Il sindaco di Venezia ha accolto con grande soddisfazione la nomina di Draghi a presidente del consiglio. In un’intervista illustra quali siano le tre priorità per il suo territorio insieme alle linee guida del Recovery Fund. La vera riforma è una sola: l’autonomia per i territori.
VENEZIA al nuovo governo: tre richieste più l’autonomia per il territorio
Brugnaro su Draghi presidente del Consiglio: «Grandissima scelta»
“Grandissima scelta! Draghi! Finalmente…grande Mattarella! Incrociamo le dita…tifiamo Italia“ il sindaco di Venezia Luigi Brugnaro ha testimoniato la sua soddisfazione, su Twitter, per la decisione del presidente della Repubblica Sergio Mattarella di assegnare a Mario Draghi, ex presidente della Bce (Banca centrale europea), il compito di provare a formare un nuovo Governo.
Il tema riveste un’importanza fondamentale per il presente e il futuro di una città come Venezia, protagonista in questi ultimi due anni delle prime pagine dei quotidiani di tutto il mondo. Dapprima, a causa delle inondazioni straordinarie di cui è stata vittima nel mese di novembre 2019 (di simili non se ne registravano dal 1966). Poi, per merito del Mose, il sistema di dighe mobili atto alla difesa della città, entrato in servizio in questi ultimi mesi, dopo ben 18 anni dall’inizio dei lavori di costruzione. Nel mezzo, la pandemia in corso, che ha messo in ginocchio tutta l’industria locale del turismo, su cui Venezia basa gran parte della propria economia.
#1 Un ristoro qualificato per la filiera del turismo
Sono questi i temi principali dell’intervista al Sindaco Brugnaro, rilasciata a Il Gazzettino. Nell’intervista, il Sindaco elenca in maniera precisa le richieste che avanzerà al nuovo Governo, motivandone la specificità rispetto ai sindaci di altre città. I turisti sono scomparsi da mesi dalla città, per i motivi già citati (inondazioni del novembre 2019 prima, pandemia poi). L’economia della città è ferma. Brugnaro chiede al Governo “una misura particolare per un ristoro qualificato rispetto alla strategia della filiera turistica di Venezia che va dal mondo della ricettività a quello delle tante persone collegate, come gli addetti dello spettacolo e della cultura, includendo anche i trasporti lagunari”.
Il sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro
“Ristori diversi da quelli previsti per le altre città, perché” continua Brugnaro “Venezia ha costi altissimi, i nostri conti stavano in piedi con il turismo”. Il Sindaco elenca le perdite subite dall’ACTV (azienda dei trasporti locali) nell’anno 2020 (80 milioni di euro) e quelle previste per il 2021 (60 milioni). L’azienda, oltre alle linee automobilistiche del territorio, gestisce anche le linee di navigazione utili ai turisti, ma soprattutto necessarie per la gente che vive a Venezia e nelle sue isole. I cittadini locali hanno bisogno dei battelli e di un sistema di trasporti efficiente. “Il turismo tornerà, ne sono certo, ma nell’attesa non si può disperdere un patrimonio pubblico” sentenzia Brugnaro.
#2 Bonifica di Marghera
Brugnaro continua l’intervista rispondendo a domande più che precise su alcuni temi scottanti. I dubbi che vengono sollevati durante l’intervista riguardano la mancata firma su provvedimenti riguardanti alcune attività basilari del territorio come i 157 milioni previsti per la bonifica dell’area di Marghera o il provvedimento sui passaggi delle grandi navi da crociera davanti a San Marco. “Dove sono i provvedimenti? I ministri sono spariti”
#3 Fondi per il MOSE
Venezia, uno dei più grandi centri economici della storia, vista dallo spazio
I soldi per far alzare le paratoie del MOSE ci sono o non ci sono?
Il costo di una movimentazione del sistema Mose si aggira sui 300 mila euro. Dice Brugnaro che “serve un provvedimento urgentissimo e immediato per liquidare le risorse al Commissario del Mose: 500 milioni di euro che il precedente governo non è riuscito a scrivere in un emendamento, gliel’hanno dichiarato inammissibile”.
# Recovery Fund per Venezia: al primo posto l’autonomia
Il Sindaco viene infine interrogato sulle aspettative, da parte di Venezia, relative al Recovery Fund. “Ci si aspetta prima di tutto una interlocuzione con il governo, che finora non c’è stata….come Città Metropolitana abbiamo presentato una lista di progetti per 3,7 miliardi di euro, ovviamente una lista di sogni da realizzare entro il 2026…nelle grandi riforme non possono esserci solo la giustizia e la scuola. Deve esserci l’autonomia. L’autonomia del Veneto, l’autonomia del territorio”
Credits: cultura.biografieonline.it - vaso di Pandora viene aperto
Durante questo triste e angosciante periodo abbiamo fatto amicizia (forzata) con molte parole o modi di dire che ritornano ogniqualvolta accendiamo un qualsiasi telegiornale o apriamo un quotidiano. Ma qual è il loro vero significato?
Lockdown, COPRIFUOCO, “la speranza è l’ultima a morire”: il SIGNIFICATO di parole e modi di dire della PANDEMIA
#LOCKDOWN: isolamento carcerario
Questa parola, che è diventata tanto pesante quanto triste, è un prestito integrale che la lingua inglese ci ha cortesemente concesso. Deriva dall’unione della parola ‘lock’, che significa chiusura e ‘down’, che significa giù. É un vocabolo di origine americana di carattere specialistico con due significati. Il primo si collega alla misura temporanea di sicurezza con cui alcuni tra i detenuti più pericolosi venivano messi isolati in una cella.
Questa accezione deriva dal verbo ‘to lock somebody down’, cioè confinare qualcuno in cella, che si differenzia dal verbo ‘to lock somebody up o away’ che significa rinchiudere qualcuno in prigione.
La seconda accezione si collega con le situazioni di pericolo in cui, per problemi di sicurezza, viene impedito di entrare o uscire da un’area o un edificio. Da molti anni questo vocabolo è frequente nelle cronache americane a causa delle (purtroppo) ricorrenti sparatorie di massa nelle scuole o edifici pubblici.
Ognuno di questi luoghi possiede infatti un lockdown protocol o procedures da attuare in caso di activate shooter situation.
Il temibile vocabolo è entrato nelle nostre vite in modo prepotente però dal gennaio del 2020, momento in cui l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha iniziato ad utilizzare la parola lockdown per indicare le misure di contenimento per il Covid-19 attuate a Wuhan in Cina.
#Forse non tutti sanno che …
Credits: Treccani.it
Il termine è diventato a tutti gli effetti un neologismo e per questo è stato inserito nella apposita sezione del vocabolario Treccani a partire dal maggio del 2020.
Durante le comunicazioni di governo non è mai stato utilizzato tale vocabolo, nonostante la sua già citata diffusione. La motivazione è data dal fatto che per tradizione, nei comunicati ufficiali, sono sempre preferiti vocaboli italiani o romanzi piuttosto che vocaboli stranieri.
Per questo motivo è spesso adottato il termine ‘misura di contenimento’ anche se l’unica parola che potrebbe rendere efficacemente nella nostra lingua il significato di lockdown è ‘confinamento’. Se infatti pensiamo che ‘confinare’ significa costringere qualcuno a stare in un luogo chiuso, separato, ci rendiamo conto di quanto calzi a pennello con la descrizione di quanto abbiamo vissuto.
#COPRIFUOCO: spegnere ogni fiamma per prevenire incendi
Anche questo termine può tranquillamente dare la mano a quello trattato precedentemente. Viene dall’unione tra la parola coprire e la parola fuoco. L’etimologia deriva da un’usanza medievale attuata in alcune città in cui, per prevenire gli incendi, veniva imposto lo spegnimento di ogni tipo di fiamma usata sia per il riscaldamento che per l’illuminazione durante le ore notturne.
In questo modo si cercava di ridurre il rischio di incendi accidentali che molto spesso accadevano durante le ore notturne e che erano quelli che causavano più danni.
Per sua natura si collega notoriamente alle ore notturne, motivo per cui è stato largamente ripreso durante la seconda guerra mondiale. Durante questo periodo infatti vigeva l’obbligo dello spegnimento di ogni luce artificiale per ridurre al minimo ogni bagliore che sarebbe potuto essere utilizzato dai caccia bombardieri come bersaglio.
#LA SPERANZA E’ L’ULTIMA A MORIRE: l’ultima dea che consola i moribondi
Credits: cultura.biografieonline.it – vaso di Pandora viene aperto
Anche questo proverbio appartiene alla schiera del leit motiv di questo periodo.
