E’ partito alle 6:07 di lunedì 22 Marzo, ora di Baikonur, in Kazakistan, il WildTrackCube-SIMBA, il satellite targato Università la Sapienza di Roma, che monitorerà gli animali del Kenya dall’alto.
Lanciato in orbita SIMBA il SATELLITE ITALIANO amico degli animali
Il lancio di questo piccolo gioiello della nano tecnologia sviluppato da studenti e ricercatori del laboratorio S5Lab – Sapienza Space Systems and Space Surveillance Laboratory coordinato da Fabrizio Piergentili e Fabio Santoni della Sapienza Università di Roma, è partito questa mattina nell’ambito di un lancio organizzato dall’agenzia spaziale federale russa Roscosmos. Si tratta del primo lancio commerciale dedicato dell’agenzia Roscosmos realizzato attraverso la sua sussidiaria GK Launch Services, utilizzando un veicolo Soyuz 2.1a / Fregat per portare in orbita un gruppo di satelliti, incluso il CAS500-1 della Corea del Sud e l’italiano SIMBA.
Soyuz, che sfoggiava una nuova livrea blu e bianca, è decollata dal sito 31/6 del cosmodromo di Baikonur, in Kazakistan, quando da noi erano le 02:07. Presto, grazie al lavoro degli studenti della Sapienza e all’innovativo sistema di tracciamento che hanno realizzato, attraverso la raccolta dei dati sanitari e di localizzazione, SIMBA, permetterà di monitorare la fauna selvatica nei parchi nazionali del Kenya e di studiare il comportamento degli animali. Obiettivo ultimo è quello di identificare soluzioni per limitare i pericoli legati al loro sconfinamento, come i gravi danni alle colture.
In particolare il dispositivo sarà in grado di ricevere la posizione e i dati sanitari degli animali, dotati di un collare, e di ritrasmetterli alle stazioni di terra, dove verranno elaborati con la collaborazione delle università kenyane partecipanti.
Il progetto è stato supportato dall’Agenzia spaziale italiana (Asi) e dall’Agenzia Spaziale del Kenya nell’ambito del programma IKUNS – Italian-Kenyan University Nano-Satellites. La missione è risultata vincitrice nel 2019 del concorso internazionale “Win a free launch of 1U Cubesat on the first commercial mission of GK Launch Services”, promosso dalla International Astronautical Federation e dalla compagnia di lancio GK Launch Services.
FRANCESCA SPINOLA
Se vuoi collaborare al progetto di Milano Città Stato, scrivici su info@milanocittastato.it (oggetto: ci sono anch’io)
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
Ci sono gli anticorpi monoclonali e i vaccini, ma per combattere il Covid potremmo avere un asso nella manica.
Si chiama Molnupiravir ed è un farmaco sperimentale che potrebbe permettere ai pazienti affetti da Covid-19 di curarsi in casa.
La PASTIGLIA per curare il COVID a casa: Genova la sperimenta per prima
# Genova scelta per iniziare la sperimentazione
Genova è stata scelta insieme ad altri sei centri italiani per testare un nuovo farmaco in compressa per curare il Coronavirus.
Qui in questi giorni inizieranno i test per questo nuovo farmaco sperimentale, sempre continuando parallelamente la sperimentazione degli anticorpi monoclonali.
A fare la differenza contro questo virus potrebbe essere una pastiglia di nome Molnupiravir, un nuovo antivirale che sembra essere molto efficace.
“Se i risultati saranno positivi, potrebbe essere una delle cure da dare a casa ai pazienti con il virus”. Queste le parole di Matteo Bassetti, direttore della clinica di malattie infettive del Policlinico San Martino di Genova, sulla sua pagina Facebook.
# Il Molnupiravir
Credit: @audioramanoticias
Il Molnupiravir, in quanto compressa, potrebbe permettere ai malati di curarsi in casa.
Durante gli studi il farmaco si è dimostrato efficace: sembra riuscire ad evitare che i pazienti vadano verso una forma grave di Covid, oltre ad abbreviare la fase infettiva e ridurre rapidamente i focolai locali.
Questo permette di abbassare la carica virale e dunque la trasmissibilità.
La speranza l’infettivologo genovese è di poter iniziare la sperimentazione già nella prima settimana di aprile, così facendo si potrebbero avere le informazioni sufficienti per stabilirne la sicurezza e l’efficacia già in estate.
Secondo studi oltreoceano ci sarebbero effetti nell’immediato.
I dati presentati di uno studio americano di fase 2 (su 200 pazienti non ospedalizzati), dimostrano gli effetti positivi del farmaco dopo solo cinque giorni dalla somministrazione: la carica virale si riduce in tutti i pazienti.
# Lo studio sugli anticorpi monoclonali
Credit: Facebook Matteo Bassetti
“Ora che i monoclonali sono arrivati in tutta Italia cerchiamo di usarli. Abbiamo un’arma in più”, è così che Bassetti scrive su Facebook il 18 marzo, dimostrando l’orgoglio e la speranza per i nuovi studi.
Il primo paziente di questi studi in Liguria è stato trattato nei giorni scorsi all’Ospedale San Martino di Genova; la sperimentazione con gli anticorpi è iniziata su un un uomo di 71 anni con cardiopatia.
Bassetti spiega: “Deve essere somministrato molto precocemente entro 72 ore dalla positività del tampone o entro dieci giorni dall’esordio sintomi. Per far questo bisogna occorre a prendere il paziente a casa ovvero intercettarli precocemente. I malati candidabili a questa cura sono pazienti con più di 65 anni o con comorbidità ovvero soggetti in cui il Covid può dare una malattia più grave”.
Dopo essere stato ricoverato per un’ora, il paziente è tornato a casa.
# Una nuova speranza
L’efficacia della sperimentazione sugli anticorpi monoclonali e adesso la nuova compressa si aggiungono a tutte le armi che stiamo trovando contro il Covid-19.
“Ora abbiamo un’arma in più per le fasi iniziali dell’infezione. Una bellissima notizia”, scrive Bassetti.
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
Nei momenti di crisi come passare dalla resilienza all’antifragilità. Due storie di milanesi che ce l’hanno fatta.
La MILANO ANTIFRAGILE: due storie di MILANESI che ce l’hanno fatta
Durante i momenti di crisi è normale abbattersi e non vedere vie d’uscita. Se ai problemi ordinari se ne sommano di straordinari dovuti, come adesso, a una pandemia mondiale e dissesti finanziari correlati, è facile comprendere quanto sia importante e possa fare la differenza il modo in cui si reagisce ad essi.
# Oltre la resilienza c’è il concetto di “antifragilità”
credit: antoninoscuderi.it
Gli italiani, e in particolare i lombardi, primi e più colpiti in Europa dal coronavirus, hanno dimostrato complessivamente una resilienza ammirevole essendo stati capaci di assorbire l’urto e rialzarsi dopo la caduta. Il concetto di resilienza può però essere superato da quello di antifragilità che permette non solo di resistere e ritornare allo stesso punto di partenza ma di uscire anche migliorati da una situazione difficile attingendo in modo nuovo dalle proprie risorse. Il concetto di antifragilità è stato espresso per la prima volta nel saggio “Antifragile”di Taleb che spiega proprio come sia possibile trarre vantaggio e migliorare nelle situazioni critiche.
Di seguito vi illustriamo due storie di due milanesi antifragili, che sono riusciti a ribaltare a proprio favore le crisi che hanno attraversato, e vi spieghiamo come hanno fatto.
# Sergio Costa: 53 anni e scrittore
credit: sergio-costa.com
A cinquant’anni Sergio, capoturno da vent’anni in una multinazionale che produce olio industriale, si trova a dover affrontare inaspettatamente il mostro della depressione e degli attacchi di panico. Ogni ambito della sua vita viene stravolto e Sergio, una notte, mentre si sta recando al lavoro, arriva a pensare di compiere un gesto estremo. Purtroppo viene ritenuto inabile a svolgere la sua mansione lavorativa e viene anche licenziato. La sofferenza è lancinante ma la voglia di non arrendersi è ancora più forte e Sergio chiede aiuto a una psicoterapeuta esperta in ipnosi ericksoniana di Abbiategrasso, in provincia di Milano. Inizia un doloroso ma affascinante viaggio nei meandri della propria psiche e, seduta dopo seduta, Sergio inizia a sentirsi meglio. La sua psicoterapeuta, oltre alle canoniche sedute in studio, gli consiglia di fare lunghe passeggiate nel parco vicino a casa e di iniziare a scrivere di sé per attingere ancora meglio alle proprie risorse. Per Sergio è la svolta. Le emozioni che aveva soffocato per tutta la vita iniziano a fluire e a imprimersi sui blocchi di fogli che scrive. Ne viene fuori una vera e propria biografia che, partendo dal resoconto della propria psicoterapia, arriva a ripercorrere episodi di tutta una vita. Sergio mostra i suoi appunti alla sua psicologa che lo esorta a continuare in quanto scrivere gli sta nuovamente facendo assaporare il piacere di coltivare una passione e di avere un motivo per alzarsi la mattina. Scrivere diventa ben presto la sua ragione di vita. La terapia dopo due anni è terminata con successo e Sergio oggi sta bene. “Apri gli occhi e porta le mani alla fronte” oggi è diventato un libro venduto nelle principali librerie ed è stato anche acquisito dalla biblioteca della facoltà di psicologia dell’Università di Padova e dalla biblioteca centrale di Roma. A giugno uscirà il suo secondo libro e il terzo è in fase di editing. Silvia, figlia diciannovenne di Sergio, dalla dolorosa esperienza del padre ha appreso a sua volta l’antifragilità e da quest’anno frequenta il primo anno della facoltà di psicologia a Milano.
