Dopo la controversa ciclabile di Porta Venezia, in Corso Buenos Aires, il Municipio 1 vuole introdurre nuove preferenziali che fungano anche da ciclabile, nel percorso della Cerchia dei Navigli già congestionato dai lavori della M4. Una proposta in linea con la visione del Sindaco Sala, di puntare sulle piste ciclabili per perseguire la strade del “green” ad ogni costo.
# La proposta del Municipio 1: nella cerchia dei Navigli raddoppio delle preferenziali, per ciclisti taxi e mezzi di servizio pubblico, e riduzione a una sola corsia per le auto private
Anche il Municipio 1 si sta muovendo per chiedere più spazio per le biciclette, nell’area più congestionata della città, proponendo a Palazzo Marino per la Cerchia dei Navigli una rivoluzione della mobilità. Con un raddoppio delle preferenziali: due corsie, una per ogni direzione al posto di quella che oggi corre in senso orario, che si allargherebbero fino a occupare quattro metri di carreggiata per lato. È lì, che bus, taxi e moto potrebbero viaggiare accanto, però, ai ciclisti che pedalerebbero in una ulteriore sezione segnata con una striscia tratteggiata sull’asfalto.
E le auto? In questa visione sostenibile del cuore della città, i motori non verrebbero banditi dalla circonvallazione interna, ma sarebbero ridimensionati potendo spostarsi ancora in senso antiorario come avviene adesso, ma solo lungo un’unica corsia centrale. Potrebbe essere solo un sogno, quello disegnato dall’ordine del giorno che ieri sera è stato discusso e approvato dal parlamentino del centro. E non solo perché in molti tratti della Cerchia dei Navigli in questo momento ci sono già i cantieri della linea 4 del metrò. Quella del Municipio è una richiesta che dovrà passare prima al vaglio tecnico degli uffici che dovranno misurarne la fattibilità e poi dal giudizio politico della giunta.
# Le proteste dell’opposizione a Palazzo Marino “Aumenterà solo la congestione del traffico e l’inquinamento e priverà la zona di parcheggi“
Se il centrosinistra, capofila in Municipio 1 e a Palazzo Marino, è favorevole a questo tipo di proposte, al contrario del centrodestra si sono scatenate subito le proteste. Dal leghista Alessandro Morelli a Forza Italia “Aumenterà solo la congestione del traffico e l’inquinamento e priverà la zona di parcheggi” sino all’eurodeputato di Fdi Carlo Fidanza. L’assessore all’Urbanistica e alla Mobilità del Municipio 1 del Pd che ha immaginato la rivoluzione, però, Mattia Abdu, conferma la direzione strategica: “Rivedere la mobilità della Cerchia dei Navigli in epoca post Covid significa mettere al primo posto la qualità del trasporto pubblico e garantire la sicurezza di chi va in bicicletta. Anche adesso c’è una ciclabile creata nel 2010, ma è discontinua e non sicura anche a causa del parcheggio abusivo”
# Il funzionamento della doppia corsia preferenziale
Ma come funzionerebbe la doppia corsia preferenziale? L’ordine del giorno propone di mantenere il senso unico di marcia per le auto in un unico spazio centrale da largo d’Ancona a corso di Porta Nuova. Stiamo parlando di vie come Carducci, De Amicis, Molino delle Armi, Santa Sofia, Sforza, Visconti di Modrone, San Damiano, Senato, Fatebenefratelli. In questo stesso itinerario, invece, i percorsi riservati a bus, a taxi e moto diventerebbero due, in entrambe le direzioni ai lati della carreggiata. La larghezza dovrebbe essere di quattro metri per poter accogliere anche le bici con il modello bike lane: una corsia disegnata con un segno di vernice a terra come quella di corso Buenos Aires. Non ovunque ci sarebbero le dimensioni. Tanto che, per dire, in alcune vie strette come Pontaccio si ipotizza una Zona a traffico limitato o di invertire il senso di strade intorno. O ancora, in via Carducci, da piazzale Cadorna a largo d’Antona, il Municipio chiede di valutare un “doppio senso promiscuo aperto a auto privare, taxi, motocicli e trasporto pubblico”, con una ciclabile tracciata in entrambe le direzioni. Itinerari per le due ruote che, in altri punti più ampi, verrebbero protette dalle macchine in sosta.
Nonostante le evidenze dei problemi generati dalla realizzazione di piste ciclabili con una semplice verniciatura dell’asfalto e senza una logica apparente, come dimostra il caso di Corso Buenos Aires, che ha portato a incidenti e difficoltà negli spostamenti in un momento, in cui la ripresa delle attività è già resa difficile dalle regole di distanziamento sociale previste dalle normative di sicurezza per il Covid, si prosegue sulla stessa strada
Da milanesi preoccupa soprattutto come sembra si stia ignorando quella che sarà la sfida principale di Milano nei prossimi mesi, che non riguarda la mobilità, ma la rinascita di una comunità che vede a rischio un terzo delle sue attività commerciali e un crollo economico e occupazionale ancora maggiore di quello che stiamo vivendo.
Credits: milano.repubblica.it - Via Melzo, il Bosco orizzontale
Un gruppo di architetti ha ideato un sistema componibile di pedane mangiasmog, drenanti e fatti con materiali di riciclo per ridisegnare e mettere in sicurezza gli spazi all’aperto per pedoni, ciclisti e auto, come soluzione alla gestione del distanziamento sociale per i locali obbligati a spostare all’esterno lo spazio per i clienti. Al momento è un progetto su carta sottoposto agli uffici comunali, con l’idea che diventi di tema pubblico e di sviluppo e che potrebbe trovare la prima applicazione in Via Melzo durante il Salone del Mobile 2021.
Il BOSCO ORIZZONTALE in via MELZO: “TERRAZZE VERDI” su strada con pedane MANGIASMOG
# “Valet”: un sistema componibile di pedane mangiasmog, drenanti e fatti con materiali di riciclo per ridisegnare e mettere in sicurezza gli spazi all’aperto per i pedoni
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Credits: milano.repubblica.it - Via Melzo, il Bosco orizzontale
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Una pedana leggera, appoggiata sulla carreggiata e facilmente rimovibile, per ridisegnare lo spazio urbano senza interventi invasivi, allargando i marciapiedi e trasformando gli incroci in piccole piazze per far posto ai dehors che l’estate post Covid ha visto proliferare. Un supporto insomma, uniforme ma modellabile, che diventa un sistema di terrazze circondate dal verde dove alberi bassi proteggono dal rumore e piccole piante favoriscono il distanziamento sociale fra i tavoli. Si chiama “Valet” la proposta di un gruppo di architetti guidati dallo studio Vudafieri Saverino Partners, con Lorenzo Noè e Stefano Rigoni, per dare una risposta veloce, ma strutturale, al dilagare disordinato dei tavolini all’aperto. “Volevamo fare qualcosa che incentivasse la vita in strada dopo i mesi di lockdown, aprendo un dibattito culturale sull’uso dello spazio esterno in una città ancora assediata dalle auto” raccontano gli architetti.
E’ nato così un sistema di matrici componibili come un puzzle alla cui realizzazione sta lavorando lo studio ricerche di Italcementi: moduli sagomati, drenanti e mangia smog, fatti con materiale di riciclo, che si possono tagliare a seconda del posto in cui vengono posizionati e che, a differenza delle pedane in legno, sono molto più resistenti. Alti come il marciapiede, offrono uno spazio all’esterno dove la vita della città si può estendere comodamente, dai tavoli di un bar alla panchina davanti alla biblioteca, fino a un’area giochi per bambini.
# Il test potrebbe partire in via Melzo durante il Salone del Mobile 2021
Il progetto per ora è stato applicato alla viabilità di via Melzo, “una strada che ben conosciamo – raccontano Vudafieri e Saverino, soci di due ristoranti che si affacciano sulla via -. Ma il modello può essere replicato altrove, pensiamo al quartiere Isola o alle strade dietro Porta Romana“. Il primo prototipo dovrebbe essere pronto per il Salone del Mobile 2021. “Non è un progetto di arredo urbano, ma di paesaggio urbano: l’idea è ridisegnare i profili stradali riducendo la larghezza della carreggiata e i limiti di velocità delle auto, immaginando una convivenza più equilibrata fra macchine e pedoni, bici e monopattini. Scherzosamente l’abbiamo chiamato il bosco orizzontale“. Discusso con i residenti e i commercianti di via Melzo, il rendering è stato sottoposto anche agli uffici dell’assessorato alla Mobilità, ma per ora resta un disegno sulla carta e un invito ad aprire una discussione su un tema a cui la pandemia ha dato un’accelerata, proponendo una soluzione che sfrutta la leva dell’urbanistica tattica, massima flessibilità a basso costo. La stessa con cui Palazzo Marino ha realizzato le nuove piste ciclabili. Secondo una prima stima realizzare 10 metri quadrati di pedane compresi i vasi e le piante – uno spazio per 3 tavolini – costerebbe 1000 euro.
Lo stato di emergenza approvato dal 31 gennaio al 31 luglio e “non prorogabile”, ha consentito al Governo di istituire il lockdown e governare con poteri straordinari e applicando misure di restrizione delle libertà dei cittadini superando, viene prorogato, unica in Europa, di ulteriori 3 mesi e mezzo fino ad almeno il 15 ottobre 2020.
Il governo aveva provato a estenderlo fino al 2021 grazie a un articolo inserito nel “decreto rilancio”, ma dopo varie discussioni con anche il coinvolgimento della Presidenza della Repubblica, il 28 luglio in Parlamento è lo stesso Conte a comunicare la decisione del governo. Vediamo quali conseguenze può determinare questa proroga.
🔴 Breaking News. Lo STATO DI EMERGENZA “non prorogabile” viene prorogato fino al 15 ottobre: l’Italia resta sotto la SPADA DI DAMOCLE di restrizioni illimitate
Unica in Europa, l’Italia resta in stato di emergenza. Questa la decisione del governo che con comunicazione in Parlamento il 28 luglio realizzata da Conte annuncia la decisione di prorogare lo stato di emergenza che al momento dell’istituzione era stato definito “non prorogabile”.
Nella pratica cosa significa?
Lo Stato d’emergenza attribuisce al governo dei “poteri straordinari” o “speciali”. In particolare su questi aspetti:
Nuove zone rosse e possibile lockdown su parte o tutto il territorio
Lo Stato d’emergenza consente di istituire nuove “zone rosse”, ovvero totalmente confinate e chiuse agli scambi con l’esterno. Non c’è limite geografico: in teoria tutta Italia può tornare in lockdown su decisione del governo.
Scuola: saltare appalti e procedure standard
Il provvedimento permetterà di acquistare tutto il materiale necessario saltando alcuni passaggi per l’affidamento degli appalti che seguono percorsi agevolati.
Blocco dei voli e delle frontiere
Lo stato di emergenza consente anche di bloccare i voli da e per gli Stati che vengono ritenuti a rischio, oppure di individuare nazionalità che non sono ammesse in Italia. Allo stesso modo si può agire per limitare la circolazione alle frontiere del Paese.
Lavoro a casa per i dipendenti pubblici
Per la durata dello stato di emergenza i dipendenti pubblici e quelli privati possono rimanere in smart working. Nella pubblica amministrazione, per una norma già contenuta nel decreto Rilancio i dipendenti rimarranno in smart working fino al 31 dicembre.