Ma da dove deriva?
La sua origine non è ben nota. Si sa che gli antichi romani affermavano che ‘la speranza è l’ultima dea’ per significare che la speranza è l’ultima dea che siede al capezzale dell’uomo morente.
Si fa infatti riferimento al mito della dea Speranza che rimaneva tra gli uomini a consolarli anche quando tutti gli altri dei avevano abbandonato la terra per recarsi sul monte Olimpo.
Secondo invece un’altra fonte il detto deriva dal mito greco del vaso di Pandora che, secondo la mitologia, conteneva tutti i mali del mondo.
Tale vaso fu donato a Pandora da Zeus che però aveva offerto il dono con la clausola che non dovesse mai essere aperto.
Pandora però, in seguito, a causa della sua immensa curiosità, non resistette e liberò quindi tutti i mali del mondo.
Pare che in fondo al vaso fosse rimasta solo la speranza che non aveva fatto in tempo, contrariamente agli altri, ad uscire prima che il vaso si richiudesse. Il mondo quindi diventò un luogo desolato e tremendo finchè Pandora non aprì nuovamente il suo dono per far uscire anche l’ultima dea, la Speranza.
L’augurio è che il tremendo vaso di Pandora targato anno 2020 si chiusa senza mai più aprirsi.
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
Nella mitologia norrena il drago custodisce il tesoro.
Nel ciclo dei nibelunghi c’è il Drago Fafnir, in islandese “colui che abbraccia” il tesoro, che alla fine viene ucciso da Sigfrido che si impossessa dell’anello. Ma prima di morire Fafnir ammonisce Sigfrido che l’anello sarebbe stata la sua rovina. E così inizieranno a uccidersi per l’anello del potere.
Tolken, che era uno studioso di miti norreni, nell’Hobbit riprende il tema del drago e dell’anello che interpreta come il potere. Il drago custodisce il potere e l’anello è ciò che scatena la guerra anche nel Signore degli Anelli.
Draghi ha passato tutta la vita dove si custodiva il tesoro. Ed è sempre stato custode dell’anello del potere. Ora vogliono andare tutti con lui, come se attraverso di lui tutti quanti potessero finalmente mettere le mani sul vero potere che non stati in grado di avere o di esercitare. Più che lui quello che tutti vogliono è il suo anello.
Se dovesse accadere quello che raccontavano i miti Draghi deve stare molto attento.
Continua la lettura con: Mario Draghi, il federalismo fiscale può aiutare i conti pubblici
Sembra una libreria gigante ma è un palazzo: scopriamo insieme la libreria a cielo aperto di Utrecht.
IL MURALE che trasforma un palazzo in una LIBRERIA GIGANTE (immagini)
# Il progetto iniziale prevedeva una faccina sorridente
Credits: sololibri.net
Sembra un grandissimo scaffale di una biblioteca, in realtà è un gigantesco murale ideato e realizzato da Jas Is De Man in collaborazione con Deef Feed. I due artisti hanno trasformato quella che era un’anonima facciata di un edificio in centro città in una libreria gigante.
L’idea di trasformare la parete del palazzo a tre piani è nata dagli inquilini dello stesso edificio, tra questi alcuni amici dell’artista Jas Is De Man. Il progetto iniziale prevedeva una grande faccina sorridente, ma una libreria si adattava decisamente meglio alla forma dell’edificio. Il murale, realizzato con la tecnica trompe l’oeil raffigura gli scaffali di una libreria che conservano alcune delle opere letterarie più belle mai scritte.
La trasformazione è sbalorditiva: i mattoncini hanno preso nuova vita e le finestre degli appartamenti ormai si mimetizzano tra i grandi titoli.
# I libri preferiti dei condòmini
Credits: siviaggia.it
I libri che troviamo a scaffale sulla splendida parete non sono libri scelti casualmente ma i preferiti degli abitanti della palazzina. L’artista prima di iniziare ha infatti domandato loro un elenco dei loro libri più amati che avrebbero voluto vedere dipinti.
Così quella che era una semplice facciata anonima di un palazzo come tanti diventa un mezzo per raccontare la storia di questo vicinato fatto di persone e culture da ogni parte del mondo. Questa parte della città di Utrecht infatti è popolata da comunità di culture diverse e l’artista ha voluto dare alla sua opera un grande valore di inclusione.
Lo dimostra anche la scelta dei titoli rappresentati tra cui troviamo Harr Potter di J. K. Rowling, Il piccolo principe di Antoine de Saint-Exupéry, ma anche le opere di Khaled Hosseini e Jane Austen.
# Libri da tutto il mondo
Credits: collater.al
Nella libreria a cielo aperto troviamo titoli scritti in ben otto lingue diverse, con copertine coloratissime; su alcuni libri ci sono solo delle immagini, come quella del libro rosso che indica un cucchiaio, e altri sono invece posizionati in disordine, dal lato delle pagine un po’ come tutte le libreria che abbiamo in casa. Tra le coste dei libri ne spicca una, la cui copertina è di un bel blu acceso con le scritte in oro, che reca il nome dell’artista Is De Man e l’anno di realizzazione, 2019.
Non è mancata poi sullo scaffale, la raffigurazione di un grande mappamondo, simbolo della multiculturalità che contraddistingue la comunità locale.
# Un’opera unica nel suo genere
Credits: collater.al
Quella di Utrecht rappresenta sicuramente un’opera unica nel suo genere, non solo per la bellezza del murale che aggiunge un enorme valore estetico al quartiere ma soprattutto per la scelta di rispettare e valorizzare il contesto culturale e sociale attraverso l’arte.
Per ammirarlo dovrete recarvi in città all’angolo tra Amsterdamsestraatweg e Mimosastraat, non dimenticate di portare con voi una macchina fotografica per poterlo immortalare.
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
A Biccari, un piccolo paese in provincia di Foggia con poco più di 2.500 abitanti, le case sono messe in vendita a partire da 1 euro. La notizia fa il giro del mondo ed arrivano più di 9.000 richieste. Da dove nasce questa iniziativa?
L’incantevole paese della PUGLIA dove si può comprare casa a UN EURO
# La proposta: case in vendita a partire da un euro
credits: huffingtonpost.it
L’iniziativa parte dal primo cittadino, Gianfilippo Mignogna, al fine di combattere lo spopolamento costante che interessa Biccari, piccolo comune del foggiano, che ha visto negli ultimi anni, come tanti altri paesi italiani, la sua popolazione diminuire drasticamente.
Sono state quindi messe in vendita una quindicina di case abitabili, ma abbandonate e dimenticate. Ovviamente, quelle in vendita a un euro sono quelle che necessitano di una sistemazione, mentre quelle già pronte e che non hanno bisogno di alcun intervento arrivano a costare fino a 15mila euro.
# Più di 9.000 richieste arrivano da tutto il mondo
credits: thegundermangroup IG
Una proposta del genere non poteva di certo passare in sordina, la rivista Forbes e la CNN hanno pubblicato quest’annuncio scrivendo “non crederete quanto sia economico trasferirsi in questa cittadina da sogno!”.
Ed è così che oltre 9.000 richieste hanno raggiunto il Comune di Biccari, spingendo anche altri proprietari ad aderire al progetto, il “catalogo” infatti, prima composto solo da quindici abitazioni, sta aumentando. Molte richieste sono giunte da Stati Uniti, Irlanda e Belgio, ma anche da Argentina e Brasile, insomma gli stranieri, innamorati del nostro Bel Paese, non vogliono farsi scappare un’occasione simile.
# Altre iniziative del sindaco: le Bubble Room
credits: coopbiccari.it
Il sindaco Mignogna non è nuovo a iniziative del genere che puntano ad aumentare il turismo del paesino. Qualche tempo fa infatti ideò le Bubble-room, piccole case a forma di bolle semi-trasparenti realizzate a ridosso del lago Pescara e poco lontane dal centro abitato. Una bella iniziativa che ha contribuito ad aumentare i vistatori e che permette di dormire in mezzo alla natura, sotto le stelle ma a pochi passi da tutte le comodità cittadine.
L’intento dell’amministrazione comunale è quindi quella di fare uscire il Comune di Biccari dall’isolamento e creare nuove opportunità per il piccolo borgo. Mignogna ha affermato: “dobbiamo fare in modo che all’isolamento fisico non corrisponda anche un isolamento culturale e sociale”.
In un una piccola cittadina nel nord della Scozia c’è una strada da Guinness World Record. Ecco dove si trova.