# Andiol Malka: 28 anni e studente in medicina
credit: catania.liveuniversity.it
Andiol nasce e cresce in Albania ma, a 18 anni, decide di emigrare per trovare migliori opportunità lavorative che gli permettano di guadagnare abbastanza per realizzare il suo sogno di studiare in qualche università europea e diventare medico. Decide di trasferirsi a Milano: purtroppo parla poco italiano e la vita da solo in una grande metropoli risulta troppo costosa. Tutto sembra volgere al peggio e il suo entusiasmo giovanile si scontra con una realtà più dura del previsto. Non riesce più a mantenersi, tuttavia, invece di tornare a casa in Albania decide di tentare negli Stati Uniti. Lavora come cameriere e cassiere risparmiando ogni singolo dollaro possibile per cinque anni. Quando arriva a lavorare come interprete in un ospedale di Boston ritrova la voglia e il coraggio di riprendere l’università. Torna in Italia e finalmente può dedicarsi a tempo pieno allo studio. Oggi Andiol, milanese d’adozione, è al quarto anno della facoltà di medicina e chirurgia a Milano e svolge il suo tirocinio formativo presso l’ospedale San Paolo.
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
Visto dal mondo orientale quello occidentale è un mondo senz’anima.
Il paradosso è che la cultura occidentale, che è nata dai classici greci che centravano ogni loro discorso sulla natura umana costituita da corpo e anima, abbia rinnegato la sua essenza. Relegando l’anima a un concetto religioso invece che filosofico e naturale.
Gli orientali non hanno una distinzione tra religione e filosofia, ma hanno creato una cultura olistica dove l’ambito spirituale è parte della filosofia e della vita quotidiana. Razionalità e anima sono insieme, tempo libero e lavoro non sono concepiti come scompartimenti stagni o attività in contrapposizione: c’è una continuità tra le diverse dimensioni dell’uomo e anche il sapere è più olistico invece che specialistico come nell’Occidente contemporaneo.
Questo determina una società che non stramba verso una supremazia di un ambito del sapere rispetto agli altri. Lo si è visto anche nella gestione dell’emergenza, dove paesi come Giappone o Corea del Sud sono riusciti a gestirla con risultati eccellenti senza rinnegare nessun principio costituzionale o dei diritti fondamentali degli individui.
Un atteggiamento più olistico verso la realtà che in Europa forse permane nei paesi del nord Europa, una sorta di animismo per cui natura e uomo sono legati e non contrapposti.
Questa crisi che sta travolgendo il mondo occidentale come nessun altro, potrebbe essere l’occasione per una nuova presa di contatto della nostra cultura con i suoi fondamenti filosofici e spirituali.
Esiste un borgo, in Spagna, che anche le guide turistiche omettono.
Si chiama Ochate ed è un borgo abbandonato dove succedono cose che non si possono spiegare: le persone spariscono, i fulmini colpiscono le chiese e luci e suoni sembrano avere vita propria.
Il paese PARANORMALE dove chi entra SPARISCE
# Il borgo rurale di Ochate
Credit: @paco_es
Ochate è un borgo ormai disabitato che si trova nel nord della Spagna, nel comune di Condado de Treviño in provincia di Burgos.
A 33 km da Miranda de Ebro e a 14 da Vitoria, Ochate non è facilmente raggiungibile.
Entrare con la macchina nel villaggio è infatti impossibile: chi si vuole avventurare in questo paesino ridotto a qualche rovina dovrà farlo a piedi.
La storia del paesino non è ben conosciuta, si sa solo che tra il XIX e il XX fu abbandonato dalla popolazione.
C’è chi dice che accadde in seguito a devastanti epidemie di vaiolo, colera, tifo eppure nei documenti storici non è mai stata trovata la conferma di questa versione.
# Il villaggio sparito
Credit: @lococonspiranoico
L’ipotesi delle epidemie non è mai stata confermata e per molti il paesino fu abbandonato perché le persone non volevano più vivere in quella zona maledetta.
Del villaggio oggi non resta quasi più niente, rimangono in piedi la torre della Chiesa di San Miguel e qualche muro ormai ridotto in rovina.
Il territorio di Ochate è diventato famoso per gli strani episodi che si sono verificati e che vanno al di là della ragione umana.
Sono stati diversi infatti i presunti fenomeni paranormali che hanno colpito questo villaggio ormai sparito.
Da qui ne deriva il nome che sembri significhi “Porta degli spiriti”.
# La porta degli spiriti
Credit: @turismodemisterio
Alla porta degli spiriti non si può andare a cuor leggero: le persone spariscono, vengono avvistate creature strane e oggetti mai visti, per non parlare di luci e suoni che sembrano avere vita propria.
Nell’aprile del 1982, il giornale Mundo Desconocido, pubblicò un articolo con una foto che ritraeva nel cielo di Ochate una grande sfera di luce.
Nonostante il dibattiti sulla veridicità della foto, la notizia si diffuse rapidamente e da allora in poi furono segnalati numero eventi paranormali.
Prima di questa importante segnalazione erano stati numerosi gli avvistamenti di sfere luminose a Ochate, le prime risalgono infatti al 1868, anno in cui venne pubblicato il primo articolo su questo argomento.
In quello stesso anno il parroco dell’epoca, Antonio Villegas Burgondo, scomparve nel nulla senza lasciare tracce e non fu mai più ritrovato.
Una leggenda narra che nel 1947 il campanile della chiesa di san Miguel fu colpito da un fulmine e che in quello stesso punto si materializzò un medaglione raffigurante una figura femminile di cui però, si è persa ogni traccia.
Negli anni successivi le persone scomparse erano così tante che le autorità locali iniziarono seriamente a preoccuparsi.
A volte il cadavere di qualche disperso veniva ritrovato bruciato sul ciglio della strada eppure nessuno riuscì mai a capire cosa stesse succedendo.
L’elenco dei misteri di Ochate potrebbe continuare per ore: tra storie di gruppi di militari avvolti dalla nebbia e dispersi per sempre e figure alte tre metri avvistate dai contadini, alla Porta degli spiriti le storie inquietanti sembrano non finire mai.
# Il borgo dove chi entra sparisce
Credit: @nova.st.es
Nessuno sa cosa sia successo e cosa succeda veramente ad Ochate.
Che siano storie inventate o fatti accaduti realmente una cosa è certa: chi va nel borgo non ci va a cuor leggero.
Le guide turistiche oggi preferiscono non mettere nei loro itinerari il borgo maledetto: si sa chi entra ma non chi esce.
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
Credits: milano.corriere.it - Rielaborazione grafica dati anagrafe del Comune di Milano
Il dato più rilevante è la perdita di abitanti dovuta allo smartworking, a chi ha scelto di lasciare definitivamente la città e ai decessi causati dalla pandemia. Negli ultimi anni è cambiata però anche la mappa demografica dei quartieri. Vediamo la situazione aggiornata.
L’anno del Covid a Milano: CALANO gli ABITANTI, AUMENTANO I SINGLE
# In un anno persi 12.000 abitanti, i residenti sono ritornati al numero registrato nel 2018
Credits: milano.corriere.it – Rielaborazione grafica dati anagrafe del Comune di Milano
Il primo dato che emerge, tra quelli determinati dalla pandemia e dalla conseguente fuga della città e decessi, è il calo dei residenti rispetto alla soglia di 1.404.431 registrata alla fine del 2019. Una crescita che sembrava non potersi fermare fino all’avvento del Covid e invece la popolazione è ritornata a quella registrata nel 2018 di 1.393.502 con una perdita di quasi 12.000 abitanti. Il professore di demografia e statistica alla Cattolica Alessandro Rosina è convinto che, complice la conclusione della fase propulsiva di Expo e la diffusione dello smartworking, la città debba effettuare un cambiamento radicale per attrarre nuovamente abitanti: “Le persone venivano a Milano perché la città offriva una serie di opportunità che non si trovavano altrove e richiedevano la presenza. Ora la città deve essere attrattiva non solo per il lavoro o lo studio, ma per qualità della vita“. Ma come è cambiata la mappa demografica in città negli ultimi anni? Ecco la situazione aggiornata.
