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Il primo grattacielo che si muove

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Credit: @arts_built

Quante volte abbiamo detto o sentito “che sfortuna ci hanno dato la camera che non dà sul mare” oppure “è una bella casa peccato che si affaccia su un vialone”?

L’architetto David Fisher sembra aver trovato la soluzione a questo problema: un grattacielo che si muove dove gli appartamenti ruotano durante la giornata.

Non ti piace la vista? Aspetta qualche minuto e sarà diversa.

Vediamo insieme questo edificio futuristico da far girare la testa.

Il primo grattacielo che si muove

# La Dynamic Tower

Credit: @arts_built

Siamo a Dubai, è qui che si trova il miglior esempio della Dynamic Architecture: un grattacielo che si muove completamente.

Si chiama Dynamic Tower ed è una torre di 420 metri progettata dall’architetto italo-israeliano David Fisher; come molti altri progetti, doveva concludersi nel 2020 ma è andato incontro a rallentamenti a causa della pandemia.

La sua particolarità? É il primo grattacielo al mondo che si muove.

Grazie allo sfruttamento dell’energia solare e del vento, il grattacielo sarà autosufficiente dal punto di vista energetico, un altro esempio della modernità sfrenata che si unisce all’ecosostenibilità.

Per la realizzazione dei moduli Fisher prevede un largo impiego di alluminio, acciaio e fibra di carbonio, che daranno al grattacielo una grande resistenza sismica.

Grazie a queste caratteristiche gli appartamenti potranno essere costruiti con meno manodopera rispetto all’edilizia tradizionale e in tempi più brevi del 30%.

L’idea di questo edificio rotante si appoggia a delle tecnologie innovative: ogni piano della torre è un insieme di moduli prefabbricati che vengono costruiti all’interno di stabilimenti con processi di tipo industriale.

In poche parole, ogni piano arriverà al cantiere praticamente pronto per essere abitato. I moduli, già realizzati secondo i desideri dei fortunati clienti, verranno assemblati tra loro, sovrapposti uno all’altro e agganciati alla struttura portante in cemento armato che contiene la struttura che permetta la rotazione.

# Gli appartamenti che ruotano

Credit: @exumag

Quante volte abbiamo detto o sentito “che sfortuna ci hanno dato la camera che non dà sul mare” oppure “è una bella casa peccato che si affaccia su un vialone”?

David Fisher ha trovato la soluzione a questo problema, il grattacielo che si muove ha infatti un segreto.

A muoversi non sarà l’intera struttura tutta insieme ma ogni appartamento singolarmente in modo autonomo, come in una spirale.

Ogni minuto ciascuno appartamento si muove di 6 metri facendo un giro completo in 3 ore e il resto è facile: non ti piace la vista? Aspetta qualche minuto e sarà diversa.

In ogni momento si potrà decidere se scegliere il panorama che si desidera o lasciare che sia la lenta rotazione ad offrire una vista sempre diversa.

# Un lusso da far girare la testa

All’interno della torre girevole ci sarà un albergo a sei stelle, uffici e diversi appartamenti.

Gli ultimi piani saranno riservati a cinque ville da 1.500 mq ciascuna. Ogni villa avrà a disposizione un posto auto al proprio piano servito da uno speciale ascensore e per non farsi mancare niente sul tetto ci saranno una piscina e un giardino.

Per consentire di raggiungere più velocemente la residenza, la Torre sarà inoltre dotata di una piattaforma estraibile per far atterrare gli elicotteri al livello del 64simo piano.

Ma quanto costerà vivere in un appartamento della Dynamic Tower? Le ipotesi sono cifre da far girare la testa: per ogni appartamento si potrebbe arrivare fino a 30 milioni di dollari.

Sembra un prezzo esagerato? Guardate il video e fateci sapere!


Fonti: artediabitare.it

Continua la lettura con: La CASA VOLANTE: la villetta che si alza per vedere il MARE

ARIANNA BOTTINI

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Lo strano caso del PARCO che ogni anno viene SOMMERSO dall’ACQUA

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credit: europea.com

Dove si trova l’unico Parco Nazionale che viene completamente sommerso dall’acqua per circa 2 mesi all’anno ed è visitabile solo in canoa?

Lo strano caso del PARCO che ogni anno viene SOMMERSO dall’ACQUA

Se in tutto il resto del mondo le stagioni sono quattro, esiste una nazione in cui anche questa certezza viene a mancare… ci sono cinque stagioni. E’ proprio in questo periodo dell’anno che uno dei più grandi parchi nazionali viene completamente sommerso dall’acqua e l’unico modo per poterlo visitare è in canoa, pagaiando tra le cime degli alberi che spuntano tra le acque. Ma com’è possibile che un intero parco nazionale venga sommerso e poi si svuoti nuovamente ogni anno come una grande vasca da bagno? E dove è possibile osservare questo più unico che raro fenomeno naturale?

# La quinta stagione estone che inonda un intero parco nazionale

credit: bbc.com

Tutti i meteoropatici come me penseranno che sia una follia ma chi abita nei pressi del Parco Nazionale di Soomaa non vede l’ora che arrivi la stagione delle piogge. Ci troviamo nell’Estonia sud-occidentale e qui ogni anno, dopo l’inverno e prima della primavera, c’è una stagione imprevedibile chiamata “quinta stagione”. In questo periodo dell’anno impetuose inondazioni danno un nuovo volto al parco nazionale, che viene riempito come una vasca da bagno in cui al posto delle paperelle galleggiano fiori e foglie, e intere case e alberi vengono sommersi dalle acque.

# Come si spiega questo strano fenomeno naturale?

credit: bbc.com

Soomaa in estone significa proprio terra di paludi e infatti il Parco non è altro che una grande pianura alluvionale. La “quinta stagione” è l’incredibile risultato della fusione di fattori improbabili; primo tra tutti c’è lo scioglimento della neve sul monte Sakala ed è proprio alle sue pendici che si sviluppa il parco di Somaa. Dopo il disgelo invernale la neve confluisce nei fiumi Navesti, Halliste, Raudna, Kopu, Toramaa e Lemmjogi, e questi si dirigono tutti verso Somaa… ma c’è un problema: l’unico tra questi fiumi a scorrere verso il mar Baltico è il Navesti. La conseguenza di questa problematica fluviale è la creazione della zona alluvionale di Riisa, la più grande del Nord Europa. Nonostante questa sia una motivazione più che valida per spiegare lo strano fenomeno, non è l’unica, vi è anche un fattore geologico. Immaginate di camminare su una grande spugna naturale: ecco, Soomaa è esattamente questo e attualmente rimane il più grande sistema di torbiere in tutta Europa.

# Un paradiso per i canoisti. E’ in arrivo una “sesta stagione”?

credit: europeanbestdestinations.com

Il risultato di questi fattori è un Parco Nazionale che, dopo lo scioglimento della neve, viene inondato dall’acqua che i fiumi non portano al mare. Jana Põldnurk, responsabile di idrologia presso l’ Agenzia estone per l’ambiente, ha spiegato in un’intervista alla BBC che “In estate, il flusso d’acqua medio al secondo attraverso Soomaa è di 5-10 metri cubi. Ma nella quinta stagione è 10 volte più alto e il torrente sale fino a 100 metri cubi al secondo. Aggiungete a questo il fatto che uno straordinario 70% del deflusso annuale è in questo periodo e i dati sono travolgenti”.

credit: humble-homes.com

Un tempo gli abitanti costruivano zattere per il bestiame e accumulavano pane per settimane, per evitare la fame. Ancora oggi l’unico modo sicuro per spostarsi è la canoa e all’interno del parco sono circa 70 le persone che hanno deciso di restare e di continuare a vivere qui nonostante le alluvioni annuali. Ma per chi è rimasto la “quinta stagione” non è un peso da sopportare, bensì un elemento identitario che accresce il senso di appartenenza alla comunità. Ma non è tutto. E’ la stessa Põldnurk ad ipotizzare l’arrivo di una “sesta stagione”: “Il cambiamento climatico significa che le inondazioni possono verificarsi in momenti più insoliti, quindi è possibile che, in futuro, l’Estonia possa un giorno avere una sesta stagione.

Durante le stagioni tradizionali nel parco vivono moltissime specie animali – linci, lupi e orsi bruni sono solo alcuni esempi – e, come se avessero un presentimento, partono tutti dal parco prima dell’arrivo delle inondazioni, lasciando spazio agli avventurosi canoisti.

Fonte: BBC

Leggi anche: Il TICINO GRAND TOUR: attraversare a piedi e canoa le meraviglie del PRIMO PARCO FLUVIALE d’Europa

ROSITA GIULIANO

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Il CIMITERO A-CATTOLICO di Roma: tra ARTE e NATURA

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credit: paesionline.it

Un luogo “da sogno” rivalutato nel tempo. Qual è la storia del cimitero acattolico di Roma e quali sono le sue curiosità?

Il CIMITERO ACATTOLICO di Roma: tra ARTE e NATURA

Chi ha detto che i cimiteri sono luoghi macabri? Nel cuore del centro storico romano c’è un cimitero “da sogno”: immerso nel verde dei cipressi, circondato dai resti delle mura aureliane e con la monumentale piramide di Caio Resto a fargli da sfondo. Ma le caratteristiche che l’hanno reso famoso sono altre, infatti oltre ad essere acattolico, è dedicato esclusivamente a salme straniere, tranne qualche rara eccezione.

Scopriamo la storia e le curiosità di questo particolare ma ancora sottovalutato cimitero.

# Un cimitero “da sogno” che un tempo era un prato per pascoli

credit: paesionline.it

Ad oggi il Cimitero Acattolico di Roma è proprietà privata, appartiene ad un’associazione formata da 15 Ambasciate in Roma che hanno connazionali sepolti qui: Australia, Canada, Danimarca, Germania, Finlandia, Grecia, Irlanda, Paesi Bassi, Norvegia, Russia, Sud Africa, Svezia, Svizzera, Regno Unito e U.S.A. Eppure non è sempre stato così curato e visitato, anzi, era a dir poco malmesso e non curato. Come conseguenza del pensiero cattolico, solo la sepoltura in chiesa era considerata degna, e nei secoli XVII e XIX il terreno del cimitero era conosciuto come “prati del popolo romano”. Cosa significava? Che era uno spazio di proprietà pubblica ma utilizzato per far pascolare il bestiame.