La STRADA più CORTA del MONDO: 2 metri e 5 centimetri
# Bastano due passi per percorrerla tutta, ma quasi tutti ne ignorano l’esistenza
Credits: daily-echoed.com
Siamo a Wick, una piccola cittadina di circa 7.000 abitanti nel nord della Scozia, esattamente a Ebenezer Place. Qui si può vivere un’esperienza unica anche se brevissima, perché bastano letteralmente due passi per percorrere i due metri e 5 centimetri di lunghezza della strada più corta del mondo. Primato certificato dai giudici del Guinness World Records.
Ebenezer Place 1
I motivi per cui quei due metri e cinque centimetri sono spesso ignorati dai viaggiatori è che quel breve tratto di strada è inglobata nella più grande Union Street ed è occupata interamente dal portone di ingresso dell’Hotel Mackays.
# C’è solo un civico, quello dell’hotel sui cui è affissa la targa della via
Credits: largest-smallest.info
L’hotel al numero 1 di Ebenezer Place, primo e ultimo civico della strada, è stato costruito nel 1883 e affaccia direttamente sulla strada più corta del mondo. Il titolare dell’albergo non poteva certo immaginare che in futuro il suo edificio sarebbe stato protagonista di un record mondiale. Gli stessi turisti che ogni anno si recano in questo luogo per chiedere alla reception della struttura alberghiera dove si trovi Ebenezer Place, non si accorgono di averla attraversata un attimo prima.
Nel 1887, essendo la via occupata completamente dall’ingresso dell’hotel, l’amministrazione comunale di Wick chiese di appendervi la targa per rendere visibile l’indirizzo. In quella data, la strada più corta del mondo,è stata inserita ufficialmente nei registri cittadini.
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
Si sta diffondendo in tutto il mondo il plogging, un’iniziativa svedese che dal 2016 unisce lo sport alla cura dell’ambiente che ci circonda. Si farà strada anche a Milano?
Il PLOGGING: il nuovo SPORT SUPERTRENDY che migliora la città
# Più in forma: fisico e città
www.madiventura.it
Parola che deriva dall’unione dei termini “running” e “plocka upp”, espressione svedese che significa “raccogliere”, il plogging è un esercizio ecologico che spinge le persone a raccogliere la spazzatura mentre fanno jogging o mentre camminano a passo svelto.
L’ideatore di questa attività è Erik Ahlström, un giocatore multisport che, dopo essersi trasferito a Stoccolma, ha iniziato a pulire i luoghi che frequentava facendo “sport della spazzatura”, diffondendo poi la sua routine in tutta la Svezia attraverso eventi popolari.
Oggi questo sport è diffuso in 100 paesi diversi e praticato da più di 20.000 persone.
# Il plogging può avere un grande impatto sulla nostra vita
Credits: www.triplepundit.com
Il 33% della popolazione esce per una corsa almeno 3 giorni a settimana e, se aggiungesse la raccolta rifiuti durante il suo percorso, potrebbe avere un grande impatto immediato sulla cura dell’ambiente.
Infatti, i plogger escono in strada con un sacco della spazzatura e raccolgono i rifiuti che trovano sul loro cammino, continuando a praticare sport.
# Prendersi cura di se stessi e della natura. Ecco i vantaggi
Credits: www.ohga.it
Con il plogging puoi prenderti cura sia di te stesso sia della natura che ci circonda.
Il nostro corpo trae beneficio dallo sport, acquisendo maggiore energia, tonificando i muscoli, rafforzando le ossa e bruciando calorie. Perché non incorporare la raccolta dei rifiuti dalla strada? Così facendo si riuscirebbe a dare “un extra all’attività” motoria, migliorando il territorio in cui si vive e prendendo maggiore consapevolezza delle problematiche ambientali che ormai caratterizzano la nostra quotidianità.
Quindi, perché non ampliare questo nuovo sport in una Milano più green?
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
Il 12 febbraio esce nelle librerie di Milano il nuovo libro inchiesta di Fabio Massa: “Fuga dalla Città”. Direttore dell’edizione milanese di affaritaliani.it, fondatore della testata True, ideatore e conduttore insieme a Barbara Ciabò di The True Show su Telelombardia, è forse l’osservatore più insider della politica milanese. Anticipiamo qualche estratto del suo libro destinato a far parlare molto. Qui il link per prenotarlo/acquistarlo: Fuga dalla Città.
L’unica alternativa a Milano è una NUOVA MILANO: le anticipazioni su “Fuga dalla città”, il nuovo libro di Fabio Massa
2020. Fuga da Milano.
Questo titolo poteva rendere ancora più apocalittico il nuovo libro di Fabio Massa, uno dei massimi esperti dei dietro le quinte della politica milanese. Ma Massa l’ha smussato con un più doroteo “Fuga dalla città”, ammorbidendo una verità che ferisce chi come lui e come me ama Milano. La città da cui si fugge è Milano, almeno in Italia. Lo racconta in questo libro inchiesta che mette in luce in ogni capitolo il problema che, in un modo o nell’altro, spinge molti milanesi via da Milano, in particolare all’epoca del primo lockdown, lo scorso marzo.
L’amarezza che ha colpito molti milanesi è stata proprio questa. Più che la paura per il Covid e l’ansia per la crisi economica, il pugno allo stomaco è stata l’immagine di molti nuovi milanesi che si accalcano in stazione per fuggire dalla città che aveva accolto il loro desiderio di un futuro migliore. Ricordo lo scoramento di assistere a quella fuga caotica e le domande che si affacciano dal fondo dell’animo che per la prima volta mettono in discussione se la scelta giusta sia stare a Milano. Domande che vengono subito spazzate via dalla cifra distintiva di chi abita sotto la Madonnina, ben descritta da Massa in apertura del libro.
“scappare v. intr. – Darsi alla fuga per paura o per viltà, per evitare un pericolo, una punizione, un danno.1
Toccata (due volte) e fuga.
La fuga dalla città, durante la prima ondata di Covid-19,
ha il rumore dello scalpiccio lungo gli scalini della Stazione
Centrale, il sapore della rivincita per i padri che vedono
tornare i figli a casa, nel paesello. E quello della paura per
chi non può lasciare Milano, perché Milano l’ha scelta o
perché ci è nato. I milanesi resistono, con una certa fierezza
e con quell’ottimismo cinico che nella primavera del 2020
pare la cifra distintiva di chi abita sotto la Madonnina.”
Con questa immagine si apre il libro di Massa che poi passa in rassegna tutte le ferite aperte di Milano che possano giustificare non tanto una fuga precipitosa nel cuore della notta ma una più lenta emorragia. Milano aveva raggiunto di nuovo il milione e quattrocentomila abitanti ma ora ha ripiegato di nuovo perdendone a centinaia ogni settimana. Così come sarebbe da vigliacchi scappare adesso sarebbe da stupidi illudersi che i mali di Milano possano scomparire insieme al Covid. Perchè sono altri mali, più profondi e irrisolti, ad affliggere Milano.
Massa li affronta uno ad uno coinvolgendo in ogni capitolo un personaggio iconico che rappresenta al tempo stesso il male e la sua possibile soluzione. Non solo, dunque, il problema sanitario con Milano città simbolo dell’emergenza Covid, ma anche il caro affitti, la bulimia immobiliare, le divisioni sociali, la crisi della politica, l’emergenza economica, la spaccatura con alcune parti d’Italia, i problemi con il governo centrale, l’assenza di potere e di autonomia, con le risposte non scontate di Boeri, Guzzetti, Fontana, Resta e di Sala che, nonostante i guai della città, continua a rifiutare per Milano il modello di “città stato” largamente diffuso tra le metropoli europee, come Berlino, Madrid, Vienna, Londra o Amburgo.
The True Show: Fabio Massa e Barbara Ciabò
Il libro si legge tutto d’un fiato, con un ritmo serrato con lampi di lirica che sorprendono e strappano qualche emozione durante la lettura. Un ritmo incalzante, che sembra rispecchiare la prima immagine, quella che di fatto dà il titolo, di persone che si precipitano a prendere il primo treno per trovare la salvezza via da Milano. Qual è allora la via di uscita, se esiste? La si intravede tra le righe per tutto il testo, come una sottotraccia al ritmo della fuga e agli allarmi, fino a tornare protagonista nel capitolo finale del libro che si riapre a quella certa fierezza e a quell’ottimismo cinico che sono il tratto distintivo di chi vive a Milano. Quell’ottimismo che porta sempre a rialzarsi e, se è il caso, a trasformare la città per renderla sempre protagonista dei tempi che cambiano. Perchè la morale del libro di Massa è proprio questa: l’unica alternativa possibile per Milano è solo una nuova Milano.