# La zona con più residenti è Buenos Aires-Venezia con 62.347
Credits: milano.corriere.it
Analizzando nel dettaglio la mappa si nota come la zona con più abitanti sia quella di Buenos Aires-Venezia con 62.347. Ma è tutta la fascia est della città ad essere densamente popolata, partendo da Viale Monza con 29.523, poi Loreto e Padova con rispettivamente con 44.572 e 37.408. Superando la già citata zona Buenos Aires-Venezia, spingendosi più a sud abbiamo: Città Studi con 36.376 residenti, XXII Marzo con 31.720, Umbria-Molise con 22.982 e infine Lodi-Corvetto con 36.129.
# In crescita il numero di single di oltre 105.000 unità in 20 anni. La zona di Loreto con il 64,37% è quella con la concentrazione più elevata
Credits: milano.corriere.it
Un dato che fotografa un cambiamento sociale in atto da decenniè l’aumento del numero di single in città, passati da 309.216 nel 2000 a 414.342 nel 2020: +105.000 unità in 20 anni. Osservando più in profondità si scopre che la più alta percentuale di famiglie con una sola persona si trova nella zona di Loreto con il 64,37%, in crescita dell’11% rispetto al 2000. A seguire con il 63,53% l’area della Stazione Centrale, poi il Ticinese con il 62,15% e con il 62,13 la zona dei Navigli.
# Le famiglie più numerose si registrano nelle periferie, con qualche eccezione. Il Parco delle Abbazie con quasi il 13% detiene il primato in città
Credits: milano.corriere.it – Mappa famiglie numerose
Facendoun focus sulle famiglie numerose presenti a Milano non si evidenziano anomalie, infatti salvo alcune eccezioni come la zona semi-centrale di Tre Torri che registra una delle concentrazioni più alte in città con il 4,57%, le aree periferichesono quelle dove le famiglie sono composte da più persone. Il primato però spetta al sud della città con il Parco delle Abbazie che raggiunge la quota del 12,78% sul totale degli abitanti della zona.
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
Venezia è una delle città più famose al mondo. Non c’è persona che, oltreoceano come dietro casa, non abbia visto qualche scorcio di Venezia in foto, in cartolina, sui libri, o in tv. Ma c’è un posto dove Venezia dà il meglio di sé: al cinema. Scopriamo—o riscopriamo—10 film ambientati a Venezia da (di)vedere.
VENEZIA la location TOP del CINEMA MONDIALE: i 10 capolavori ambientati in laguna
Venezia è una delle città europee del cinema. Si sa. A renderla celebre non è solo il suo Festival che, nella splendida cornice del Lido regala capolavori cinematografici ogni anno, ma anche la sua suggestiva natura, quell’aria affascinantemente decadente che ha fatto innamorare i registi di tutto il mondo, di tutte le epoche. Perché Venezia non è soltanto una splendida cornice per incoronare dei film: è la location perfetta per girarli.
E così, sono più di 900 (stando a IMDb) le produzioni ambientate a Venezia, dai primi esperimenti di fine ‘800—Panorama du grand Canal pris d’un bateau–con una telecamera su una gondola lungo il Canal Grande, ai giorni nostri, con film di successo e camei in serie tv. Oggi vi segnalo 10 film ambientati a Venezia che, se non avete ancora visto, vi consiglio. Il luogo più ripreso dal cinema mondiale qui in laguna? Piazza San Marco, ovviamente.
# Spider-man: Far from Home (2019)
In questo film diretto da Jon Watts—che aveva già firmato il capitolo precedente—Peter Parker fa quello che moltissimi americani sognano di fare: va in vacanza in Europa, ritrovandosi anche a Venezia. Qui, un Elementale emerge dal Canal Grande e lo attacca, finendo col distruggere palazzi, gondole, briccole, calli e ponti. In realtà, la produttrice ha confessato di aver passato soltanto una settimana a Venezia. Le scene più “cruente” ai danni di Venezia sono state infatti girate ricreando interamente i canali e lo scorcio della città lagunare in studio.
# 007 – Casinò Royale (2006) / 007 – Dalla Russia con Amore (1963) / 007 – Moonraker: Operazione Spazio (1979)
Sembra che a James Bond piaccia Venezia. Sono ben tre i film ispirati alla saga di Ian Fleming girati in città. In “Casinò Royale” è possibile riconoscere il Sotoportego dell’Erbaria, a due passi dal ponte di Rialto, e i suggestivi palazzi del Canal Grande, uno dei quali viene fatto crollare grazie agli effetti speciali di Hollywood. Nella pellicola del ’79 invece, palazzo Pisani e Campo Santo Stefano troneggiano sul grande schermo. Leggermente diverso il caso di “Dalla Russia con Amore”: in questo caso, per risparmiare sul budget, la produzione ha preferito filmare soltanto alcune scene tra le vere calli veneziane. Tutte le altre scene sono state girate proiettando su uno schermo immagini del bacino di San Marco e dell’isola di San Giorgio Maggiore.
# C’era una Volta in America (1984)
Nella pellicola diretta da Sergio Leone, Noodles—interpretato da Robert De Niro—, Max, e gli altri personaggi si muovono tra Brooklyn e altri scenari americani dell’epoca del Proibizionismo, Parigi, e infine a Roma, e infine a Venezia. Qui, Noodles riserva alla sua Deborah un intero ristorante solo per loro: è la Sala degli Stucchi dell’Hotel Excelsior, al Lido, costruito nel 1908 e carico di quell’aura della Belle Epoque internazionale perfetta come sfondo per la storia tratta dal romanzo di H. Grey.
# The Tourist (2010)
Questo è probabilmente uno dei film recenti e ambientati a Venezia più famosi. Forse per il suo cast internazionale—Angelina Jolie, Johnny Depp, Christian De Sica, Neri Marcorè per citarne un paio—, forse per il suo genere non proprio chiaro—un film drammatico? Una commedia? Un thriller? Un giallo?—o forse per le meravigliose immagini di Venezia che regala. Tra le calli e i canali, spiccano infatti la Stazione di Santa Lucia, la Peggy Guggenheim Collection, la Biblioteca Nazionale Marciana, e l’Arsenale, per citarne alcuni.
# Il Mercante di Venezia (2004)
Elencare i luoghi riconoscibili di Venezia in questa pellicola sarebbe troppo lungo, prolisso, e inutile. Nella pellicola di Michael Radford, ispirata all’omonima opera di Shakespeare, Venezia domina le scene: i personaggi seguono le orme di quelli di Shakespeare, tra palazzi e calli veneziane. Ma, per esigenze di scena, Venezia non è l’unica a fare da sfondo alla pellicola. Tra i luoghi del film, anche il castello di Thiene, Villa Foscari, e Villa Barbarigo a Valsanzibio.
# Il Talento di Mr. Ripley (1999)
Il thriller del 1999 e diretto da Anthony Minghella, racconta la storia di Tom (Matt Damon) e della sua vita tra musica, infatuazioni, e delitti. Le bellissime location di Ischia sono certamente indimenticabili, ma la pellicola ha molti altri scorci d’Italia da regalare: Roma, Procida, l’Argentario, il teatro San Carlo a Napoli, la Chiesa della Martorana a Palermo. E, quando Tom fugge dall’investigatore che indaga su di lui, ritroviamo Venezia, dove è possibile riconoscere la Basilica della Madonna della Salute vista dall’Hotel Bauer, Punta della Dogana, e l’Isola di San Giorgio Maggiore.
# Morte a Venezia (1971)
Il film di Luchino Visconti, tratto dal romanzo di T. Mann, è ambientato nel 1911 al Lido di Venezia, dove è anche stato principalmente girato. Le scene di flashback all’interno della pellicola sono girate tra l’Austria, le Dolomiti, e il Trentino. Ma la storia del compositore Gustav von Aschenbach ha come sfondo, infatti, le strade del Lido, gli Alberoni, una delle sue estremità, e l’Hotel des Bains, uno storico albergo della città lagunare. Quest’ultimo comparirà come location anche nel prossimo film di questo elenco, Il Paziente Inglese.
# Il Paziente Inglese (1996)
È stato definito come uno dei migliori film britannici di tutti i tempi, e probabilmente è così. Vincitore di 9 premi Oscar, il Paziente Inglese è uno dei film che più ricordo della mia infanzia. L’atmosfera sofferta e i colori tiepidi delle lampade a incandescenza del periodo della Seconda Guerra Mondiale, in cui la pellicola è ambientata. Ma sono soprattutto le ambientazioni ad avere un posto nella mia memoria. Buona parte del film è stata girata tra Pisa, Siena, Arezzo, e le campagne toscane, ma non solo. Lo Shepheards Hotel del Cairo, in cui alloggia l’amante del protagonista, si trova in realtà a Venezia: è il già citato Hotel des Bains.