# Le inumazioni? Si facevano di notte per questioni di sicurezza

credit: paesionline.it

Il cimitero per protestanti, ebrei ed ortodossi fu concesso da una deliberazione del Sant’Uffizio nel 1671 ma fino al XIX secolo le funzioni cimiteriali non erano neppure controllate. Può sembrare strano ma, per motivi di sicurezza, le inumazioni erano svolte di notte, lontano da occhi indiscreti e giudicanti. Venne fatta un’eccezione per la figlia di Sir Walter Synod, che però dovette farsi scortare per evitare incursioni di fanatici religiosi. Fortunatamente durante il XIX secolo il cimitero subì due ampliamenti, e fu l’ultimo – nel 1894 – a conferirgli le dimensioni e le caratteristiche fiabesche attuali.

# Il cimitero degli artisti e degli “stranieri”

credit: paesionline.it

C’è un gran numero di sepolture di artisti, e come anticipato all’inizio, gli italiani sepolti in questo monumentale cimitero sono pochissimi e selezionati con accuratezza. Sono stati scelti italiani che, per vari motivi, durante la loro vita sono stati “stranieri” in Italia. Tra questi il più celebre è Antonio Gramsci, nella cui lapide sono incisi i versi a lui dedicati da Pierpaolo Pasolini, ma non meno visitate sono le lapidi degli scrittori Dario Bellezza, Carlo Emilio Gadda, Luce d’Eramo e Andrea Camilleri. Gli stranieri che si trovano qui, vissero per periodi più o meno brevi a Roma e si innamorarono di questa città che oggi restituisce loro l’affetto ricevuto, offrendogli un riposo eterno davvero elitario. Il cimitero infatti è circondato dai resti delle mura aureliane, impreziosito dalla piramide Cestia e ricco di piante e fiori colorati.

credit: paesionline.it

Se prima era un luogo trascurato e disprezzato, oggi la sua bellezza e il suo fascino sono riconosciuti da tutti: nel 1910 si definì il Cimitero come “culturalmente importante e degno perciò di speciali salvaguardie” e nel 1918 fu dichiarato Zona Monumentale d’Interesse Nazionale.

Fonte: Paesi Online

Leggi anche: FelliniCittà: il BORGO romagnolo che celebra il grande regista con le sue CASE DIPINTE (Gallery Fotografica)

ROSITA GIULIANO
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Un nuovo BUSINESS DISTRICT cambia il volto di SANTA GIULIA. Sarà la CityLife della periferia?

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credit: progettocmr.com

Due edifici all’avanguardia saranno i protagonisti del nuovo volto di Santa Giulia-Rogoredo. Come verrà trasformato il quartiere?

Un nuovo BUSINESS DISTRICT cambia il volto di SANTA GIULIA. Sarà la CityLife della periferia?

La città di Milano punta sulle periferie e il nuovo portale d’accesso al business milanese sarà costruito nel quartiere Santa Giulia, vicino alla criticatissima stazione di Rogoredo. I protagonisti della riqualificazione sono due nuovi edifici: Spark One e Spark Two, due palazzi uffici firmati da Progetto CMR che sono già stati certificati LEED e WELL. Come verrà trasformato il quartiere che farà concorrenza agli altri business districts milanesi?

# Entro il 2022 Santa Giulia-Rogoredo avrà un nuovo volto?

credit: progettocmr.com

Sono iniziati ufficialmente i lavori di restyling del quartiere Santa Giulia, il cui termine è previsto tra la fine del 2021 e l’inizio del 2022. Il progetto di riqualificazione della zona intende far diventare l’area un polo attrattivo grazie all’estetica e alla funzionalità dei due nuovi edifici. Lo stile architettonico scelto per il complesso è ispirato ad una modernità responsabile; statico e dinamico allo stesso tempo. L’AD di Progetto CMR, Massimo Roj, ha spiegato che «Spark One vuole accendere la rinascita di Santa Giulia-Rogoredo e lo fa nel segno della trasparenza e della dinamicità: la facciata è pertanto un elemento essenziale, con la sua immagine sempre cangiante e in continuo movimento».

# In bilico tra dinamismo e staticità

credit: progettocmr.com

Le facciate sono infatti caratterizzate da un forte dinamismo, trasformate da giochi di luce e riflessi scintillanti sempre diversi durante l’arco della giornata. L’importanza del movimento si riflette anche nella gestione degli spazi esterni; gli edifici sono in dialogo con il tessuto circostante, sono permeabili per favorire la socialità e la partecipazione anche grazie al piano terra dedicato ad attività commerciali tra cui molti spazi ristorativi. Questi elementi cangianti e dinamici vengono controbilanciati da una staticità complessiva che dona ai due palazzi un’imponenza statuaria.

# 52 mila mq di efficienza, comfort e sostenibilità

credit: progettocmr.com

Alti nove piani e sviluppati su una superficie di 52mila mq, Spark One e Spark Two saranno una mescolanza eterogenea di bellezza architettonica, efficienza e di comfort. Affinché un edificio riesca a ricevere le certificazioni internazionali LEED e WELL è necessario che rispetti dei rigidi parametri, ma chi ha progettato il nuovo business district milanese non ha sottovalutato nulla, neppure le persone e l’ambiente che animano l’area attorno al complesso. Se la certificazione LEED valuta l’impronta ecologica degli edifici, la WELL si occupa di certificare il livello di benessere e comfort degli ambienti lavorativi che in questo caso è elevatissimo. Questi due colossi saranno tra i primissimi esempi in Italia ad ottenere questa certificazione, e il segreto è proprio l’innovazione tecnologica utilizzata, che mira a isolare ogni ufficio grazie al sistema acustico PRIMATE.

 

Leggi anche: L’ACQUABELLA: il quartiere delle acque nella zona est di Milano

ROSITA GIULIANO

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UK: un esercito di ROBOT KILLER combatterà la prossima guerra?

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Credits: renovatio21.com robot killer

Il Regno Unito è pronto ad un cambiamento nel suo esercito. Se a gennaio i soldati britannici erano circa 80 mila, ora si pensa di ridurli almeno a 70 mila; ma questo non significa che ci sarà una riduzione complessiva dei combattenti nell’esercito, perché al posto degli uomini ci saranno dei robot killer.

UK: un esercito di ROBOT KILLER combatterà la prossima guerra?

# I due motivi principali che hanno portato a questo cambiamento

Credits: militaer-wissen.de
esercito inglese

Il problema di fondo è che sempre meno persone si arruolano e che l’attuale consistenza numerica dell’esercito non è sufficiente. I soldati britannici sono 73 870, ma secondo i piani dello stato maggiore dovrebbero essere circa 82 000. Il generale Nick Carter, capo dello Stato Maggiore della Difesa UK, inoltre, ha dichiarato che, in generale, i robot assumeranno sempre più importanza nei conflitti, soprattutto ora dove la “lotta per la conquista dello spazio” si fa sempre più sentire. È per questi due motivi che il Regno Unito ha deciso di avviare una ricostruzione delle unità del suo esercito, stanziando fondi molto alti.

# British Army: entro il 2030 sarà composto per il 25% da robot

Credits: renovatio21.com
robot killer

Entro il 2030, robot e macchine costituiranno il 25% dell’intero corpo armato. È stato lo stesso generale Nick Carter a incoraggiare la Gran Bretagna ad andare avanti con questo progetto. In una recente intervista afferma infatti: “Vedremo forze armate progettate per fare cyber e Spazio(…)Ciò significa che avremo tutti i tipi di figure diverse impiegate, perché quei domini richiedono set di abilità diversi e ci avvarremo di piattaforme e robotica ovunque possiamo”.  L’obiettivo è quello di avere un esercito di 120mila soldati, di cui 30mila robot.

Tuttavia, non si ha intenzione di licenziare i militari dell’esercito. Si tratterà principalmente di lasciare che i soldati attuali vadano in pensione e di non sostituire coloro che hanno deciso di andarsene.

# Ma qualcuno parla di rischi?

Credits: dagospia.com
esercito di soldati e robot

L’idea di un esercito di robot killer credo non tranquillizzi nessuno. È inevitabile pensare a film fantascientifici o ambientati in una realtà dispotica, dove le macchine sono progettate proprio per uccidere. E ora questo potrebbe diventare realtà? La Gran Bretagna è consapevole dei rischi della robotizzazione dell’esercito, ma no è l’unica che si è attivata verso questo cambiamento. La paura che l’intelligenza artificiale prenda il sopravvento e non si riesca più a controllare è già alta, figuriamoci se si tratta di progettarla per combattere. Il generale Carter conclude, però, con un “è un rischio e dobbiamo esserne consapevoli”, facile no?

Eppure bisogna dire che l’industria militare mondiale si sta direzionando proprio in questo senso. Ogni giorno si scoprono nuovi utilizzi delle nuove tecnologie anche nell’ambito dell’arma e dei conflitti. Il British Army è uno fra i tanti: Stati Uniti, Russia, India e Pakistan.

Fonti: renovatio21.com

Continua la lettura con: L’erede del Concorde: il JET SUPERSONICO potrà volare da Milano a Londra in 30 MINUTI

BEATRICE BARAZZETTI

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L'”ARCO del TRIONFO” di via Arzaga: l’APOTEOSI del POSTMODERNO

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Credis: blog.urbanfile.org Palazzo della Capgemini

Cover: blog.urbanfile.org

A Milano ci sono poche architetture in stile postmoderno. Per chiarire, il postmodernismo è un movimento che nasce tra la metà e la fine del XX secolo ed è generalmente caratterizzato da ironia, scetticismo e rifiuto delle grandi ideologie moderne. Nell’ambito dell’architettura, ci troviamo di fronte ad un ritorno alla classicità, applicata in senso moderno. Colonne, volute, statue e timpani sono i principali elementi che si trovano in queste architetture, ma non tutto è ben riuscito, anzi. Alcuni edifici postmoderni non sono uno spettacolo per gli occhi e vengono poco compresi, in certi casi un “ma perché è stato fatto in questo modo?” è inevitabile. A Milano potremmo definire via Arzaga, con il suo palazzo Capgemini, l’apoteosi del postmoderno.