# L’altra faccia della medaglia: rischi ancora più gravi per l’economia e per il futuro degli italiani con la spada di damocle dello stato di emergenza per altri tre mesi e mezzo
Quali le conseguenze più rischioso di un atto unico in Europa? Lasciare l’Italia come unico Paese in stato d’emergenza certo può avere ricadute negative sull’immagine della nazione in particolare sulla sua capacità di gestire un’emergenza che altri Paesi hanno già risolto in tempi più rapidi. Ma non solo questo. Gli effetti peggiori sono quello di spostare nel tempo le condizioni di serenità necessarie per poter rilanciare l’economia.
In una situazione di incertezza e di continua emergenza difficile immaginare che l’economia si possa riprendere con investimenti con orizzonti più estesi. Se anche l’economia dovesse riprendere a pieno ritmo già è stata stimata una perdita di PIL dell’11% e il deficit supererebbe il -11%, il dato peggiore tra gli Stati europei. La possibilità prevista dal Governo di introdurre un nuovo lockdown rischia di rinviare ulteriormente il momento della ripresa.
A questo si aggiunge ancora una generale incertezza nella gestione di una possibile seconda ondata, insieme a una mancanza di un piano strategico per far fronte all’emergenza economica con o senza i fondi di aiuto dell’Europa.
Forse di tutto questo il Governo avrebbe dovuto tenere conto per decidere con responsabilità e visione di insieme nell’interesse dei cittadini.
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In una Italia divisa su tutto esiste qualcosa che sta mettendo insieme ministri, giornali e forze politiche. Quella di dare priorità al Sud Italia come destinazione dei fondi europei.
Giornali, Ministri e Conte uniti: “RECOVERY FUND: la priorità è il SUD”
Non si tratta certo di una sorpresa. Già avevamo ipotizzato al momento della sua formazione che questo fosse un governo fortemente sproporzionato come rappresentanza geografica dei ministri (Articolo: Nasce il governo MENO MILANESE della storia) sottolineando come non potesse essere un caso che tutte le cariche istituzionali e i ministri chiave fossero stati assegnati a persone da Roma in giù. Come sappiamo in questi mesi il Nord Italia, e in particolare la Lombardia, sono state le aree più colpite dall’emergenza sanitaria ma nonostante questo, fin da inizio giugno avevamo anticipato, nell’articolo Il Covid ha colpito il NORD? Il GOVERNO aiuta il SUD, che la linea del governo sugli aiuti era chiara: utilizzarli per le regioni del Sud Italia.
Durante la trattativa per il Recovery Fund uno dei fattori decisivi usati da Conte è stato il richiamo ai morti per Covid che si sono avuti in Italia, come nell’arringa finale a Bruxelles (Vedi: Recovery Fund, l’arringa finale di Conte: «Non umiliateci, lo dobbiamo ai morti del Covid»). Si pensava che per spirito di coerenza a quel punto si menzionassero le aree più colpite dal virus come destinazione principale dei Fondi di Ripresa o, quantomeno, che il governo italiano evitasse di fare privilegi geografici sull’impiego del denaro e si concentrasse invece su riforme strutturali da attuare per rilanciare l’intero Paese. Niente di più sbagliato.
Ma terminata la trattativa in Europa è diventato chiaro che esiste una sola grande priorità di azione politica: destinare i fondi al Sud. Avevamo già dato spazio nei giorni passati alle dichiarazione di diversi Ministri (Provenzano, Boccia, Spetanza, lo stesso Conte) che sui giornali hanno dichiarato di battersi perchè gran parte dei fondi europei finiscano al Sud. Ma questa pressione si sta intensificando e basta leggere le prime pagine dei principali giornali del centro sud per vedere una compattezza trasversale tra giornali e ministri. Vediamoli assieme.
Boccia (Ministro per le Autonomie): “Rilanciare il Sud è prioritario”
Nuova intervista di Francesco Boccia alla Repubblica. Il Ministro delle Autonomie ha parlato dell’autonomia di Veneto e Lombardia? Oppure delle regioni più colpite dal Covid? Niente di tutto questo. Il Ministro come un doppione di Ministro del Sud insiste da giorni sottolineando la sua battaglia per portare i fondi europei al Sud. Il Ministro dichiara infatti che “bisogna prevedere operazioni strategiche che consentano l’aggancio del Sud al resto del Paese”. E’ solo l’ultima di una serie di interviste in cui il Ministro per le Autonomie preme su questo punto.
28 luglio – La Repubblica
La Gazzetta del Mezzogiorno: “Rilancio del Sud. Stato e Regioni non tradiscano l’ultima speranza”
Atteggiamento più vittimistico invece per la Gazzetta del Mezzogiorno che nel suo editoriale in prima pagina pone l’ultimatum. I fondi europei sono l’ultima speranza di rilancio del Sud Italia. Un’ultima speranza che non deve essere tradita, come invece per l’editorialista sarebbe stato fatto nel recente passato dalla politica nazionale.
Il Mattino: “Recovery Fund. Conte avvisa i ministri: priorità al Sud”
Dopo aver messo sul tavolo delle trattative con l’Europa perfino i morti Covid (Vedi: Recovery Fund, l’arringa finale di Conte: «Non umiliateci, lo dobbiamo ai morti del Covid»), il Primo Ministro rientrato in Italia sembra essersi dimenticato della stragrande maggioranza dei decessi che si sono verificati per quasi il 90% nelle regioni del Nord, oltre il 50% in Lombardia. Il Mattino titola in prima pagina: “Recovery Fund. Conte avvisa i ministri: priorità al Sud“, confermando la volontà del Primo Ministro che già da mesi avevamo sottolineato nei nostri articoli.
Messaggero: “Sud, meno tasse per ripartire. Il Governo in pressing sull’UE”
Ma forse il capolavoro lo si trova sempre oggi sulla prima pagina del Messaggero. Malgrado nei giorni scorsi alcuni giornali avessero dichiarato che fosse proprio l’Unione Europea a voler indirizzare al Sud Italia le risorse di sostegno, sta invece venendo alla luce l’opposto. L’Europa, in particolare i paesi del Centro Nord, hanno espresso da sempre la loro paura che i fondi dati all’Italia finissero utilizzati in assistenzialismo e nelle aree a più rischio di controllo della malavita. Come riporta il giornale romano ora l’attività della diplomazia italiana mira a superare questa diffidenza. Pure la viceministra dell’Economia, Laura Castelli, dopo essersi resa protagonista dell’uscita scomposta contro i ristoratori, si sbilancia in un’intervista lasciando dichiarazione in serie sul fatto che i fondi europei vadano indirizzati nel Sud Italia in cui costruire “Una fiscalità di vantaggio con le risorse in arrivo da Bruxelles”.
Le tre domande che i nostri rappresentanti politici dovrebbero porre al Governo e ai ministri:
#1 Il Recovery Fund viene assegnato dopo l’emergenza sanitaria. E’ corretto ignorare nell’impiego di questi fondi le aree più colpite dal Covid? Anche alla luce del fatto che nelle trattative a Bruxelles il primo ministro Conte abbia usato proprio i morti in Italia come uno dei fattori principali per fare breccia sui Paesi più ostili?
#2 Destinare fondi al Sud Italia più che a concentrarsi su riforme o a impiegarli in altre parti non costituisce certo una novità per la storia italiana. Basta dire che il saldo netto di contributi a fondo perduto che arriveranno dall’Europa sarà di circa 25 miliardi, a fronte del contributo netto che la Regione Lombardia ogni anno destina al resto d’Italia che è di 56 miliardi. Quindi, perché dare più soldi al Sud dovrebbe questa volta dare risultati diversi rispetto a quelli ottenuti in passato?
#3 E’ giusto che invece che avere come priorità quella di apportare riforme e interventi per rilanciare l’intero Paese si dica di voler privilegiare una zona geografica?
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Tanti milanesi di successo e che hanno fatto le fortune di Milano in realtà sono nati altrove, ma hanno saputo interpretare al meglio lo spirito della città. Ecco 10 tra i più significativi.
10 UOMINI che hanno reso grande Milano ma che non sono milanesi di nascita
#1 Sant’Ambrogio, il Patrono di Milano nato a Treviri in Germania
Sant’Ambrogio
Aurelio Ambrogio nasce ad Augusta Treverorum, l’odierna Treviri nella Renania-Palatinato, in Germania, nel 339 da una famiglia cattolica di alto rango dell’Impero romano d’Occidente. Avviato alla carriera amministrativa viene inviato a Roma per compiere approfonditi studi per poi esercitare l’avvocatura a Sirmio nell’odierna Seria. Dopo questa esperienza viene mandato a Milano quale Governatore della provincia romana Aemilia et Liguria. Abile pacificatore di diatribe spesso violente durante proprio una delle sue missioni si reca in una chiesa e, pare un bambino, arringò i presenti indicando Ambrogio come erede del titolo di vescovo diventato vacante dopo la morte dell’allora vescovo ariano Aussenzio. Inizialmente Ambrogio non solo rifiuta l’incarico ma si comporta violando molte delle regole del buon cattolico arrivando a frequentare prostitute ma data l’irremovibilità della popolazione ormai convinta nel volerlo vescovo arriva a scappare da Milano per ben due volte. Viene rintracciato grazie ad un editto vergato da un vicario imperiale. Portato in trionfo nella città viene quindi battezzato, non aveva ricevuto alcun sacramento fino a quel giorno, domenica 30 novembre e consacrato vescovo il 7 dicembre 374. Muore a Milano il 4 aprile 397.
#2 Ludovico il Moro, che portò Leonardo da Vinci a Milano, è nato a Vigevano
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Ludovico Maria Sforza detto il Moro, nato a Vigevano il 27 luglio 1452 e morto a Loches il 27 maggio 1508, è stato duca di Bari dal 1479, reggente del Ducato di Milano dal 1480 al 1494 affiancando il nipote Gian Galeazzo Maria Sforza e infine duca egli stesso dal 1494 al 1499. Durante il suo governo, Milano conobbe il pieno rinascimento e la sua corte divenne una delle più splendide d’Europa, mecenate straordinario volle alla sua corte Leonardo da Vinci e molti altri artisti che lasciarono un’impronta indelebile di quell’incredibile periodo storico.
Alla morte del padre Francesco il fratello maggiore Galeazzo Maria concesse a Ludovico il titolo di conte e il feudo di di Mortara e Brescello e signore di Pandino, Villanova, Scurano, Bassano, Meletole, Oleta e delle Valli di Compigino. Il 22 ottobre 1494 il duca Gian Galeazzo morì in circostanze misteriose probabilmente per via di una congiura e immediatamente Ludovico gli succedette nonostante non ne avesse il diritto ereditario. Alla sua figura certamente non limpida e immacolata è comunque abbinata la sua vocazione ad abbellire e impreziosire la città con opere tuttora visibili, oltre a quelle di Leonardo. Ricordiamo la torre centrale del Castello Sforzesco, il chiostro di Sant’Ambrogio, il Lazzaretto e la cupola di Santa Maria delle Grazie.