# Casanova (2005)
Dopo Federico Fellini nel 1976, nel 2005 è Lasse Hallström, a raccontare la storia di Casanova, uno dei veneziani più famosi al mondo, interpretato da Heath Ledger. Il seduttore si muove tra centinaia di piccole calli, affascinando e incuriosendo lo spettatore per il dedalo che è la città lagunare. Ma ci sono anche parecchi luoghi notevoli per la loro maestosità: tra i tanti, nel film compaiono piazza San Marco, Palazzo Soranzo-Van Axel, e la Basilica di Santa Maria della Salute, ovviamente accanto all’immancabile Canal Grande.
# Nikita (1990)
nikita
Il film, diretto da Luc Besson, è principalmente ambientato a Parigi, ed è qui che la maggior parte delle scene è stata girata. Nikita, la giovane protagonista ritrovatasi a ricoprire il ruolo di killer per i servizi segreti francesi, però, non rimane in Francia per tutto il film: L’agente segreto di nome Bob, con cui Nikita collabora, regala a lei e al suo uomo un soggiorno a Venezia. E, sebbene la vacanza sia soltanto una copertura meno amena per un’altra missione della donna, gli splendidi canali e palazzi veneziani non passano inosservati: nelle scene è possibile scorgere in lontananza il cimitero di San Michele, che si trova nell’omonima isola, e i canali di Cannaregio.
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
Pamukkale, che in turco significa “castello di cotone”, è uno dei siti naturali più belli del mondo. Qui la natura è riuscita a scolpire suggestive terrazze bianche di calcare e travertino lungo tutto il fianco della montagna, che sembrano ricoperte di zucchero, neveo, come suggerisce il nome, di cotone. È sicuramente una delle mete più visitate in Turchia ed uno spettacolo naturale quasi unico al mondo. Scopriamo meglio questa meraviglia!
La SPA NATURALE più BELLA del mondo
# La fortezza di cotone e le piscine di acqua termale
credits: theglidingblonde IG
Pamukkale si trova nella provincia di Denizli, nella parte sud-occidentale della Turchia. Qui i continui movimenti tettonici, nel corso dei secoli, hanno causato frequenti terremoti, ma hanno anche permesso la nascita di numerose fonti termali. Emergendo, l’acqua ha creato delle particolari formazioni calcaree, terrazze che riempite dalle acque termali costituiscono una moltitudine di piscine naturali.
In quest’area il clima è tipicamente continentale e, grazie alle calde acque, è possibile fare il bagno anche in pieno inverno, la temperatura rimane sempre infatti intorno ai 36 gradi.
Il nome del sito, fortezza di cotone, nasce dalle bianche terrazze e dalle piccole cascate calcaree che, lungo tutta la montagna, ricordano proprio un catello ricoperto di cotone.
# Il tragico intervento dell’uomo e il piano di recupero UNESCO
credits: a_e_s_th_world IG
Purtroppo, Pamukkale venne deturpata e danneggiata nel corso del secolo scorso. Sopra al sito vennero costruiti alcuni hotel, l’acqua calda fu incanalata per riempire le piscine artificiali degli alberghi e le acque di scarico furono riversate direttamente sul sito, scurendo così le candide vasche calcaree. Non solo. Fu anche costruita una strada asfaltata in mezzo alle piscine e fu concesso ai visitatori di lavarsi nelle acque termali utilizzando detergenti industriali e aggravando ulteriormente l’inquinamento delle vasche.
In seguito agli immensi danni prodotti, è intervenuta l’UNESCO che ha predisposto subito un piano di recupero per intervenire ed interrompere il processo di inscurimento delle terrazze. Gli alberghi furono demoliti, la strada coperta da piscine artificiali e le vasche sbiancate al sole. Oggi, il sito è costantemente sorvegliato in modo da impedire ai visitatori di abusare ulteriormente di questo luogo. Grazie a questi interventi la perla rara di Pamukkale sta lentamente tornando al suo aspetto originale.
# Hierapoli, la città sulla cima del castello di cotone
credits: antoinegbd IG
Sulla vetta del castello di cotone si trova l’antico centro abitato di Hierapolis, fondato nel II secolo a.C. dal re di Pergamo. Colpita nell’anno 60 da un tragico terremoto, venne completamente ricostruita con le caratteristiche di una tipica città romana, ma Hierapolis raggiunse il suo massimo splendore sotto la dominazione bizantina.
Sembra che nell’80 d.C. Filippo, uno dei dodici apostoli, giunse in questa cittadina e qui morì. Sulla su tomba venne eretta la prima chiesa e per questo divenne un importante centro del Cristianesimo. Hierapolis passò infine, nel XII secolo, sotto la dominazione turca che nell’arco dei secoli ha salvaguardato il suo patrimonio storico.
Oggi Hierapolis, insieme al sito termale, è dichiarata ufficialmente Patrimonio dell’Umanità UNESCO.
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
Tra gli angoli sconosciuti di Roma c’è anche il quartiere Coppedè, dal fascino fiabesco e amato dagli artisti di tutto il mondo.
Il QUARTIERE delle FIABE di ROMA
La capitale è probabilmente la regina delle cartoline in tutto il mondo, ci invidiano ogni pietra e i turisti fotografano compulsivamente ogni edificio. Eppure non tutte le zone della città sono conosciute allo stesso modo e tra gli angoli più curiosi e meno affollati c’è anche il quartiere Coppedè, una zona della città che mixa diversi stili architettonici e ha un fascino fiabesco.
# Un eclettico architetto ha dato il nome al quartiere
credit: blog.italotreno.it – Arco Gino Coppedè
A dir la verità, Coppedè viene chiamato quartiere ma è più un agglomerato di edifici, precisamente 26 palazzine e 17 villini. Per entrare nella fiabesca zona occorre passare sotto un arco costruito da Gino Coppedè, un eclettico architetto da cui prende il nome l’intero “quartiere”. L’arco è una perfetta anteprima di ciò che si nasconde al di là della sua volta: un grande mix di stili architettonici e di epoche storiche: dal gotico al classicismo greco, senza tralasciare il barocco e l’Art Nouveau. L’arco, riccamente decorato, unisce due palazzi e presenta un gigantesco lampadario appeso al centro.
# La Fontana delle Rane, i fortunati animali che conobbero i Beatles
Credit: siviaggia.it – Fontana delle Rane
Dopo aver superato l’arco d’accesso, il quartiere non smette di stupire. Le tappe che proprio non si può non fare sono tre, prima tra tutte la Fontana delle Rane. Posta nel cuore del quartiere, piazza Mincio, è l’abitazione di 12 rane che hanno avuto la fortuna di avere un incontro ravvicinato con nientepopodimeno che i Beatles. No, non una tribute band, proprio i Beatles. Voci raccontano che il gruppo, dopo un concerto al Piper in una caldissima giornata estiva del giugno 1965, si gettarono completamente vestiti tra gli schizzi della fontana.
# Il Villino delle Fate e la Palazzina del Ragno
credit: oggiroma.it – Villino delle Fate
Ma le altre due tappe non sono meno interessanti. Passeggiando tra le vie del quartiere si nota un villino, il Villino delle Fate, caratterizzato da forme asimmetriche e tipi di materiali piuttosto variegati, e forse apparentemente anche incompatibili. Eppure nel complesso il villino risulta armonioso e dà proprio l’impressione di essere stato costruito e decorato da fantasiose fate. Non va dimenticata però anche la Palazzina del Ragno, di stile assiro-babilonese ma con uno spaventoso ragno sulla facciata, esattamente sopra il portone d’ingresso.
# Il set dei film di Dario Argento
In questo piccolo angolo, poco citato nei tour mainstream ma molto amato dagli artisti, come ad esempio Dario Argento che vi ambientò “Inferno” e “L’uccello dalle piume di cristallo”, si scopre una Roma inaspettata che sicuramente non delude mai, né i turisti e neppure i romani stessi.
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
Entro la fine dell’anno verrà realizzato il sentiero urbano da Piazza del Duomo alla sommità del Monte Stella ad opera della sezione milanese del Club Alpino Italiano. L’obiettivo è evidenziare l’unità fra centro e periferia della città e far riscoprire il parco del Monte Stella. Intervento utile o banale operazione di marketing?