L'”ARCO del TRIONFO” di via Arzaga: l’APOTEOSI del POSTMODERNO

# Il postmoderno a Milano

Il periodo postmoderno, Milano direbbe per fortuna, è durato solo tra la metà degli anni Settanta e la metà degli anni Novanta. A Milano l’esempio tipico di questo stile architettonico erano le due torri FS, alte 100m, sopra la stazione di Porta Garibaldi, ma che nel 2013 cambiarono completamente volto. Tuttavia, la Nizzoliarchitettura, nel 1981, progettò forse il “capolavoro italiano in questo stile”: il palazzo della Capgemini, che si trova in Via Nizzoli 8, nel distretto dell’Arzaga e vicino alla stazione M1 Primaticcio.

# La facciata del palazzo della Capgemini: un arco di trionfo moderno?

Credis: blog.urbanfile.org
Palazzo della Capgemini

La base dell’edificio possente è un ottagono incompleto, mancano infatti tre lati verso ovest che lasciano spazio ad un giardino aperto. Si tratta di un palazzo dalle facciate lisce con finestre quadrate abbastanza regolari e una gronda particolarmente aggettante. Descritto così parrebbe un normalissimo palazzo, ma la facciata principale è tutto un dire. Troviamo una specie di arco trionfale sormontato da due figure femminili che reggono un medaglione in stile greco-romano, un richiamo alla classicità immediato, ma le figure sono semplicemente disegnate. Alla base del palazzo ci sono anche due grandi volute, anch’esse disegnate nell’intonaco.

# Il giardino che richiama il Colosseo e una parete staccata da tutto

Credits: blog.urbanfile.org
Fontana cortile palazzo della Capgemini

Le facciate sul cortile interno sono in mattoni a ricordare i vecchi ruderi; il giardino, invece, dovrebbe essere un riferimento al Colosseo, ma stilizzato. Per non farsi mancare i richiami all’antichità, è presente anche un finto colonnato attorno ad una fontana, la cui fonte a forma di disco solare è anch’essa incisa. Nella parte di via Primaticcio, invece, si vede un muro completamente distaccato dal resto dell’edificio, quasi come se fosse un’immagine riflessa.

Credits: blog.urbanfile.org
Palazzo della Capgemini

Con tutti questi richiami all’antichità ci si spiega perché si potrebbe definire via Arzaga l’apoteosi del postmoderno in Italia, ma non sono sicura si debba essere particolarmente orgogliosi di questo primato milanese. La bellezza, infatti, non è il punto forte dell’edificio.

Fonti: blog.urbanfile.org

Continua la lettura con: Il PALAZZO di GIUSTIZIA: monumento al servilismo e agli sventramenti urbanistici

BEATRICE BARAZZETTI

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7 PAROLE VENEZIANE che sono diventate ITALIANE

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Credits: Unsplash

Anche se non sei mai stato a Venezia e non hai parenti veneti, scommetto che conosci almeno 7 parole veneziane. Non ci credi? Continua a leggere.

7 PAROLE VENEZIANE che sono diventate ITALIANE

Tra tutte le magnifiche città che l’Italia custodisce, Venezia è senza dubbio tra le più meravigliose. Da quando mi sono trasferita qui, non ho mai smesso di ammirarla, affascinata, per la sua bellezza, originalità, e magia. Il silenzio che si respira, palpabile, durante le sere d’estate nelle calli secondarie, o la nebbia che la avvolge con le prime giornate d’autunno, o l’acqua alta, famosa in tutto il mondo ma inimmaginabile se non la si sente sulle proprie gambe. Mi sono innamorata di questa città dal primo momento in cui l’ho vista, e parlerei per ore di quanta storia e splendore abbia dentro di sé.

Ma oggi non voglio portarvi a visitare qualche luogo turistico, nessun ponte e nemmeno un campo. Sebbene vi consigli caldamente di andare a vedere posti come Piazza San Marco, il ponte di Rialto o quello dell’Accademia prima o poi, oggi vi porto a scoprire Venezia attraverso il suo dialetto. Perché, che ci crediate o no, sono molte le parole veneziane che sono entrate di diritto non solo nella lingua italiana, ma, in alcuni casi, addirittura in lingue come l’inglese, il francese, o il tedesco. 

Alcune, prevedibili e ovvie, le usiamo forse senza rendercene conto: è il caso di laguna (che a sua volta deriva da lacuna, latino per “vuoto”), o darsena e arsenale (che sembrano invece provenire dall’arabo dār aṣ-ṣina’a, “fabbrica”). Poi c’è giocattolo, che si è attestato vincendo sul toscano balocco e sembra derivare proprio da come i veneziani chiamavano i giochi dei bambini, xugàtoli. Gondola non ha bisogno di spiegazioni: sembra sia la versione veneziana del greco medievale κονδοῦρα, che, appunto, significava “barca”. 

Ma andiamo oltre. Scopriamo insieme qualcuna delle parole più originali e insospettabili… Ecco a voi 7 parole veneziane che sono diventate italiane.  

# Ciao

Credits: Unsplash

La prima di questa lista deve senza dubbio essere la più famosa e internazionale. La parola che ci rappresenta all’estero. Ciao. Questa parola altro non è che l’italianizzazione di “s’ciavo”, che significa “schiavo”, e in origine indicava l’amicizia e la devozione provate da chi pronunciava il saluto. Anche se sembra essere l’emblema della lingua italiana, “ciao” è con noi soltanto dall’inizio del Novecento. Ma si è diffusa così tanto e così in fretta, da essere presente in ben 24 lingue straniere!

# Marionetta

Credits: Unsplash

Erroneamente confusa col burattino, la marionetta è sicuramente più conosciuta della sua origine. Risale a prima dell’anno Mille. Si racconta che dei pirati triestini rapirono alcune promesse spose insieme alle loro doti, ma i valorosi condottieri veneziani riuscirono a trarle in salvo senza che venisse loro recata offesa alcuna. Da quel momento, come ringraziamento alla Vergine per il salvataggio, si decise che le famiglie nobili avrebbero provveduto alla dote di 12 ragazze della città che non potevano permettersela, e che queste avrebbero sfilato in città in ricordo della valorosa spedizione. Ma quando tutte le ragazze della città vollero questo onore, Le Marie, questo il nome che presero le 12 fanciulle che di anno in anno facevano sfoggia di sé tra le calli, vennero sostituite da 12 grandi figure di legno, ribattezzate “Marione” per la loro dimensione. E quando commercianti iniziarono a riprodurle in forma ridotta… Ecco che nacquero le marionette.  

# Quarantena

Credits: Finestresull’Arte

Mai parola sembra essere più attuale ai giorni nostri. Ma in realtà la quarantena ha origini ben più antiche. Le isole della laguna veneziana sono state vittime di pestilenze ed epidemie ben prima di quelle moderne, e il governo veneziano fu il primo a introdurre provvedimenti restrittivi per cercare di arginare i contagi. Nel 1468 in laguna fu istituito il Lazzaretto Nuovo, dove chiunque fosse sospettato di essersi ammalato veniva isolato per quaranta giorni. Se effettivamente infetti, i malati venivano infine portati al Lazzaretto Vecchio, che aveva sede nella vecchia isola di Santa Maria di Nazareth, di cui la stessa parola lazzaretto deriva.

# Pantaloni 

Credits: VeneziaToday

Questa—ammettiamolo—è piuttosto logica. Se quando pensiamo ai calzoni lunghi che comunemente indossiamo li chiamiamo pantaloni è merito delle maschere della Commedia dell’Arte veneziana. Il termine deriva infatti dal tipico travestimento della maschera di Pantalone. Quel particolare tipo di indumento era infatti così diffuso tra il popolo veneziano che persino in Francia iniziarono a chiamarlo pantalons. 

# Gazzetta

Credits: Wikipedia

Avete presente quel quotidiano che acquistate in edicola ogni giorno? Sappiate che è vecchio più di 500 anni. Durante il 1500, infatti, la Repubblica Serenissima aggiornava la popolazione con un giornale, pubblicato in poche pagine, e venduto al prezzo di due soldi. E sapete come si chiamava quella moneta? Gaxeta. A questo punto, è facile indovinare che la moderna gazzetta ne sia l’italianizzazione, e che nel corso degli anni sia  diventata sinonimo di quel periodico pieno di notizie utili agli abitanti di una determinata zona.

# Ballottaggio

Credits: Corriere della Sera

Originariamente, il ballottaggio non era altro che la complicata procedura che veniva messa in atto per eleggere il Doge. Per assicurare una votazione imparziale e anonima, alcune palline d’oro e d’argento (le ballotte) venivano inserite all’interno di un’urna, per poi essere estratte a sorte dai senatori. Anche questa parola, da Venezia fluisce quindi nella lingua italiana e non solo: il termine viene ripreso anche dagli Stati Uniti (“ballot”) e dalla Francia (“ballottage”). Quando le nuovissime democrazie dovettero infatti scegliere un sistema elettorale, puntarono all’unico esempio di democrazia presente nel 1700: quella veneziana.

# Imbroglio

Credits: serenaitalian

Dove ci sono votazioni, c’è quasi sempre qualcuno che grida all’imbroglio. Ed eccoci qua. Per tramare ai danni delle elezioni e truccare il sicuro sistema delle ballotte, pare che i membri del Consiglio della Serenissima si incontrassero in un giardino alberato nei pressi del Palazzo Ducale. Il Brolio, di cui la parola imbroglio è l’italianizzazione. 