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
Odio la parola movida, l’ho sempre odiata perché non fa parte della nostra identità e cultura.
A Milano, a parte i media e il Sindaco, chi ha mai usato la parola movida per indicare la propria vita sociale? Qualche milanese ha mai pensato anche una sola volta nella vita, fosse solo per mezzo secondo: “cià, mi va un po’ di movida”?
ODIO la #MOVIDA
#La movida a danno dei milanesi
Odio quella parola (che non userò più, nemmeno in questo articolo) soprattutto per come è stata usata a danno dei milanesi.
Mai come quest’anno Milano si trova sotto la lente di ingrandimento di una certa stampa che – capace ma controvoglia, di dipingere i successi della città nell’ultimo decennio – si è dimostrata una macchina da guerra per sottolinearne le difficoltà.
#Mai stati Ghibellini
Bandiera guelfa
La storia delle epidemie ci ha insegnato che quando succede un evento legato alla sfera sanitaria (come un’epidemia, avete presente?) il mondo si divide in due metà quasi perfettamente identiche. Untori e non; runner e restacasisti. Come novelli Guelfi e Ghibellini. E in questa spartizione dei ruoli, a noi di Milano è toccata la parte dell’untore.
Parliamoci chiaro: noi siamo stati Guelfi, quelli schierati con la fede. La nostra identità è Guelfa, come lo è la nostra bandiera, quella che abbiamo visto sventolare all’ingresso ogni giorno di scuola. Quelli che devono compiacere l’imperatore, sono i Ghibellini.
E se i Ghibellini sentono tanto il bisogno di definire l’indomabile #VITA MILANESE con una parola di origine spagnola, nata per descrivere il ritorno alla vita per l’uscita dal coprifuoco e una feroce dittatura, è bene che si interroghino sulla piega che ha preso questo paese, lasciando in pace i milanesi che – fino a prova contraria e nonostante ogni goffo tentativo – sono i cittadini che si sono comportati meglio e fatto i sacrifici più duri durante il periodo del confinamento.
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
All’ingegno non c’è limite: dalla bicicletta senza catena a quella senza raggi, per arrivare a quella che costa 110 mila euro. Con quali pedaleremo in futuro?
Le BICI più CREATIVE del MONDO: la più costosa vale 110 mila euro
#1 La bicicletta stampata in “3D”
Credits: rivistabc.com
Sono stati diversi i tentativi di realizzare una bicicletta utilizzando la tecnologia della stampa “3D”. L’unica che è entrata forse in produzione è “Superstrata”, una eBike moderna con telaio in carbonio. La Arc Bicycle ideata dall’Università di Delft, in collaborazione con una azienda privata, è invece ancora solo un prototipo: questa due ruote “stampata in 3D” presenta un telaio in metallo, simile per disegno ad una ragnatela.
#2 La bicicletta senza raggi
Credits: rivistabc.com – Bici senza raggi
La “Sada Bike” era la scommessa che aveva fatto nel 2014 il neolaureato ingegnere al Politecnico di Torino Gianluca Sada: una bici senza raggi che si poteva “smontare” e trasportare comodamente in uno zaino, ruote comprese. Ad oggi non è ancora in vendita e in produzione. Sul sito ufficiale del brand è comparsa recentemente una variante del modello con l’aggiunta della pedalata assistita.
#3 La bici senza catena
Credits: rivistabc – Bici verticale
Il progetto si chiamavaNuBike, ideato da Rodger Parker che lo ha lanciato attraverso un campagna di crowdfunding su Kickstarter, anche se non ha centrato l’obiettivo di raccolta. La caratteristica principaledi questa bicicletta è che non ha la catena e funziona a “pedalata verticale”: il meccanismo di spinta si trova nel mozzo posteriore. In poche parole per andare avanti bisogna muovere le gambe su e giù sulle pedivelle.
#4 Il prototipo della bicicletta di carta, rimasto…sulla carta
Credits: rivistabc.com – Prototipo bici di carta
Urban Gc1 doveva essere una bicicletta ultraleggera, fatta di carta e dal costo contenuto di appena 130 euro. Purtroppo però il crowdfunding della startup messicana Greencode, non ha avuto successo e il progetto è rimasto appunto solo sulla carta. La bicicletta sarebbe stata composta per il 55% di cartone impermeabile, il 35% di metallo e il 10% di plastica e gomma di recupero. Chissà se verrà mai prodotta.
#5 Dopo la carta, ecco “Placha”: la bicicletta di plastica
Credits: rivistabc.com – Bici di plastica
A Seoul qualche anno fa Tale Jaemin Jaeminlee aveva progettato “Placha”: un prototipo di una bici urban il cui telaio era fatto di materiale plastico, leggero e resistente. Negli intenti il telaio era un pezzo unico, con l’alloggiamento della borraccia ritagliato nella struttura stessa, ma al momento non ha visto mai la luce, così come nessun altro modello che impieghi solo materiale plastico.
#6 La bici placcata in oro e rivestita da Swarovski
Credits: rivistabc.com
Chiudiamo la lista con le biciclette più costose, quelle realizzate in oro. Tra i modelli acquistabili c’è una Aurumania Crystal Edition da 110mila dollari: realizzata interamente a mano con un telaio placcato d’oro a 24 carati e rivestita da 600 cristalli Swarovski. Gli esemplari in giro per il mondo si contano sulle dita di due mani e difficilmente le vedremo correre su strada.
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
Milano nel decennio 2021-2030 è la scommessa che dobbiamo vincere. Sarebbe stato così anche senza inciampare nel surreale Mulholland Drive in salsa pandemica.
Da punta di diamante a tallone d’Achille d’Italia il passo è stato breve e le ricadute di questa nuova crisi stanno per scatenarsi nel capoluogo e nella città metropolitana. Sarà la fine di Milano?
Non è la prima volta che la nostra città è in ginocchio: Milano ha conosciuto qualsiasi tipo di abbandono, distruzione e sopruso, ritornando ogni volta più bella e forte. Spesso con la chiesa, a volte con le rivincite militari, una volta perfino con un’icona della cucina meneghina. La differenza l’hanno fatta i milanesi e le milanesi. Sempre.
7 volte che MILANO è FINITA IN GINOCCHIO, ma si è sempre RIALZATA
#1 402 d.C. Impero romano: il primo momento di gloria, il primo abbandono di Roma => la rinascita con la Cattedrale
Credits Wikipedia -resti palazzo imperiale via Brisa MI
Milano è stata capitale dell’impero romano d’occidente dal 286 al 402 dell’era moderna per scelta dell’Imperatore Diocleziano, conoscendo così un’era di grande splendore.
In questo periodo arrivano l’editto di Costantino (313) e Ambrogio Vescovo nel 374 che costruisce Milano anche spiritualmente.
L’ascesa economica e la posizione geografica attirano l’attenzione delle popolazioni nordiche, che mirano alla Pianura Padana minacciando l’impero.
È nel 402 che l’imperatore Onorio (forse il più inetto della storia imperiale) decide di abbandonare Milano al suo destino, rifugiandosi per spostare la capitale a Ravenna, considerata più difendibile. Il culmine della distruzione avviene nel 452 con il saccheggio e l’incendio ad opera di Attila e gli Unni. Molte comunità si sarebbero arrese, invece Milano si rialza subito, già nel 453 grazie all’impegno del Vescovo Eusebio che decide di riedificare la cattedrale, allora Santa Tecla. Con tutta probabilità questa riapertura al culto è alla base dell’antichissima tradizione della Dedicazione della Cattedrale, così forte da imprimere un’indelebile traccia nelle successive consuetudini ambrosiane.
#2 L’assedio del 538-539 e la prima distruzione di Milano => la nuova fondazione con i Longobardi
Credits : milano.cityrumors – Assedio Goti
L’imperatore Giustiniano I, deciso a riprendersi i territori occidentali dell’ex impero romano, manda il suo generalissimo Belisario nei territori italiani ma la campagna è lunga, farraginosa e minacciata dal tradimento dei suoi condottieri. Ne fa le spese Milano che si trova sotto assedio dei Burgundi e viene raggiunta dall’esercito bizantino quando è troppo tardi: i cittadini muoiono di fame e sono incapaci di difendere le mura cittadine, arrendendosi. Milano fu distrutta, i cittadini maschi uccisi e le donne vendute come schiave ai Burgundi.
Sarà il generale bizantino Narsete a riconquistarla per l’impero d’oriente, ma la città si riprenderà solo un secolo e mezzo dopo l’arrivo dei Longobardi con la Regina Teodolinda.