Il PRIMO SENTIERO URBANO d’Europa: dal Duomo al Monte Stella
# Entro il 2021 verrà “realizzato” il tracciato “CAI 01 Milano” dal centro città alla periferia
Ipotesi percorso Duomo-Monte Stella
Entro la fine del 2021 la sezione milanese del Club Alpino Italiano ha programmato la realizzazione del primo sentiero urbano d’Europa come se fosse un vero sentiero di montagna. Il percorso denominato sentiero “CAI 01 Milano” partirà da piazza del Duomo e terminerà sulla sommità del Monte Stella. L’obiettivoèevidenziare l’unità fra centro e periferia della città che è stato alla base della realizzazione del Monte Stella. Per “disegnare” il tracciato verranno utilizzati i classici colori dei percorsi montani, bianco e rosso, con “degli adesivi o fascette applicate ai pali della luce” invece che segni sull’asfalto o la pietra. Lo sviluppo del sentiero all’interno del parco della Montagnetta ricalcherà invece alcuni percorsi già esistenti, idonei ad essere frequentati anche da disabili di varia natura: ciechi, ipovedenti, disabili motori e altri tipi di disabilità minore.
# Il percorso si collega al “Progetto Monte Stella” di riqualificazione e messa in sicurezza del parco. Intervento utile o brillante operazione di marketing?
Credits: caimilano.org
Il percorso urbano si collega al “Progetto Monte Stella” di riqualificazionee messa in sicurezza dello stesso avviato lo scorso anno. L’intero complesso necessita di urgenti interventi di ripristino e manutenzione perché le acque meteoriche non sono più regimate. L’intento è effettuare una gestione attiva degli habitat applicando le tecniche di ingegneria naturalistica quali principi cardine utili sia a contenere i micro dissesti in atto nel Parco Monte Stella, sia a riqualificare questo polmone verde in pieno ambito urbano.
La realizzazione del primo percorso urbano d’Europa è un’iniziativa lodevole per far riscoprire o scoprire il Monte Stella come luogo “naturalistico” di Milano, una città dove i mq di aree verdi per abitanti sono ancora insufficienti e non sempre ben mantenuti. Così concepito però può sembrare una banale operazione di marketing, visto che quasi tutto l’intero tracciato sarà pianeggiante e su asfalto o pietra e non ha niente a vedere con i classici percorsi montani. Si inserisce pertanto in una autentica “rivoluzione verde” auspicata dal sindaco o si tratta invece di una forzatura per far passare Milano per quello che non è, una località di montagna invece che una metropoli in mezzo alla pianura, con altri punti di forza?
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
Una via d’acqua transalpina, un sistema di canali e chiatte che vanno da Genova a Costanza collegando il Mar Mediterraneo all’Europa Centrale, passando attraverso il lago di Como e il Reno. Questo era il progetto per rendere navigabili le Alpi di Pietro Caminada. Non venne mai realizzato, ma fece comunque il giro del mondo. Scopriamo insieme quest’idea visionaria e stravagante.
NAVIGARE SOPRA LE ALPI: il progetto visionario per andare in nave da Genova al cuore d’Europa
# La storia di un sognatore tra Italia, Svizzera e Brasile
credits: studiopolazzo.it
Vediamo innanzitutto chi è Pietro Caminada. Di origini italo-svizzere, Caminada nasce nel 1862 e fin da piccolo rimane affascinato dal personaggio di Leonardo da Vinci. Studia ingegneria e, una volta laureato, si vede costretto ad emigrare, insieme al fratello, verso l’Argentina in cerca di lavoro.
Rimasto folgorato dalla città di Rio de Janeiro, decide di fermarsi e stabilircisi. Nel suo periodo in Brasile si occupa di diversi progetti relativi al piano regolatore, all’ammodernamento della città e dei trasporti.
Dopo quindici anni, Caminada decide di tornare in Italia, insieme alla moglie e alle tre figlie, per realizzare il suo progetto più ambizioso: rendere le Alpi navigabili.
# Il progetto visionario: le chiuse a tubo inclinato
credits: bizzarrobazar.com
La folle idea aveva innanzitutto uno scopo pratico: creare un collegamento diretto tra Genova e Costanza che avrebbe consentito un eccezionale sviluppo commerciale. Un sistema di vie d’acqua sarebbe infatti stato più economico rispetto ad una rete ferroviaria.
Lo stratagemma pensato da Caminada per far sì che le navi potessero attraversare le Alpi si basava su una variazione del già ben noto sistema delle chiuse. Ideò così le chiuse a tubo inclinato: poste una dietro l’altra in modo obliquo sul fianco della montagna, quando una sezione si fosse riempita d’acqua, la nave sarebbe stata spinta in avanti e verso l’alto, guidata da una catena di un binario.
Il progetto sarebbe stato lungo 591 km, con delle chiatte di 50 metri chiamate a trasportare 500 tonnellate di merci, il tutto senza propulsione meccanica ma solo attraverso due linee parallele di tubi comunicanti e la forza dell’acqua.
# Il progetto presentato a Expo 1906 ma rimase solo un sogno
credits: bizzarrobazar.com
L’idea ebbe subito molto successo e fece presto il giro del mondo. Nel 1906, in occasione dell’Esposizione Internazionale di Milano dedicata al tema dei trasporti, Caminada realizzò un modellino per dimostrarne la fattibilità. Venne persino ricevuto dal re Vittorio Emanuele III e tutto sembrava suggerire l’imminente realizzazione dei canali.
Tuttavia, molti rimasero scettici e l’ambizioso progetto dovette scontrarsi con gli interessi della lobby ferroviaria svizzera, che da tempo voleva una linea sullo Spluga. L’idea di navigare le Alpi non fu quindi mai realizzata ed oggi suona quasi beffarda la frase che il re pronunciò durante il suo incontro con Caminada: “Quando io sarò da molto tempo del tutto dimenticato, si parlerà ancora di lei”.
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
Tre ragazze stanno trasformando una cabina telefonica in uno spazio di condivisione che invita i cittadini a scatenare la loro creatività. Diventerà virale?
Tre RAGAZZE di Milano stanno dando nuova vita alle CABINE TELEFONICHE
Questa è la storia di tre ragazze di 22 anni che stanno trasformando il loro sogno in realtà: riutilizzare le vecchie ed inutilizzate cabine telefoniche per creare dei piccoli musei aperti a tutti. Ho intervistato una delle tre giovani che, pur volendo restare anonima, ha deciso di raccontarmi la particolare storia del progetto “Fili di parole”, una storia di colori e pensieri. Perché non far diventare l’iniziativa virale e trasformare tutte le vecchie cabine della città? Vediamo di cosa si tratta.
# “Fili di parole”: un progetto di riqualifica urbana autofinanziato
Elisa, da ora chiameremo così l’ideatrice del progetto, ha iniziato a raccontarmi la storia dagli inizi, da quando ancora era solo un’idea: “Tutto è cominciato due anni fa, perché volevo ridare vita alle cabine telefoniche inutilizzate e che sono abbandonate”. Dopo aver trasformato una semplice idea in qualcosa di più concreto, Elisa ha deciso di andare a Palazzo Marino per parlare direttamente con il Comune del suo progetto. Purtroppo “hanno detto che non c’erano abbastanza fondi né per costruirci qualcosa di nuovo, né per smantellarle – ha raccontato – e l’unica opzione era fare un progetto autonomo in una cabina di quartiere”.
# Un concept incentrato sulle parole: dalla condivisione di pensieri al booksharing
A causa della mancanza di fondi il progetto di riqualificazione delle cabine è stato accantonato, ma non dimenticato. Solo durante la quarantena Elisa ha deciso di raccogliere materiali di scarto, come ad esempio pannelli di sughero, per iniziare a concretizzare il suo progetto. “Ho fatto un sondaggio chiedendo alle persone come avrebbero voluto che venisse trasformata la cabina e molti mi hanno risposto che avrebbero voluto un piccolo museo, con scambio di libri e di pensieri“ ha affermato la ragazza. Quella che era stata fino a quel momento solo una sua idea, stava iniziando a prendere forma. E’ da questa idea di connessione interpersonale che deriva il nome del progetto – “Fili di parole” – che intende richiamare i fili del telefono. Il momento sociale che stiamo vivendo ha rafforzato la necessità di avere dei luoghi di contatto che uniscano le persone anche tramite le parole e la giovane ha affermato: “Il senso che ho voluto dare è un po’ come una liberazione – ha confessato Elisa – dato che a livello sociale siamo tutti distanti: vorrei che le persone nella cabina si sentissero liberi di comunicare un pensiero, una poesia o anche solo una frase di una canzone. […] Tutto il concept della cabina è incentrato sulle parole, dalla scritta di un pensiero alle parole dei libri con il booksharing”.
# Un invito per i milanesi a scatenare la loro creatività
Oggi il progetto è ancora agli inizi ed Elisa, insieme a due amiche, sta lavorando quotidianamente per riqualificare la cabina del quartiere, in piazza Damiano Chiesa. “Per adesso abbiamo appeso i pannelli di sughero con dei post-it per lo scambio di pensieri e delle cassette di frutta per poter realizzare prossimamente il booksharing” ha detto Elisa, “Chi ha voglia potrà mettere lì libri, riviste o anche giornali, per dare vita ad uno scambio culturale… sostanzialmente vuole essere uno spazio creativo“.