Fonte: Babbel, IlPost

Continua la lettura con: 10 PAROLE del DIALETTO MILANESE intraducibili in ITALIANO

GIADA GRASSO 

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A Modena il QUARTIERE DEL FUTURO

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Credits: ecovillaggiomontale.it Ecovillaggio Montale

In provincia di Modena, l’Ecovillaggio Montale propone un’innovazione dell’abitare. Un quartiere residenziale a impatto zero interamente costituito da ecoresidenze, nel quale sono applicati i principi fondamentale della sostenibilità.

A Modena il QUARTIERE DEL FUTURO

# Cos’è un ecovillaggio?

Credits: ecovillaggiomontale.it
Sistema di un ecovillaggio

Potrebbe apparire abbastanza ovvio che un ecovillaggio sia un sistema di abitazioni in un’armonia perfetta con l’ambiente, soprattutto di questi tempi dove il problema della sostenibilità è all’ordine del giorno. L’obiettivo di un ecovillaggio è però anche quello di garantire il massimo benessere per i cittadini, sia dentro che fuori casa, tramite una coesione tra green e tecnologia. Si tratta di un villaggio bio, alla base del quale vi è un sistema di economia circolare basato sul riciclo e riutilizzo dei materiali. Mobilità elettrica, illuminazioni a led, recupero dell’acqua e pulizia dell’aria sono ciò che un ecovillaggio deve prefissarsi.

# Ecovillaggio Montale

Credits: ecovillaggiomontale.it
Ecovillaggio Montale

Ecovillaggio Montale è un quartiere a impatto zero che si inserisce in un contesto urbanizzato come quello della provincia di Modena. Si tratta di 6 ettari di terreno a Montale Rangone in cui sorgono palazzine eco-sostenibili. Il tutto nasce dall’idea della famiglia Pini. Ecovillaggio Montale è un quartiere modello, realizzato con criteri di bioarchitettura. I consumi idrici sono al minimo, l’acqua piovana viene restituita alle falde sottostanti per far sì che le acque superficiali vengano depurate, recuperate nel sottosuolo e, riutilizzate nel sistema complessivo. Le case sono realizzate con blocchi e solai in legno cemento che creano isolamento termico, acustico e resistente al fuoco. L’obiettivo è anche quello di ridurre i cambiamenti climatici: la vegetazione piantata permette di diminuire le emissioni di CO2. Inoltre, la mobilità elettrica e la ciclopedonale rendono la vita a Montale ancora più sostenibile.

# È veramente il futuro dell’abitare?

Credits: ecovillaggiomontale.it
Ecovillaggio Montale

Gli ecovillaggi, o comunque l’idea di poterli creare, si stanno diffondendo sempre di più. Uno sviluppo sostenibile è essenziale e questo è noto a tutti, ma potrebbe essere veramente questa la soluzione per un nuovo sistema dell’abitare? Vivere in case ecologiche significa massimizzare i comfort e minimizzare l’impatto. Inoltre, almeno all’Ecovillaggio Montale, sembrerebbe che ci si possa dimenticare, almeno un po’, delle bollette della luce, dell’acqua, del gas e dell’elettricità.

Continua la lettura con: CITIES: come la SOSTENIBILITÀ impatta lo sviluppo urbano

BEATRICE BARAZZETTI

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AvLo: il primo TRENO LOWCOST ad ALTA VELOCITÀ

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Credit: @entro_banda

I treni ad alta velocità sono una grande invenzione dell’ultimo secolo: sono velocissimi, comodi, hanno tutti i confort e inquinano meno degli aerei.
A tutto questo c’è un ma: sono molto costosi.

La compagnia spagnola Renfe sembra aver voluto trovare una soluzione a questo “ma”, ed è così che il 24 marzo è partito Avlo: il primo treno super rapido low cost.

AvLo: il primo TRENO LOWCOST ad ALTA VELOCITÀ

# Il primo Avlo è partito

Credit: ferrovie.info

La compagnia spagnola Renfe ha nuovamente lanciato il treno low-cost Avlo, che doveva partire a Pasqua 2020 e che era stato rinviato a causa dell’emergenza sanitaria per la pandemia di COVID-19.

Alle 10.00 del 24 marzo 2021 il primo treno Avlo è partito dalla stazione di Puerta de Atocha, la stazione principale di Madrid, destinazione? Barcellona!

Per la prima volta il nome di Avlo era presente di fianco al numero di un gate e ad aspettare i passeggieri c’era un carrello per controllare le dimensioni del bagaglio.

Dopo la presentazione, alle 11.00 il treno di prova è partito al binario 4: i passeggieri a bordo erano 50 e i giornalisti sono stati invitati a provare personalmente il nuovo treno low cost che comincerà a circolare ufficialmente il 23 giugno.

Quello di oggi è uno dei cinque treni della serie 112 ristrutturati per avviare questo servizio commerciale che copre Madrid-Saragozza-Barcellona-Figueras.

L’alta velocità ferroviaria spagnola “a basso costo” partirà con quattro corse giornaliere tra Madrid e Barcellona, ​​espandibili in base alla domanda.

Come scrive la compagnia sul sito, si parte da un nuovo concetto di viaggio: “viaggiare con tutti i confort al prezzo migliore”. Ad accompagnare questa idea ci sono anche i nuovi colori: viola, azzurro e arancione all’esterno; bianco e arancio all’interno.

# Da Madrid a Barcellona con 7 euro

Credit: ferrovie.info

Ma quanto costa un viaggio diretto da Madrid a Barcellona? I prezzi dei treni a 300km/h partono da 7 euro e proprio per questi prezzi Avlo ha già venduto 200.000 biglietti che consentono di viaggiare tra le due città spagnole.

Il prezzo base include una valigia da cabina gratuita come in aereo e una borsetta.

La vendita dei biglietti è gestita attraverso un sistema dinamico e nuovo che offre in ogni momento il miglior prezzo disponibile per il viaggio che si sta cercando.

Sul prezzo base, il cliente può aggiungere servizi aggiuntivi come selezione del posto, modifiche o cancellazioni e bagaglio aggiuntivo.

I bambini viaggeranno per 5 euro e sono previsti sconti anche per famiglie numerose.

# I servizi all’interno di Avlo

Credit: mobilita.org

I treni Avlo offrono distributori automatici in diversi punti del treno e continueranno a offrire la connessione Wi-Fi a bordo e la piattaforma di contenuti Play Renfe.

I sedili con tappi e i nuovi rivestimenti in colori chiari si differenziano da tutti gli altri treni di Renfe, che possiede già altri 4 tipi di treni ad alta velocità.

Per il nuovo servizio Avlo, l’intero treno è stato unificato in classe economica, guadagnando così il 20% di capacità, fino a 438 posti.

Che sia arrivato il momento di creare un treno ad altà velocità lowcost anche in Italia?

Continua la lettura con: Il VIAGGIO in TRENO più LUNGO partendo DA MILANO

ARIANNA BOTTINI

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Il colore della sfortuna: perché in teatro il VIOLA porta male?

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Credits: https://palermo.gds.it/

Frutto della fusione di due opposti: il rosso, colore caldo associato al fuoco e alla passione, ed il blu, colore freddo che ricorda il ghiaccio, l’acqua e il cielo. Il viola è un colore unico che richiama alla spiritualità e favorisce il collegamento con la nostra parte più profonda e mistica. Nel mondo dello spettacolo, però, si dice che indossare questo colore porti sfortuna, anche se pochi conoscono il fondamento storico di questa antica superstizione. Per scoprire le ragioni di questa scaramanzia, dobbiamo quindi andare a ritroso nel tempo e ripercorrere la storia di questo misterioso e affascinante colore.

Il colore della sfortuna: perché in teatro il viola porta male?

# L’antica storia del colore viola

credits: storicang.it

La storia del viola è antichissima. Nella sua sfumatura del porpora, questo pigmento veniva prodotto dai Fenici già 3.600 anni fa e contribuì non poco alla loro ricchezza e alla loro fama di commercianti. Nell’antichità la porpora, chiamata anche viola imperiale, era prodotta a partire dal muco delle lumache di mare ed era molto costosa. Per questo motivo i tessuti viola furono associati all’idea di ricchezza, potere e prestigio e il porpora diventò il colore della Chiesa e della nobiltà.  

È solo nel 1856 che il viola comincia ad essere prodotto sinteticamente, grazie alla scoperta casuale del chimico inglese William Henry Perkin. Nel tentativo di estrarre il chinino, un farmaco per combattere la malaria, Perkin produsse una sostanza nerastra e appiccicosa in grado di colorare i tessuti di viola. Non era la cura da lui sperata, ma si rivelò comunque un’invenzione straordinaria, capace di rivoluzionare l’industria, la moda e addirittura la società, dato che fino ad allora solo le classi superiori potevano permettersi vestiti colorati con tinte naturali.

# Il colore dell’anima

credits: panorama.it

Il viola è tradizionalmente associato al mistero, alla mistica, all’inconscio, al sogno e alla magia. Nasce dalla mescolanza di due opposti, il rosso e il blu, e rappresenta la sintesi tra questi due colori, l’irruenza del rosso e la profondità del blu. Il viola è la congiunzione degli opposti, un colore, come affermava Jung, tra l’umano e il divino e proprio per questo fin dai tempi antichi è stato associato alla mistica e alla spiritualità.

Il viola è anche il colore della meditazione e di tutto ciò che favorisce il collegamento con la nostra parte più profonda e divina. Era viola la Purple Rain di Prince così come sono viola, nella mitologia, gli unicorni più rari e magici.

# Allora perché a teatro il viola porta male?

 

Come abbiamo visto, il viola è il colore della Chiesa, in particolare il colore che indossano i preti nella Quaresima, periodo durante il quale in passato era assolutamente proibita qualunque forma di spettacolo teatrale.

Nel Medioevo, infatti, durante i 40 giorni precedenti la resurrezione di Cristo, erano vietati tutti i tipi di rappresentazioni teatrali e spettacoli pubblici.

Se durante questo periodo si organizzavano degli spettacoli vedere apparire qualcuno vestito di viola voleva significare quasi sempre che era un prete e che avrebbe provveduto a far chiudere al più presto il locale. 