#3 Giuseppe Verdi, da Le Roncole (PR), ha prodotto a Milano le sue più grandi opere
Giuseppe Verdi
Giuseppe Fortunino Francesco Verdi, nato a Le Roncole il 10 ottobre 1813, è stato uno dei più grandi talenti e prolifici compositori di opere liriche al mondo. Pur mantenendo fedeltà alle sue origini emiliane dove ha investito molti dei suoi proventi in acquisto e coltivazione di terra, era un suo vezzo presentarsi come imprenditore agricolo anziché musicista, è a Milano che ha lavorato e prodotto la maggior parte dei suoi lavori e dove e poi morto il 27 gennaio del 1901. L’amore per l’artista fu così profondo che durante l’agonia che precedette il suo addio alla vita terrena fu ovattata da qualunque rumore delle vie circostanti a casa sua dove si arrivò a cospargere di fieno tutte le strade per evitare che le carrozze in transito potessero far rumore disturbandolo.
Arrivato a Milano in veste di studente e bocciato all’esame di ammissione al Conservatorio cittadino ebbe modo di far valere il suo talento e a lui si deve la celebre aria del Nabucco “Va Pensiero” che venne adottata dal lombardi del tempo come inno all’Indipendenza dall’invasore austriaco. Conosciuto nei 5 continenti Giuseppe Verdi ha nobilitato la città e in special modo la Scala dove molte delle sue opere hanno raggiunto una notorietà mai conosciuta in quel periodo da alcun altro artista al mondo.
#4 Dario Fo, vincitore del premio nobel per la letteratura, veniva dalla provincia di Varese
dario fo milano
Dario Luigi Angelo Fo nasce a Sangiano, in provincia di Varese, il 24 marzo 1926. E’ stato un drammaturgo, attore, regista, scrittore, autore, illustratore, pittore, scenografo, attivista e comico italiano. Insignito del premio Nobel per la cultura nel 1997 con la motivazione: “Seguendo la tradizione dei giullari medievali, dileggia il potere restituendo la dignità agli oppressi”rappresenta un teatro fatto di cultura, contestazione e tradizione lombarda. Molte le sue esibizioni con tema riguardante i vangeli apocrifi e per il suo carattere indomito è stato spesso inviso e allontanato dalla televisione di Stato. Marito di Franca Rame, nata anch’essa non a Milano, il 18 luglio del 1929 a Parabiago, e attrice di grande talento oltre che sorella di Pia Rame, nota costumista teatrale, Dario Fo è noto per la dedizione e l’impegno nel difendere gli ultimi, di prodigarsi con grande fervore nel portare a tutti la voce dei meno fortunati ed ha legato indissolubilmente la sua figura alla causa antifascista. Non era raro vederlo passeggiare per le vie di Milano, specie in zona Porta Romana dove viveva con la moglie e dove Pia Rame aveva il suo atelier. Morirà il 13 ottobre del 2016 dopo aver perso l’amata Franca tre anni prima. L’uso del dialetto milanese e la composizione della famosissima canzone “Ho visto un re” lo rendono un artista che Milano ha adottato con grandissimo amore.
#5 Gianni Brera, da San Zenone Po (PV), uno dei più grandi giornalisti sportivi e scrittori italiani
Nato l’8 settembre 1919 a San Zenone Po, provincia di Pavia, è stato un maestro di giornalismo, specialmente quello sportivo, e grande scrittore. Ha indissolubilmente legato il suo nome a ferventi commenti calcistici di numerosissime parte dando sempre il meglio di sé nel momento in cui doveva commentare il derby della Madunina. Equilibrista della parola e creatore di neologismi come contropiede, melina, rifinitura, goleador e molti altri, passati alla storia è anche famoso per i vari soprannomi attribuiti a calciatori e allenatori che difficilmente passavano indenni dalle sue feroci analisi calcistiche. Appassionato di cibo e vino oltre che esperto cacciatore era sempre disponibile a un saluto o un commento a chiunque lo incrociasse nei suoi pellegrinaggi serali e notturni dopo aver chiuso un articolo o aver consumate una robusta cena. Morirà a Codogno il 19 dicembre del ’92. A lui venne successivamente intitolata l’Arena civica, teatro di epiche battaglie calcistiche fino alla costruzione dello stadio Meazza-San Siro.
#6 Roberto Vecchioni il “professore”, da Carate Brianza a “Luci a San Siro”
Nato a Carate Brianza il 25 giugno 1943 si laurea in Lettere classiche alla Cattolica di Milano nel 1968 ed esercita la sua professione di Professore di italiano, greco e latino al liceo Beccaria del capoluogo lombardo. Nonostante il successo internazionale dovuto alla sua carriera di cantautore e scrittore non rinuncerà mai all’insegnamento fino a che non andrà in pensione. Impegnato nel sociale e appassionato di enigmistica Roberto Vecchioni incarna perfettamente lo spirito della milanesi: figlio di immigrati che con grandi sacrifici fanno studiare i figli, i figli che accolti a braccia aperte dalla città si integrano portando i loro valori e ricevendone in cambio molti altri. Non è possibile parlare dell’artista senza citare “Luci a san Siro” dedicata alla Milano e a un passato che non c’è più ma strizza l’occhio all’Inter, squadra da sempre nel cuore dell’artista.
#7 Teo Teocoli, il comico nato a Taranto, simbolo dell’umorismo milanese
Nato a Taranto da genitori originari di Reggio Calabria il 25 febbraio 1945 Antonio Teocoli arriva a Milano all’età di 5 anni. Dopo una prima fase di ambientamento facilitata dalla sua irresistibile e innata simpatia si cimenta prima nella carriera di cantante diventando per un breve periodo la voce dei “Quelli”, gruppo che poi diventerà la celebre Premiata Forneria Marconi. Passa al teatro come attore nell’adattamento italiano della commedia musicale Hair nella quale si trova a lavorare con dei giovanissimi Renato Zero, Loredana Bertè e Ronnie Jones. Ma è grazie l’approdo allo Zelig, fucina di talenti che ancora oggi riempiono il panorama artistico nazionale, che esplode in tutta la sua bravura. Da lì una ascesa nell’olimpo degli showmen italiani. Molti personaggi sono caricature di persone comuni mentre altri sono imitazioni che regalano sempre grandi risate a tutti. Milano è diventata la sua città e lui ha ricambiato il grande amore condendo spesso le sue frasi con espressioni dialettali milanesi che grazie a lui ritrovano pubblico e successo al di fuori della Lombardia.
#8 Giorgio Scerbanenco, straordinario scrittore e giornalista, dalla Russia
Pseudonimo di Volodymyr-Džordžo Ščerbanenko, nato a Kiev il 28 Luglio 1911, arriva in Italia a soli 6 mesi ma la prima tappa è Roma. Solo a 16 anni arriverà Milano. è completamente autodidatta non avendo concluso le scuole dell’obbligo. Perso il padre ucciso durante la rivoluzione russa, era professore di greco e latino e grazie alla sua professione aveva conosciuto una ragazza italiana divenuta poi sua moglie, il giovane Giorgio si deve arrabattare per riuscire a mettere insieme il pranzo con la cena. Attratto morbosamente dai libri e dalla letteratura diventerà uno straordinario scrittore e giornalista. Legherà il proprio nome ad alcuni racconti che racconteranno la ligiera, la mafia milanese che imperversava in una Milano spesso buia e nebbiosa. Morirà a Milano il 27 Ottobre 1969.
#9 Giorgio Strehler talentuoso attore e registra teatrale arrivato da Trieste
Credits: teatroecritica.net – Giorgio Strehler
Nasce il 14 agosto 1921 a Trieste e vive tra l’Italia, la Svizzera e la Francia ma è a Milano che si forma e fonda nel ’47 con Paolo Grassi e Nina Vinchi il Piccolo Teatro dal quale passeranno numerosi attori e che sarà sede di sperimentazioni oltre che di una scuola di teatro. Tanta è la fama nel mondo che nel 1991 diventa “Teatro d’Europa” rendendo omaggio all’immenso talento del regista diventato cittadino milanese a tutti gli effetti. Famosa la sua love story con Ornella Vanoni, milanese doc e alla quale darà il compito di cantare “Ma mì”, ballata triste recitata completamente in dialetto milanese nata dall’esperienza di Strehler vissuta in carcere dopo essere stato catturato dai nazifascisti.
#10 Marracash, pseudonimo di Fabio Bartolo Rizzo, da Nicosia in Sicilia
Credits: chiamarsimc.net – Marracash
Nato a Nicosia, in Sicilia, il 22 maggio del 1979 si ritrova a Milano, catapultato in un mondo fatto di case di ringhiera e sberleffi dovuti alle sue origini meridionali. Molta della sua esperienza di vita si ritrova nei suoi versi che raccontano dei giovani, specialmente della Milano degli ultimi anni. Mentre di diploma si avvicina al mondo della musica che lo eleggerà King of Rap collabora con diverse realtà artistiche fino a lavorare col proprio nome. Indiscutibilmente uno dei migliori artisti della seconda generazione dell’Hip pop milanese e non solo, Marracash è anche un autore per molti altri cantanti.
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Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
Dopo un percorso partecipativo che ha permesso di integrare le istanze degli stakeholder locali, Gruppo CAP e CORE hanno presentato il progetto definitivo che trasformerà il termovalorizzatore di Sesto San Giovanni e il depuratore adiacente in una biopiattaforma dedicata all’economia circolare.
A Sesto San Giovanni nascerà la biopiattaforma del futuro: un modello da esportare nel mondo
Si tratta di un progetto realizzato con la partecipazione dei cittadini che creerà 547 posti di lavoro. Sarà carbon neutral (a zero emissioni di CO2) e in grado di impiegare i fanghi di depurazione e la frazione umida dei rifiuti per produrre biometano, energia pulita ed eco-fertilizzanti.
Un ecosistema in grado di realizzare un’economia circolare
Attraverso la trasformazione dei rifiuti, si realizzerà un ecosistema sostenibile in grado di autoalimentarsi, perché capace di creare valore: le acque depurate andranno a irrigare il parco, mentre il biometano prodotto dal digestore servirà per alimentare le vetture e veicoli adibiti al trasporto. Inoltre con la termogenesi, i locali saranno riscaldati proprio dal calore prodotto dall’acqua depurata.
Sono state pensate anche misure compensative all’emissione di anidride carbonica per l’area, che verrà circondata da nuovi spazi verdi grazie alla piantumazione di alberi e piante. L’impianto sarà attrezzato con i più moderni sistemi di limitazione dell’impatto acustico e odorigeno.
Una nota sul traffico: in base agli studi progettuali è prevista una riduzione del 29% del traffico generato dall’impianto, passando dagli 80 viaggi quotidiani attuali ai 57 nel nuovo polo, senza aumentare il numero di mezzi impiegati. Un modello sostenibile di produzione e consumo che risponde agli obiettivi previsti dall’Agenda 2030 dell’ONU e che genererà valore anche sull’indotto del territorio.
Alessandro Russo, CEO del Gruppo Cap “Un impianto unico in Italia, un modello replicabile anche all’estero”
“Il progetto di Sesto San Giovanni, metterà al servizio della comunità un impianto all’avanguardia, frutto di continue ricerche e studi – afferma Alessandro Russo, presidente e amministratore delegato di Gruppo CAP -. Un impianto unico in Italia, che si avvarrà delle migliori tecnologie per ridurre al minimo l’impatto ambientale e che si candida a diventare un modello replicabile non solo nel nostro Paese, ma anche all’estero. Un polo green che creerà valore, occupazione e risparmio in bolletta per tutti i cittadini coinvolti”.