Essendo un progetto totalmente autofinanziato e che si basa principalmente su materiali di recupero, le ragazze hanno potuto trasformare solo una cabina, ma questa iniziativa potrebbe diventare virale e dare un nuovo volto alle cabine della città.
Ogni anno una festa ricorda le antiche tradizioni di coltivazione e le ricette realizzate con piante spontanee o coltivate negli orti e nei frutteti di casa, esistenti fin dal tardo Medioevo e salvati dall’estinzione e recuperati. Vediamo come questo borgo tiene memoria di questi frutti dimenticati.
Casola Valsenio, il BORGO dei FRUTTI DIMENTICATI
# Il “Paese delle Erbe e dei Frutti Dimenticati”
Credits: Davide Bacchetti Google
Il comune di Casola Valsenio si fregia del titolo di “Paese delle Erbe e dei Frutti Dimenticati”, dove le antiche tradizioni contadine locali di coltivazione delle piante si esprimono anche nella salvaguardia di alberi da frutto di varietà ormai abbandonate o uscite di produzione. I frutti dimenticati sono soprattutto caratteristici della stagione autunnale e rappresentavano una preziosa scorta di cibo da conservare con cura per l’inverno, piante spontanee o coltivate negli orti e nei frutteti di casa per il consumo domestico fin dal tardo Medioevo salvati dall’estinzione e recuperati.
Tra questi ci sono: giuggiole, pere spadone, corniole, nespole, mele cotogne, corbezzoli, azzeruole, sorbe, pere volpine, uva spina, noci, nocciole, melagrane e ovviamente i Marroni.
# Da ormai 30 anni a ottobre si svolge la “Festa dei frutti dimenticati”
Credits: median66 IG – Dama d’autunno alla Festa dei frutti dimenticati
Tra boschi, vigneti, frutteti e giardini da ormai 30 anni nel borgo si tiene la “Festa dei frutti perduti”, dove la ripresa d’interesse verso i frutti di un tempo è rivolta anche al recupero di antichi metodi di conservazione, lavorazione e consumo alimentare. Nel corso della festa infatti si svolge un concorso di marmellate, uno di dolci al Marrone e i ristoranti della zona propongono per tutto l’autunno la “Cucina ai frutti dimenticati”.
Credits: trilly_gio IG – Festa dei frutti dimenticati
Tra le ricette preparate dai ristoratori queste sono le più particolari: la salsa di rovo e di gelso, le composte di corniole e di cotogne, la torta di mele selvatiche e i dessert con protagoniste le pere volpine, le castagne, l’alkermes, il vino e il formaggio. Da non dimenticare il “migliaccio”, un antico piatto tipico realizzato con: mele cotogne, pere volpine, mele gialle, cioccolato, pane raffermo grattugiato, canditi, riso e secondo l’antica ricetta anche il sangue di maiale in aggiunta.
# Il “Giardino delle Erbe”, tra i “Tesori d’Italia” dal 2018, contribuisce alla creazione di piatti deliziosi grazie alle sue piante aromatiche
Credits: imolafaenzatourism IG – Giardino delle erbe Casola Valsenio
Nel Comune di Casola Valsenio c’è anche un meraviglioso Giardino delle Erbe di 4 ettari, con una struttura a gradoni, dove sono coltivate circa 450 diverse specie ed essenze officinali. Dal 2018 è inserito tra i “Tesori d’Italia” e fa parte del circuito Museale della provincia di Ravenna. I frutti dimenticati si sposano alla perfezione con le piante aromatiche del giardino, contribuendo a realizzare piatti deliziosi come le insalate di sedano, ribes bianco e rosso in agrodolce, o di finocchio selvatico con tarassaco, cerfoglio e salsa di melagrana, ancor più se condite con l’olio extravergine Brisighello.
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
In un momento dove le restrizioni sono all’ordine del giorno e dove cambiare comune sembra già una bravata, nessuno penserebbe mai che sia possibile prendere un aereo e andare all’estero, eppure è così.
ASTOI ottiene la conferma: dall’Italia è possibile viaggiare all’estero per motivi di turismo.
🔴 Il governo conferma: si può VIAGGIARE ALL’ESTERO anche per turismo
# Il governo fa chiarezza
Dietro la richiesta di ASTOI, l’associazione di categoria senza scopi di lucro che rappresenta oltre il 90% del mercato dei Tour Operator italiani, il governo ha fatto chiarezza sulla possibilità di spostarsi verso altri Paesi per turismo.
Fino a questo momento c’è sempre stata molta confusione: in un momento in cui è difficile spostarsi tra due comuni vicini sembra impossibile poter viaggiare verso un altro paese senza le famose “comprovate necessità” eppure il turismo, all’insaputa di molti, rientra tra queste.
# Secondo il DPCM si può viaggiare per turismo
Con il decreto legge emanato il 13 marzo 2021, l’Italia è stata nuovamente divisa a colori che, attualmente, hanno già subito dei cambiamenti.
Molte sono le zone rosse e arancioni create dal Presidente Draghi per le gravi situazioni sanitarie ed è proprio in queste zone che gli spostamenti sono limitati il più possibile.
Non è possibile uscire dal proprio Comune ad eccezione di motivi di urgenza, lavoro o salute, le visite ad amici sono limitate solo alla zona arancione e con un massimo di persone ed è comunque vietato spostarsi tra Regioni.
Il Viminale dà però conferma riguardo la possibilità di viaggiare all’estero: il DPCM permette spostamenti all’estero per motivi di turismo ma solo verso alcuni paesi.
Ora non ci sono più dubbi: tra i motivi di necessità per gli spostamenti fuori dal proprio Comune o dalla propria Regione, rientra anche il dover raggiungere l’aeroporto per prendere un aereo verso l’estero.
# Dove si può andare?
Credit: @viaggiaconmela
Anche dalla zona rossa e arancione è quindi possibile prendere un aereo per viaggiare verso l’estero.
Ma dove si può andare? Si possono raggiungere solo i Paesi che sono all’interno dell’elenco C che sono i seguenti: Austria, Belgio, Bulgaria, Cipro, Croazia, Danimarca (incluse isole Faer Oer e Groenlandia), Estonia, Finlandia, Francia (inclusi Guadalupa, Martinica, Guyana, Riunione, Mayotte ed esclusi altri territori situati al di fuori del continente europeo), Germania, Grecia, Irlanda, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi (esclusi territori situati al di fuori del continente europeo), Polonia, Portogallo (incluse Azzorre e Madeira), Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia, Slovenia, Spagna (inclusi territori nel continente africano), Svezia, Ungheria, Islanda, Norvegia, Liechtenstein, Svizzera, Andorra e Principato di Monaco.
Il governo ha solo dato conferma riguardo la possibilità di viaggiare all’estero per turismo, questa informazione era infatti già presente nei vari DPCM da parecchio tempo.
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
L’ossessione alla sicurezza è tipica di una società robotica. I robot, le macchine rispondono a una logica meccanica. Da un input eseguono un output. Sono capaci di riprodurre lo stesso meccanismo in modo automatico e, una volta costruite, l’unico problema che possono creare è se si rompono.
La sicurezza è un concetto fondamentale per una macchina ma non può essere il punto di arrivo per i viventi.
Perchè il vivente è crescita, è continua evoluzione in ogni sua parte e nell’insieme della sua specie. Per quanto tu lo possa controllare non potrai decidere il suo metabolismo o la sua attività cellulare: il vivente è tale perchè ha sempre un grado di autonomia.
Ogni attività di formazione nei confronti di un vivente, in natura o nella società, è sempre finalizzata a renderlo autonomo in ciò che gli viene insegnato.
Il genitore deve condurre il figlio a essere autonomo nei confronti della vita. Lo stesso obiettivo ha l’insegnante con lo studente, in ogni disciplina. L’autonomia è il traguardo di ogni percorso di apprendimento.
Autonomia significa poter correre dei rischi e decidere come affrontarli.
In questo processo avviene la crescita e l’evoluzione, per l’individuo e per la società nel suo complesso. Cedere a una politica centrata sulla massima sicurezza significa arrendersi a una società che riduce gli esseri umani a delle macchine. Una società statica, fatta di coazione a ripetere, una società morta.
Unica via di uscita possibile alla crisi attuale è l’affermazione di una politica che sia funzione della natura umana.
Un concetto rivoluzionario di casa è arrivato anche a Milano. Cos’è il City Pop e in quali zone sarà disponibile?
Le MICRO CASE POP arrivano a Milano: dove sono e quanto costano
Nel quartiere NoLo, a Milano, arriva un nuovo concetto di casa: le micro case (city pop). Le prime unità abitative saranno pronte entro il 2021.
