e i quartieri citati.

L’autore viene criticato per aver intrapreso con questo romanzo una nuova strada rispetto alla sua precedente produzione, tuttavia rimane uno dei romanzi più importanti del 900 e che ancora oggi viene proposto a scuola.

# Gli ultimi anni 1964-1972

Negli ultimi anni della sua vita, Buzzati si trasferisce in Via Vittorio Veneto 24. Qui trascorrerà gli ultimi anni della sua vita che terminerà il 28 gennaio del 1972.
Numerose sono le leggende circolate sul suo ultimo giorno. Si dice che poco prima di morire, l’autore guardando sua moglie disse che se l’avessero chiamato in quel momento per scrivere un articolo si sarebbe precipitato al volo.

Infine si racconta che quando chiuse gli occhi, gli animali dello zoo di Porta Venezia cominciarono a fare un gran baccano, quasi a voler salutare quell’uomo che spesso li andava a trovare durante le sue passeggiate milanesi.

Continua la lettura con: 7 volte che MILANO è FINITA IN GINOCCHIO, ma si è sempre RIALZATA

MICHELE LAROTONDA

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La manna dal cielo

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C’è un modo adulto di stare al mondo, apportando valore agli altri, e un modo infantile, pretendendo l’aiuto degli altri.
Il modo in cui ci stiamo ponendo con l’Unione Europea è figlio di una cultura infantile, quella secondo cui ai nostri problemi ci deve pensare la Provvidenza. 

Non diciamo “evviva l’Unione Europea” perchè l’Italia può portare un contributo di valore a ciò che le manca, come potrebbe essere un approccio più filosofico, umanistico ed estetico, al progresso, o comunque una ricetta di miglioramento. Noi non stiamo facendo così.
Noi stiamo dicendo siamo dei poveracci, non siamo capaci di fare due conti e di portare a casa il pane, per fortuna che c’è l’Unione Europea che ci riempirà il cappello che teniamo in mano: che brava l’Unione Europea che ci regala o ci presta un sacco di soldi. 

Questa è una cultura da infantili, di pensare che ci sia la sovrastruttura della Provvidenza che siccome noi non siamo capaci di fare i nostri interessi ci penserà lei a farli.
La speranza è che questo modo di intendere da infantili l’Unione Europea sia in realtà solo una proiezione degli Stati che stanno perdendo il loro potere. Quando ciò sarà compiuto riprenderà il processo evolutivo che passa attraverso la proliferazione di un’autonomia a livello di persone e territori, che non se ne fregano degli altri ma che contribuiscono agli altri.
Un modo adulto di stare al mondo, basato sul tanto più ho avuto, tanto più mi viene naturale fare il bene per il resto della comunità.

Continua la lettura con: la rivoluzione a portata di dito

MILANO CITTA STATO 

I 7 MOTIVI per essere OTTIMISTI sul FUTURO di MILANO

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Credits: Paolo Liaci (c)

“Perché sei ottimista per il futuro di Milano?” abbiamo chiesto sulla fanpage di Milano Città Stato, e abbiamo scoperto che la mentalità positiva dei milanesi e il supporto di chi ama Milano non ha confini.

I 7 MOTIVI per essere OTTIMISTI sul FUTURO di MILANO

Nonostante tutto il Paese sia stato fortemente pregiudicato dalla crisi socio-sanitaria in corso, la città più colpita d’Italia è stata indubbiamente Milano e la risalita sarà lunga e dolorosa. Ma i milanesi non si lasciano demoralizzare e pensano a nuove modalità per potersi rialzare velocemente. Abbiamo chiesto sulla pagina Facebook: “Perché sei ottimista per il futuro di Milano?” e hanno risposto in molti, confermando il fatto che lo sguardo positivo dei milanesi e l’amore per Milano non ha confini.

#1 “Perchè noi milanesi non siamo programmati per stare fermi”

credit: engage.it

I commenti che hanno accumulato più likes sono quelli che sottolineano la forza della milanesità. E non è una questione di nascita, chi si trasferisce a Milano dopo qualche mese inizia a vedere i primi cambiamenti, viene completamente travolto dal vortice energetico cittadino. L’energia a Milano è tutto, e infatti una ragazza giustifica il suo ottimismo sottolineando che Milano tutto può fare, fuorché fermarsi: “Perché noi milanesi non siamo programmati per star fermi.”

#2 “Perchè a parole ci lamentiamo ma continuiamo sempre a lavorare”

credit: istitutobeck.com

Un’altra caratteristica dei milanesi è la costanza: non solo c’è energia, ma un’energia che si prolunga nel tempo e che continua quasi per inerzia. Siamo abituati ai piaceri che la nostra città ci offre, ma restando fedeli all’insegnamento “prima il dovere, e poi il piacere”. “Il milanese si lamenta solo a parole e continua a lavorare” scrive un’altra ragazza. Non è certamente per la presenza di ostacoli sul percorso, che la corsa finisce.

#3 “Perchè Milano è un brand internazionale”

Credits: adviseonly.com

Altri invece si appellano alla nostra fama internazionale per spiegare la loro fiducia nel futuro: “Milano è un marchio conosciuto nel mondo, anche se si ingrigisce un po’, a livello internazionale sanno quanto vale. Queste sono le parole di un ragazzo che, nonostante sottolinei il periodo grigio che la città sta vivendo al momento, spera nella sua città esaltandone il valore in quanto metropoli cosmopolita. La crisi non è certamente un’esclusiva italiana, e come il resto del mondo potrà in qualche modo rialzarsi, anche Milano ne sarà in grado.