#3 L’assedio del Barbarossa e una nuova distruzione di Milano => la rivincita di Legnano, la Lega Lombarda e la fioritura dell’età dei Comuni
Credits: wikipedia- carroccio lega pontida
Ci catapultiamo nel medioevo, quando i comuni lombardi sognavano l’autonomia mentre un imperatore germanico, Federico I detto il Barbarossa, inseguiva il sogno di riunire il Sacro Romano Impero. L’ambizione e la potenza di Milano erano altissime ed era la città più agguerrita di tutti i comuni. Barbarossa, sentitosi minacciato, lanciò l’anatema e chiamò tutti gli alleati disponibili per una campagna punitiva. Pose Milano sotto assedio dal maggio 1161 al marzo 1162, fino alla caduta di Porta Romana e la vittoria.
La furia di Barbarossa fu placata solo dalla completa distruzione di Milano e il saccheggio di ogni risorsa. Nel 1164 – quando non era rimasto più nulla – gli alleati di Barbarossa lasciarono Milano che iniziò la sua reazione facendosi artefice della propria resurrezione, alleandosi con Cremona, Bergamo, Brescia e Mantova nella Lega Lombarda e giurando a Pontida del 1167.
Subito si unirono Lodi, Piacenza e Pavia ed anche il Papa diede la sua benedizione alla Lega Lombarda. L’alleanza si cementò anche intorno a simboli come il carroccio e il vessillo di Milano.
Naturalmente Barbarossa iniziò una nuova campagna di guerra, autocompiacendosi della vittoria di pochi anni prima. La Lega andò incontro al cammino dell’imperatore dietro al carroccio e alla Croce di Milano e sotto la guida di Alberto Da Giussano, descritto come il cavaliere che si distinse nella battaglia di Legnano del 29 maggio 1176 per aver guidato la Compagnia della Morte: 900 giovani cavalieri scelti per difendere a costo delle loro vite simbolo della Lega Lombarda, contro l’esercito di Federico I.
Al Barbarossa fu inflitta una sonora sconfitta e i principali vincitori furono proprio i milanesi.
Il simbolo del Carroccio verrà portato nella cattedrale di Santa Tecla ed esposto in tempo di pace per ricordare il valore di Milano e dei comuni amici. Inizia anche a brillare la luce di Milano nell’età Comunale, una dimensione consona alla città che guarda al futuro e al commercio con gli altri territori.
#4 Il cinquecento. La fine della città stato => Carlo Borromeo la riporta a guida spirituale dell’Italia
Credit : lombardiabeniculturali.it -San Carlo dipinto da Cesare Bebbia
Il periodo rinascimentale di Milano è stato folgorante quanto troppo breve.
In un contesto europeo in cui Milano passa dall’influenza francese alla dominazione spagnola con Carlo V, la fine improvvisa della dinastia degli Sforza permette alla Spagna di assumere il controllo diretto del Ducato di Milano.
Le condizioni di vita dei milanesi sono sotto lo scacco dell’aumento di tasse e del costo della vita, nonché la carenza di generi alimentari. Tutto questo viene alleviato dall’arrivo di un gigante buono, Carlo Borromeo, protagonista tra l’altro del Concilio di Trento. Nominato Arcivescovo si insedia in una città in preda al degrado e sceglie Milano come guida per l’Italia e per il mondo per dimostrare la validità delle sue idee tramutate in fatti.
San Carlo è artefice di un’intensa riforma della diocesi, attivo fautore di una nuova coesione sociale portando la sua opera pastorale tra gli ultimi, gli appestati, le prostitute e gli orfani. San Carlo ha dato un’impronta a Milano che la città conserva ancora oggi. Grande impulso all’identità e – perché no – alla felicità dei milanesi, lo diede anche l’invenzione del risotto allo zafferano, nato nel 1574 e presto adottato, richiesto e amato dai cittadini milanesi.
#5 La peste del seicento => la perla degli Asburgo
Credit: wikiwan – La scala
Tra il 1628 e il 1630 Milano e milanesi sono vittima degli eventi che fanno da sfondo ai Promessi Sposi di Alessandro Manzoni: una lunga carestia che condurrà ai Tumulti di San Martino e la terribile epidemia di peste che dimezzerà la popolazione, con risvolti sociali e psicologici importanti.
Vi è ancora la dominazione spagnola, caratterizzata da improvvisazione e individualismo, che si interrompe finalmente nel 1706 quando arrivano il rigore e la disciplina degli austriaci.
Inizia il secolo che darà l’impronta definitiva all’aspetto di Milano e al carattere dei milanesi: si gettano le basi per la futura industria lombarda, si riformano le scuole, viene inaugurato il Regio Ducal Teatro (La Scala), Maria Teresa da il via alla riforma del catasto, mantiene il lavoro della Zecca cittadina e l’impero austriaco produce vigore alla vita culturale della città.
#6 La devastazione della seconda guerra mondiale => la ricostruzione e il boom miracoloso
Nel corso della II guerra Mondiale Milano è stata la città nel Nord più bombardata dagli alleati, con centinaia di incursioni e ne esce irriconoscibile. Mancano all’appello migliaia di milanesi, una parte del Castello, della Scala e della Galleria, alcune fabbriche e monumenti.
Fedele alla sua natura, la cittadinanza puntella quello che si può salvare e inizia ad accantonare macerie in un unico luogo alla periferia ovest.
Pian piano ci si accorge che la montagna di detriti può diventare il Monte Stella e che accanto si può progettare un futuristico quartiere come il QT8. Si inizia a capire che il design può coprire le cicatrici lasciate dalla guerra e si guarda avanti, al futuro vero che segna il passo economico dell’intero paese, perché è da tutta Italia che i nuovi milanesi arrivano carichi di cultura, speranza e voglia di rimboccarsi le maniche per migliorare sé stessi e le proprie radici.
Invece del Manzoni ci saranno creativi, TV, radio e il movimento della carta stampata a raccontare questa rinascita che sembra incredibile solo per chi non ama Milano.
#7 Tangentopoli => la grande riqualificazione urbana ed Expo
Il 17 febbraio del 1992 è la data di inizio di un terremoto giudiziario e politico che ha scosso tutta Italia.
Mario Chiesa viene colto in flagrante mentre accetta una tangente e questo semplice gesto sgretola tutto l’impianto su cui si reggeva la cosiddetta prima Repubblica. Milano è al centro della vicenda e inizia a curare le sue ferite dall’interno: sarà la Procura di Milano a indagare, perseguire e condannare il sistema.
Gabriele Albertini, primo cittadino dal 1997 al 2006 e la sua visione, daranno concretezza al concetto di riqualificazione della città. Innanzitutto collaborando a stretto contatto con la Magistratura, il cui aiuto è stato fondamentale per assicurare trasparenza ai progetti di Porta Nuova, del nuovo polo fieristico di Rho e la conversione della vecchia Fiera. Milano punta in alto: fisicamente con i grattacieli modificando lo skyline, a livello cittadino con l’Expo del 2015, la vetrina internazionale che permette al mondo intero di ammirare la nuova città e la rinnovata coesione sociale dei suoi abitanti, che mettono in pratica lo spirito milanese: inclusione e curiosità per le nuove esperienze.
# La pesante mazzata del Covid in attesa di una nuova rinascita
Fino al 20 febbraio 2020, quando si scopre che cadere da così in alto fa male.
Come hanno dimostrato i milanesi prima di noi, non esistono difficoltà insuperabili per questa comunità che ha reagito facendo quadrato nel confinamento dei limiti cittadini e ha riscoperto il piacere di tendere la mano a sé stessa (Milano per Milano )
Dobbiamo sempre ricordare che Milano è fatta per splendere. Abbiamo l’obbligo di guardare avanti sapendo che la caduta di oggi non segnerà i fasti del passato.
Come la lezione che ci ha lasciato Nelson Mandela: «Non giudicatemi per i miei successi ma per tutte quelle volte che sono caduto e sono riuscito a rialzarmi». Una frase storica che sembra detta apposta per Milano.
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
La Repubblica Serenissima è stata una delle maggiori potenze commerciali e navali europee della storia. Fondata nel 697, è durata ben 1100 anni: nel 1797, a seguito dell’intervento armato di Napoleone Bonaparte, con il Trattato di Campoformio, si pose fine alla Repubblica di Venezia.
Ancora oggi, però, a distanza di più di due secoli, sopravvive tra i veneti un sentimento di autonomia che trova sempre più proseliti, molto probabilmente a causa delle cocenti delusioni politiche che il popolo italiano, di cui quello veneto ovviamente fa parte, deve mandar giù giorno dopo giorno.