L’idea arriva dalla società immobiliare svizzera Artisa: realizzare il primo edificio City Pop a Milano, un nuovo modo di abitare che nasce da un concetto rivoluzionario, soprattutto in Italia: la casa diventa un vero e proprio servizio.
L’immobiliare svizzera vanta sedi in diversi paesi europei e dal 6 luglio ha stipulato un contratto preliminare anche in Italia, in un quartiere in forte sviluppo come NoLo, in Viale Monza.
# Artisa dà nuova vita all’ex Atahotel di Turro
credit: aziendabanca.it
L’immobiliare ha acquistato lo stabile al civico 137/39 di Viale Monza, ex proprietà del Gruppo Unipol, per fare un vero e proprio “cambio di destinazione”: le circa 300 unità saranno ottimizzate, rinnovate, arredate e provviste di ogni comodità (wifi incluso) dalla lavanderia, al parcheggio interrato per gli utenti che ne usufruiranno, fino agli spazi comuni e i servizi di pulizia, palestra, monopattini e car sharing. Le ex stanze d’albergo diventeranno dei micro appartamenti con metrature comprese tra 25 ai 60 mq, dedicati agli affitti brevi, da minimo 4 a massimo 52 settimane e la prenotazione avverrà tramite app, garantendo un servizio all-in-one.
Un investimento di oltre 30 milioni di euro che darà vita, entro l’anno, al primo edificio city pop nel Belpaese e dove nulla è lasciato al caso, anche la zona scelta infatti è estremamente comoda e strategica per gli spostamenti in città e fuori: a pochi metri dal civico c’è la fermata della metropolitana rossa Turro.
# Un format già avviato in Svizzera per un target dinamico
In Svizzera questo concetto di abitazione ha già preso piede, vedendo la presenza di micro appartamenti a Zurigo e Lugano, inoltre sono previste aperture a lungo termine anche a Berna, Losanna, Ginevra, Berlino e Basilea. Tutte grandi città dove il bisogno di dinamicità, flessibilità e comodità sono importanti, visto il target a cui è rivolto il progetto. I city pop infatti sono pensati per studenti, giovani coppie, i lavoratori con necessità di spostarsi e sostare per brevi periodi in città evitando i costi degli alberghi o semplicemente persone alla ricerca di flessibilità, incompatibile con i classici contratti di affitto 4+4.
Non solo Viale Monza, altre 120 city pop (con metrature tra i 28 e 32 mq) verranno realizzate anche sui navigli, in Via Alzaia Naviglio Grande 118, tra l’edificio della Thun e l’ex Bobino club.
# I costi? Calcolati con algoritmi
credit: ppan.it
L’inizio della “vendita” delle micro case nel quartiere NoLo è prevista per il 2022 e, secondo un algoritmo che tiene conto dell’offerta dei monolocali semi arredati in zona: i costo d’affitto mensile dovrebbero essere di circa 750 €, mentre per gli appartamenti in zona Navigli si può arrivare a 1.000 € mensili.
# Praga come Milano: 108 appartamenti nella splendida cornice di Piazza Venceslao
I lavori, proseguono non solo a Milano! L’immobiliare svizzera ha acquistato da poco un immobile di circa 4mila mq nel cuore di Praga, in Piazza Vanceslao, dove realizzerà, entro marzo 2022, altri 108 micro appartamenti seguendo il concetto city pop. I lavori saranno eseguiti nel totale rispetto dell’edificio, protetto dall’Unesco perché bene storico in memoria di Jan Palach, eroe nazionale.
# La prima rete transnazionale di microcase
Concludiamo con la dichiarazione di Stefano Artioli, Presidente del Consiglio di Amministrazione di Artisa Group, che sul progetto dice:
“L’obiettivo di Artisa è quello di realizzare in Italia duemila appartamenti con il concetto City Pop entro il 2022 e 15mila in tutta Europa entro il 2025, così da costruire la prima rete transnazionale dedicata al micro living, basata su una piattaforma digitale proprietaria che grazie all’intelligenza artificiale la rende intuitiva e facilmente utilizzabile”.
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Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
Milan textures from above. Credits: Elena Galimberti
Quando l’obiettivo è diventare sempre più internazionali, vorrei che tornassimo un po’ indietro, o meglio. Il bello di Milano è che può diventare la città di tutti. Non ci sono più quei milanesi doc che parlano solo il dialetto, a parte una leggere cadenza e le vocali aperte. Ma in generale, dove sono finite le tradizioni milanesi, quelle legate al passato che si tramandano di padre e in figlio? Il classico aperitivo diventerà sicuramente una di queste, ma forse nel 2050, ora è solo un’abitudine che si sta diffondendo sempre di più. Milano è futuro ed è bella proprio per questo, ma perché non potrebbe essere futuro e passato insieme? Un mix di tradizioni e innovazione?
Vado CONTROCORRENTE. Ho un SOGNO: una Milano meno uguale e più IDENTITARIA
# La Milano internazionale
Credits: Andrea Cherchi – Foto area Piazza Gae Aulenti
Negli ultimi decenni, l’obiettivo di Milano è stato quello di affermarsi a livello internazionale, sia per quanto riguarda gli scambi economici e finanziari, sia per quelli culturali. Milano è probabilmente la città più cosmopolita d’Italia, è riuscita ad innovarsi e a farsi notare. La stessa popolazione residente è ormai internazionale. Nel 2017, il 18% dei residenti era di provenienza estera e nella città si contavano più di 150 etnie diverse. Inoltre, molte imprese multinazionali scelgono il capoluogo lombardo come sede o come trampolino di lancio per espandersi sul mercato italiano. Alla città di Milano direi: missione riuscita! Milano è innovazione e accoglienza, è ambiziosa, veloce e dinamica. È una città instancabile.
# L’ identità di Milano
Credits: houseloft.com milano frenetica
Se si chiede a qualcuno di descrivere Milano, tra le prime cose che vengono in mente troviamo Milano città della moda e città italiana del lavoro. Si sa che Milano però non è solo questo, è sì economia ma anche cultura con i suoi teatri e musei. Inutile negare, però, che Milano è frenetica: camminare piano a Milano è impossibile, a meno che non si voglia essere travolti da una mandria di persone. In realtà non è assolutamente un male, anzi i milanesi sono orgogliosi della loro dinamicità e la città è bella anche per questo. La critica più fatta agli abitanti del capoluogo lombardo, però, è che pensano soltanto a questo, al lavoro, 24 ore su 24, 7 giorni su 7. A Milano lo stress è all’ordine del giorno. Si tratta sicuramente di uno stereotipo, ma con un filo di verità. Si crede che a Milano non si abbia più tempo per pensare e per assaporare il bello intorno a noi. Tutto questo però è la nuova identità di Milano, quella che la città si è creata negli ultimi anni.
# Un passo indietro?
Credits: ilgiorno.it il firunatt
Qualche anno fa Milano si è trovata di fronte ad un compito difficile: raggiungere l’obiettivo di internazionalizzazione senza perdere la propria identità. Non sono sicura che in questo caso ci sia riuscita. Il rischio di perdere la proprio “anima” era altissimo, doveva riuscire a integrare il nuovo con il vecchio. Eppure, la città cosmopolita che è credo abbia un po’ cancellato le tradizioni milanesi e la memoria storica della città. Se si va semplicemente al sud Italia, è difficile trovare un giovane che non conosca le tradizioni del proprio paese o che non sappia il dialetto; un giovane milanese invece probabilmente capisce il dialetto ma non lo saprà quasi mai parlare. Se si dovesse chiedere ad un ventenne quali sono le tradizioni milanesi, probabilmente andrebbe su Internet a cercarle perché conosce solo la Milano internazionale. In un mondo proiettato nel futuro, ci si potrebbe chiedere che senso avrebbe tornare nel passato, eppure riscoprire le tradizioni per non dimenticare la storia della città non costa nulla. Anzi Milano sarebbe molto più apprezzata e caratteristica.
Bisogna essere consapevoli del proprio passato e valorizzarlo, per potersi proiettare nel futuro nel migliore dei modi.
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità
Se vi capita di passeggiare per Torino, soprattutto nel quartiere Vanchiglia, e di sentir parlare della fetta di polenta, state attenti perché non si tratta di cibo, bensì di un edificio. E non uno qualunque, ma uno dei più strani d’Italia. Che cos’ha di tanto particolare questo palazzo?
“FETTA DI POLENTA”: il palazzo più STRANO d’Italia
# Sfida o commessa: Alessandro Antonelli e la casa “fetta di polenta”
credits: igers.torino IG
A Torino, all’angolo tra Corso S. Maurizio e via Giulia di Bortolo, sorge Casa Scaccabarozzi o, come l’hanno ribattezzata i torinesi, la “fetta di polenta”.