#4 “Perché Milan ha el coeur in man”

progettoarca.com

C’è chi poi ha intenzione di lottare per la propria città perché si sente parte di una comunità e ne è profondamente innamorato. Una ragazza dichiara il suo amore per la città e lo considera il motore del suo ottimismo: “Per una sorta di sentimento patriottico, in due parole… amo Milano”. Anche grazie a questo sentimento comunitario, durante la crisi i milanesi hanno dimostrato quanto sanno essere solidali e generosi gli uni con gli altri. In tutto il resto del mondo si chiamerebbe solidarietà, ma qui si descrive così: Milan col coeur in man.

#5 Il cambiamento politico

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Moltissimi si appellano invece alla politica e alle elezioni comunali, sperando che la svolta a livello politico rappresenti un supporto concreto per la risalita della città. “I veri milanesi metteranno fine all’era Sala prima o poi” scrive un ragazzo e la sua insoddisfazione viene confermata da un altro concittadino che aggiunge: “Si spera di cambiare Sindaco”. Le elezioni per il nuovo sindaco dovrebbero basarsi su una sola ma fondamentale domanda: chi è più in grado di accompagnare la città nella risalita?

#6 “Perchè voi milanesi siete il motore dell’Italia” (il supporto di chi ama Milano da oltreconfine)

buongiornoslovacchia.sk

Visto che l’ottimismo non ha confini, un italiano trasferitosi a Cuba supporta la ripresa non solo della città ma dell’intero Paese: “Voi milanesi siete il motore dell’Italia”. Milano può essere un esempio di rinascita e un modello da seguire per tutte le città italiane che al momento si trovano in difficoltà e che magari non auspicano più in una ripartita. Ripartiamo noi per dimostrare che è possibile scrivere un happy ending.

#7 “Perchè Milanesi non si nasce, si diventa”: non ci manca neanche un ottimismo partenopeo

Milanesi non si nasce, ma si diventa. Come detto anche in precedenza, la milanesità è come una sindrome che inizia a manifestare i suoi sintomi sin da subito. Un ragazzo originario del Sud Italia, ma divenuto ormai un milanese acquisito, porta come esempio un detto partenopeo“Perché ‘o napulitano se fa sicc ma nun more” – e lo adatta scherzosamente alla situazione meneghina “E ‘o milanese pare semp ca sta murenn ma po’ s’arripiglia.” 
 
Per essere pessimisti ci sono tanti motivi, ma ce ne sono tanti altri per vedere il futuro di Milano con ottimismo e positività: sta a noi scegliere se vedere il bicchiere mezzo pieno, e continuare a lavorare per far sì che l’ottimismo non sia stato vano, oppure vederlo mezzo vuoto e abbandonarsi alla rassegnazione.

Leggi anche: 10 cose che ogni CANDIDATO SINDACO di Milano farà per conquistare voti

 
ROSITA GIULIANO
 

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La CASA in VENDITA al PREZZO più BASSO a Milano

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Credits: immobiliare.it

La nostra città è la più cara in assoluto nel settore immobiliare, sia che si scelga la formula dell’affitto che quella della vendita, a prescindere dal quartiere. Questa abitazione però è davvero per tutte le tasche.

La CASA in VENDITA al PREZZO più BASSO a Milano

# L’appartamento più economico è un monolocale di 20 mq a nord della città

Credits: immobiliare.it

Trovare un’abitazione a un prezzo accessibile a Milano è un’impresa ardua. Questo appartamento è l’eccezione. In uno stabile degli anni ’70 a nord della città, tra i quartieri di Turro e Rottole, si trova in vendita un monolocale ristrutturato a nuovo di 20 mq, al quarto piano con ascensore. Il tutto è racchiuso in poco spazio: ingresso su disimpegno e zona giorno/notte nell’unico locale oltre al bagno.

 

# Il prezzo? Bastano 55.000 euro

Credits: immobiliare.it

Se non avete troppe pretese o necessità di grandi spazi, questo appartamento potrebbe fare al caso vostro. Ben rifinito e già arredato con la cucina nell’angolo cottura, si può acquistare con soli 55.000 euro

Leggi anche: Le 5 novità del MERCATO IMMOBILIARE in Italia: al top HINTERLAND di Milano e i BORGHI della LIGURIA

Continua la lettura con: L’HOTEL più ECONOMICO di MILANO: 26 euro per una camera

FABIO MARCOMIN

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Perché BURANO è così STRAORDINARIA

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Credits Tjaard Krusch-unsplash - Burano

A 11 km da Venezia c’è un posto, nella Laguna Veneta che racchiude tutti i colori dell’arcobaleno e i decori della schiuma delle onde. 

Perché BURANO è così STRAORDINARIA

Quando ero bambina, mia madre mi raccontava spesso del suo viaggio di gioventù a Venezia, delle sue calli strette e del caldo d’agosto da cui difficilmente si trova ristoro, ma uno dei racconti più variopinti era quando parlava della piccola isola di Burano.

Moltissimi anni dopo, quando vi misi piede per la prima volta, quei ricordi smisero di avere i toni seppiati del tempo della memoria e ritrovarono i colori sgargianti delle iconiche case buranelle.

Credits Tabatta-pixabay – Burano

# L’isola dei mille colori

Burano si trova a 11km a nord-est da Venezia, alle quali è collegata tramite percorsi navigabili in soli 45 minuti di vaporetto pubblico. La popolazione attuale dell’isola è di meno di 3000 abitanti per poco più di 200 mila m²; essendo così piccina, per visitarla si impiegano poche ore, ma la visita ne vale la pena.