Un investimento da 56 milioni: tutti i numeri di questo progetto innovativo
547 nuovi posti di lavoro
2.200 veicoli alimentati a biometano ogni anno, ovvero 15.000 km l’anno di percorrenza
trattamento di 30.000 tonnellate/anno di rifiuti umidi ora affidate a strutture esterne, per la produzione di biometano
5 comuni coinvolti Sesto San Giovanni, Pioltello, Cormano, Segrate, Cologno Monzese, dai quali arriverà la frazione umida
una drastica riduzione dell’anidride carbonica dal 77% al 92%
sensibile diminuzione dell’ossido di azoto (Nox) a -84%, di anidride solforosa (So2) con un -83% e della CO2 nell’ordine di un -85% rispetto al vecchio impianto
valorizzazione di 65.000 tonnellate/anno di fanghi umidi, pari a 14.100 tonnellate/anno di fanghi essiccati
produzione di ben 11.120 MWh/anno di calore per il teleriscaldamento e recupero del fosforo da impiegare come fertilizzante, con conseguente sensibile riduzione costo delle bollette dei cittadini
il 75% dei fanghi verrà trasformato in energia e il 25% in fertilizzante.
la riqualificazione delle aree verdi
l’impiego delle migliori tecnologie sul mercato per il contenimento dei fumi e degli odori con riduzione delle emissioni del 76%
FABIO MARCOMIN
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Uno dei luoghi più particolari e trascurati di Milano forse ha finalmente un futuro. Si tratta della Goccia della Bovisa, il più grande bosco spontaneo di Milano. Ricordiamo la sua storia e le caratteristiche principali del progetto di riqualificazione che è stato presentato.
La GOCCIA della BOVISA: storia e progetto di riqualificazione del più grande BOSCO SPONTANEO di Milano
# La storia del bosco a forma di goccia
La “Goccia della Bovisa” è un’area abbandonata nella zona nord ovest della città di 42 ettari di bosco e ruderi a forma di goccia.
Si tratta dell’area dove sorgeva l’Union des Gaz che ha avuto il merito di portare a Milano un’innovazione storica: consentì ai milanesi di accendere la luce nelle loro case, oltre che di potersi lavare con l’acqua calda.
E’ il 1905 e l’Union des Gaz di Parigi costruisce delle officine in grado di produrre una grande quantità di gas ricavato dalla distillazione del carbon fossile. Fino ad allora l’illuminazione in città e nelle case funzionava prevalentemente ad olio con i lampedee, gli operai accenditori, che accendevano o spegnevano le poche lampade poste sulle strade.
Con l’arrivo dell’Union des Gaz le cose cambiarono e la luce artificiale si fece strada via via in tutte le case della città. In più ci si poteva anche lavare con l’acqua calda e cucinare senza la stufa a carbone. La materia prima arrivava alla fabbrica via treno e per questo l’Union des Gaz fece costruire attorno un sistema di binari a forma di goccia.
La presenza della fabbrica della luce diede un’impronta decisiva sulla Bovisa, quartiere popolare che si sviluppò dando anche vita ad altri tipi di produzione, tra cui quella cinematografica di cui la Bovisa fu il primo centro di produzione in Italia fino alla fine della Grande Guerra.
# Presentato il progetto di riqualificazione: La Goccia diventerà un grande parco scientifico-tecnologico
La riqualificazione dell’area, a dire il vero oggetto di critiche e di contrasti da parte di comitati del quartiere e gruppi ambientalisti, è stata affidata al Politecnico di Milano. L’ateneo ha presentato mercoledì scorso in Commissione Urbanistica il suo progetto per l’ampliamento del Campus Bovisa. La goccia diventerà un grande parco scientifico-tecnologico, con un grande parco che ruoterà attorno ai due gasometri recuperati, uno destinato ad ospitare lo “Smart city innovation hub“, l’altro la “Fabbrica dello sport“.
Il piano di riqualificazione prevede:
un’area verde pubblica di circa 40 mila metri quadrati che circonda i gasometri;
nuove residenze universitarie;
un edificio sperimentale a zero emissioni per il dipartimento di Energia;
smart city innovation hub;
la fabbrica dello sport con quattro piani dedicati a diverse discipline sportive.
I lavori dovrebbero cominciare tra la fine del 2020 e l’inizio del 2021 così da terminare nel corso del prossimo anno.
# La doppia proprietà futura Comune di Milano-Politecnico
I principali proprietari del futuro parco saranno il Comune e il Politecnico di Milano. Un parco che già oggi vanta oltre 420.000 mq e oltre 2000 piante.
L’obiettivo dichiarato è di valorizzare l’ex-zona industriale dismessa e abbandonata da anni per trasformarla “in un nuovo polmone verde a beneficio dei cittadini e della Città”. Il PGT prevede la realizzazione di un parco di almeno il 50% della superficie totale e la riduzione dell’indice di edificabilità allo 0,35 mq/mq per funzioni legate all’università: direzionali, produttive, finalizzate alla creazione di un parco scientifico-tecnologico, residenze universitarie.
Credits: Urbanfile – Deng, Dipartimento di Energia
Dopo una prima approvazione, il nuovo edificio già nominato “la Piramide” il cui nome ufficiale è Deng, che sarà il nuovo polo del dipartimento di Energia, è passato dal setaccio della commissione paesaggio a stento, facendo storcere il naso a qualche consigliere. Un palazzo dalle tecnologie avanzate e a “zero emissioni”, alto una ventina di metri e rivestito da pannelli solari. Come hanno raccontato le slide della presentazione: “L’edificio rappresenta un’occasione di stimolo progettuale avanzato e l’espressione di una cultura tecnologica ed ambientale, sostenibile anche sotto l’aspetto tecnico ed economico.”
Bisognerà ora attendere il riscontro dei gruppi più accessi della zona che desideravano il mantenimento del bosco spontaneo senza nuove costruzioni.
Per il terzo giorno consecutivo non ci sono state vittime per o con il Covid in tutta la Lombardia.
Zero decessi in Regione. Terzo giorno consecutivo con zero vittime in Regione che sono risultate positive al Covid. In Italia si confermano +5 nuovi decessi.
74 nuovi positivi. Anche il numero di nuovi positivi resta vicino ai minimi, sempre abbondantemente al di sotto dei 100. Solo 74 risultati positivi su poco più di 8.000 tamponi, per una quota in Italia del 29% (su +255 nuovi positivi).
+78 guariti in un giorno. Negli ospedali lombardi restano ricoverate 139 persone (-9 in un giorno) oltre a 13 ancora in terapia intensiva. Tra le province al primo posto per nuovi contagi torna Bergamo (+25) davanti a Milano con +13 nuovi positivi (+10 in città). Tutte le altre sono sotto i 10. Lodi è a zero.
Nel mondo i contagi giornalieri risultano sempre ai livelli massimi e anche i decessi restano elevati, soprattutto in America e in Asia, mentre l’Unione Europea si conferma sotto controllo. Per decessi nelle ultime 24 ore i Paesi più colpiti risultano sempre Messico, India, Brasile e USA. In Unione Europea sopra i 10 decessi giornalieri rimane la Romania (+22).
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Fuoco amico su Sala. Nei giorni in cui sembra sempre più probabile la sua ricandidatura, il sindaco Sala sta ricevendo sempre più critiche dalla sua stessa parte politica. Dopo gli attacchi, partiti anche dalla sua stessa giunta, per le sue prese di posizione su Smart Working e Gabbie Salariali, ora arriva un articolo pubblicato su Il Foglio, quotidiano che non ha mai nascosto simpatie per il sindaco di Milano. La critica che viene fatta a Beppe Sala è di restare ancorato a vecchie categorie del passato invece di avere il coraggio di guardare al futuro battendosi per ciò che è meglio per le nuove esigenze di Milano.
Beppe Sala, PRIGIONIERO del PASSATO (da Il Foglio)
Serve coraggio per guardare al futuro, caro sindaco Sala: un modello di sviluppo urbano per Milano non può essere legato con nostalgia al passato
Così scrive Stefano Epifani su Il Foglio:
Dr. Beppe Jekyll
A leggere le ultime dichiarazioni di Beppe Sala sembra essere usciti da un capitolo de Lo Strano caso del dr. Jekyll e del Signor Hyde di Stevenson. Da una parte c’è il Dr. Beppe Jekyll, rappresentante illuminato dell’Alleanza C40 Cities (una rete internazionale di megacity impegnate nella lotta al cambiamento climatico), che in questa veste scrive alla presidenza dell’Unione europea invitando tutti a lavorare per “costruire una società migliore, più sostenibile, più resiliente e più equa”. Lettera appassionata, nella quale si evidenzia l’importanza del cambiamento nei modelli di sviluppo urbani e la centralità della collaborazione tra le istituzioni europee e le grandi città per la realizzazione del green new deal. Una lettera nella quale si parla di abbattimento delle emissioni di CO2, della necessità di orientare tutti gli sforzi possibili verso l’ambiente, del fatto che si debba arrivare a finanziare soltanto progetti sostenibili dal punto di vista sociale ed ambientale. Insomma: una lettera nella quale si invita a progettare un futuro post Covid-19 che ci consenta, sulla base dell’esperienza vissuta nelle grandi città, di costruire una nuova normalità che sia addirittura migliore della precedente proprio in quanto basta su criteri di sostenibilità.
Mr. Beppe Hyde
Dall’altra c’è Mr. Giuseppe Hyde, sindaco di Milano. Un sindaco che nella complessa gestione della crisi generata dal coronavirus, dopo aver promosso una Milano che non si sarebbe dovuta fermare ed essersi ritrovato in una delle città più colpite del paese dalla pandemia, in più occasioni ha evidenziato come l’esigenza di ripartire sia collegata alla necessità di farlo ristabilendo ciò che c’era prima. Perché, parlando ad esempio di smart working, capisce che “c’è una necessità di smart working però, non consideriamola normalità perché se dovessimo considerarla normalità dovremmo ripensare interamente la città”. Alla faccia della nuova normalità.
Due visioni incompatibili e la città rischia lo stallo
Insomma: la città va ripensata come dice Beppe Jekyll o riportata a come era prima come dice Giuseppe Hyde? Certo è che, a meno di trovarsi di fronte a una paradossale città di Schrödinger nella quale il modello di sviluppo urbano sia contemporaneamente quello vecchio e quello nuovo, le due visioni non sono compatibili. Perché se pure è legittimo pensare che la città debba riattivarsi, è particolarmente pericoloso farlo pensando che ciò debba passare per una vera e propria “restaurazione” di un modello che non solo non è più possibile, ma è esattamente il contrario della sostenibilità. Non è ammissibile pensare che il motivo per il quale lo smart working non possa essere praticato su vasta scala dipende dalla necessità di alimentare un sistema economico che mostra in questa circostanza di essere del tutto autopoietico.
Il presente di Sala è già passato
Non è accettabile pensare che gli affitti debbano restare alti perché la gente deve essere portata fisicamente tutti i giorni a lavoro in quanto altrimenti non ci sarebbero clienti nei locali. Non è sostenibile un modello di sviluppo urbano che abdica alla costruzione di un futuro diverso in virtù della tutela di dinamiche di un presente che – chi non se ne era accorto lo sta vedendo in questi mesi – è già passato. Siamo di fronte a una transizione epocale. E non sarà una transizione indolore. Compito preciso della politica è quello di dare visioni di futuro e fare quelle scelte che saranno centrali per la costruzione del nostro domani. Rifugiarsi in un “modello Milano” che non ha più senso non aiuta a costruire quel futuro sostenibile della quale parla Beppe Sala quando si rivolge all’Unione europea.