Da allora il colore viola divenne odiato dagli artisti e vietato in teatro e anche se oggi questa usanza è decaduta, la superstizione è rimasta e pochi artisti si avventurerebbero sul palco teatrale vestiti di viola.

Continua la lettura con: Il “paese più SFORTUNATO d’Italia”

LAURA COSTANTIN

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Il PAESE DELL’HINTERLAND dove le CASE costano MENO di 1.000 euro al metro quadro

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Credits: www.malpensa24.it

Milano è ricca di opportunità. Ed è anche per questo che in molti la scelgono come casa. Ma si sa, comprare un immobile nel suo comune non è alla portata di tutti.

Però, esiste un paese dell’hinterland in cui il prezzo al metro quadro è piuttosto basso. Di quale comune si tratta?

Il PAESE DELL’HINTERLAND dove le CASE costano MENO di 1.000 euro al metro quadro

# A Turbigo le case costano 914 € per metro quadro


Secondo gli ultimi aggiornamenti di Febbraio 2021, è stato il comune di Milano a registrare il prezzo più alto per gli immobili in vendita nell’intera area metropolitana. Pensate, il prezzo medio è risultato di 4.747 € per metro quadro.

Ma qual è il paese dell’hinterland di Milano in cui conviene di più comprare casa? Con i suoi 7.164 abitanti, è il comune di Turbigo a far registrare il prezzo più basso, con una media di 914 € per metro quadro.

Certo, Turbigo non è proprio dietro l’angolo: si trova a circa 48 km dal centro di Milano. Ma, oltre ad offrire un prezzo davvero competitivo per le sue case, fa parte dei comuni consorziati del Parco Lombardo della Valle del Ticino e regala molte attrazioni, sia per i turisti che per i suoi abitanti. Vediamone alcune. 

# Il Castello Visconteo

Credits: @maryjane3006 IG

Una struttura quadrangolare, in ciottoli di fiume, pietra squadrata e mattoni che risale al IX secolo. Deve il suo nome allo stemma dei Visconti riprodotto sulla torre intorno alla quale è stato edificato.

Purtroppo, trattandosi di una residenza privata, non è visitabile. Ma dal suo terrazzamento si gode di un bellissimo panorama su tutto il paese e sul parco circostante, l’unica area verde al centro di Turbigo che ospita moltissimi animali selvatici, dai picchi rossi, ai ghiri e alle lepri.

# La Chiesa dei Santi Cosma e Damiano

Credits: mapio.net

È uno dei monumenti più significativi di Turbigo. Probabilmente eretta su un’altra chiesa, la sua architettura si ispira alla Chiesa del Gesù di Roma. Ma, alle spalle del settecentesco altare maggiore, si può osservare una botola, l’accesso alla cripta dei frati, con una serie di passaggi sotterranei ormai murati.

Purtroppo, delle 4 cappelle originarie, è giunta a noi solo la cappella del Crocifisso.

# Il Palazzo De Cristoforis Gray

Credits: @antonella_d_1976 IG

Situato nei pressi della riva sinistra del Naviglio Grande, è l’unione di una villa settecentesca con un edificio cinquecentesco, entrambi prospettati sulla medesima corte.

Questo palazzo è attualmente di proprietà comunale ed è la sede municipale.

# Il Ponte Tibetano

Credits: @federica.salvaggio_89_ IG

Nel parco lombardo delle Valle del Ticino, proprio all’altezza di Turbigo, si trova un piccolo ponte tibetano. Lungo circa 70 metri e alto 8.

Immerso nel bosco, costeggia le sponde del Fiume Azzurro e permette di ammirare le bellezze di un luogo tranquillo.

Continua la lettura con: CASE a MILANO: come si stanno MUOVENDO i PREZZI, zona per zona

ALESSIA LONATI

Leggi anche: Chi è Gianluigi Paragone, il candidato sindaco di Milano con nostalgia di un posto in Rai (che bersaglia in Parlamento)

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I TRAM di Milano diventano OPERE d’ARTE

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Credits: travelglobe.it i tram diventano opere d'arte

Per tutto il mese di marzo, il tram di Milano della linea 14 è diventato, e lo sarà ancora per pochi giorni, una vera e propria opera d’arte a cielo aperto. L’iniziativa parte da una produttrice di mele altoatesine, Marlene, che per festeggiare i suoi 25 anni di attività, ha deciso di lanciare un Contest digitale. Il Contest consisteva nell’inviare delle immagini che rappresentassero l’azienda, le vincitrici sono poi diventate i nuovi soggetti della campagna pubblicitaria di Marlene. Alcune sono vere opere d’arte che colorano, nel caso di Milano, i tram della città.

I TRAM di Milano diventano OPERE d’ARTE

# La campagna pubblicitaria di Marlene

Credits: freshplaza.it
tram Milano

Sono arrivate oltre 6 mila immagini da 36 paesi di tutto il mondo a Marlene. L’azienda voleva trovare soggetti della campagna che facessero capire il gusto e la qualità del frutto che produce. Probabilmente ha fatto molto di più, considerando che oltre a catturare l’attenzione di probabili compratori ha colorato la città di Milano. Sono, infatti, i vivaci colori della natura a spiccare. La campagna pubblicitaria non si limita solo a questo, anzi è una campagna internazionale concentrata su TV, social e stampa; tuttavia l’azienda ha deciso di scegliere Milano per una così grande sponsorizzazione come quella sui tram. Ma perché proprio questa città? “Abbiamo deciso di farlo in Italia in quanto mercato principale delle mele Marlene, e in particolare a Milano, che ha sofferto molto per la pandemia. Abbiamo voluto con quest’azione dare il nostro contributo per rendere più colorata la città e riconoscere all’arte un ruolo prioritario”, dice Hannes Tauber, responsabile marketing del Consorzio VOG.

Marlene, quindi, ha scelto di regalare un po’ di gioia e vivacità alla città attraverso un museo a cielo aperto itinerante, opere d’arte sulle ruote.

# Alcune tra le opere

Tra le opere scelte troviamo sicuramente la “ninfa Marlene”, vincitrice in assoluto, di Francesca Cito. Questa è diventata il nuovo volto delle mele altoatesine, infatti è possibile trovare l’opera anche sul bollino della mela e nei packaging in commercio.

Credits: @marleneitalia
Immagine vincitrice contest

6000 sono state le immagini inviate e 25 quelle selezionate, tra quest’ultime c’è anche quella dell’artista milanese Laura Tavazzi che si intitola “un dolce abbraccio”.

Credits: @lauratavazzi
Un dolce abbraccio

Ma i disegni non sono giunti solo dall’Italia. Un esempio è “i colori di Marlene” di Marian Fernández Prado dalla Spagna; che con le forme e i colori ha voluto rappresentare la natura dei luoghi in cui la mela viene raccolta.

Credits: @marleneitalia
I colori di Marlene

Fonti: travelglobe.it

Continua la lettura con: I 5 TRAM più curiosi del MONDO

BEATRICE BARAZZETTI

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La metropolitana più stretta del mondo nello stato “fantasma”

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credits: forumfisher.ru

L’Abkhazia, o Abcasia in italiano, è un territorio molto particolare che custodisce interessanti curiosità e rarità, come la linea metropolitana più stretta del mondo. Si trova nella parte occidentale della Georgia, sul Mar Nero, ed ha una storia davvero particolare. Scopriamo insieme quali sono le caratteristiche della metropolitana più piccola del mondo e dello “stato” che la ospita.

La metropolitana più stretta del mondo nello stato “fantasma”

# Il Paese conteso che rivendica la propria autonomia

credits: emerging-europe.com

L’Abkhazia è una specie di Stato fantasma. È una regione della Georgia che però, di fatto, si è proclamata indipendente con il nome di Repubblica di Abkhazia, grazie all’appoggio della Russia. Dopo diversi scontri armati tra il governo georgiano e gli indipendentisti, l’Abkhazia è in realtà uno stato ancora conteso. Il territorio continua ad essere rivendicato dalla Georgia, con cui però i rapporti sono quasi nulli, dopo l’accordo di cessate il fuoco firmato nel 2008.

La Repubblica viene riconosciuta indipendente dalla Russia, oltre che da qualche altro Stato, e sopravvive grazie al suo sostegno militare ed economico. Dalla firma dell’accordo, inoltre, il territorio vive sotto la tutela di 200 osservatori militari dell’Unione Europea, ma ciò non toglie che l’Abkhazia sia considerata da molti uno stato fantoccio della Russia.

# I tropici dell’ex Unione Sovietica: la bellezza mozzafiato dei paesaggi dell’Abkhazia

credits: tam.gde.nadia IG

La regione è caratterizzata da una morfologia molto particolare, da un lato si possono trovare le cime montuose, che coprono il 75% della superficie totale, mentre dall’altro si trova la costa, che ospita la maggior parte degli insediamenti. Per l’incredibile bellezza del panorama, l’Abkhazia è anche conosciuta come “i tropici dell’ex Unione Sovietica”.

Ma oltre all’incanto della zona costiera, questo stato custodisce anche numerose grotte, tra le più profonde ed estese del mondo. Ed è proprio in questo contesto che si incontra la piccola linea ferroviaria.

# Le grotte così profonde da aver bisogno di una linea ferroviaria

credits: evamont IG

La grotta più accessibile è New Athos, situata sotto un monastero, meta di molti turisti per la vista mozzafiato che offre. L’enorme cavità carsica, di un volume di circa 1milione di metri cubi e di una lunghezza di 1900 metri, è posizionata così all’interno della montagna che è necessario prendere un mezzo di trasporto sotterraneo per accedervi. Stalattiti, stalagmiti, cascate rocciose e piccoli laghi, insomma queste grotte nascondono un vero e proprio mondo sotterraneo.

# La strettissima metropolitana che permette di visitare le grotte di New Athos

credits: forumfisher.ru

La piccola metropolitana è la più stretta del mondo e prende il nome delle grotte: New Athos. È composta da un unico binario elettrificato e da un tunnel veramente strettissimo.