Credits Jeremy Bezanger-unsplash- Burano

Visitando Burano, infatti, non si può non rimanere affascinati dai suoi mille colori, dalle case vivaci che si riflettono nelle acque dei canali, dal campanile storto, dalla tranquillità che vi si respira, e dalla calma con cui le anziane signore ricamano l’originale merletto al tombolo. L’isola è una piccola oasi che sembra la perfetta ambientazione per una favola.

# Per riconoscere casa nei giorni di pesca nella nebbia

Le casette colorate sono forse il motivo che più spinge le persone a visitarla, e sono anche il ricordo che più resta impresso quando si lascia l’isola. Storicamente, le case erano dipinte con colori differenti per delimitarne la proprietà; tuttavia, la leggenda vuole che in passato i pescatori avessero colorato le loro case di colorì sgargianti per differenziarle le une dalle altre e poterle riconoscere da lontano anche nei giorni di nebbia, rientrando dal mare dopo la pesca.

# La storia di Burano

Credits Riley-unsplash – Burano

Burano, o la Boreana, deve il nome ad una delle porte di Altino, da cui venne fondata. Si dice che gli abitanti di Altino, per sfuggire alle invasioni barbariche, trovarono rifugio nelle piccole isole della laguna, dando loro il nome delle sei porte della loro città: Murano, Mazzorbo, Torcello, le ormai scomparse Ammiana e Costanziaco, e—ovviamente—Burano. Quando, fino al XV secolo, Torcello era una città, Burano ne era un vicus, ovvero una borgata.

Credits Tjaard Krusch-unsplash – Burano

Il nome deriva da “Porta Boreana”, cioè di Nord-Est, direzione da cui soffia la bora. Il centro abitato di Burano si divide tutt’oggi in cinque frazioni collegate da ponti: San Martino Destro, San Martino Sinistro, San Mauro, Giudecca, e Terranova, separate tra loro dai rispettivi canali: Rio Ponticello, Rio Zuecca e Rio Terranova.

Credits Cristina Gottardi-unsplash – Burano

Fin dai tempi della Repubblica di Venezia, la popolazione di Burano viveva prevalentemente di pesca e di agricoltura. Successivamente, grazie all’abilità delle merlettaie, Burano cominciò a crescere e a farsi conoscere non solo in laguna, ma anche nei paesi stranieri. Sebbene la lavorazione del merletto a Burano sia la principale attrazione per quanto riguarda la manifattura artigianale, la lavorazione del vetro a lume, tecnica nata nella vicina isola di Murano, è molto diffusa anche nelle altre isole della laguna, e passeggiando per le calli, non è infrequente trovare piccole botteghe dedite alla creazione di opere in vetro.

Credits valtercirillo-pixabay – Merletti burano

# Le leggende di Burano

Non v’è cultura tradizionale senza un po’ di folclore, e non v’è folclore senza leggende.
Si è già accennato alle storie secondo le quali i marinai dipingessero le loro case per ritrovarle nella nebbia, ma Burano ne racchiude molte altre.

Una, riguarda i Santi Patroni dell’isola di Burano. Si racconta che intorno all’anno Mille una cassa di pietra giunse sulle rive di Burano. Dove la forza di tutti gli uomini dell’isola fallì, l’innocenza di quattro bambini riuscì a portarla a terra, e al suo interno vi trovarono i corpi di S. Albano, S. Domenico, S. Orso, e un barilotto di vino: il Bottazzo di S. Albano. Da quel momento i tre santi, insieme alla già venerata Santa Barbara, divennero i patroni dell’isola. Ma non c’è storia senza conflitto: la leggenda prosegue raccontando dell’acre invidia dei muranesi, che rubarono il Bottazzo ritenendolo miracoloso; oggi infatti, la bottiglia di vino è custodita nella chiesa di S. Donato a Murano.

Photo by Ramon Perucho from Pexels – Burano

Ancora, leggenda nella leggenda, c’è la storia secondo la quale il braccio d’oro di Sant’Albano, che ne costituirebbe la reliquia, venne fuso durante gli anni della peste per far fronte alle spese, e sostituito da un braccio in rame che però, nel tempo, ne rivelò l’inganno. Per questo, fu chiamato “il braccio di pegola”, termine con cui i veneziani e i muranesi, schernivano gli abitanti dell’isola.

Credits Yurii Stoian-unsplah – Vicoli Burano

Infine, un ultimo mito riguarda la lavorazione del merletto. C’è chi dice, infatti, che tutto nasca da un giovane pescatore promesso sposo che, come un Odisseo lagunare, riuscì a resistere all’ammaliante canto delle Sirene. Come premio per la sua dedizione, la regina delle sirene, gli regalò un velo nuziale fatto con la spuma del mare. Quando la sposa indossò il velo, la sua bellezza suscitò l’invidia delle donne dell’isola, che tentarono di imitare il dono delle sirene utilizzando ago e filo, creando il merletto.

Fonte: Isola di Burano, Paesi Online.

Continua la lettura con: Perdersi a VENEZIA: la strana caratteristica dei NUMERI CIVICI

GIADA GRASSO

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Perché PARMA è la CAPITALE EUROPEA dell’alimentare

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Credits: raf_antenori IG - La prosciutteria Parma

Molte delle eccellenze gastronomiche del nostro Paese vengono prodotte qui, dal Parmigiano Reggiano ai prosciutti stagionati. Oltre a questo in città ha sede l’Autority europea più importante del settore alimentare. Ma non sono solo queste le ragioni del suo primato: scopriamole tutte.