La storia del curioso edificio risale all’Ottocento e vede protagonista il famosissimo architetto Alessandro Antonelli, oggi celebre soprattutto per la progettazione della Mole Antonelliana. Antonelli all’epoca aveva collaborato alla costruzione di alcuni edifici residenziali nel quartiere di Vanchiglia e, come parte del compenso, aveva ricevuto un fazzoletto di terra. Un fazzoletto decisamente molto piccolo, ma che, una volta fallite le trattative per comprare il terreno confinante, divenne la sede di un edificio straordinario. Infatti, non si sa se per sfida o per scommessa, Antonelli decise di costruirci sopra una casa che donò alla moglie, la nobildonna Francesca Scaccabarozzi, di cui oggi l’edificio porta il nome.
# L’edificio dalla sagoma stravagante
credits: it.m.wikipedia.org
Il palazzo venne realizzato nel 1840 ed è passato alla storia per la sua strana forma e per le sue ridotte dimensioni. Pensate infatti che la pianta, di forma trapezoidale, ha le dimensioni di 16m x 5m x 54 cm. Nella parte più stretta, il progettista è riuscito a ricavare uno spazio per gli impianti e la canna fumaria, così da non sprecare nemmeno un metro del già ristretto immobile.
Il palazzo inizialmente presentava sei piani, di cui due interrati, e in un secondo momento ne furono aggiunti altri due. Di fronte allo scetticismo di chi sosteneva che sarebbe crollato, Antonelli, nel 1881, decise di aggiungerne uno ulteriore e così, ancora oggi, la struttura si presenta con ben nove piani e 24 metri d’altezza.
La facciata è abbellita con decorazioni neoclassiche e lesene di colore giallo paglierino, con raffigurazioni geometriche che si ripetono per tutta l’altezza.
# Un palazzo resistente rivoluzionario: ecco alcune altre curiosità sulla Casa
credits: hari_sheldon IG
Ormai diventato un simbolo del quartiere, l’edificio si guadagnò presto il nome di “fetta di polenta”, in virtù della sua particolare forma e del colore giallodella facciata che ricordano, appunto, proprio una fetta di polenta. E pensate, al di là di Corso S. Maurizio, si trova un’altra casa a pianta trapezoidale, anche se meno accentuata, che per similitudine è stata soprannominata “fetta di formaggio”.
Casa Scaccabarozzi divenne nota non solo per la sua sagoma bizzarra, ma anche per ospitare al pian terreno il Caffè del Progresso, lo storico ritrovo torinese di carbonari e rivoluzionari. Insomma, un palazzo futuristico e un po’ ribelle in tutto e per tutto.
Bisogna inoltre dire che Antonelli e la moglie, per fugare i dubbi sulla stabilità dell’edificio, si trasferirono e ci vissero per qualche anno. La vera prova della sua resistenza però arrivò negli anni successivi, quando il palazzo uscì indenne dall’esplosione della regia polveriera nel 1852, dal sisma del 1887 e dai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale. Oggi nessuno dubita più della sua stabilità.
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
Alice percorre il labirinto, i cunicoli si susseguono, è disorientata e continua a chiedere da che parte deve andare.
Quello che non sa è che non c’è risposta a questa domanda perché nel paese delle meraviglie, una strada predefinita, non c’è.
C’è chi di questo labirinto ne ha fatta una versione un po’ più shining: non ci sono alberi ma solo neve, le pareti sono alte due metri e raggiungere la meta può richiedere diverse ore.
Entriamo nel labirinto di ghiaccio più grande del mondo.
Entreresti nel LABIRINTO di GHIACCIO più grande del mondo?
# Il labirinto da Guinnes World Records
Credit: @jaz.explore
Non siamo al polo nord ma in Canada, nella provincia di Manitoba, è qui che si trova il labirinto di ghiaccio che nel 2019 è entrato nel Guinnes World Records.
L’idea nasce da Clint e Angie Mass, due contadini del posto da sempre affascinati dai giardini che la loro città offre.
Dopo aver creato un labirinto di mais hanno deciso di spingersi oltre: perché non farne uno interamente di ghiaccio?
Il labirinto di neve a St. Adolphe si è adattato anche alla pandemia, battendo il suo stesso record per garantire una distanza sociale tra le persone, in modo naturale.
Di chiudere non ne volevano sapere e hanno trovato una soluzione: espandere la dimensione del labirinto del 91% per permettere ai visitatori di entrare rispettando tutte le distanze di sicurezza.
# 2800 mq di neve
Costruire il labirinto più grande del mondo non è stato facile, ci sono volute sei settimane e più di 300 camion per trasportare tutto il materiale necessario, ma il risultato è davvero sbalorditivo.
Il labirinto di neve di St.Adolphe ha pareti alte più di due metri e si estende per ben 2800 metri quadrati.
Se fate parte della categoria di persone che fa fatica ad usare Google maps questo non è il posto che fa per voi, chiunque entri in questo labirinto metterà infatti a dura prova le proprie capacità di orientamento e i propri nervi.
Circondati solo da pareti bianche, l’obiettivo, per i più coraggiosi che decidono di entrare, è quello di raggiungere l’uscita, cosa che può richiedere anche diverse ore.
# Un percorso sicuro
Credit: @dw_arabic
Nonostante l’aspetto poco rassicurante, nessuno rischierà di congelare perché lungo il percorso sono state installate diverse panchine con dei piccoli falò per riscaldare gli avventurieri che hanno provato questa impresa.
Tra le strade, inoltre, sono presenti diverse sculture di ghiaccio da poter fotografare.
Questo percorso non è come il labirinto di Alice, ha un inizio e una fine e si possono trovare anche delle uscite facilitate per chi decide di abbandonare l’impresa.
Sembra quindi essere un percorso sicuro, ma voi, ci entrereste?
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Bernina Express - Der Bernina Express ueberquert den weltbekannten Landwasserviadukt. Eine Fahrt von den Gletschern zu den Palmen.
Bernina Express - The Bernina Express crosses the world-famous Landwasser Viaduct.
Bernina Express - Il Bernina Express attraversa il celebre viadotto di Landwasser. Un viaggio dai ghiacciai alle palme.
Copyright by Rhaetische Bahn By-line: swiss-image.ch/Peter Donatsch
Il famoso “trenino rosso” parte da Tirano, in provincia di Sondrio, e attraversa valli, laghi, ghiacciai e le Alpi Svizzere facendo tappa anche in una meta di lusso come Sankt Moritz. Tra panorami mozzafiato e architettura d’ingegneria incredibile, andiamo alla scoperta di questo meraviglia su rotaia.
Il TRENINO ROSSO: la NOSTRA FERROVIA delle ANDE (VIDEO)
# La ferrovia patrimonio mondiale dell’Unesco
Carrozze panaromiche
La ferrovia su cui corre il Bernina Express “il trenino rosso” è capolavoro dell’ingegneria civile per la tecnica con il quale è costruito e infatti il percorso comprende le ferrovie dell’Albula e del Bernina che sono state incluse, nel 2008, nell’elenco dei Patrimoni dell’umanità stilato dall’UNESCO. Realizzata oltre 100 anni fa, ricopre un ruolo importante dal punto di vista turistico, percorrendo un itinerario di notevole interesse paesaggistico, reso più apprezzabile dalle speciali carrozze panoramiche.
# Il treno più alto d’Europa a 2.253 metri d’altezza
Il Bernina Express durante il suo viaggio di 145 km complessivi, incontra 55 tunnel e gallerie coperte e 196 viadotti e ponti, con un dislivello totale di 1.824 m e pendenze che arrivano fino al 70 per mille. Raggiunge il punto più alto in Europa per un treno in corrispondenza del passo del Bernina a 2.253 metri d’altezza, senza mai utilizzare il sistema a cremagliera.
# Le attrazioni più suggestive da vedere
Bernina Express
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Credits: wikipedia.org - Bernina presso il Lago Bianco
Credits: wikipedia.org - Lago di Poschiavo
Credits: wikipedia.org - Viadotto elicoidale di Brusio
Bernina Express tra le neve
Tra montagne, specie quando innevate, laghi, gallerie e viadotti ci sono alcuni punti davvero suggestivi da non farsi sfuggire: durante il passaggio del “trenino rosso” a fianco del Lago Bianco, nella sosta sul Lago di Poschiavo, oppure arrivando e percorrendo il viadotto elicoidale di Brusio, di 70 metri di raggio e interamente visibile per tutto il suo sviluppo, che permette di guadagnare, in uno spazio molto ristretto con una pendenza costante del 70‰, 30 metri di dislivello.
Tra le curiosità del Bernina Express, il fatto che per un breve tratto di 1 km transiti in sede stradale, nel comune di Le Prese, con le automobili costrette a fermarsi e addirittura nella località di Sant’Antonio viaggi rasente i muri delle abitazioni.
MILANO CITTA’ STATO
Se vuoi collaborare al progetto di Milano Città Stato, scrivici su info@milanocittastato.it (oggetto: ci sono anch’io)
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.