La linea è stata inaugurata nel 1975, è lunga 1,3 km e ha solo tre stazioni. La stazione di ingresso serve per portare i turisti ad una piccola fermata situata all’interno della montagna, dove i passeggeri hanno accesso al percorso pedonale per visitare le grotte. Mentre la terza stazione serve, una volta finito il tour, a riportare i turisti alla stazione d’entrata.

Continua a leggere: La METROPOLITANA più PROFONDA del MONDO: l’unica che non ha nomi di luoghi alle stazioni 

CHIARA BARONE

copyright milanocittastato.it

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Tresigallo, la “CITTÀ METAFISICA” progettata per meravigliare il mondo

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Credits: @fiorla71 città ideale

Negli anni ’30 del Novecento si inizia a ipotizzare la costruzione di un vera e propria “città ideale”. La scelta cadde su Tresigallo, tra l’Appennino e l’Adriatico. La città utopica si trova a metà strada tra Ferrara e le Valli di Comacchio ed è stata costruita a partire da un sogno di Edmondo Rossoni. Costui era Ministro dell’Agricoltura, nonché cittadino di Tresigallo, e nel momento in cui si rischiava l’abbandono della città decise di trasformarla in quella ideale.

 

Tresigallo, la “CITTÀ METAFISICA” progettata per meravigliare il mondo

# Tra geometria e sogno

Credits: @lacittàmetafisica
Tresigallo

Tresigallo inizia ad acquisire importanza dai primi anni ’30, quando viene costruita una strada per accorciare le distanze da Ferrara. Da lì inizia la sua trasformazione. Palazzi, torrette, portici di marmo, strade e piazze cominciano a riempire la città che diventa testimone del razionalismo italiano. Una geometria talmente perfetta che camminare per le strade di Tresigallo diventa un’esperienza felice e unica, quasi un sogno. La città è esempio rampante dell’applicazione delle teorie tedesche della “città nuova”, quelle sviluppatasi a cavallo tra le due guerre, ed è considerata come unica tra le città di nuova fondazione. Tresigallo è anche la sola città di fondazione ad essere riconosciuta come città d’arte.

Nella prima metà del Novecento Tresigallo era quindi diventato esempio della modernità e del razionalismo e pensare che invece ha origini medievali ed era uno dei più antichi centri della zona.

# Il riassetto urbano, industriale ed architettonico

Credits: tresigallocittàmetafisica.it
Tresigallo

Negli anni Tresigallo acquisisce diverse denominazioni, ma è sicuramente conosciuta da tutti come “città metafisica” o , anche se meno comunemente, “città di marmo”. Si è detto che è nata da un sogno di Edmondo Rossoni, ma di certo non è partito tutto da una semplice “pazzia” di una singola persona. Con un riassetto urbano, industriale ed architettonico, si voleva creare una relazione tra abitanti e territorio, ma si era proiettati anche verso uno sviluppo lavorativo. Creare nuove risorse, opportunità, maggiore ricchezza e benessere, erano questi i veri obiettivi. Ed è così che è nata la città perfettamente lineare e geometrica che è.

Credits: @strega_ransie
Tresigallo

La piazza della Rivoluzione a forma di “D”, il loggiato della Chiesa, l’Ospedale, l’entrata del campo sportivo in marmo, i molti servizi pubblici e le architetture lineari e ordinate sono la prova di come si voleva una città nel XX secolo, quale sarebbe la nostra città ideale, quella del XXI secolo?

Continua la lettura con: L’ATLANTIDE italiana esiste davvero: la città sommersa nel Tirreno

BEATRICE BARAZZETTI

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Venezia: la “STAZIONE DELLE MERAVIGLIE” è diventata meta di sbandati e di scambisti

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Ricordo benissimo come vent’anni fa sono cominciati ad apparire, per le strade della Riviera del Brenta, i cartelli che indicavano le stazioni SFMR. Con grande curiosità, e con i mezzi d’informazione del tempo, scoprivo che dieci anni prima era partito un progetto regionale di tutto rispetto. Questo prometteva la realizzazione del sistema ferroviario metropolitano regionale del Veneto.

Venezia: la “STAZIONE DELLE MERAVIGLIE” è diventata meta di sbandati e di scambisti

# SFMR: Il Sistema Ferroviario Metropolitano Regionale

L’ambizioso progetto voleva collegare tutto il Veneto con bus, auto e ferrovie in un unico mosaico di mobilità funzionale. Un treno ogni quindici minuti. Una rete integrata di parcheggi vicino alle stazioni. Fermate dei bus cittadini e provinciali pronti a fare la staffetta con i Minuetto, i Vivalto, i Pop e i Rock per portare tutti quasi ovunque in tempi umani.

Nel 1990, il progetto fu approvato dalla allora Giunta Regionale, con un costo preventivato di 6 miliardi di lire. Ne è stato forse speso uno, fino ad oggi, tutto per strade, cavalcavia, eliminazione di qualche passaggio a livello e poco più.

# Venezia Porta Ovest: da fiore all’occhiello a cattedrale nel deserto

Chi vive ad Oriago, frazione del comune di Mira, confinante con il comune di Venezia dal lato Ovest, lo sa bene.

La storica linea ferroviaria che collega Adria (Rovigo) a Venezia, serve da tempi remoti il paese, grazie alla sua stazione “centrale” (si parla di un paese che conta 11000 abitanti). La costruzione della Stazione Venezia Porta Ovest, a 2 minuti in macchina da quella di Oriago, fa parte del progetto SFMR (Sistema Ferroviario Metropolitano Regionale).

La stazione di Venezia Porta Ovest ad Oriago di Mira

Dal 2002 al 2008 sono stati spesi oltre 30 milioni di euro per questo posto e per la linea Mestre – Adria. La stazione doveva servire per disincentivare l’uso delle auto e portare turisti a Venezia dalla Riviera del Brenta. Per questo erano stati comprati nuovi treni elettrici, erano stati costruiti diversi sottopassi, era stata elettrificata parte della linea. Sono inoltre ancora in corso investimenti per 20 milioni di euro, atti a rendere sicura la linea a binario unico.

Ma di treni ogni 15 minuti e servizio bus pronto ad aspettarti al parcheggio, chi vive da queste parti, ad oggi ne ha solo sentito parlare. Tabella dei treni alla mano, chi arriva in stazione e deve dirigersi a Venezia, se vede passare il treno, fa prima ad ingranare la retro e andarci in macchina. La frequenza, anziché di un treno ogni quindici minuti, parla chiaramente, in più fasce giornaliere, di un treno all’ora.

Il parcheggio con oltre 700 posti auto è spesso vuoto, pieno di cartacce ed erba. Delle attività commerciali preventivate, nemmeno l’ombra.

# Parcheggio meta di scambisti e voyeur

E così, quella stazione che doveva essere il fiore all’occhiello per la rinascita economica di Mira e Oriago è da anni meta di sbandati, scambisti del sesso, voyeur e nomadi.

Il parcheggio è famoso al punto che lo si trova nei siti “di settore” come uno degli hot spot classici, in zona, per la camporella.

Sono famosi alcuni episodi di cronaca locale risalenti a pochi anni fa, che parlano di scambisti e voyeur in azione nel parcheggio. Sembra che la sua fama sia dovuta alle varie citazioni presenti in alcuni siti e forum inequivocabili, come trovacamporella.com, Placesforlove.com, CarSex e via dicendo. “Enorme parcheggio della stazione con moltissime zone buie, gira parecchia gente la sera per il cruising”. “Ci vado ogni sera e mi è capitato di trovare coppie… Un paio di volte pure un trans… Venite numerosi!”. “Carino e spazioso”, sono solo alcune delle “recensioni” che si è conquistato il parcheggio con il passare del tempo.

# Il sindaco di Mira denuncia la cosa

Tutto ciò non lascia ovviamente indifferente, oltre ai cittadini, il sindaco di Mira Marco Dori: “Ci troviamo di fronte a una vera e propria cattedrale nel deserto. La stazione Porta Ovest è aperta ma i problemi di degrado sono sempre in agguato visto che l’area parcheggio è semivuota. La Regione riprenda in mano il progetto Sfmr abortito, o almeno i tratti realizzati, con grande dispendio di denaro pubblico. E li valorizzi“.

L’unica risposta alla denuncia del sindaco Dori, assieme ad amministrazione locale e all’assessorato regionale ai trasporti, giunge da Sistemi Territoriali. Il suo presidente Gianmichele Gambato ammette il problema ma sostiene di non essere il soggetto indicato a dare risposte. “Certo”, dice Gambato, “l’inutilizzo di questa stazione ci costringe ad affrontare continuamente problemi di gestione della sicurezza e di manutenzione. Come Sistemi Territoriali ci è stata data in gestione questa struttura e noi facciamo il nostro meglio per farla funzionare”.

Ad oggi, nella pratica, la situazione è ancora la stessa di tre anni fa.

Il parcheggio della Stazione Venezia Porta Ovest, meta di scambisti e di voyeur

Credits: nuovavenezia.it

Continua la lettura con Le STAZIONI ABBANDONATE o TRASFORMATE di Milano

LUCIO BARDELLE

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La CASA VOLANTE: la villetta che si alza per vedere il MARE

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Credit: @forgotten_architecture
Andate a vedere una casa, è molto bella e spaziosa, ha tutti i confort che cercavate ma manca una cosa: non si vede il mare.
Qui, per il 99% delle persone, si aprono due scenari: prendere comunque la casa nonostante non si veda il mare oppure cercarne un’altra.
 
Ma manca l’1%, che in questo caso si chiama Annunzio Lagomarsini, che per vedere il mare ha trovato un’altra soluzione: alzare la casa.
“Ho continuato a costruire fino a quando non ho scorto il mare. A quel punto mi sono fermato”.

La CASA VOLANTE: la villetta che si alza per vedere il MARE

# L’idea di costruire una casa volante da solo

Credit: lacasavolante-lagomarsini.com
 
Quando si pensa ad una casa volante la nostra mente va automaticamente molto lontano, a giovani geni americani che segnano le tappe del futuro.
Per questo volta però, non bisognare andare così lontano.
 