Perché PARMA è la CAPITALE EUROPEA dell’alimentare

# Il regno del cibo italiano ha Parma come sua regina

Credits: barby_nous
IG – Cattedrale di Parma

Parma è senza alcun dubbio la capitale della Food Valley d’Italia. Proprio da qui parte il tour nella sua provincia, e in quelle confinanti di Reggio Emilia e Modena, in quei luoghi d’eccellenze gastronomiche esportate in tutto il mondo. I prodotti più riconosciuti e apprezzati sono: il Parmigiano-Reggiano, il Prosciutto di Parma, il Culatello di Zibello, il Salame di Felino, il Fungo di Borgotaro. Oltre a questi tra i piatti che meritano un assaggio c’è la torta fritta, i cappelletti o anolini in brodo, la pasta fresca ripiena di stracotto cotti in brodo di carne, i tortelli d’erbetta, lo stracotto di carne.

# I musei del Cibo lungo “le Vie dei Sapori”: dal Parmigiano Reggiano al Culatello

Credits: sonia_paladini IG – Museo del Parmigiano Reggiano

Per celebrare il culto del cibo e tutti i prodotti prelibati del territorio parmense, all’interno del percorso delle “Vie dei Sapori” sono stati realizzati dei musei ad hoc per quelli più rappresentativi. Ecco quali sono:

  • il Museo del Parmigiano-Reggiano e il Museo del Prosciutto e dei salumi a Soragna, famosa anche per la sua “Rocca” costruita fra il XVI e il XIX secolo e un tempo residenza nobiliare 
  • il Museo del Salame di Felino, prodotto tipico d’area, sostenuto dall’Amministrazione Comunale e ospitato nelle splendide cantine del Castello trecentesco, di proprietà privata e sede di un Ristorante di Charme, che si erge sui primi colli dell’Appennino fra la Val Parma e la Val Baganza.
  • i Musei del Pomodoro, della Pasta e del Vino alla Corte di Giarola, dentro le cantine e nella ghiacciaia della Rocca di Sala Baganza, al centro dell’area vinicola del Parmense.
  • il Museo d’Arte Olearia voluto da Ernesto Coppini presso la sede di San Secondo Parmense per promuovere la cultura dell’olivo in area padana
  • infine il Museo del Culatello, l’unico di iniziativa privata, presso l’antica Corte Pallavicina di Polesine, gestita dalla Famiglia Spigaroli.

Fonte articolo: Initalia

# “Città Creativa UNESCO per la gastronomia” dal 2015 e sede della “European Food Safety Agency” 

Credits: Esfa Twitter – European Food Safety Agency

Per certificare il primato di Parma come capitale della Food Valley italiana ci sono altri due elementi:

  • Nel 2002 la capacità d’innovazione nel campo della sicurezza alimentare e della ricerca del territorio è stata riconosciuta tramite la scelta di istituire in città la sede dell’Efsa (European Food Safety Agency)
  • Nel 2015 Parma è stata invece proclamata “Città Creativa UNESCO per la gastronomia” in Italia, conferendo lustro alla già straordinaria tradizione enogastronomica di tutta l’Emilia-Romagna, la regione che detiene il record europeo di prodotti Dop e Igp.  
Credits: cibusparma IG – Cibus

Oltre a questo in città c’è la scuola dell’haute cuisine di Alma, di cui Gaulterio Marchesi è stato rettore, e ogni anno nei padiglioni della fiera si tiene Cibus, una delle più importanti manifestazioni fieristiche internazionali del settore alimentare.

Continua la lettura con: 7 MERAVIGLIE nascoste dell’EMILIA ROMAGNA: “fata roba”!

FABIO MARCOMIN

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Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.

A Roma tira vento di RIVOLUZIONE TIBURTINA

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Dalla Nuova Stazione Tiburtina, all’abbattimento della Tangenziale Est, passando per la costruzione di torri, aree verdi, zone pedonali e snodi ferroviari, un’ampia area di Roma Est sta rinascendo come una fenice dalle ceneri.

A Roma tira vento di RIVOLUZIONE TIBURTINA

A Roma la chiamano la Rivoluzione Tiburtina. Si tratta di un progressivo processo di riqualificazione urbanistica che, partito ormai diversi anni fa con la realizzazione della Nuova Stazione Tiburtina e proseguito con l’abbattimento di un tratto sopraelevato di Tangenziale Est, sta lentamente prendendo la forma di un vero e proprio rinnovamento urbanistico. Da qui alla nascita di un quartiere fatto di torri, aree verdi, snodi ferroviari e passaggi pedonali il passo è breve.

# Come la Defense a Parigi e CityLife a Milano

Gli entusiasti dell’architettura e del design già lo paragonano al futuristico quartiere della Défense di Parigi o all’innovativo City Life milanese. Al momento la zona della Stazione Tiburtina, una delle più importanti porte d’accesso alla città, è un’area dove sono stati fatti i maggiori investimenti immobiliari degli ultimi anni, basti pensare alla nuova stazione ferroviaria, alla sede nazionale della BNL, al complesso di appartamenti uffici e negozi Città del Sole, alla futura sede di FS, solo per citarne alcuni. Ora sta per aggiungersi a tutto questo un nuovo quartiere che sorgerà lungo un asse lineare di circa un chilometro, fra la Stazione Tiburtina e Ponte Lanciani, e in molti già sognano il nuovo skyline di Roma Est.

# 13 Torri per un nuovo quartiere “lineare”

Ad oggi la buona notizia è che prosegue la riqualificazione dell’area attorno alla Stazione Tiburtina dopo l’abbattimento storico della Tangenziale Est. Il Tar del Lazio ha infatti respinto la richiesta di sospensione del progetto di riqualificazione del piazzale Ovest e secondo indiscrezioni pubblicate in anteprima dall’Agenzia di Stampa Dire su un riservatissimo studio elaborato da Abdr per FS, è al vaglio la prima proposta di variante urbanistica dell’area.