Non ci possiamo permettere di fare morire Milano
Allo stesso modo, la transizione richiederà tempo e capacità di contemperare la dimensione ambientale con quelle economica e sociale: in questo le tecnologie saranno un grande alleato. La connettività e le reti saranno il fulcro per la realizzazione di un modello urbano che si basi su criteri di sostenibilità digitale quale strumento indispensabile per contemperare le diverse dimensioni coinvolte e per bilanciare la necessità di innovazione con l’esigenza di tutela sociale. Se sono vere le parole di Beppe Jekyll va profondamente rivisto il pensiero di Giuseppe Hyde, perché la certezza, con il paradosso di Schrödinger, è che il gatto, alla fine, muore comunque. E questo, per Milano come per l’Italia, non ce lo possiamo permettere.
Grazie all’emergenza Covid la scuola è tornata al centro dell’interesse dell’opinione pubblica italiana come non accadeva da decenni, ai tempi della Moratti o della leggendaria Falcucci, probabilmente la ministra dell’istruzione più odiata dagli studenti.
In decenni di riforme l’unico elemento immutabile nelle scuole sono rimasti i banchi, un punto di collante tra generazioni di studenti. Banchi spartani, forse brutti, ma incredibilmente resistenti al tempo e all’energia dei ragazzi italiani.
Il Covid è stata la miccia per una rivoluzione: è stato superato il record dei mesi di chiusura nella seconda guerra mondiale (inizio del 1943) e ora, mentre ancora c’è incertezza sul ritorno in classe, divampa il dibattito sulla scelta del governo di cambiare tutti i banchi delle scuole italiane.
I BANCHI ROTANTI: 5 motivi perchè sono da BOCCIARE
Sei ruote e ergonomico, ecco banco singolo anti-covid voluto dal governo (da Skytg24.it)
Il nuovo banco voluto dal governo è munito di sei ruote e omnicomprensivo: alla sedia ergonomica è unito un leggìo di plastica e alla base c’è un ripiano dove gli studenti possono mettere libri o altri oggetti utili per la didattica.
Iniziamo dai punti a favore
I motivi di questa scelta sono quelli annunciati dal governo. Il principale è quello di garantire il “distanziamento sociale” tra gli studenti. Rispetto ai vecchi banchi statici che ospitavano una o due postazioni, questa soluzione consente di isolare maggiormente gli studenti, sia perchè creano attorno a ogni postazione più spazio vitale, sia perchè le rotelle consentono di spostarsi in modo da creare una distanza ottimale. Ma questa non è l’unica ragione: il ministro Azzolina ha detto che questi banchi consentono anche una innovazione nella didattica, in particolare nel rapporto tra docenti e studenti, dando la possibilità agli insegnanti di variare la disposizione dei banchi a seconda della necessità della lezione. Passiamo ora alle criticità.
#1 Il Prezzo della gara: 300 euro a banco. Perchè sul portale cinese alibaba si trovano a 25 dollari?
In tempi di emergenza economica per il settore privato forse questo è il punto che sta attirando le critiche più feroci. Il governo ha fissato per la gara una base d’asta di 300 euro a banco. Come molti hanno osservato, questo tipo di modelli si trovano sul portale cinese alibaba.com, a un prezzo di 28.70 dollari che al crescere della quantità ordinata può scendere a 25.22 dollari. Perchè il governo ha fissato un prezzo di circa 10 volte quello di mercato? Anche se per avere il prezzo finale bisognerà attendere l’esito della gara, si prevede una spesa enorme, che potrebbe superare il miliardo di euro. Una cifra che si sarebbe potuta impiegare per migliorare le strutture spesso fatiscenti delle nostre scuole o comunque si giustifica poco questa sproporzione tra prezzo di gara e prezzo di mercato. L’unica consolazione potrebbe essere di finanziare almeno una o più aziende italiane. Ma così pare non essere.
#2 Bye bye money: commessa su misura di aziende straniere
Già il fatto di trovare il modello in vendita sul portale cinese alibaba ha messo molti sul chi va là. Realizzare tre milioni di banchi in un tempo ristretto non è uno scherzo e probabilmente risulta alla portata solo di aziende che già producono esattamente lo stesso modello. Al momento le aziende italiane che potrebbero partecipare alla gara hanno dichiarato di non essere in grado di assicurare quella fornitura così grande in tempi così rapidi e la risposta del ministro ha confermato i timori: Azzolina ha ricordato che si tratta di un bando internazionale e dunque, se le aziende italiane non sono in grado, saranno aziende straniere ad assicurarsi la commessa. Bye bye ai soldi dei contribuenti per finanziare aziende straniere, dunque. Ma le possibili brutte notizie non si esauriscono con la fornitura. Gli inconvenienti maggiori potrebbero essere quelli che si potrebbero verificare dopo.
#3 Prima lezione: come riparare le rotelline
Per capire gli altri problemi basta essere stati giovani. C’era una ragione perchè abbiamo studiato tutti su banchi spartani: erano fatti per resistere al tempo e agli studenti. I questo caso la resistenza nel tempo non sembra una delle priorità del nostro governo. Anzi. I nuovi banchi proprio perchè sono formati di più strutture unite insieme risultano evidentemente più suscettibili di rotture rispetto alla generazione di banchi compatti in legno che li avevano preceduto e che, al massimo, rischiavano di venire scheggiati. In questo caso il vassoietto mobile che fa da leggìo e le rotelline sono a grave rischio di rottura precoce, soprattutto considerando che verranno gestiti non da adulti universitari o frequentanti un MBA, ma da ragazzini esuberanti di energia e in molti casi facilmente propensi ad azioni indisciplinate e quantomeno avventate. Provate a ricordare i tempi andati quando si era a scuola e ogni occasione era buona per dare sfogo alla propria agitazione: è pensabile che i ragazzi di oggi siano invece così disciplinati da fare durare decenni dei banchi chiaramente più fragili? E il rischio di rottura apre due scenari preoccupanti: il primo è che bisognerà organizzare anche un servizio di manutenzione e di riparazione, con la spesa di altro denaro pubblico. Il secondo che, in mancanza del primo, si rischia di avere classi con alcuni banchi senza leggìo o con rotelline rotte assegnati presumibilmente a studenti “meno popolari” con possibili conseguenze negative sulla loro psicologia.
#4 E chi è fuori misura?
Nella gara del governo vengono richiesti diversi tipi di banco a seconda delle classi, per venire incontro alle diverse taglie degli studenti durante il percorso degli studi. Questa varietà indica già un altro fattore di debolezza: gli studenti non sono tutti uguali. Anche all’interno della stessa classe ci sono ragazzi e ragazze di taglie molto diverse, di altezza, di peso, la crescita inoltre non è uniforme per tutti. Rispetto ai “vecchi” banchi composti semplicemente da una sedia e da un blocco di legno, in questo caso bisogna inserirsi in una struttura che rischia di non andare bene per chi, ad esempio, è sovrappeso oppure ha un fisico diverso dagli standard della sua età. I rischi sono di non starci oppure di obbligare il proprio fisico in uno spazio incoerente per la propria forma. C’è infatti chi ha segnalato che questi banchi sono usati in Cina dove le differenze fisiche tra gli studenti risultano inferiori rispetto a quelle nelle classi italiane.
#5 Ma serviranno davvero contro il Covid?
Da ultimo c’è anche un punto di domanda sulla ragione fondamentale alla base del loro impiego: garantire il distanziamento sociale tra gli studenti. Come ha sottolineato il Prof. Luca Ricolfi sul Messaggero, rischia di rivelarsi inutile tenere distanti gli studenti in classe. Questo perchè, come si può immaginare che i ragazzi restino tra di loro a distanza di almeno un metro in tutti gli altri momenti della vita scolastica in cui non ci sono lezioni? Come si fa a pensare che restino a distanza quando entrano in classe, quando aspettano l’insegnante tra una lezione e quella successiva, nei momenti di pausa, quando stanno nei corridoi o in cortile, o quando escono da scuola per rientrare a casa? Come si fa dunque a impostare una rivoluzione così costosa e, come scritto sopra, causa di ulteriori problemi, in base a un assunto così poco logico, ossia che garantire la distanza tra gli studenti in aula li metta al riparo da ogni contatto?
ANDREA ZOPPOLATO
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Dovrebbe essere il simbolo della Rinascita di Milano dall’emergenza sanitaria. In via Canonica, all’altezza del civico 63, nei pressi di Chinatown, durante i mesi del lockdown è apparso un albero nel bel mezzo del marciapiede. Ecco alcune curiosità di questo prodigio che affascina i residenti della zona.
Un ALBERO da MARCIAPIEDE: in via Canonica il simbolo della rinascita di Milano
# Mistero su come è apparso: frutto del lockdown o piantato da qualcuno di nascosto?
Le notizie su come sia capitato che un albero dai frutti arancioni sia cresciuto nel bel mezzo di un marciapiede milanese tutto ricoperto d’asfalto rimane un mistero. I residenti della zona di Paolo Sarpi, che si sono espressi sui vari gruppi social, hanno opinioni varie e stravaganti: c’è chi ritiene che questo piccolo esemplare di pianta non sia cresciuto da zero proprio lì durante i mesi di lockdown della città, ma sia stato spostato e piantato in quel punto solo una volta cresciuto. C’è, poi, chi ha osservato come la pianta in questione sia una particolare specie infestante e un po’ velenosa. E chi pensa che appartenga ad una donna, proprietaria del ristorante cinese che si trova proprio davanti.
# E’ la Ciliegia di Gerusalemme: originaria del Perù, un simbolo di resilienza
Qualche certezza però c’è. La pianta infatti fa parte della famiglia delle Solanaceae, è originaria del Perù ed è in grado di resistere al freddo e alle gelate. Il suo nome è Solanum pseudocapsicum, in italiano Ciliegia di Gerusalemme.
# La risposta politica che tira in ballo Jovanotti
Il primo tra gli esponenti politici a prendere atto dell’evento è stato Alessandro Giungi, consigliere comunale del Pd, che in un post su Facebook si è espresso così: “In Via Canonica 63 è nato sul marciapiede questo albero. Per me è un piccolo miracolo. Che va preservato e protetto. Due giorni fa a tal proposito ho avvertito l’Assessore Pierfrancesco Maran che sicuramente farà il possibile”.
E l’Assessore Maran ha prontamente replicato: “Sei un fiore che è cresciuto sull’asfalto e sul cemento”, citando Jovanotti.
Nell’attesa che la giunta si decida a una posizione ufficiale, gli abitanti della zona si sono già organizzati: alcuni danno da bere all’albero, se ne prendono cura e sembra che si stia perfino costituendo un Comitato per la sua tutela.
LETIZIA DEHÒ
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Il Tar del Lazio accogliendo il ricorso di tre avvocati della Fondazione Einuadi dà il via libera alla desecretazione degli atti del Comitato Tecnico Scientifico sui cui si sono basate tutte le decisioni del governo in termini di limitazioni agli italiani durante l’emergenza.
🔴 STOP al SEGRETO di Stato sul Covid: il Tar ordina al governo di rendere PUBBLICI I VERBALI del CTS
Una sentenza del Tar del Lazio pronunciata lo scorso 13 luglio ha stabilito che i verbali sulla gestione dell’emergenza Coronavirus debbano essere resi noti. Cade dunque il segreto di Stato sul Covid. I giudici amministrativi della Prima sezione quater hanno accolto il ricorso di tre avvocati della Fondazione Einaudi, che avevano chiesto l’accesso civico ai verbali del Comitato tecnico scientifico anti-Covid.