Ci troviamo a La Spezia e il genio è Annunzio Lagomarsini, un costruttore edile in pensione che a colpi di ingegneria e idee geniali è riuscito a creare il suo sogno.
 
Per costruire la casa volante sono serviti 7 anni, dal 1987 al 1994, un tempo breve se si pensa che il signor Lagomarsini ha creato la casa interamente da solo e con una grave invalidità alle mani.
Proprio per l’incidente alle mani ha dovuto creare attrezzi e strumenti di lavoro fatti su misura.
 
Sembra impossibile ma la casa non ha alcun progetto cartaceo, il suo creatore ha infatti sempre preferito vedere le sue idee costruendole, senza una fase di progettazione.
 

# La struttura della casa volante

Credit: @forgotten_architecture

La casa volante è una villetta di 110 m2 disposti su due piani, comprendente due grandi terrazze.

I materiali utilizzati per la costruzione sono per la maggior parte di recupero: putrelle, pistoni, centraline, compressori e bulloni sono ricavati da vecchie industrie e sono pochi i pezzi della casa realizzati su misura.
 

La villetta, come si può vedere, non ha le classiche fondamenta, ma poggia su una struttura “a forbice” senza perno centrale alta 4,20 metri.

Complessivamente, nel momento della sua massima sospensione, la casa è alta 13,50 metri.

Sollevare una casa non è facile: questa struttura di ferro deve issare infatti 1050 quintali ogni volta, eppure sembra che l’inventore abbia trovato il modo corretto per evitare ribaltamenti.

# Il segreto della casa

Credit: lacasavolante-lagomarsini.com

Questa casa di per sè già straordinaria ha un segreto: ruota per far entrare il sole.

Come disse Annunzio Lagomarsini in un’intervista: “perchè devo essere io a seguire il sole e non farlo fare alla casa?”.

La rotazione che compie su se stessa arriva sino a 360˚, impiegando 45 minuti per compiere il giro completo.

La casa è capace di alzarsi e abbassarsi, camminare su rotaie e persino curvare e tutti questi movimenti vengono controllati da un solo pannello di comando elettrico.

Perché fare una casa che si muove? Per inseguire la luce del Sole così da farla entrare sempre nell’abitazione.

# La casa volante oggi

Oggi la casa volante è in stato di riposo, gli ingranaggi non funzionano più e, data la morte del suo creatore e l’assenza di un progetto cartaceo, non è possibile brevettarla.

Questo edificio rimane però la testimonianza di un’idea unica, realizzata da un personaggio altrettanto singolare che ha creato con le sue mani il suo sogno più grande.

Continua la lettura con: Il PALAZZO delle BOLLE: storia e immagini della casa più COSTOSA e DESIDERATA del mondo

ARIANNA BOTTINI

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L’avanguardismo della FONTANA DELLE QUATTRO STAGIONI di CityLife

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Credits: @mana_visual_art IG

Milano è sempre stata innamorata dell’acqua. Anche se non si affaccia sul mare, basta pensare a quanti sono i ponti costruiti sopra i fiumi. Per non parlare di quelli che, ancora, vivono nel sottosuolo. Ma la rete idrica accresce anche la bellezza architettonica di una città e le fontane milanesi ne sono un esempio.

Da quella in largo Cairoli all’ingresso del Castello Sforzesco, fino alla storica di piazza Fontana. Sicuramente, rappresentano delle belle scenografie da fotografare e postare sui Social e quella di cui vogliamo parlare oggi non fa eccezione. Si tratta della Fontana delle Quattro Stagioni, nel centro di Piazzale Giulio Cesare.

L’avanguardismo della FONTANA DELLE QUATTRO STAGIONI di CityLife

# Il suo scopo? Raccogliere l’acqua che riempiva la depressione del piazzale durante i temporali

Credits: Angelo Iannaccone

Renzo Gerla fu un architetto di Milano noto per le sue grandi opere e per le ristrutturazioni che compié dagli anni 20 agli anni 60 del secolo scorso. Uno dei suoi primi progetti fu proprio la Fontana delle Quattro Stagioni, in Piazzale Giulio Cesare.

Ma perché realizzarla? Lo scopo era quello di costruire una fontana nella depressione del piazzale che, durante i temporali, si riempiva d’acqua.

E così, lavorando giorno e notte, la fontana venne ultimata nei primi mesi del 1927 e fu inaugurata il 12 aprile del medesimo anno, a ridosso dell’apertura della Fiera Campionaria di Milano. È sorprendente come, già all’inizio, gli impianti idraulici fossero a ricircolo delle acque, predisposti in contemporanea con l’illuminazione e i giochi d’acqua. Una soluzione avveniristica per i tempi. 

# Il getto raggiunge gli otto metri di altezza

Credits: @virtualedo IG

Pur risalendo al 1927, la Fontana delle Quattro Stagioni si inserisce perfettamente all’interno del polo fieristico di Milano. E, nonostante i numerosi interventi di ammodernamento architettonico, l’opera non ha perso la sua struttura originaria.

Infatti, la fontana, in calcestruzzo ricoperta di pietra di Sarnico, è da sempre costituita da un ampio bacino orizzontale lungo 82 metri e largo 18, diviso in tre vasche comunicanti. Quella centrale è rialzata di tre gradini e contiene un’isoletta di roccia naturale ricoperta di muschio: qui, 48 getti d’acqua disposti in circolo riescono a creare un effetto spumeggiante, raggiungendo anche gli 8 metri di altezza. Inoltre, intorno al perimetro della vasca, sono disposti 60 zampilli che, orientati verso il centro, completano i giochi d’acqua.

# Attraverso la mitologia classica, le statue simboleggiano le quattro stagioni

Credits: @paolomaggioni82 IG

Lungo il bordo della Fontana delle Quattro Stagioni sono ricavate alcune fioriere, interrotte da 18 piramidi, 16 sfere, 20 pigne e 4 statue.

Che cosa rappresentano le 4 statue in pietra vicentina? Sono Autunno, Inverno, Primavera ed Estate. Infatti, attraverso simbologie legate alla mitologia classica, raffigurano proprio le quattro stagioni.

Purtroppo, la loro storia non è stata semplice: inizialmente realizzate da un piccolo scultore di Vicenza, vennero poi distrutte nel bombardamento degli alleati del 1943. Quindi, è allo scultore Eros Pellini che si deve la loro bellezza attuale.

# Una fontana del Novecento che si colloca perfettamente nel contesto di avanguardismo architettonico di City Life

Credits: @mana_visual_art IG
 

Oggi, non si può non rimanere incantanti dall’imponenza e dallo spettacolo offerti dalla Fontana delle Quattro Stagioni. Un’opera che si colloca in un’atmosfera di grande modernità: infatti, l’ex quartiere fieristico è oggetto di riqualificazioni e ristrutturazioni, con anche l’edificazione di case, uffici e nuovi centri commerciali.

Eppure, la Fontana delle Quattro Stagioni, grazie al suo inserimento nel progetto di trasformazione del quartiere, non stona con quello che è lo sfondo di avanguardismo architettonico.

Anzi, durante le ore serali, la fontana offre uno spettacolo davvero bellissimo ed unico grazie ai colori che si alternano e cambiano a seconda delle coreografie dei getti d’acqua.

Fonte: www.fontanedimilano.it

Continua la lettura con: Il MISTERO IRRISOLTO della FONTANA di Piazza Grandi

ALESSIA LONATI

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Le stazioni abbandonate o trasformate di Milano

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Stazione Bullona

Alla fine del XIX secolo, nel pieno dello sviluppo delle infrastrutture, Milano era già il punto di incontro fra le linee ferroviarie Nord-Sud ed Est-Ovest. In sostanza, era il crocevia principale di quasi tutta la rete ferroviaria: un malfunzionamento nella sua rete avrebbe potuto compromettere quasi tutto il Settentrione. Inoltre, bisogna considerare la presenza di gruppi industriali del settore, come le note acciaierie Breda, nate e sviluppate a Milano.

In un lasso di tempo limitato, il mondo dei trasporti progredì di giorno in giorno. E così l’ubicazione delle stazioni mutò più volte, sia per il complessivo riassetto del sistema ferroviario, sia per l’avvicendarsi delle composizioni societarie di gestione del traffico merci e passeggeri che avevano incentrato il loro focus economico su Milano.

Questo è il motivo per cui oggi il capoluogo lombardo conta un gran numero di scali, utilizzati da Trenitalia o dai treni del trasporto urbano. E, come in ogni grande città, anche i binari dei treni hanno subito varie trasformazioni e restyling, più che per i percorsi, soprattutto per le stazioni. Alcune sono state trasformate, altre riorganizzate sia nel proprio traffico che dal punto di vista architettonico, altre ancora sono state letteralmente abbandonate

Le STAZIONI ABBANDONATE o TRASFORMATE di Milano

# Porta Romana e le sue trasformazioni

Credits: www.arcgis.com

Lo scalo merci di Porta Romana aprì nel 1896 e, negli anni, è stato ampiamente modificato. In origine, l’area stazione aveva un collegamento con Corso Lodi tramite un ponticello, eliminato nel 1938. Inoltre, prima i binari erano quattro, ossia il doppio degli attuali.

Ora, all’interno del fabbricato viaggiatori in disuso ormai da ottant’anni ha trovato spazio anche un pub. E, recentemente, l’area scalo è stata venduta dal gruppo Ferrovie dello Stato per la cifra di 180 milioni al “Fondo Porta Romana”, gestito dalla holding Coima SGR. Il suo obiettivo? Trasformare l’ormai ex-stazione nel villaggio olimpico di Milano-Cortina 2026.

# Porta Nuova: la storia della prima ferrovia lombarda

Credits: www.arcgis.com

La storia della stazione di Porta Nuova o, per meglio dire, delle 3 stazioni, è molto particolare.  A differenza della prima ferrovia italiana Napoli-Portici, di progetto francese, la prima ferrovia lombarda, completata nel 1840, fu interamente progettata dall’ingegnere milanese Giulio Sarti, figura di spicco dell’imprenditoria meneghina.