Dal progetto emerge che tra la stazione Tiburtina e Pietralata nascerà un nuovo quartiere super moderno, dotato di Tredici torri di altezza variabile, che non supereranno comunque i 90 metri, e “stecche” più basse e lunghe, ricoperte di cristallo. Un nuovo quartiere direzionale lineare, con al centro il nuovo quartier generale di Fs, schiacciato tra il fascio dei binari e un grande parco, con un asse pedonale tra le due file di modernissimi edifici. Ed infine la nuova stazione dei pullman regionali e internazionali. La proposta di Fs e Abdr, va così a completare il piano di assetto della stazione Tiburtina del 2000.

# Una proposta che fa gola agli Archistar

Secondo il progetto di Abdr il nuovo quartiere sarà lungo più di un chilometro e coprirà l’area da Pietralata a Ponte Lanciani. Nell’area sono già stati avviati i lavori di realizzazione di una Casa dello Studente dell’Università La Sapienza e a breve partirà il cantiere per i lavori della nuova sede dell’Istat mentre già si parla di costruire ulteriori edifici dell’università. Quella presentata da Fs con lo studio Abdr è però ancora una proposta urbanistica, con un concept architettonico che probabilmente già fa gola a tanti archistar, quelli che certamente non vorranno perdere l’occasione di contribuire alla creazione del nuovo volto di un pezzo importante di Roma Est.

FRANCESCA SPINOLA

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VOLANDIA: un volo nella storia dell’aeronautica a un’ora da Milano

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Credits: it.wikipedia.org

Nel 2010, a circa un’ora di auto da Milano in direzione Malpensa, è stato inaugurato il Museo del Volo dove, esattamente 100 anni prima, sorgevano le officine aeronautiche Caproni.

VOLANDIA: un volo nella storia dell’aeronautica a un’ora da Milano

# Un luogo per onorare la storia dell’aeronautica delle industrie lombarde

Credits: @volandiamuseodelvolo IG

L’idea è nata nel 2006 con l’intento di onorare e raccontare la storia dell’aeronautica delle più importanti industrie lombarde come, appunto, Caproni, Siai Marchetti, Aermacchi e Augusta.

In collaborazione con i comuni limitrofi, si avviò questo ambizioso progetto che, inizialmente, non aveva tutti i fondi necessari. Ma grazie ad un business plan e al lavoro di ben 200 volontari, si arrivò alla sua apertura.

# Volandia non ha mai ricevuto finanziamenti statali, ma ora è un polo di interesse internazionale

Credits: @hangaritaly IG

In principio era possibile ammirare una trentina di velivoli ed un migliaio di modellini. Poi, nel 2012, venne aperta una nuova area espositiva dedicata all’aviazione civile, a cui si aggiunsero esemplari del calibro del bimotore americano Douglas Dc 3.

Ma non è finita qui. Nel 2018 ampliarono con la collezione Bertone che consisteva in un patrimonio di 76 vetture come Lamborghini, Lancia e la storica Alfa Romeo.

Il coronamento, che ha reso il museo un polo di interesse internazionale fra i più grandi d’Europa, è avvenuto nel 2019. Infatti, è in occasione del cinquantesimo anniversario dell’allunaggio che Volandia ha presentato il nuovo padiglione dell’astronomia insieme al celebre astronauta Paolo Nespoli.

Ciò che balza all’occhio è scoprire che il progetto non ha mai goduto di finanziamenti statali, ma è cresciuto grazie al sostegno del territorio, dei collezionisti, dei volontari e di chi ci ha creduto fortemente.

# Passeggiare nella storia, provare simulatori di volo… Ecco perché andare a Volandia è un’esperienza imperdibile

Credits: @vale_pesca91 IG

Vi consiglio vivamente di andarci, magari in una giornata di sole poiché l’area si aggira sui 250 mila metri quadri, di cui solo 60 mila al coperto.

Passeggerete nella storia immaginando le mirabolanti imprese dei primi aviatori. Saprete dei voli pioneristici arrivando fino al “convertiplano” che esprime la perfetta fusione fra volo orizzontale e verticale. Potrete provare i simulatori di volo. Insomma, vi divertirete.

Non è obbligatorio andarci solo se in compagnia dei bambini. Portate voi stessi e regalatevi un momento di stupore.

 

Continua la lettura con: Il PRIMO LUNA PARK milanese

PAOLA MERZAGHI

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Gli STEREOTIPI sulle UNIVERSITÁ MILANESI

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Studenti Bocconi (credit: https://www.viasarfatti25.unibocconi.it/)

Milano è la città che offre il maggior numero di facoltà in Italia. Le università tra cui poter scegliere sono moltissime e attraggono un insieme eterogeneo di studenti. Nonostante ciò attorno a questi poli universitari e ai loro studenti riecheggiano molti stereotipi, simpatici e non. Ecco i 7 stereotipi che mi è capitato di sentire sui principali atenei milanesi.

Gli STEREOTIPI sulle UNIVERSITÁ MILANESI

#1 Bicocca: l’università degli insegnanti

credits: unimib.it

L’università Bicocca offre un’ampia scelta di corsi di studio e per questo la sua comunità studentesca è molto variegata, eppure questa multidisciplinarietà non è sempre tenuta in considerazione dagli outsiders. “Studi alla Bicocca? Cosa fai, Scienze dell’Educazione?”. Sembra che il campus sia in realtà un grande collegio docenti in cui tutti vogliono fare gli insegnanti, i professori o al massimo gli educatori.