Stefano Zecchi: “Venezia Città Stato, capitale d’Europa”
L’autonomia di Venezia
L‘autonomia veneta è di certo il pensiero predominante in tutta la regione, alimentato ormai da decenni dai partiti locali. E’ però interessante il fatto che, oltre ai movimenti che trattano l’autonomia regionale, ce ne sia uno specifico che promuove l’importanza di rendere Venezia una città Stato.
Il Partito dei Veneti
I movimenti veneti indipendentisti e pro-autogoverno formati da donne e uomini liberi, si sono infatti uniti dando vita al Partito dei Veneti. Il movimento rappresenta tutti i veneti che non si sono arresi all’idea di autogovernarsi con l’obiettivo di limitare, fino ad escludere, la presenza dello Stato centrale in Veneto.
#Stefano Zecchi per l’autonomia di Venezia
Prof. Stefano Zecchi – Partito dei Veneti
Se ne fa ambasciatore una vecchia conoscenza, il prof. Stefano Zecchi, consigliere comunale di Venezia, dal 2016 inoltre Direttore dell’I.I.S.B.E. (Istituto Internazionale di Scienza della Bellezza) di Milano. Il professore commenta favorevolmente una recente intervista rilasciata dall’Assessore ai Lavori Pubblici del Comune di Venezia Francesca Zaccariotto, inerente la necessità di uno Statuto Speciale per Venezia: “Leggo con piacere che piano piano si prende coscienza di quanto abbiamo detto ripetutamente in campagna elettorale, dove avevamo adottato anche lo slogan “Venezia Capitale d’Europa” e cioè l’importanza di rendere Venezia una città Stato come ve ne sono circa una trentina disseminate in territorio europeo. Solo per questa via vi sarà una specifica autonomia finanziaria e si potranno raccogliere intorno a tutta l’area metropolitana di Venezia risorse necessarie per il proprio sostentamento e crescita, con ricadute positive a livello regionale”.
Il nuovo Segretario del Partito dei Veneti, Cesare Busetto, aggiunge inoltre che “stiamo lavorando proprio in questo periodo, incontrandoci assieme a massimi esperti italiani in discipline giuridiche, per verificare il percorso migliore da proporre per raggiungere questo obbiettivo di Venezia città Stato. Visto anche quanto comunicato dall’Assessore ai lavori pubblici, ci farebbe molto piacere se il Comune di Venezia fosse parte attiva e interessata a collaborare assieme a noi.”
Milano si prepara ad avere un terzo bosco verticale, la Torre Botanica, ma non tutti sanno che il primo bosco verticale venne costruito negli anni 60 dall’architetto e designer veneto Bruno Morassutti. Un edificio rivoluzionario già per i tempi, che nasce proprio dallo spirito di rinascita e dal melting pot culturale che hanno caratterizzato Milano negli anni del dopoguerra, portando ad opere di rinnovamento urbano impensabili fino a pochi anni prima.
La CASA di via Quadronno, il primo BOSCO verticale di Milano
# L’architetto Morassutti, le influenze di Frank Lloyd Wright e l’architettura al servizio dell’uomo.
credits: architetti.san.beniculturali.it
Bruno Morassutti si laurea in architettura a Venezia nel 1946 e subito dopo parte per gli Stati Uniti dove frequenta la comunità studio di Frank Lloyd Wright a Taliesin, un’esperienza che segnerà e caratterizzerà in maniera indelebile la sua carriera di architetto. Morassutti è l’unico italiano ad aver frequentato così a lungo lo studio di Wright ed è da questa esperienza che nasce la sua idea di un’architettura al servizio dell’uomo e della società che declinerà in tutte le sue opere.
# Lo studio Morassuti a Milano, la città ideale per la nascita di nuove tendenze.
credits: archilovers.com
Nel 1954 Morassutti rientra in Italia e decide che Milano è «the place to be», perché è a Milano che nascono tutte le nuove tendenze. Inizialmente entra in contatto con lo studio BBPR, uno dei primi e più interessanti casi di collettivo artistico e culturale fondato sul lavoro di gruppo anziché sulla personalità del singolo, per poi associarsi con un altro architetto, Angelo Mangiarotti, con cui progetterà le sue opere più rappresentative: la chiesa di vetro di Nostra Signora della Misericordia a Baranzate, la Casa a tre cilindri di San Siro e il bosco verticale ante-litteram di Via Quadronno.
# La casa di via Quadronno con le sue facciate ricoperte da piante e rampicanti.
L’edificio si inserisce in un più ampio programma di ricostruzione post-bellica dell’area compresa tra via Crivelli e via Quadronno. Questo nuovo isolato è stato immaginato come uno spazio verde continuo, permeabile allo sguardo e ideale prosecuzione del giardino pubblico adiacente. Da qui l’idea di realizzare l’edificio utilizzando degli elementi prefabbricati che permettessero l’innesto della vite del Canada e la scelta di lasciare che le facciate venissero con il tempo interamente rivestite dal verde.
Come per la casa dei Tre cilindri, il progetto del condominio di via Quadronno punta alla flessibilità ed è declinato attraverso moduli base prefabbricati intercambiabili che consentono la personalizzazione degli appartamenti in base alle esigenze del proprietario.
A differenza del Bosco Verticale, il verde di questo edificio nasce dalla libera scelta dei vari proprietari degli appartamenti, realizzati secondo il disegno interno voluto da ognuno, ed è reso possibile proprio dall’utilizzo degli elementi prefabbricati che, consentendo l’inserimento del verde, hanno permesso agli inquilini di innestare piante rampicanti e a medio fusto che ormai ricoprono completamente le facciate e i balconi del palazzo.
Per un lungo periodo, al primo piano dell’edificio ha avuto sede lo studio di progettazione guidato dallo stesso Morassutti.
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
In provincia di Lecco, a Cortenova, sorge Villa De Vecchi, famosa per essere una delle sette ville più infestate del mondo e la più infestata d’Italia. La storia della casa e del suo proprietario, Felice De Vecchi, è diventata nella cultura popolare un racconto del terrore.
La VILLA più infestata dai FANTASMI è a un’ora da Milano
# Villa De Vecchi: la “casa rossa” negli anni.
credits: madtrip.com
Villa De Vecchi, splendido esempio di architettura eclettica, venne costruita a metà ‘800 per volere di Felice De Vecchi, eroe risorgimentale fra i protagonisti delle Cinque Giornate di Milano. La casa, soprannominata la “casa rossa” per il suo colore esterno, ospitava al suo interno mobili ed oggetti di grande valore, provenienti da tutto il mondo, il proprietario era infatti un amante della cultura orientale.
La dimora fu abbandonata nel 1938 e, durante la Seconda Guerra Mondiale, venne usata come rifugio per gli sfollati. Ormai in stato di degrado, alcuni imprenditori locali la comprarono negli anni ‘80, ma la sua bellezza e il suo mobilio sono oggi solo un ricordo, durante gli anni dell’abbandono la villa fu infatti depredata e vandalizzata.
# L’inquietante leggenda che aleggia sulla villa.
credits: samurai_____ IG
La leggenda narra che Felice De Vecchi, di ritorno da una passeggiata, trovò la moglie e la figlia brutalmente assassinate. Ma gli spiriti delle due donne sembrano non aver mai abbandonato la casa. La storia non finisce qui. Una volta morto anche il povero De Vecchi, pare che la villa sia diventata teatro di fenomeni paranormali. Queste misteriose storie avrebbero addirittura spinto lo spiritista britannico Aleister Crowley a far visita alla villa e a celebrare al suo interno riti satanici.
Ma c’è di più, altri due fenomeni inquietanti hanno luogo nel fatiscente edificio: sembra che ogni notte un fantasma suoni una melodia al pianoforte e, come se non bastasse, lo spirito di una presunta amante del proprietario spaventa i malcapitati visitatori.
# Quando l’immaginazione supera la realtà.
credits: lakecomoturist.it
Ma ecco il colpo di scena: è tutto inventato.
Nel 2012, il sito Buzzfeed mette insieme tutte le voci e le leggende circolate negli anni e la storia diventa più che mai virale, supportata dall’aspetto della Villa, ormai decadente e abbandonata, che sembra essere il luogo ideale per fare da scenografia ad una storia di paura. In realtà, ripeto, sembra essere tutto falso, a partire dalle cause della morte della signora De Vecchi. Infatti Felice e la moglie muoiono nel 1938 per cause naturali e il signor Giuseppe Negri, figlio degli ultimi custodi della villa, ha dichiarato che i racconti non hanno alcun riscontro storico.