Si tratta degli atti sulla base dei quali il governo ha deciso le limitazioni da imporre agli italiani per contenere il contagio e ridurre l’emergenza. Per il Tar, il mancato accesso agli atti è stato un errore, perché i verbali in questione non erano qualificabili come “atti amministrativi generali”, come invece sostenuto nella memoria difensiva da Presidenza del Consiglio dei ministri-Dipartimento della Protezione civile. Di qui l’ordine di far vedere e fare copia degli atti, entro 30 giorni.
A Milano il trasporto pubblico si paga già dopo i 14 anni, l’iniziativa del Sindaco di Parigi consente invece a tutti i ragazzi in età scolare di girare gratis dall’inizio del nuovo anno di studi sgravando moltissime famiglie da un costo importante. Sala, che spesso prende a riferimento Parigi, saprà seguirne l’esempio?
La METROPOLITANA di Parigi GRATIS per tutti i cittadini FINO A 18 ANNI
# Anne Hildago: “È un forte impegno che stiamo assumendo nei confronti dei giovani e del potere d’acquisto”
Ciò che è stato deciso per i bambini a gennaio 2019 è ora esteso a tutti i minori. Questo giovedì, 23 luglio, Anne Hidalgo ha fatto adottare al Consiglio di Parigi il trasporto gratuito per i minori di 18 anni. Una misura, “ha lavorato con i comunisti parigini“, che era stata promessa durante la campagna elettorale comunale e che sarà efficace tra qualche settimana. “Questo è un forte impegno che stiamo assumendo nei confronti dei giovani e del potere d’acquisto“, ha affermato il sindaco di Parigi nelle sue osservazioni iniziali.
Secondo il sindaco di Parigi, il costo dell’operazione è stimato a 27,6 milioni di euro all’anno, di cui 12,6 milioni di euro per la sola fascia 11-18 anni. “L’evoluzione approfondita del modello di mobilità urbana verso una mobilità più sostenibile, pulita e multimodale comporta in effetti lo sviluppo, fin dalla tenera età, di un riflesso dell’uso del trasporto pubblico e delle modalità attive“, possiamo dire. leggere nella relazione illustrativa del progetto di deliberazione.
# Un risparmio di 350 euro per ogni adolescente
Questa misura, che entrerà in vigore dall’inizio del prossimo anno scolastico, permetterà alle famiglie di ricevere il rimborso entro “5-6 settimane” dei Pass Navigo dei loro figli “grazie a un modulo che dovrà essere completato“, ha precisato il verde David Belliard, vice responsabile dei trasporti. Perché se il Junior Navigo Pass costa meno di 30 euro per i bambini di 4-11 anni, il pacchetto “Immagina R Scolaire” costa ancora 350 euro per gli altri 11-18 anni.
Nel dettaglio, questo rimborso ha riguardato studenti universitari, studenti delle scuole superiori e “giovani apprendisti che seguono un programma di studi di lavoro a un livello inferiore al diploma di maturità domiciliato a Parigi, il cui costo massimo annualedell’abbonamento è di 350 euro”. Anche i giovani parigini di età inferiore ai 20 anni con disabilità sono interessati da questo sistema.
Inoltre, i giovani parigini di età compresa tra 14 e 18 anni potranno beneficiare di un aiuto economico equivalente a un abbonamento al bike sharing elettrico.
Un’indiscrezione che circolava da giorni è diventata realtà. A due mesi dall’inchiesta di Report che ha sollevato il polverone sulla commessa di camici bianchi dalla Regione a una società del cognato e della moglie di Fontana, il Presidente di Regione Lombardia è stato iscritto nel registro degli indagati. Lo comunica il Corriere della Sera aprendo con questa notizia la prima pagina nazionale. La replica del Presidente: “Sono certo dell’operato della Regione Lombardia che rappresento con responsabilità“.
# 19 Maggio: il Governatore lombardo “avrebbe cercato di salvare la sua reputazione” tentando un bonifico per ripagare i camici
Come riporta il Corriere della Sera, con parte dei soldi di un proprio conto in Svizzera, sul quale nel 2015 aveva fatto uno “scudo fiscale” per 5,3 milioni detenuti fino ad allora da due “trust” alle Bahamas, il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, ora indagato per l’ipotesi di “frode in pubbliche forniture”, il 19 maggio cercò di fare un curioso bonifico per arginare — 4 giorni dopo una generica intervista di Report — il rischio reputazionale insito nei 75.000 camici e 7.000 set sanitari venduti per 513.000 euro alla Regione il 16 aprile dalla società Dama spa del cognato Andrea Dini e per il 10% della moglie Roberta”.
“Andò all’Unione Fiduciaria, che gli amministra il “mandato fiduciario misto” da 4,4 milioni accennato a pagina 3 del modulo sulla “situazione patrimoniale” dei politici sul sito online della Regione, e tentò di bonificare alla Dama spa del cognato 250.000 euro: cioè gran parte del mancato profitto al quale il cognato l’indomani sarebbe andato incontro facendo il 20 maggio, in una mail alla centrale acquisti regionale Aria spa diretta dall’ex Gdf Filippo Bongiovanni, l’unilaterale bel gesto di tramutare in donazione alla Regione l’iniziale vendita dei 75.000 camici, e di rinunciare a farsi pagare dalla Regione i 49.353 camici e 7.000 set già consegnati”.
# 7 giugno: il Governatore dichiara “Non sapevo nulla della procedura e non sono mai intervenuto in alcun modo”.
Sempre secondo il Corriere, l’azione di Fontana sarebbe stata ideata per poter in futuro dire “vabbè, vero che nel marasma dell’emergenza Covid mio cognato stava vendendo alla mia Regione i camici, ma guardate che, appena l’ho saputo, per scrupolo ho rimesso persino soldi di tasca mia”.
Una mossa difficile da conciliare con la sua dichiarazione del 7 giugno: “Non sapevo nulla della procedura e non sono mai intervenuto in alcun modo“. “Intanto perché”, scrive ancora il Corriere, “il presidente ha saputo invece sin dall’inizio dell’avviato rapporto commerciale tra cognato-fornitore e Regione-acquirente, in violazione del “Patto di integrità” anti-conflitti di interesse: e lo ha saputo perché a informarlo da subito fu uno degli uomini a lui più vicini: il suo assessore Raffaele Cattaneo, capo dell’unità di emergenza che cercava ovunque camici”.
“Inoltre i soldi per il bonifico arrivano da un suo conto in Svizzera nella banca Ubs Ag. Del tutto lecito. Ma la cui delicatezza — per un presidente di Regione che non ne ha mai fatto alcun cenno pubblicamente — sta nel fatto di essere il frutto di una voluntary disclosure: cioè della legge per favorire il rientro di capitali illecitamente detenuti all’estero, con la quale nel settembre 2015, dopo la morte in giugno della 92enne madre Maria Giovanna Brunella, a titolo di erede l’allora sindaco di Varese scudò 5 milioni e 300.000 euro, detenuti in Svizzera da due “trust” (strumenti giuridici di stampo anglosassone per proteggere il patrimonio da possibili pretese), creati alle Bahamas nel 2005 (dopo inizio nel 1997) quando Fontana presiedeva il Consiglio regionale, e nei quali la madre dentista figurava «intestataria», mentre Fontana risultava in uno il «soggetto delegato» e nell’altro il «beneficiario economico»”.
# L’unione Fiduciaria blocca il bonifico per incoerenza tra la causale con il bonifico, in base alla normativa antiriciclaggio
Ma nella questione sembra che al Presidente non gliene vada bene mezza. Neppure versare il bonifico gli riesce. Scrive infatti il Corriere che “la milanese Unione Fiduciaria, incaricata il 19 maggio da Fontana del bonifico, blocca il pagamento perché in base alla normativa antiriciclaggio non vede una causale o una prestazione coerenti con il bonifico, disposto da soggetto “sensibile” come Fontana per l’incarico politico”.
# Tentativo di marcia indietro di Fontana e la mancata donazione dei camici restanti
Oltre il danno la beffa: “E così la fiduciaria in gran segreto fa una «Sos-Segnalazione di operazione sospetta» all’Unità di informazione finanziaria di Banca d’Italia, che la gira a Gdf e Procura. La Gdf va ad acquisire gli atti nella fiduciaria di via Amedei, e il 9 giugno ascolta come teste A. M., «responsabile della Funzione antiriciclaggio»”.
Arriva a quel punto un nuovo dietrofront di Fontana. Forse accortosi dell’ulteriore danno, scrive il Corriere che “Due giorni dopo, l’11 giugno, Fontana di colpo chiede alla fiduciaria di non fare più il bonifico che era così urgente. E il cognato? Invece di regalare ad Aria spa anche i 25.000 restanti camici degli iniziali 75.000 tramutati in donazione alla Regione, per rifarsi del mancato guadagno cerca invano (attraverso una agente a provvigione) di rivenderli alla casa di cura varesina «Le Terrazze», a 9 euro l’uno anziché 6.” “Ovvio che l’imprenditore Dini”, scrive ancora il Corriere, “il 20 maggio ben potesse rinunciare al proprio diritto di vedersi pagare dalla Regione a 60 giorni le fatture emesse sui 49.353 camici e 7.000 set già consegnati.”
# Fontana dopo aver preso di esser indagato: “Sono certo dell’operato della Regione Lombardia che rappresento con responsabilità”
Ma ieri nell’interrogatorio di Bongiovanni, difeso dall’avvocato Domenico Aiello, si è compreso che i pm dell’aggiunto Maurizio Romanelli stanno verificando se Dini potesse sottrarsi anche al dovere contrattuale di comunque fornire alla Regione, fosse a titolo di regalo o in esecuzione di una vendita, l’intera quantità per la quale si era impegnato il 16 aprile: e cioè anche i restanti 25.000 camici, sui quali la Regione faceva affidamento perché in emergenza aveva un disperato bisogno di 50.000 camici al giorno, obiettivo talmente arduo che non fu mai raggiunto in alcun giorno. E invece la Regione di Fontana non li pretese dal cognato di Fontana. Ecco perché Bongiovanni e Dini, sinora indagati dai pm Furno-Scalas-Filippini per «turbata libertà nel procedimento di scelta del contraente», lo sono ora anche, ma qui in concorso con Fontana, per l’ipotesi di «frode in pubbliche forniture».
“Da pochi minuti – dice il governatore Fontana su Facebook dopo la notizia Ansa delle 23.06 – ho appreso di essere stato iscritto nel registro degli indagati. Duole conoscere questo evento, con le sue ripercussioni umane, da fonti di stampa. Sono certo dell’operato della Regione Lombardia che rappresento con responsabilità“.
Dopo l’inaugurazione il 3 gennaio 2020 e la chiusura il 7 marzo 2020 a causa dell’emergenza Coronavirus, i primi di giugno ha riaperto le porte per tornare a emozionare il palato dei milanesi.