#2 Cattolica: quelli che fanno l’esame di Teologia

credits: dipartimenti.unicatt.it

Il classico quesito che ruota attorno agli studenti della Cattolica è “Ma hai dovuto dare esami di Teologia?!“. Eh si, perché non è un solo esame, il corso più amato dagli studenti va seguito in ogni anno! Piace talmente tanto agli universitari che, ad esempio, anni fa uno studente bocciato all’esame di Teologia ha accettato con filosofia di doverlo rifare e ha riempito il muro dell’Università con bestemmie.

#3 Bocconi: Il ritrovo dei ricchi snob

credits: viasarfatti25.unibocconi.it

La Bocconi è conosciuta per essere l’Università più costosa d’Italia e i suoi studenti sono proprio per questo motivo spesso categorizzati come “ricchi snob”. I bocconiani ci tengono sempre a sottolineare che non è così “…alla Bocconi vengono anche tanti studenti non ricchi…” eppure questi studenti sembrano un po’ come una religione: nessuno li vede però tutti sanno che esistono.

#4 IULM: l’università delle ragazze

credits: masterx.iulm.it

La IULM è un ateneo con una doppia anima: lingue e comunicazione. Due facce in realtà della stessa medaglia e forse proprio per questo motivo raggruppa quasi esclusivamente una parte della società: le donne. Non si è ancora capito se con accezione positiva o negativa, ma viene definita una colonia al femminile.

#5 Statale: Café Littéraire di artisti e intellettuali

università statale
Università Statale

Qualsiasi facoltà si scelga tra le molteplici offerte della Statale, da quel momento in poi, non è ancora chiaro il perché, si verrà visti con attorno un’aura di intellettualismo. Insomma l’Ateneo è una sorta di moderno Café Littéraire in cui si raggruppano artisti e intellettuali di ogni tipologia.

#6 San Raffaele: la voglia di salvare il mondo

credits: unisr.it

Facoltà, specializzazioni o corsi di formazione? L’Università San Raffaele li offre tutti e tutti soddisfano le voglie umanitaristiche degli studenti. C’è solo una garanzia: se da piccolo tutti volevano fare l’astronauta e tu invece il filantropo, questa è la facoltà adatta a te.

#7 Politecnico: laboratorio dei Mc Gyver

Politecnico

Guardati da tutti gli altri universitari un po’ come una categoria a parte, gli studenti del Politecnico si individuano subito: smania aggiustatutto, creatività e ottima capacità di problem solving. Se dovessimo descriverli con un’unica parola: Mc Gyver.

Continua la lettura con: i primati nazionali e internazionali delle università di Milano

ROSITA GIULIANO

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La rivoluzione a portata di dito

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Giudizio Universale - Michelangelo

I bitcoin stanno battendo ogni giorno nuovi record.
Ormai un bitcoin vale come un piccolo appartamento in città. Perchè quella dei bitcoin e delle criptovalute possa diventare una vera rivoluzione manca un elemento fondamentale. Finora le criptovalute sono figlie di una cultura mercantilista, mentre quello che occorre è inserire un elemento di cultura umanista, tipica dell’Italia. Per capire la differenza prendiamo a riferimento la finanza tradizionale. 

Le quote di un’azienda nel mondo anglosassone vengono denominate “shares”, che significa “divisione”. Tu entri in un’azienda perchè vuoi una parte del tesoro. Questo è un approccio mercantilista. Ma non è la nostra cultura.
In italiano la “share” si chiama “azione”. Non si entra nell’azienda con l’obiettivo di prendere una parte del tesoro ma si entra per fare azione. Tante più azioni hai tanta più azione puoi fare. 

È questo che manca nel mondo delle criptovalute. Anche perchè si tratta di un mondo che in realtà ha in sé una filosofia straordinariamente politica. Il fondamento è che distribuire la ricchezza e il potere a livello di singole persone crea un universo di ricchezza e di tutela molto superiore rispetto a quello di concentrare ricchezza e controllo nelle mani di pochi. 

Manca a quel mondo il concetto di “azione”. Il mondo cripto italiano perderà se si manterrà una sottonicchia del mondo mercantile di stampo anglosassone che è altra cultura rispetto alla nostra. Invece riuscirà a essere protagonista se ci saranno alcuni super ricchi che, come i nostri grandi ricchi che hanno fatto la grande Italia del Rinascimento, cercheranno di creare o di finanziare un nuovo modello di cultura e di politica per introdurre nella società le stesse caratteristiche filosofiche di libertà, di autonomia e della condivisione del potere che hanno determinato il successo delle criptovalute. 

Se accadrà questo, l’Italia sarà l’avanguardia di un nuovo pensiero politico con in mano anche le risorse necessarie per fare questa trasformazione. 

Continua la lettura con: “Vanità, decisamente il mio peccato preferito”

MILANO CITTA’ STATO 

La METRO più VELOCE del mondo: viaggia a 160 KM/H

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Credits: businesstraveller.com

I treni percorrono tutta la linea in meno di 20 minuti e portano i passeggeri all’aeroporto più grande del mondo. Ecco dove è stata realizzata.

La METRO più VELOCE del mondo: viaggia a 160 KM/H

# La “Daxing Aiport Express” a Pechino è la metro più veloce di tutte: solo 19 minuti per percorrere 41,4 km 

Credits: Xinhua – Beijing Daxing International Airport

La nuova linea blu “Daxing Aiport Express” collega Pechino con l’Aeroporto Internazionale di Daxing, il più grande al mondo. Lunga 41,4 km, i suoi treni raggiungono la velocità record di 160 km/h, circa il doppio rispetto alla media nazionale, trasportando i passeggeri da una parte all’altra della città in soli 19 minuti.

