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LIGURIA da INCUBO: traffico in TILT per cantieri in autostrada, turisti fatti SCENDERE dai treni per rispettare il distanziamento nei posti a sedere

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Credit: ANSA/LUCA ZENNARO

Non c’è estate senza le code in Liguria. Però di solito succedevano al rientro la domenica sera. Invece già la partenza del week end per molti milanesi si è rivelata un incubo.

LIGURIA da INCUBO: 14 KM di CODA per cantieri in autostrada, turisti fatti SCENDERE dai treni per rispettare il distanziamento nei posti a sedere

Obbligo di distanziamento nei posti a sedere: turisti diretti in Liguria fatti scendere dai treni a Milano.

Disagi sabato mattina in Stazione Centrale a Milano: molti passeggeri sono stati fatti scendere dai treni diretti in Liguria perché troppo affollati e non sono riusciti a partire oppure sono arrivati con grande ritardo. La denuncia arriva da Assoutenti.
Il caos si è creato a causa della necessità del rispetto della normativa coronavirus che fa sì che sui treni i viaggiatori possano sedere solo distanziati. E l’ordinanza della Regione Liguria entrata in vigore oggi che consente di occupare tutti i posti sui convogli non ha valore per i treni che arrivano da altre regioni.
A questo si è aggiunta la cancellazione nel pomeriggio di un treno proveniente da Milano e diretto ad Alassio via Genova ha lasciato “a piedi” diverse persone che contavano su quel convoglio per tornare nel savonese.
“Ora basta – dice il presidente di Assoutenti Furio Truzzi – Andare in vacanza nel fine settimana non può diventare un problema di ordine pubblico. Servono subito otto coppie di Frecciarossa, dalla Lombardia e dal Piemonte per le riviere si ponente e di levante della Liguria!”. Infine il Presidente di Assoutenti chiede un risarcimento simbolico di 100 euro per tutti i passeggeri, sia quelli lasciati a terra sia quelli arrivati a destinazione con ore di ritardo.

Da IVG.it

Traffico in tilt per lavori in autostrada: fino a 12 chilometri di coda verso Genova. E Autostrade vuole chiudere totalmente 14 tratte

6 chilometri di coda fin dalla mattina di venerdì tra Genova Est e Nervi, lungo la A12 in direzione Livorno. E nel pomeriggio, con i turisti in arrivo da Piemonte e Lombardia, la situazione è peggiorata in diversi tratti interessati dai cantieri con code fino a 12 chilometri al bivio A12-A7 Milano-Genova e Genova Nervi. Altri serpentoni chilometrici si sono formati sull’A7 tra Genova Bolzaneto e il bivio A7-A12 Genova-Livorno, sempre per lavori, così come sull’A10 Genova-Ventimiglia e tra Celle Ligure e bivio A10-complanare Savona.

Un bollettino di guerra, quello del traffico ligure nel fine settimana, strozzato tra chiusurecantieri, salti di carreggiata. E il piano di Autostrade rischia di mandare definitivamente in tilt la viabilità lungo le grandi arterie regionali, con ripercussioni anche lungo la Aurelia e nei paesi, come accaduto nelle scorse settimane ad Arenzano. Uno “stritolamento” della Riviera di Levante, lo definisce il sindaco di Rapallo Carlo Bagnasco parlando di una situazione “non più sostenibile”, mentre il governatore Giovanni Toti chiede “serietà” e “rapidità” alla società concessionaria e al ministero dei Trasporti perché “così non possiamo andare avanti”.

Con la stagione turistica alle porte, infatti, si diffonde la paura della paralisi. E restano due giorni per trovare una soluzione che eviti ad Autostrade di procedere con il suo piano per le ispezioni delle gallerie, la cui prima tranche dovrà terminare entro il 15 luglio. Un vaso di pandora di problemiinefficienze e buchi nei regolamenti che ha presentato il conto agli automobilisti.