Sembra quindi che l’immaginazione abbia superato di gran lunga la realtà, ma chi avrebbe il coraggio di passare una notte tra le sue mura?
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Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
Intorno agli anni ’20, ma di cento anni fa, Milano si apprestava ad offrire un grande parco dedicato allo svago proprio dove ora sorge il Centro Sportivo del Lido. Ecco la sua storia affascinante.
Il PRIMO LUNA PARK milanese
# La nascita del divertimento a Milano, sulla falsa riga del Luna Park newyorkese di “Coney Island”
Credits: @milano_scomparsa_o_quasi (IG)
Due piccoli laghi intervallati da un molo attrezzato per l’approdo di romantiche barchette, una fila di lampioni in stile veneziano, un isolotto da raggiungere, mano nella mano con la propria innamorata. E poi un’area ispirata al mare con tanto di sabbia e un marchingegno meccanico che simulava le onde. L’azienda che diede inizio ai lavori si chiamava “Società Anonima del Luna Park Lido di Milano” e incaricò l’ingegner Marescotti di rendere tangibile ciò che gli abitanti di una grigia città custodivano, fino ad allora, solo in sogno.
Negli anni 30 ci fu l’inaugurazione di quello che appariva una spettacolare novità italiana, ma sulla falsa riga del rinomato Luna Park di Coney Island, a New York.
Non è un caso se in quegli anni si è pensato di investire in qualcosa che allietasse il tempo libero dei milanesi. Infatti, l’orario di lavoro, prima massacrante e senza regole, era stato ridotto per legge a 8 ore e centinaia di persone si ritrovarono all’improvviso liberi di godersi la vita.
# La mentalità fascista disapprovava l’approccio ludico allo sport. Il progetto fallì e fu trasformato nell’attuale centro sportivo
Credits: milano.repubblica.it
Una libertà che fu breve perché la mentalità fascista dell’epoca disapprovava l’approccio ludico allo sport. Ne concepiva solo il tempo dedicato a fortificare il corpo ed il carattere, non certo “le mollezze dello svago”. Non era neppure vista di buon occhio la possibilità di far frequentare gli stessi bagni sia agli uomini che alle donne.
I contorni del Lido di Milano iniziavano ad esser definiti promiscui e così, d’improvviso e misteriosamente, il progetto fallì. Il Comune di Milano lo rilevò per trasformarlo nel tempo nel centro sportivo che conoscete oggi.
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
Le solar roadways stanno diventando una realtà innovativa in alcune grandi città del mondo. Il concetto di base è usare i chilometri di strade asfaltate per produrre elettricità a servizio delle comunità, risparmiando sull’energia elettrica prodotta dal carbone, petrolio e gas. L’idea dei pannelli solari nelle strade potrebbe cambiare anche il concetto di mobilità sostenibile. Infatti, durante la marcia le auto elettriche potrebbero ricaricarsi senza bisogno di rifornimento.
Potrebbe Milano adottare questo sistema per migliorare l’impatto ambientale? Ma vediamo alcuni esempi nel mondo.
Le STRADE SOLARI: una nuova via per il futuro di Milano?
# A Jina in Cina, la prima superstrada con panelli solari a terra dell’Asia
Credits: biopianeta.it – Autostrada a pannelli solari in Cina
A Jinan, capitale della provincia cinese dello Shandong in Cina, è stata inaugurata la prima superstrada con i pannelli solari a terra, “The Jinan Expressway” sviluppata dal Qilu Transportation Development Group. La strada fa parte della circonvallazione che circonda la città e ha tre livelli: i pannelli fotovoltaici si trovano al centro, nella parte inferiore c’è uno strato isolante mentre al di sopra dei pannelli, a protezione, c’è uno strato trasparente e portante che consente alla luce solare di penetrare. Sono operativi circa 2km che producono 1 milione di kWh all’anno, sufficienti per alimentare 800 case circostanti. I pannelli sono protetti dal peso dei veicoli e dagli agenti atmosferici attraverso uno strato speciale di bitume.
# In Olanda e in Francia: piste ciclabili con pannelli solari sulla pavimentazione
Pista ciclabile con pannelli solari
D’altro canto, negli ultimi anni in Europa e in particolare in Olanda, sono state inaugurate piste ciclabili con pannelli solari a terra. Nel 2015 la prima “Solaroad” al mondo lunga 70 metri, produceva un rendimento annuo di circa 70kwh per metro quadro. Le strade raccolgono l’energia dei raggi solari durante il giorno per poterla usare per alimentare i lampioni durante la notte. Le piste sono fatte di lastre in calcestruzzo in cui sono stati integrati semplici pannelli fotovoltaici, a loro volta protetti da uno spesso strato di vetro trasparente in grado di sostenere sia le bici che i mezzi più pesanti.
In Francia un primo tentativo è stato condotto per produrre elettricità per un sobborgo di 5000 abitanti non lontano da Tourouvre-au-Perche. La struttura dei pannelli è formata da silicio policristallino che hanno uno spessore di pochi millimetri e la cui produttività è garantita per circa 20 anni. Oggi in base ai dati dell’ADEME questo sistema produce però solo la metà dell’energia sperata all’inizio però è senza un dubbio un primo punto di partenza, ci sono anche da risolvere problemi di deterioramento e comfort acustico.
# Una strada possibile anche per Milano?
Dieci anni fa nessuno avrebbe parlato della diffusione di massa delle elettriche eppure stanno diventando sempre più popolari tra di noi. E’ ipotizzabile quindi un futuro per questa tipologie di strade che producono energia. Si tratta di un progetto in fase embrionale perché in base ad alcune ricerche la produzione energetica prodotta da questo sistema equivale ad 1/3 di quella prodotta sui tetti delle abitazioni ed uffici. Ciò non toglie che in paesi come la Cina, Olanda, Svezia e USA questo tipo di progetto sia in continuo sviluppo e in fase di miglioramento tecnologico e forse un giorno le vedremo anche a Milano. Sarebbe un bel segno per contrastare la grave piaga dell’inquinamento dell’aria e un simbolo di rinascita per la ripartenza della città.
Ritratto digitale di Giacomo Giannella (https://www.giannellachannel.info/)
Nelle sue considerazioni finali da Governatore uscente della Banca d’Italia nel 2011 l’attuale premier incaricato sosteneva la necessità di attuare il federalismo fiscale per sistemare il bilancio dello Stato, se soddisfatte due condizioni. Ecco cosa dichiarava 10 anni fa. La penserà ancora così?
Mario Draghi: “il federalismo fiscale può aiutare i conti pubblici”
Ultime considerazioni finali di Mario Draghi, Governatore della Banca d’Italia (2011)
”Oggi bisogna in primo luogo ricondurre il bilancio pubblico a elemento di stabilità e di propulsione della crescita economica, portandolo senza indugi al pareggio, procedendo a una ricomposizione della spesa a vantaggio della crescita, riducendo l’onere fiscale che grava sui tanti lavoratori e imprenditori onesti”
‘‘Il federalismo fiscale può aiutare responsabilizzando tutti i livelli di governo, imponendo rigidi vincoli di bilancio, avvicinando i cittadini alla gestione degli affari pubblici. Due condizioni sono cruciali: che i nuovi tributi locali siano compensati da tagli di quelli decisi centralmente e non vi si sommino; che si preveda un serrato controllo di legalità sugli enti a cui il decentramento affida ampie responsabilità di spesa”.
L’opinione italiana su Milano è decisamente migliorata negli anni, anche se il Covid e la gestione lombarda della crisi hanno un po’ offuscato la percentuale di risalita. Siamo soliti vivere di luoghi comuni e leggende metropolitane sulle città che non conosciamo, e anche il capoluogo meneghino non è risparmiato. Ecco le prime cose che un non milanese pensa, passando per Milano o dovendosi trasferire qui per lavoro?
Le prime 5 COSE di MILANO che vengono IN MENTE a un non milanese
#1 La nebbia
credits: tibyk6406 IG
È indubbiamente un retaggio un po’ anni’80, i tempi da allora sono cambiati non poco e neppure il clima è da meno, probabilmente a causa del riscaldamento globale che ha innalzato le temperature un po’ ovunque. Sta di fatto che il “avete solo la nebbia”, un tempo appannaggio di cori da stadio, è sbarcato e si è diffuso capillarmente in tutto il territorio italiano, anche nelle regioni limitrofe alla Lombardia. Una sciocchezza comprovata dai fatti: la Milano nebbiosa che avvolgeva i meridionali trasferitisi qui per lavoro è ormai un lontano e remoto ricordo e, quando ve n’è ancora, si concentra soprattutto nelle zone poco edificate dei comuni limitrofi alle grandi città. Con buona pace degli sfottò del Centro Italia e dei nostri vicini qui al Nord, come se poi a Torino o Venezia ci fosse meno nebbia che a Milano.