Credits: travelourplanet.com

Ad oggi sono due le fermate Caoqiao e Cigezhuang oltre il capolinea dell’aeroporto, a lungo termine la linea raggiungerà la stazione Lize Business District di Fengtai, rendendo il trasferimento al centro città più veloce e facile. 

# I treni sono a guida autonoma e nei vagoni c’è anche la business class

Credits: ariportsdata.net – Stazione di Caoqiao

I treni della nuova linea metropolitana sono senza conducente e dispongono anche di carrozze di classe business, dotate di tavoli pieghevoli e luci di lettura individuali, mentre le carrozze di seconda classe sono più spaziose dando la possibilità ai loro passeggeri di viaggiare in tutta comodità.

Credits: wikimedia.org – Interni Business Class

In totale, si stima che ogni treno possa trasportare 1500 passeggeri. Inoltre, ci sono strutture speciali per persone disabili e punti di ricarica USB e viene utilizzata l’illuminazione a LED per risparmiare energia.

Il video del viaggio da Caoqiao Station all’aeroporto internazionale di Daxing

 

Continua la lettura: Le 10 METROPOLITANE da RECORD MONDIALE

FABIO MARCOMIN

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Arriva MILANO VERTICALE: la MILANESITÀ in un palazzo

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credit: internimagazine.it

Arriva la milanesità in un edificio. Milano Verticale sarà il luogo in cui relax, lavoro e alta cucina cercheranno di convivere. 

Arriva MILANO VERTICALE: la MILANESITÀ in un palazzo

Ad Aprile aprirà un nuovo spazio polifunzionale, Milano Verticale, che oltre ad essere un meraviglioso hotel a 4 stelle, sarà anche un innovativo hub urbano in cui si incontrano design, creatività ed enogastronomia. Sarà una rivoluzione per il settore alberghiero, ma non solo. Vediamo perché.

# Nel cuore della “nuova Milano” un grande hub polifunzionale

credit: internimagazine.it

Ideato da Vudafieri-Saverino Partners, sarà situato tra via De Cristoforis e via Rosales, esattamente nel cuore del rinnovamento urbano milanese rappresentato da Porta Nuova, Garibaldi Corso Como. La struttura si sviluppa su 12 piani e metterà a disposizione dei suoi ospiti 173 camere alle quali si aggiungono 4 Penthouse Suite, dei superattici dotati di ogni comfort, dalla piscina Jacuzzi alla terrazza panoramica. Il rooftop di 530 mq e i Penthouse possono restare separati oppure essere uniti, creando una grande location esclusiva di oltre 900 mq con una vista a 360 gradi sullo SkyLine milanese.

# Un’innovativa concezione dello spazio urbano

 
credit: internimagazine.it

Nonostante il design e l’eleganza degli spazi, Milano Verticale non è stato ideato per essere semplicemente uno dei tanti hotel di lusso in città. Propone infatti un’innovativa concezione dello spazio urbano: un hub in cui esperienze sociali, ludiche e lavorative si fondono insieme. E’ stato concepito per essere un’estensione della città stessa, in continuo dialogo non solo con gli ospiti dell’hotel, ma anche con i cittadini stessi. Il piano terra sarà il cuore di questo incontro, creando continuità tra lo spazio pubblico e privato, insieme agli spazi adibiti alla ristorazione: un Bar con giardino, l’Osteria contemporanea e un ristorante fine dining. Insomma uno spazio elegante che unisce le necessità del milanese moderno: lavorare, rilassarsi e mangiare bene.

# La tradizione meneghina reinterpretata in chiave moderna

credit: gruppouna.it

La modernità della location e del design interno incontrano la tradizione meneghina, rappresentata dal giardino interno di oltre 1000 mq che intende richiamare i giardini milanesi nascosti per la città, quelli che non si vedono ma una volta scoperti sorprendono. La milanesità è stata scelta anche per i materiali utilizzati, dal ceppo lombardo ai marmi policromi.

credit: internimagazine.it

La struttura si è posta un obiettivo piuttosto ambizioso: raccontare una storia meneghina tutta nuova, seppure legata alla tradizione. Sarà all’altezza delle aspettative dei cittadini milanesi?

Fonte: Interni Magazine

Leggi anche: La CASA di via Quadronno, il primo BOSCO verticale di Milano

ROSITA GIULIANO

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Le 3 grandi novità del VENETO con le OLIMPIADI del 2026

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Cortina d’Ampezzo è teatro di uno dei più singolari mondiali di sci della storia. Dal 7 al 21 febbraio infatti, la Regina delle Dolomiti, ospita il suo secondo Mondiale di Sci Alpino. Il campionato, a causa della pandemia in corso, prevede severe misure al fine di limitare i contagi, imponendo a tutte le categorie di persone che potranno essere presenti, delle regole che vanno ben oltre gli “ormai famosi” suggerimenti a cui siamo abituati.

Per il Campionato è stato elaborato un complesso protocollo COVID, validato dal Comitato Tecnico Scientifico del Ministero della Salute, che fa della prevenzione del contagio il focus dello sforzo organizzativo della Fondazione Cortina 2021, blindando letteralmente la zona interessata dalla kermesse.

I partecipanti sono stati “isolati” secondo il principio delle “bolle”, proposto dalla FIS, gruppi di lavoro omogenei cioè, che hanno dovuto limitare al minimo i contatti e la condivisione di spazi fisici durante l’evento. Secondo questo principio atleti, medici e giuria, hanno dovuto occupare spazi diversi da quelli dei giornalisti, dello staff dell’organizzazione, delle Forze dell’Ordine. Spettatori, ovviamente, ridotti all’osso.