Buona parte dei problemi delle ultime settimane sono riconducibili alla necessità per la concessionaria di ispezionare le gallerie. E farlo in fretta. Il 15 luglio scade il termine stabilito dal ministero dei Trasporti per i controlli. Nonostante le numerose chiusure notturne disposte, con deviazioni sulle carreggiate opposte, Autostrade ritiene di non riuscirci in tempo. E – come riportato da Il Secolo XIX – ha inviato un piano al Mit che prevede la chiusura totale, giorno e notte, week end esclusi, di 14 tratti schierando una task force di un centinaio di persone per accelerare. Un piano che potrebbe partire già la prossima settimana, salvo che da Roma non arrivi il via libera a un posticipo del termine. Una risposta è attesa entro lunedì, in caso contrario la concessionaria è pronta a procedere.

🔴 Dati 27 giugno. Due morti in Lombardia, un solo contagio in tutta Milano, zero Paesi in UE sopra i 10 decessi.Torniamo a una vita più serena?

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Foto: Andrea Cherchi (c)

27 giugno 2020. Mentre ancora la Regione pensa di estendere ad almeno altre due settimane l’obbligo di mascherina anche da soli all’aperto, i dati sembrano riflettere quello che numerosi medici sostengono: l’emergenza sanitaria ormai è finita. Due soli decessi in regione (non capitava da febbraio), un solo nuovo contagio in tutta Milano, otto morti in Italia, nessun paese in Unione Europea sopra i 10 decessi (per la prima volta neppure l’Italia). Terapie intensive libere. Ospedali sotto controllo. Possiamo fare ritorno a una vita più serena a Milano e in Lombardia?

Dati Lombardia. Due soli decessi in tutta la Regione, solo 77 nuovi contagi in Regione (di cui la metà “debolmente positivi”) su 9.568 tamponi effettuati, un solo nuovo contagiato a Milano città e quattro in tutta l’area metropolitana. Restano ricoverati 415 persone (-86 in un giorno), di cui 43 in terapia intensiva. 

Italia. I decessi giornalieri scendono a 8 in tutta Italia (dai 30 di ieri). I contagi calano a 175 dai 259 di ieri. Si scende sotto i 100 ricoverati in terapia intensiva (97). 

Mondo. Per la prima volta nessun Paese in Unione Europea conta più di 10 decessi giornalieri. Oltre all’Italia con 8, dei paesi più colpiti ci sono la Spagna con 3, Belgio con 1, Olanda con 2, Portogallo e Polonia con 6 e Romania con 10. Nel mondo al primo posto il Messico con +719 decessi giornalieri. 

Fonte: dati Regione Lombardia, Protezione Civile, Worldometers

Leggi anche: Covid: Le 5 DOMANDE di noi lombardi alla Regione (o alla Protezione Civile)

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MASCHERINE nell’afa: in Lombardia estensione obbligo all’aperto fino ad almeno il 15 LUGLIO

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Credit: https://qz.com/

Mascherine obbligatorie per almeno altri 15 giorni. Questa è la decisione del governatore Attilio Fontana. I lombardi, unici al mondo, continueranno a coprirsi naso e bocca quando si trovano fuori da casa così da evitare o ridurre la diffusione di «goccioline» che possono veicolare il virus. 

La Lombardia si confermerebbe l’unica area in Unione Europea a prevedere un simile obbligo. D’altronde lo stesso governatore Fontana ha già dichiarato di voler mantenere le mascherine obbligatorie fino al vaccino. La domanda che molti fanno è: se altrove i governi semplicemente raccomandano le mascherine, perchè ai lombardi invece non viene concessa libertà di scelta? E se la Regione Lombardia continua a mantenerle obbligatorie anche in esterno contro ogni evidenza scientifica, se è in possesso di dati di contagi avvenuti all’esterno, perchè non li rende noti? 

Ultima nota: se quando i contagi aumentano bisogna mantenerle per farli diminuire e quando invece calano (come ora) bisogna tenerle per non farli aumentare, con la logica del Governatore, quando ne usciremo?

Per inciso: in tutta l’Unione Europea senza che vi sia obbligo di mascherine all’aperto i contagi e i decessi si sono ridotti. Solo l’Italia infatti, insieme alla Romania, è rimasta con ancora più di 5 decessi giornalieri (dati 28 giugno). 