#2 Si mangia male
credits: sandro_rosignoli IG
Fra le tante fesserie che girano nel belpaese. Il cuore pulsante delle passioni italiane risiede stabile in cucina, da dove si diffondono come tentacoli tradizioni, usanze e costumi che hanno milioni di forme, agli antipodi da un comune all’altro, figurarsi fra province e regioni. Il campanilismo culinario c’è sempre stato. Al Centro Sud ci si vanta di avere piatti migliori, ma forse perché il carattere degli italiani lì è mediamente più propenso a decantare le proprie ricette rispetto al Nord, dove la cucina è ricchissima, solo inevitabilmente diversa, anche per questioni stagionali/metereologiche.
Certo, al cuor non si comanda e allo stomaco neppure. Ognuno ha le proprie preferenze, ma siamo proprio sicuri che uno spaghetto alle vongole sia più nobile d’un piatto di brasato con polenta?
#3 La moda e lo shopping
credits: Pinterest.it
Caposaldo inossidabile del pensare nostrano: il fashion. Le boutique d’alta moda e il connubio con il mondo dello shopping (nonché delle nuove forme social di promozione brand di moda e affini, che non esistevano trent’anni or sono) è vivo e vegeto per i quartieri di Milano, e sta crescendo a una velocità pazzesca.
E su questo, non c’è pandemia che tenga. Milano è, e resterà, la capitale italiana e internazionale della moda, e in Italia, questo, lo sanno bene dappertutto. Anche chi non ci è mai stato.
#4 I soldi
credits: pepperjess_
A braccetto con la moda c’è il mondo del business, da sempre il braccio forte di Milano. Il dito di Cattelan in piazza Affari non ha fatto altro che aumentare la fama moderna della Borsa, la quale era già in auge nelle decadi precedenti, e non solo per l’immaginario collettivo legato agli Yuppies e della Milano di cui tanto abbiamo parlato. Milano è ancora la capitale italiana della finanza e del commercio, e questa etichetta resta salda nelle idee della stragrande maggioranza degli italiani.
#5 La nightlife
credits: disco_milan
Qui non possiamo che confermare tutto a occhi chiusi. La vita notturna di Milano è sempre stato uno dei motivi principali per i quali i giovani si trasferivano qui, a partire dagli studenti universitari fino alle fughe nei weekend di ragazzi provenienti da fuori, per trovare clubs e locali che in buona parte d’Italia non si trovano. Come a dire, non tutto ciò che si pensa è un luogo comune. Perché quando questa dannata situazione sarà alle spalle, la nightlife ripartirà col turbo, per bruciare in breve tutto il tempo perduto rimasta ferma ai paddock.
Ora tocca a voi. Diteci, cosa pensavate di Milano prima di trasferirvi qui? Era come ve l’aspettavate?
Sono il punto di riferimento per il benessere a Milano. Le terme però sorgono da una realtà precedente che in pochi conoscono. A cosa servivano prima di diventare un luogo di relax?
Le TERME di MILANO: il cuore del RELAX milanese nasconde un passato MACABRO
Forse non tutti sanno che le rinomate Terme di Milano, meta di svago e relax di molti meneghini, sorgono dalla fusione di due realtà preesistenti, una molto in là nei secoli ed una più recente.
# Una stazione funebre in circonvallazione
credit: milanoneisecoli.blogspot.com
Nel 1908 proprio in quel luogo venne realizzata una stazione funebre da cui partivano le salme dirette ai cimiteri Musocco, Monumentale e Maggiore. Avete capito bene. Il contrasto fra i due usi è alquanto curioso.
La palazzina è in stile liberty, progettata dall’architetto Tettamanzi in collaborazione con l’ingegnere Minorini. Prima di essa c’era già la stazione funebre di via Bramante ma con l’evoluzione della città e il relativo aumento della popolazione, non poteva bastare, soprattutto per coprire tutta la zona sud di Milano che agevolava l’arrivo al cimitero di Musocco. La scelta di porre la stazione proprio in Piazza Medaglie d’oro è stata fatta perché era affacciata sull’ampia circonvallazione dei Bastioni.
# Un’edificio storico: tra mura spagnole ed elementi novecenteschi
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Se la struttura interna rappresenta lo stile primi del 900, l’area esterna vi porta nel 1500. Il grande prato con diverse piscine riscaldate e illuminate di sera, è avvolto da bellissime mura in mattone innalzate durante la dominazione spagnola, per sostituire le mura medievali.
Vi è una testimonianza scritta dell’inaugurazione dei lavori: “Nel nome della Santissima Trinità della gloriosa vergine, dell’anno della nostra salute 1549, dì 22 del mese di marzo, fu fatto principio di fortezza di preda per tutto il circuito di Milano e insema con esso una processione lì era ..illustrissimo Ferrante Gonzaga, luogotenente di sua maestà in Italia e tutti insema andarono fora di Porta Orientale”.
# Da qui partivano delle vetture un po’ speciali: i tram funebri
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Parlando invece dei tram funebri, come dovevano essere?
Il Comune diede la progettazione in appalto alla Edison (che costruiva già i tram elettrici) per fare vetture speciali. Due vagoni: uno per portare il feretro, uno per ospitare i suoi accompagnatori, corredato di ogni comodità.
Sedili in velluto, tappezzeria, riscaldamento, vetri smerigliati per la privacy. Potevano contenere fino a due bare mantenendo comunque la riservatezza delle famiglie.
# Oggi il relax ha preso il posto della stazione funebre
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Con l’avvento dei primi mezzi a motore, questa iniziativa cominciò a cadere in disuso fino a venir soppressa nel 1928.
L’edificio venne trasformato nel circolo ricreativo dei dipendenti dell’Atm fino ad oggi dove ha preso corpo un suggestivo spazio termale.
Trascorrere lì un paio d’ore di relax vi estranea completamente dalla realtà e dagli affanni quotidiani portandovi lontano nel tempo.
Consiglio a tutti di andarci almeno una volta, soprattutto al calar del sole per vedere le mura illuminate e le stelle mentre siete immersi nelle bollicine della piscina riscaldata.
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
In questi giorni, durante i lavori per la realizzazione della futura stazione M4 De Amicis, sono stati ritrovati i resti di una struttura muraria di epoca medievale. E’ già il secondo ritrovamento archeologico dall’inizio degli scavi, infatti era stata trovata precedentemente una struttura che verrà rimontata nel piazzale della stazione metropolitana. Quale sarebbe stato il futuro dei nuovi reperti è rimasto incerto a lungo, ma ora il suo “trasferimento” è iniziato.
# Dove verranno trasferite le mura?
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I resti verranno prima smontati, per poter esseri rimossi dal cantiere, e venire poi posizionati nell’area dell’Anfiteatro romano. In quest’area archeologica è già in atto un programma di riqualificazione che prevede la creazione del “Pan” – Parco Amphitheatrum naturae – che sarà il più grande parco archeologico della Lombardia. Si tratterà di un progetto di “archeologia green” in pieno centro città, tra via Arena e via Conca del Naviglio, al Ticinese. L’idea può sembrare innovativa ma prende spunto dal passato: infatti intende riprodurre, con una simbiosi di natura e archeologia, il modello che esisteva in epoca romana.
# Reticolo idraulico o mura difensive? Gli archeologi avanzano ipotesi
Lo spostamento della struttura si pensa che non sarà celere a causa delle sue dimensioni e della sua fattezza. Alta circa 2,5 metri, lunga quasi 10 metri e con uno spessore di ben 2 metri, l’imponente struttura è composta da blocchi in pietra lavorati a bugnato e si sono conservati anche degli elementi probabilmente parte di un sistema di regolamentazione delle acque. Quale fosse la funzione delle mura ancora è da stabilire con certezza ma gli archeologi ipotizzano che le mura fossero connesse ad un più grande reticolo idraulico. Un’altra ipotesi, anche se meno probabile, vede la struttura come le fondamenta di una grande torre difensiva.
Gli accertamenti sulle sue origini sono ancora in corso e non appena il “Pan” sarà ultimato, grazie a questi e a tanti altri reperti sarà possibile tornare indietro nel tempo, restando sempre a pochi passi dal centro città.