Sembra di fatto una prova generale per proiettarsi verso quello che si spera sarà uno spettacolo molto più coinvolgente e aggregante: i Giochi Olimpici del 2026. Da lunedì tutta l’attenzione della valle si proietterà proprio su tale data e su costruire tutto ciò che manca per arrivare all’appuntamento in piena forma. Ma vediamo come Cortina e il Veneto cambieranno volto con le Olimpiadi. Le opere in programma sono soprattutto tre. 

Le 3 grandi novità del VENETO con le OLIMPIADI del 2026

Se la competizione in corso vede come priorità organizzativa la prevenzione dei contagi da Covid-19, le Olimpiadi vorranno avere altri obiettivi primari, tra cui la valorizzazione del territorio e l’aumento del prestigio delle zone dove le stesse si svolgeranno.  L’Olympic Agenda 2020 fissa infatti 40 linee guida, che hanno come parole chiave sostenibilità, flessibilità, reversibilità e riuso, contenimento del consumo di suolo ed efficienza gestionale ed economica, insieme alla creazione di un valore a lungo termine.

Come già detto in un’altra puntata, le Olimpiadi si svolgeranno all’interno di 4 cluster distribuiti tra Lombardia, Veneto e Trentino-Alto Adige (Milano, Cortina, Valtellina, Val di Fiemme) e in una città, Verona, la cui Arena romana ospiterà la cerimonia di chiusura.

Un miliardo di euro è quanto verrà destinato, con decreto del Mit pubblicato in Gazzetta Ufficiale il primo febbraio 2021, alle opere infrastrutturali previste per la competizione. Di questo miliardo, 325 milioni finiranno proprio in Veneto.

#1 Il nuovo volto di Cortina

Credits: @lacooperativadicortina (INSTG) Cartolina vintage di Cortina d’Ampezzo

Forte dell’esperienza maturata con i giochi Olimpici del 1956, (e di alcune delle strutture realizzate a suo tempo) Cortina prevede di mettere a disposizione innanzitutto gli spazi per un terzo Villaggio Olimpico a Fiames (dopo quelli di Milano e di Livigno), che ospiterà anche il Media Centre montano temporaneo.

Saranno tre le sedi previste per altrettante competizioni sportive:

  • lo Stadio Olimpico, che aveva aperto l’edizione 1956. 3.100 posti di capienza ristrutturati per i campionati mondiali di curling del 2009, ospita nuovamente questa disciplina.

    Credits: @greengardenluminarie (INSTG) – Palazzo del Ghiaccio di Cortina
  • Il comprensorio delle Tofane accoglie tutte le gare di sci alpino femminile.
  • Lo Sliding Centre Eugenio Monti, in funzione dal 1956 al 2010, sarà riqualificato per ospitare le gare di bob, slittino e skeleton: sarà anche aumentata la sua capienza a 9.000 posti.

Il territorio sarà inoltre interessato da due interventi particolarmente importanti di carattere infrastrutturale: le varianti alla statale di Alemagna negli abitati di Longarone e di Cortina.

#2 Variante di Longarone

Credits: @Vajont (INSTG) Longarone vista dalla diga del Vajont

La cittadina di Longarone, non distante da Belluno, è sede di uno snodo stradale di importanza vitale. La rete autostradale italiana, in particolare la A27 Venezia-Belluno, finisce, in direzione nord, proprio qui. Chi vuole raggiungere “la montagna”, prima il Cadore e poi Cortina d’Ampezzo, deve proseguire per la strada statale 51 “di Alemagna” e l’innesto su di essa a Longarone, diventa spesso problematico a causa degli altissimi volumi di traffico, soprattutto nei momenti di alta stagione (sia in inverno che in estate). Un investimento di 270 milioni è previsto appositamente per la creazione di una variante che servirà ad eliminare il traffico all’interno del centro urbano. L’intervento darà una risposta alle esigenze dei residenti, a quelle del turismo e a quelle dell’economia locale, in quanto nella adiacente area produttiva troviamo le sedi di aziende di spicco a livello internazionale.

#3 Variante di Cortina

Proseguono in parallelo anche i lavori di progettazione della variante di Cortina, una delle infrastrutture più attese per le Olimpiadi invernali 2026, che darà un connotato moderno e sostenibile alla cittadina montana, permettendo di riorganizzare completamente la mobilità del centro abitato. Il costo stimato per il progetto è di circa 200 milioni di euro. Riassumendo le parole del Governatore del Veneto Luca Zaia, si sta cercando di stringere i tempi per arrivare ad una soluzione veloce e sostenibile, perché il territorio in cui si deve intervenire è particolarmente sensibile e fragile, sotto vari profili, a cominciare da quello idrogeologico, paesaggistico e agrario. Si parla infatti di uno degli otto siti veneti Patrimonio dell’Umanità e l’impegno di tutti gli attori coinvolti a risolvere i problemi lascia ben sperare.

Zaia continua affermando che “dobbiamo essere in grado di arrivare pronti con tutto quanto serve all’appuntamento principale per la nostra montagna nei prossimi anni. Dobbiamo saper cogliere l’opportunità di questo evento affinchè quello che realizziamo non sia solo per le olimpiadi, ma sia soprattutto il motore per la sostenibilità futura del nostro territorio.

Il 2026, e gli anni di preparazione che lo precederanno – aggiunge Zaia – possono anche costituire il momento di un nuovo rinascimento per tutta la montagna, prima martoriata dalla tempesta Vaia e oggi messa in croce dal Covid”.

Credits: ilnordestquotidiano, regione.veneto.it, teknoring.com

Continua la lettura con: Olimpiadi 2026: le grandi opere che trasformeranno il TRENTINO ALTO ADIGE

LUCIO BARDELLE

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Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità. 


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