Leggi anche: Fontana: mascherine fino al vaccino

Altre misure. Nella nuova ordinanza regionale, oltre alla proroga dell’uso delle mascherine fino al 15 luglio sembra prevista anche la riapertura delle discoteche all’aperto dal 10 luglio, stessa data in cui dovrebbero riprendere gli sport di contatto come il calcetto. Via libera già dal primo luglio, invece, alle manifestazioni fieristiche.

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GIÙ LA TESTA, MILANO. Dopo anni di primati la città ha preso una sonora SBERLA (La Stampa)

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credit: Andrea Cherchi (c)

Pubblichiamo l’articolo di Alberto Mattioli per “la Stampa”

GIÙ LA TESTA, MILANO. Dopo anni di primati la città ha preso una sonora SBERLA (La Stampa)

Battuta d’arresto o fine delle ambizioni?

Le metafore variano: una sberla, una mazzata, una débâcle. Però è certo che a Milano la pandemia ha colpito forte, forse più che altrove. La città si è trovata stretta fra i due peggiori focolai italiani, le provincie di Lodi e Bergamo, e le prove non esaltanti della sanità lombarda. E dopo anni di primati e trionfalismi, grattacieli e Saloni da record, insomma dopo un decennio in cui correva mentre il Paese arrancava, si scopre fragile. Con l’aggravante di non risultare nemmeno troppo simpatica.

La Schadenfreude del resto d’Italia – il piacere provocato dalla sfortuna altrui – si nota fin troppo: per una volta, il primo della classe indossa il cappello da asino. È una battuta d’arresto o l’arresto definitivo delle smisurate ambizioni cittadine? Prevale quello che l’antica saggezza democristiana definiva «cauto ottimismo». In fondo al tunnel si inizia a vedere la luce. Ma il tunnel è ancora lungo. Il commercio ha sofferto moltissimo. Secondo la Confcommercio, il 64% degli esercizi ha riaperto e il 21 non ha mai chiuso. Resta un 15% di serrande ancora abbassate.

milano primo weekend di riaperture 2La situazione varia da settore a settore: l’alimentare accusa un calo del fatturato del 20%, il non alimentare del 60, bar e ristoranti del 70, gli alberghi del 90. Per il turismo è Waterloo. Molti hotel non hanno ancora riaperto, fiere, saloni e congressi sono stati tutti cancellati e in maggio il calo era del 98% sul 2019.

I limiti dello sviluppo degli anni dieci

E tuttavia, turismo a parte, qualche segnale di ripresa si vede. Nelle previsioni di Marco Barbieri, segretario generale di Confcommercio, ci sono molti “se”: «Se non ci sarà una seconda ondata della pandemia, se il turismo ripartirà, se gli uffici riapriranno, e se tutto questo succederà da settembre, torneremo ai livelli del ’19 nel maggio ’21».

coronavirus fase due bar riaprono a milano 20

Appunto: se. Per inciso, Beppe Sala avrà sbagliato il tono, un po’ troppo da milanese imbruttito, quando ha detto che bisogna farla finita con lo smart working e tornare a “lavurà” in ufficio. «Però ha ragione – chiosa Barbieri – perché se la gente non va in ufficio tutto l’indotto soffre». Nel frattempo, Milano «fa un bagno di umiltà», come dice l’assessore alla Cultura, Filippo Del Corno. «Il Covid ci ha resi consapevoli dei limiti dello sviluppo degli Anni Dieci. La città dinamica era talvolta frenetica. E la sua attrattiva globale una narrazione patinata, quindi fragile. Abbiamo chiamato il piano di ripresa “Un passo alla volta”, ed è una novità in una città che ne faceva tre. Attenzione: non era sbagliato quel modello. Era sbagliato pensare che fosse l’unico possibile. Pensiamo ai grandi eventi, le settimane, i saloni: benissimo, ma bisogna riscoprire anche una cultura diffusa. E con le altre città passare dalla competizione alla collaborazione».