DESSERT BAR MILANO: tre percorsi emozionali fatti di dolci
# Il pastry chef Federico Rottigni: “Milano stava esplodendo, ho scelto di tornare nella mia città”
Credits: ilgamberosso.it – Federico Rottigni
Il concept chiamato Dessert Bar Milano, di Federico Rottigni, pastry chef appena trentenne, dove su di un grosso banco marmoreo, viene preparato e servito un vero e proprio percorso emozionale, fatto da piccoli dessert creativi e drink alcolici. L’idea differenziante e innovativa di Federico è quella di servire emozioni, ricordi e nostalgia per dessert, in quello che è un vero e proprio momento gastronomico/spettacolo, dove coesistono scenari luminosi, musicali ed olfattivi, divisi per ogni momento.
Credits: ilgamberorosso.it – Dessert Bar
Federico seppur molto giovane arriva da un percorso decennale con grandi nomi ed è secondo la stampa uno dei giovanissimi da tenere d’occhio in Italia. La contaminazione con concetti di arte, lo ha reso più vicino ad un artista, che ad uno chef. “Sono 10 anni che faccio il pasticcere, dopo due anni con Knam sono stato a Villa Crespi, poi di nuovo a Milano, a Palazzo Parigi e all’hotel Gallia, come chef pasticcere responsabile quando avevo solo 24 anni. Per due anni ho lavorato in Norvegia, prima nel bel mezzo di una foresta, al Lysebu Hotel, poi in una grande struttura alberghiera nel centro di Oslo, circa 70 persone al lavoro in brigata, io ero a capo di pasticceria, cioccolateria e bakery, con un team di 15 pasticceri di molte nazionalità. Ma avevo già quest’idea in testa, Milano stava esplodendo, ho scelto di tornare nella mia città“.
# Tre formule da scegliere, con il dolce abbinato a un drink
Tre sono le formule tra cui scegliere, tutte con drink pairing: 64 euro per la degustazione da 4 portate, 52 per quella da 3, 48 per il percorso (sempre da 4 portate) che abbina una bottiglia di champagne anziché i cocktail ideati dal team. La ricerca sul gusto si spinge oltre ciò che convenzionalmente etichetteremmo come dolce: “I miei dessert sono ‘dezuccherati’, per una questione tecnica. Un intero menu incentrato sul dessert non può contenere troppi zuccheri, dev’essere bilanciato su acidità e consistenze. E in generale mi piace sfruttare la dolcezza naturale degli ingredienti”.
Come il litchi, che interviene nel mix di suggestioni riunite nel primo dessert del percorso, l’Ultimo petalo, ispirato alla Bella e la Bestia: “Una riflessione sul tempo, che mette insieme la rosa e il suo profumo, il lampone proposto in tre consistenze, il litchi, un cremoso al cioccolato bianco e il cocktail a base di gin in abbinamento”.
La prenotazione è obbligatoria e su un unico turno, ore 21.00, da mercoledì a domenica.
Altra giornata molto positiva per la situazione Covid in Lombardia.
Zero decessi in Regione. Oggi zero vittime in Regione che sono risultate positive al Covid. Altra giornata in cui la Lombardia dà segnali di essere uscita dall’emergenza sanitaria e, in più, mostra di non essere ormai più il centro dei problemi. Nel resto d’Italia la situazione procede in netto miglioramento con 5 decessi nelle ultime 24 ore, risultando così in linea con gli altri paesi dell’Unione Europea, a eccezione della Romania che rimane al di sopra dei dieci morti giornalieri (+24).
53 nuovi positivi. Anche il numero di chi è risultato positivo al tampone è a livelli minimi. Solo 53, soprattutto asintomatici o debolmente positivi, risultati su quasi 10.000 tamponi. Il totale in Italia è 252 nuovi positivi, la quota della Lombardia è dunque attorno al 20% del totale nazionale, una percentuale che si riduce progressivamente. Per nuovi contagi la Lombardia è al secondo posto, dietro all’Emilia Romagna (+63).
+235 guariti in un giorno. Negli ospedali lombardi restano ricoverate 144 persone (+5) oltre a 17 ancora in terapia intensiva. Tra le province al primo posto resta Milano con +22 nuovi positivi (+11 in città). Tutte le altre sono sotto i 10. Sondrio è a zero.
Nel mondo i contagi giornalieri risultano sempre ai livelli massimi e anche i decessi sono in ripresa, soprattutto in America e in Asia, mentre l’Unione Europea si conferma sotto controllo. Per decessi nelle ultime 24 ore i Paesi più colpiti risultano Brasile (+1.192), USA (+974), Messico (+718) e India (+467). Sopra i 100 morti giornalieri ci sono anche Iran (+215), Russia (+154), Sud Africa (+153), UK (+123), Indonesia (+117) e Cile (+116).
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Anche se ufficialmente non ha ancora svelato le sue intenzioni su una sua eventuale ricandidatura, rimandando la decisione al prossimo autunno, si moltiplicano i segnali che invece la decisione Sala l’avrebbe già presa. L’ultimo sembra dipanare ogni dubbio.
🔴 Breaking News. SALA verso la RICANDIDATURA: gira la bozza del suo programma
Sala sì, Sala no, era uno dei tormentoni di queste ultime settimane. Non c’era intervista al sindaco senza la fatidica domanda che riceveva sempre la fatidica risposta: “non ho ancora deciso“.
Invece negli ultimi giorni hanno iniziato ad intensificarsi segnali che la decisione Sala sì che l’avrebbe già presa. E sarebbe quella di ricandidarsi a sindaco per il secondo mandato. Come anticipato da Affari Italiani, sarebbero in corso già le manovre per allargare e compattare la coalizione, come il recente ingresso degli “arancioni”, ex seguaci di Pisapia, nel PD milanese (Gli arancioni (quasi) tutti nel Pd: 58 ingressi, l’anticipazione di Affari).
Così come nei suoi messaggi ai cittadini molti hanno notato che il Sindaco ha ammainato la bandiera di potenziale leader della sinistra nazionale per ritornare nei ranghi di sindaco di Milano. In particolare sposando da un lato la linea super ambientalista e dall’altro difendendo la città da alcuni attacchi fatti da altri rappresentanti politici italiani.
Forse la parola fine su ogni dubbio la mette un’indiscrezione che ci arriva direttamente da membri di categorie professionali della città. Starebbe circolando una prima bozza di programma politico da integrare con proposte di professionisti e, presumibilmente, di altre categorie di cittadini.
Sui contenuti sembra non ci siano grandi sorprese rispetto alle prese di posizione del sindaco negli ultimi tempi. Volete sapete se c’è spazio anche per Milano città stato (autonomia di Milano con poteri da regione)? Risposta: zero. Però, come detto, si tratta ancora di una bozza. Chissà che sulla strada delle elezioni non arrivi un’illuminazione.
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Dopo il Ministro per il Mezzogiorno che ha dichiarato che nel sud ci vuole “una fiscalità agevolata”, dopo il primo ministro Conte che ha elencato tra i progetti da finanziare tutte opere nel mezzogiorno, dopo il ministro Speranza che ha dichiarato che “la maggior parte del Recovery Fund deve finire nel Sud”, arriva il Ministro per le Autonomie, Francesco Boccia. Fedele al suo ruolo spezzerà una lancia a favore delle regioni del nord più colpite dal virus ma più ignorate dal Governo?
“I FONDI europei VADANO AL SUD” lo ha detto il ministro del mezzogiorno? No, IL MINISTRO PER LE AUTONOMIE
Ministro Boccia perchè il recovery fund può aiutare molto a definire un accordo anche sulla riforma dell’autonomia differenziata come lei stesso ha detto all’indomani dell’accordo di Bruxelles?
“Il Recovery Fund è un’occasione straordinaria per separare il passato del futuro. E mi spiego. L’Europa ci dà i soldi e tocca a noi puntare su progetti strategici che cambino la storia d’Italia. Non è enfasi è ragionare su alcuni dati certi. La pandemia ha cambiato il mondo e noi abbiamo l’impegno di cambiare noi stessi. A cominciare dal rapporto tra Stato e Regioni: l’emergenza ha insegnato che si esce dal tunnel solo tenendosi per mano con leale collaborazione. È ciò che ha fatto il governo con le Regioni. Il Recovery Fund è il nostro esame per ridurre le diseguaglianze.”
# L’Italia delle diseguaglianze accresce il divario, tutti gli indicatori annunciano scenari difficili per il Sud, basteranno le misure annunciate dal ministro Provenzano, dalla fiscalità di vantaggio agli incentivi per il lavoro alle donne?
“Sono misure importanti; e zero oneri contributivi sulle donne è una risposta efficace a una piaga intollerabile, come la disoccupazione femminile al sud. Il Mezzogiorno è in cima all’agenda del governo. L’azione di governo è orientata a uno sforzo globale per il riallineamento del Mezzogiorno all’asse del Paese e soprattutto alla lotta alle disuguaglianze sociali che saranno a mio avviso il vero banco di prova dell’inverno. Noi ci siamo e vogliamo esserci con un’azione costante ma soprattutto pragmatica: la storia di questi mesi ci insegna che anche un giorno in più diventa un’eternità”.
# Siete stati etichettati come il governo dei meridionali, vi pesa?
“Con orgoglio rivendichiamo i nostri luoghi di nascita e a maggior ragione abbiamo una responsabilità storica in più. Ma come ha dimostrato l’emergenza, quando il Sud funziona non solo tutto il Paese ne beneficia ma addirittura aiuta il nord come nel caso dello straordinario aiuto dei medici e infermieri volontari che dal Mezzogiorno sono andati senza farselo chiedere una volta di più negli ospedali in cui si moriva ogni giorno.”
# Il ministro si dimentica il Nord nonostante sia stata l’area più colpita del Paese dal Covid
Nelle dichiarazioni del Ministro per le Autonomie non viene fatto nessuna accenno a:
#1 I decessi in Lombardia sono oltre il 50% del totale italiano: quindi a rigore di logica essendo la nostra regione quella più danneggiata avrebbe avuto diritto ad una quota preponderante dei fondi europei.
#2 I 56 miliardi a fondo perduto che ogni anno la Lombardia da al resto d’Italia senza porre condizioni: non si capisce come mai per impiegare i fondi ricevuti dall’Europa, all’Italia sia giustamente richiesto di presentare dei progetti a cui destinarli, mentre i contributi a fondo perduto che la Lombardia regala al resto del Paese, viene lasciato senza sapere come verranno utilizzati.
#3 All’autonomia richiesta nel 2017: sono passati più di 1000 giorni dai referendum di Veneto e Lombardia, nei quali a maggioranza schiacciante i cittadini avevano dato potere ai presidenti delle due regioni di trattare con il Governo per ottenere maggiore spazi di autonomia in diverse materie di competenza degli enti locali
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I numerosi affondi, spesso gratuiti e al limite dell’indecenza, profusi dal governatore campano durante tutta l’emergenza Coronavirus, ultima quella di qualche giorno fa dove con una battuta dal sarcasmo nero diceva “Milano non si ferma, Bergamo non si ferma. Poi si sono fermati a contare migliaia di morti” nasconde in realtà un’amara verità.
Il Corriere della Sera ha scoperto il “segreto” dell’eccellenza campana: è la Regione che fa meno tamponi di tutti. Anche se alla fine forse i nodi verranno al pettine: nell’ultima settimana la Campania è prima tra le regioni del Sud per incremento di contagi.