Per soddisfare le necessità della linea Milano-Como, la nascente stazione della linea Milano-Monza non sarebbe stata sufficiente: pertanto si decise di costruirne una nuova in uno spazio più ampio. E, spostandosi di poche centinaia di metri, c’era la possibilità di usufruire di una grande superficie, lungo il canale della Martesana. Così si realizzò un fabbricato di grandi dimensioni, entrato in servizio nel 1850 e distaccato dalla nascente Stazione Centrale.

L’edificio originario si può ancora riconoscere nell’attuale Caserma della Guardia di Finanza, in via Melchiorre Gioia.

# Milano Bullona: la stazione sostituita da Milano Domodossola

Credits: www.pinterest.it

Era una stazione ferroviaria sulla tratta urbana Cadorna-Bovisa e il suo nome deriva da una cascina posta nelle vicinanze, in piena tradizione lombarda.

Nel 1926, si approvò la convenzione fra le Ferrovie Nord Milano e lo Stato, che sancì l’elettrificazione delle linee ferroviarie. Ma non solo: mise nero su bianco l’impegno da parte di FNM a progettare e costruire una tratta che servisse la vecchia Fiera Campionaria, nonché Corso Sempione.

La fermata constava di due binari centrali serviti da banchine esterne, poste ad un livello ribassato rispetto all’adiacente piano stradale. Tuttavia, Milano Bullona è stata dismessa il 18 maggio 2003 e sostituita dalla stazione di Milano Domodossola, posta ad alcune centinaia di metri più a sud.

# Milano Ortica: la stazione dismessa a seguito del riassetto totale del nodo ferroviario di Milano

Credits: www.pinterest.it

La stazione della zona di Lambrate fu uno scalo ferroviario della linea Milano-Venezia rimasto in esercizio fino agli anni ’30.

La ferrovia segnava il primo isolamento della località Cavriano dal successivo sviluppo dell’Ortica e di Milano. L’impianto, sito alla progressiva chilometrica 3+686 della linea Milano-Venezia, venne attivato il 27 agosto 1906 come scalo adibito alla movimentazione delle merci. Il successivo 18 novembre venne abilitato anche al traffico passeggeri, assumendo pertanto la qualifica di stazione.

Eppure, anche questa stazione fu dismessa nel 1931 col riassetto totale del nodo ferroviario di Milano e con l’attivazione al traffico passeggeri della nuova stazione.

# Vecchia Stazione Centrale: la madre di tutte le stazioni

Credits: www.arcgis.com

Il 12 settembre del 1857 si pose con grande solennità la prima pietra della nuova stazione, che avrebbe preso il nome di Stazione Centrale. Il completamento dei lavori richiese molti anni, abbastanza da vedere l’annessione di Milano al Regno d’Italia. E così, il 10 maggio 1864, Vittorio Emanuele II inaugurò la Stazione.

Il suo obiettivo era sostituire le vecchie stazioni di testa della già citata Porta Nuova e dell’obsoleta Porta Tosa. Con la sua messa in attività fu possibile collegare fra loro tutte le linee gravitanti sul capoluogo lombardo.

Poi, nel 1931, la stazione fu chiusa a seguito dell’entrata in servizio dell’attuale stazione di Milano Centrale, posta circa 700 metri più a Nord presso piazza Duca d’Aosta. Si demolì buona parte della precedente stazione e restò in esercizio solo la parte occidentale, costituita dallo scalo merci di Porta Garibaldi e dal capolinea dei treni vicinali delle linee dirette verso Varese e che prese il nome di Milano Porta Nuova.

Proprio come gli avamposti di frontiera nel selvaggio West, gli impianti e le entrate degli scali ferroviari abbandonati ci ricordano nostalgicamente un passato che non c’è più. Quando i treni erano molto meno, si viaggiava molto più lentamente, non c’erano le facce mogie da telefonini dei viaggiatori moderni… E, soprattutto, si aveva ancora voglia di guardare dal finestrino.

Continua la lettura con: Inaugurata la STAZIONE FANTASMA: si scende dal treno e ci ritrova in MEZZO al NULLA

CARLO CHIODO

copyright milanocittastato.it

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Sul “TETTO DEL MONDO”: l’angolo di TIBET a 2 ore da Milano

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credit: siviaggia.it

Tra le vette del Nord Italia si nasconde un angolo di Tibet, un rifugio in perfetto stile tibetano. Dove si trova e che atmosfera si respira?

Sul “TETTO DEL MONDO”: l’angolo di TIBET a 2 ore da Milano

Se vorreste visitare il Tibet ma il Covid non ve lo permette, o più semplicemente è una meta troppo ambiziosa per il vostro budget, a sole due ore da Milano potrete trascorrere un soggiorno in pieno stile tibetano senza allontanarvi troppo da casa. Non solo il rifugio è costruito seguendo il tradizionale modello tibetano, ma anche l’ecosistema in cui la struttura è posizionata rievoca le elevatissime vette che hanno donato al Tibet il soprannome di “tetto del mondo”. Dove si nasconde questo angolo di Tibet a pochi chilometri da casa? Vediamolo insieme.

# Tra le vette del Passo dello Stelvio c’è un angolo di Tibet

credit: siviaggia.it

Innanzitutto occorre precisare che non è solo una struttura destinata al pernottamento, infatti il Rifugio Tibet è anche un ristorante. Posizionato a 2.800 metri di altitudine sul Passo dello Stelvio, a metà tra la Lombardia e L’Alto Adige. A questa altezza e circondato dalle bellezze montane, inutile dire che la vista panoramica è davvero mozzafiato. La notte si riposa sotto ad un cielo colmo di stelle, mentre di giorno si può prendere il sole sulla terrazza panoramica.

# Ma cosa ci fa un rifugio tibetano sulle montagne del Nord Italia?

credit: tibet-stelvio.com – Vista dal rifugio

Però a pensarci bene è proprio strano: un rifugio tibetano sulle montagne del Nord Italia. Come è nata questa struttura e soprattutto perché? Tutto è cominciato con un libro. Dopo aver letto “Sette anni in Tibet”, l’albergatore Fritz Angerer decise di contattare l’autore e i due iniziarono un rapporto epistolare che durò anni. Da questo inaspettato rapporto e dalla passione di Angerer per il Tibet venne a crearsi il rifugio, progettato interamente dal rinomato architetto Gutweniger. Erano gli anni 1959-1961 e ad oggi la struttura è rimasta come quella originale. La terrazza invece risale agli anni ’90, aggiunta per offrire ai visitatori l’opportunità di godere del meraviglioso panorama e di respirare l’aria pulita di montagna.

# Un mix di architettura tibetana e cucina altoatesina

credit: tibet-stelvio.com

L’influenza tibetana si riflette nello stile architettonico del Rifugio, ma per quanto riguarda l’atmosfera è indubbiamente altoatesina. Mentre ci si gode il panorama sulla terrazza, immaginando di essere in un rifugio sulle vette tibetane, il bar/ristorante mette a disposizione la propria cucina tipica sudtirolese, come il gulash o lo strudel di mele, e valtellinese, come ad esempio i pizzoccheri. In poche parole il rifugio è un mix di Tibet e Alto Adige, e proprio per questo motivo offre un’esperienza unica che non può essere vissuta altrove.

Perfetto per gli appassionati di Tibet ma anche per gli amanti delle escursioni, il Rifugio Tibet è la dimostrazione perfetta della capacità italiana di concretizzare i propri sogni, di qualsiasi sogno si tratti.

Fonte: tibet-stelvio.com

Leggi anche: Questo è l’HOTEL più ANTICO del MONDO: quando è nato a Milano c’erano i LONGOBARDI

ROSITA GIULIANO

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La scommessa di Roma: 500 NUOVI ALBERI. Una goccia nel mare o simbolo di una città più NATURALE?

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Il momento migliore per piantare un albero è vent’anni fa. Il secondo momento migliore è adesso. Lo diceva Confucio e Roma sta rispondendo.

Nell’ultima settimana è iniziata a Roma la posa di 500 nuovi alberi tra lecci, querce, farnie e carrubo, cespugli tipici della macchia mediterranea, come corbezzoli, ginestre, mirto, e essenze officinali come rosmarino, lavanda e salvia. L’operazione di rimboschimento riguarda il Parco regionale urbano del Pineto, gestito da RomaNatura.

La scommessa di Roma: 500 NUOVI ALBERI. Una goccia nel mare o simbolo di una città più NATURALE?

L’iniziativa è di quelle che fanno ben sperare anche se Roma è considerata una città piuttosto verde con il suo patrimonio forestale imponente. Sono circa 330mila gli alberi presenti in città, ma negli ultimi anni non sono stati svolti interventi di piantagione ordinaria in modo diffuso e sistematico nel territorio cittadino, mentre si è svolta, per prevenire pericoli alla pubblica incolumità, l’attività di abbattimento degli alberi. Ecco perché Roma ha bisogno di nuovi alberi.

Le prime piantumazioni sono iniziate in occasione della giornata di azione per il clima e sono proseguite in concomitanza con le celebrazioni per la giornata internazionale delle foreste, lanciata dall’Onu per incoraggiare i governi ad includere la riforestazione nelle loro strategie nazionali e ad aumentare la consapevolezza tra i cittadini di come le aree verdi siano un luogo di recupero e benessere. Si tratta di un’azione importante per l’ambiente e per il clima nata nell’ambito della campagna di filantropia Inspiring World 2019 insieme al Comitato Parchi per Kyoto – costituito da Federparchi – Europarc Italia, Kyoto Club e Legambiente.

# Perché piantare alberi?

Per gli esperti le ragioni sono molte e importanti. Migliorano la qualità dell’aria producendo ossigeno, aiutano a prevenire il dissesto idrogeologico, diminuiscono la temperatura urbana dai 2 agli 8 gradi, rendono le strade più fresche in estate, aumentano il benessere fisico e mentale delle persone, forniscono protezione a piante e animali arricchendo la biodiversità.

FRANCESCA SPINOLA

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