coronavirus fase due bar riaprono a milano 19

Si recuperanno i dané perduti

Guarda caso, il cartellone per l’estate si chiama “Aria di cultura”: per una volta, uno slogan cittadino è scritto in italiano e non in inglese. Le ciclabili approntate in fretta e furia perché nessuno voleva più prendere i mezzi (talvolta così in fretta da provocare ingorghi e polemiche) diventeranno strategiche, simbolo di una città che si ripensa più verde e più lenta, più a misura d’uomo e meno di fatturato. Resta il problema di recuperare i “dané” perduti.

Un indizio infallibile dello stato di salute economica è il mercato della casa, che poi nella Milano pre-Covid andava così bene da trasformarla nella Disneyland degli agenti immobiliari. E qui, sorpresa: il business è ferito ma vivo. «Prevedevamo per il 2020 un aumento del 7%, poi abbiamo rivisto la percentuale a meno 20 – spiega Alessandro Ghisolfi del Centro studi di Abitare Co -. Due segnali inducono però all’ottimismo. Primo: si è tornato a rogitare, insomma chi era interessato prima della fase 1 nella fase 3 ha poi comprato.

coronavirus fase due bar riaprono a milano 8

Secondo: dopo la clausura, i milanesi chiedono appartamenti magari meno centrali ma più grandi e con il terrazzo». La Scala riapre il 6 luglio In questa altalena di speranze e paure, c’è anche chi dalla crisi non esce. Come Pier Galli, titolare dello storico ristorante “Galleria”, lì dal 1968. Ha chiuso il 7 marzo, dopo che il fatturato era calato del 95%. E, insieme ad altri locali storici della Galleria, come Marchesi o Biffi, ha scritto al Comune che, se tutto va bene, non riaprirà prima di settembre. «Io vivevo di turisti, che sono spariti. A pranzo avevo i bancari, che sono in smart working, e a cena gli spettatori della Scala, che è chiusa. Con 33 dipendenti e quasi mezzo milione di affitto all’anno al Comune, alzare la serranda mi costa 8 mila euro al giorno. Se, come negli ultimi giorni, ne incasso meno di mille, tanto vale restare chiuso». La Scala però riaprirà, il 6 luglio. Niente opera, per ora, ma concerti da camera per seicento persone, circa un terzo della capienza. Un altro sintomo di guarigione. E poi, recita un detto milanese, piuttosto che niente è meglio piuttosto.

Fonte: Dagospia

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MALPENSA nel CAOS: molti voli cancellati e passeggeri sul piede di guerra

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Credits: corriere.it - Passeggeri a Malpensa

Volare post lockdown è ancora complicato e, tra voli cancellati con biglietto già pagato, cancellazioni e annullamenti di collegamenti, sarà un’estate di fuoco. Soprattutto i voli da e verso Sardegna e Puglia, in particolare per arrivare ad Alghero e Brindisi, sono in alto mare, anche per l’estero è tutto a rilento e in molti aspettano rimborso per viaggi mai effettuati. Le proteste dei passeggeri iniziano a farsi sentire.

MALPENSA nel CAOS: molti voli cancellati e passeggeri sul piede di guerra

# Prima annunciati e poi cancellati i collegamenti con il Salento

Alitalia aveva annunciato i primi giorni di giugno dell’avvio dei collegamenti giornalieri da Milano Malpensa a Brindisi mettendoli a disposizione per l’acquisto da parte dei viaggiatori sul sito ufficiale. A pochi giorni dal decollo però sono stati cancellati e sostituiti con alcuni collegamenti con scalo a Roma Fiumicino. Questo significa tempi di viaggio compresi tra le 3 e le 7 ore e mezza e un prezzo di 360 euro.

Immediate le proteste del presidente della provincia di Lecce Stefano Minerva, per i disagi creati da questo cambio di decisione, che si è immediatamente mobilitato contro Alitalia: “Il territorio pugliese usufruisce dei collegamenti con Brindisi come porta di accesso alla città barocca e a tutto il rinomato territorio. Sarà un colpo durissimo per il turismo.