La lotta al Covid alla DE LUCA, il “giustiziere” di Milano: basta non fare TAMPONI e il VIRUS non c’è più
Il governatore della Campania Vincenzo De Luca sta dispensando “lezioni” alle altre regioni e in particolare alla Lombardia. In realtà analizzando i dati relativi all’andamento della curva epidemiologica della Campania emergono numeri che mostrano diverse anomalie e soprattutto dimostrano che non si tratta affatto di una zona “franca”. E si tratta di numeri trasmessi dalla stessa regione al ministero della salute che poi li inserisce nel monitoraggio settimanale per calcola l’indice di trasmissione, l’Rt.
# Per tamponi effettuati la Regione è ultima in Italia in rapporto agli abitanti: solo 217 tamponi su 100.000 abitanti
Uno dei parametri per misurare la circolazione del Covid-19 è quello dei tamponi effettuati. Ebbene come denunciato anche dalla fondazione indipendente Gimbe che analizza il quadro complessivo dell’Italia e poi focalizza l’attenzione sulle varie aree, nelle ultime due settimane “la regione Campania si assesta in ultima posizione per numero di tamponi diagnostici ogni 100.000 abitanti“. La media nazionale è infatti di 570 tamponi effettuati per ogni 100.000 abitanti mentre nella terra amministrata da De Luca ne sono stati prelevati e comunicati soltanto 217.
# Per incremento dei contagi è prima tra le regioni del sud
Nella settimana tra il 15 e il 21 luglio ci sono stati 60 nuovi contagiati con un incremento di 28 casi rispetto alla precedente settimana. Dopo Lombardia (+184), Veneto (+172), Lazio (+46), Liguria (+44), Piemonte (+35) e Toscana (+30) c’è al settimo posto proprio la Campania che supera tutte le altre regioni del sud. La Sicilia ha soltanto 12 nuovi casi, la Calabria e la Puglia 9, staccate anche l’Umbria con 6, l’Emilia con 2, le Marche con 6, l’Abruzzo con 3 e la Basilicata che ha 0 contagi.
# I parametri dell’incremento percentuale vede la Campania seconda dopo la Calabria
Negli studi di Gimbe vengono valutati i dati del monitoraggio del ministero della Salute seguendo due criteri. La Prevalenza (casi totali per 100.000 abitanti): misura la “densità” dei casi confermati nella popolazione e rappresenta anche una stima indiretta dei contagi non noti. L’incremento percentuale dei casi totali: misura la “velocità” con cui si diffonde il virus. Tale valore viene calcolato su un arco temporale settimanale, viste le notevoli fluttuazioni dei dati giornalieri. Secondo l’incrocio di questi numeri “al 22 luglio la Campania è seconda, dopo la Calabria, per incremento percentuale dei casi“.
# Per casi “attivi” la regione amministrata da De Luca arriva subito dopo le regioni del nord e il Lazio
Anche nella classifica degli “attualmente positivi” la regione guidata da De Luca non ha risultati ancora soddisfacenti visto che è settimanella classifica perché conta 297 persone ed è preceduta da Lombardia, Emilia Romagna, Lazio, Piemonte, Veneto e Toscana.
# Le vittime
Dall’inizio della pandemia la Campania ha avuto 4.858 casi e 434 vittime che la colloca all’11mo posto rispetto alle altre Regioni. Complessivamente ha effettuato 316.191 tamponi. Per avere un’idea della differenza la Lombardia ha effettuato 1.217.829 con 95.633 accertati; il Veneto 1.138.625 con 19.707 accertati.
La linea del governo è unanime: i fondi dell’Europa devono prendere la direzione del Mezzogiorno. Anche sul fronte del sistema sanitario con l’obiettivo del ministro della Salute di farne arrivare almeno il 60% al Sud. La dichiarazione di Speranza si aggiunge a quella di Boccia, Ministro delle Autonomie, e di Provenzano, Ministro del Sud. Almeno su un punto tutte le forze politiche che sostengono il governo sembrano d’accordo: indirizzare il Recovery Fund verso il Sud del Paese.
# Obiettivo del ministro della Salute Roberto Speranza: assegnare 60% risorse disponibili al Mezzogiorno
Che si tratti dei 37 miliardi dei fondi europei del Mes, da spendere per il potenziamento del Servizio sanitario nazionale, o che si ripieghi sulla fetta di circa 30 miliardi, attinta alla più ampia torta delle risorse del Recovery fund, da dirottare sugli investimenti diretti e indiretti in Sanità, uno degli elementi chiave, posti dal ministro della Salute Roberto Speranza nell’intervista dei giorni scorsi al Mattino, è che vi sia un riequilibrio nelle assegnazioni delle risorse tra Nord e Sud.
L’obiettivo del gruppo di lavoro, attivato in via Lungotevere già nel periodo preCovid, è superare i criteri di riparto del fondo sanitario nazionale stabiliti nell’ultimo decennio in Conferenza Stato Regioni che hanno visto fortemente penalizzato il Sud rispetto al Centro-Nord. Il tema centrale è anche come spendere queste risorse Ue in più che potrebbero arrivare nelle casse delle Regioni meridionali nei prossimi mesi. Al Mezzogiorno, nello scenario che si va delineando, andrebbe assegnato circa il 60 per cento delle risorse disponibili: in soldoni 22 miliardi su 37 nel caso si attivi il Mes ovvero 18 a fronte dei 30 attinti dal Recovery fund. Investimenti per i presidi ospedalieri, edilizia sanitaria, rafforzamento della sanità territoriale, nuove strumentazioni per la diagnostica, sanità digitale, telemedicina e Ricerca alcune delle rotte su cui orientare la bussola dei nuovi investimenti nella sanità soprattutto al Sud.
# Interventi per rendere attraente il Sud per gli investimenti delle Big Pharma
Di suo il ministro ha anche aggiunto gli interventi per rendere il Mezzogiorno più attraente per gli investimenti del settore cruciale degli investimenti delle big del farmaco. Direttrici che, nelle Regioni che, come Campania, Puglia, Calabria e Sicilia, hanno scontato i tagli del Piano di rientro dal deficit, devono fare i conti con la priorità dell’assunzione di nuovo personale. La sola Campania ha perso in dieci anni due generazioni di medici e personale sanitario (14 mila camici bianchi) disarticolando molti servizi essenziali ridotti all’osso a cominciare dalle rete dell’emergenza e urgenza passando per i dipartimenti della medicina del territorio, (prevenzione e unità epidemiologiche collettiva che oggi svolgono il lavoro gravoso per la tracciaiblità dei casi Covid) per finire alle cure domiciliari e alla presa in carico sociosanitaria delle cronicità. Da marzo sono state effettuate circa 15.000 assunzioni al Sud, circa 1000 in Campania, ma sono quasi tutti contratti di pochi mesi che bisogna trasformare in lavoro e servizi stabili. Qui evidentemente occorre un lavoro di approfondimento serio sui costi strutturali a lungo termine che evidentemente non possono essere sostenuti solo con un piano di investimenti diluito negli anni.
# Un piano Marshall per rimettere in piedi e in efficienza il sistema sanitario del Mezzogiorno
Quello che serve insomma è un vero e proprio Piano Marshall per tappare le crepe del sistema sanitario italiano e rimettere in piedi e in efficienza quello del Sud. Operazione che mira a tirare il freno allo stillicidio della migrazione sanitaria che da lustri sottrae preziosa linfa, centinaia di milioni di euro all’anno, 300 annui solo in Campania, agli investimenti nella Sanità del Sud. Il Mezzogiorno pur potendo contare su singole eccellenze assistenziali emerse con nettezza durante la pandemia, paga pegno in termini di ritardi strutturali. Il piano degli investimenti programmato dal ministero con i fondi straordinari sarebbe pluriennale e poggia innanzitutto sulla ristrutturazione della rete ospedaliera. La Campania ad esempio potrebbe raddoppiare l’attuale posta di 1,1 miliardi messa nel piatto a fine 2018 dai ministeri per accompagnare il Piano ospedaliero. Qui uno dei nodi da sciogliere riguarda la capacità di spesa: l’attuale compagine tecnica che interfaccia Regioni e Ministeri sui progetti di ristrutturazione edilizia finisce a Roma in un imbuto burocratico fatto di due Nuclei di valutazione che impiegano anni per approdare alla fase esecutiva. “Servirebbe una forte struttura di affiancamento tecnico – fanno sapere Palazzo Santa Lucia, sede della giunta regionale della Campania – che svolga un ruolo operativo teso a velocizzare e sostenere realmente le esigue forze operative delle singole Regioni ridotte all’osso dalla stagione dei tagli“.
# 5 miliardi al sud, il 50% del budget totale, per la medicina di territorio
L’altro snodo strategico è un investimento altrettanto massiccio, si parla di 10 miliardi di cui la metà al Sud, nella cosiddetta medicina del territorio che ha funzionato male anche al Nord nei mesi scorsi. Qui si tratta di costruire una serie di strutture di prossimità specializzate ramificate nelle Asl come ambulatori, day hospital, nuclei multidisciplinari che abbiano in uso tecnologie di primo livello, ma soprattutto di assumere personale specializzato, soprattutto infermieristico e tecnico, che curi a casa i malati bisognosi di interventi semplici ma ripetuti nel tempo. C’è poi il tema dell’ammodernamento delle tecnologie che giocano un ruolo cruciale per l’innovazione e l’efficacia delle cure e che ogni dieci anni richiedono un tura-over oggi insostenibile per molte regioni che potrebbe assorbire circa 2 miliardi di euro.
Sullo sfondo il tema delle cronicità:il Covid-19 ha fatto emergere il grave ritardo nella riforma dei servizi territoriali mostrando la necessità di spostare l’assistenza dei malati cronici dall’ospedale al territorio puntando al massiccio uso della telemedicina e teleassistenza. “Su questo fronte l’emergenza Covid, tutt’altro che conclusa – avverte Fabrizio Starace psichiatra napoletano membro del gruppo di lavoro che ha affiancato il premier Giuseppe Conte durante l’emergenza Covid – ha posto il nostro sistema sanitario di fronte a uno stress test che ne ha messo a nudo le principali fragilità“. L’obiettivo è orientare gli in vestimenti alla presa in carico attiva delle persone con fragilità e cronicità tramite servizi di prossimità riequilibrando Nord e Sud.
# Nelle dichiarazioni del Ministro per le Salute non si fa nessun riferimento a:
#1 I decessi in Lombardia sono oltre il 50% del totale italiano: quindi a rigore di logica essendo la nostra regione quella più danneggiata avrebbe avuto diritto ad una quota preponderante dei fondi europei.
#2 I 56 miliardi a fondo perduto che ogni anno la Lombardia da al resto d’Italia senza porre condizioni: non si capisce come mai per impiegare i fondi ricevuti dall’Europa, all’Italia sia giustamente richiesto di presentare dei progetti a cui destinarli, mentre i contributi a fondo perduto che la Lombardia versa al resto del Paese, viene lasciato senza sapere come verranno utilizzati.
#3 All’autonomia richiesta nel 2017: sono passati più di 1000 giorni dai referendum di Veneto e Lombardia, nei quali a maggioranza schiacciante i cittadini avevano dato potere ai presidenti delle due regioni di trattare con il Governo per ottenere maggiore spazi di autonomia in diverse materie di competenza degli enti locali.
In più domanda finale: come è possibile che tutti i ministri della Repubblica si preoccupano così tanto solo di una parte del Paese (il Sud d’Italia) ignorando completamente le regioni del Nord? E tutto questo accade nonostante nel governo ci sia pure un Ministro per il Mezzogiorno?