# La cancellazione dei voli low cost verso Alghero

Sono numerose le proteste dei viaggiatori per gli enormi disagi subiti per la cancellazione dei collegamenti fra Malpensa e l’aeroporto sardo di Alghero con i voli Easyjet, tanti hanno programmato voli e devono capire se dovranno acquistare nuovi biglietti per far fronte alle esigenze.

Uno dei tanti passeggeri: “Per un volo che è stato cancellato ho dovuto acquistare un nuovo biglietto con Ryanair pagandolo 80 euro. Mentre i biglietti Alitalia sono ancora più costosi. Mi chiedo se ora si dovrà programmare una nuova organizzazione. Al netto che di una manciata di voucher non me ne faccio niente. EasyJet dovrebbe spiegare per quale motivo ha cancellato i voli.

# Catania e Trapani raggiungibili grazie ad Albastar

Viaggiare in Sicilia è più facile grazie alla compagnia Albastar che ha introdotto collegamenti settimanali da Malpensa verso Catania e Trapani, con i primi quasi tutti venduti a prezzi accessibili, con il biglietto a meno di 60 euro a tratta.

# I collegamenti con l’estero un’incognita

I viaggi intercontinentali restano una grande incognita con la notizia più fresca da parte della compagnia di bandiera di Malta che ha annunciato che da metà luglio tornerà ad accogliere i lombardi, con la ripartenza dei collegamenti verso l’isola. I voli che collegano gli Stati Uniti sono stati messi in vendita ma vengono puntualmente cancellati, con enormi difficoltà per chi deve ritornare in Italia.

Fonte: prealpina.it

FABIO MARCOMIN

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🔴 STOP al TAGLIO dei VITALIZI in Senato: annullata la delibera

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Credits: salvisjuribus.it - Senato della Repubblica

Nel giorno dell’anniversario della bocciatura del referendum sul federalismo e il taglio dei parlamentari del 2006, approvato dai cittadini di Lombardia, Veneto e italiani all’estero ma bocciato dal resto d’Italia, dal Parlamento arriva l’ennesimo schiaffo ai cittadini: annullata la delibera sul taglio dei vitalizi al Senato.

🔴 STOP al TAGLIO dei VITALIZI in Senato: annullata la delibera

# In Commissione Contenziosa arriva la bocciatura. Ex-parlamentare Paniz: “È stato ripristinato lo Stato di diritto”

Mentre la crisi economica imperversa in tutto il Paese arriva lo stop al taglio dei vitalizi del Senato, a seguito del voto arrivato nella notte del 25 giugno alla Commissione Contenziosa del Senato. I voti a favore sono stati quelli del presidente della commissione Giacomo Caliendo, e di due membri tecnici ovvero i professori Gianni Ballarani e Giuseppe Della Torre, mentre quelli contrari da parte di Simone Pillone e Alessandra Riccardi della Lega, con quest’ultima che ha lasciato da poco il M5S. L’annullamento di questa delibera porta come conseguenza l’obbligo di restituire le quote di vitalizi tagliati dall’ottobre 2018, quando il provvedimento fu approvato su proposta del Movimento 5 Stelle, a oggi.

L’ex parlamentare Maurizio Paniz che rappresenta 300 ex senatori e 700 ex deputati nei ricorsi contro il provvedimento entrato in vigore due anni fa, ha dichiarato: “È stato ripristinato lo Stato di diritto. La delibera è stata annullata perché ritenuta ingiustificata a fronte della giurisprudenza consolidata della Corte Costituzionale e del diritto dell’Unione europea, in base alla quale di fronte a una situazione consolidata gli interventi di riduzione degli importi devono rispondere a cinque requisiti, nessuno dei quali era stato rispettato dalla delibera. In primo luogo non deve essere retroattivo, mentre questo taglio lo era; in secondo luogo non deve avere effetti perenni, come invece li aveva la delibera; in terzo luogo non deve riguardare una sola categoria ma deve essere ‘erga omnes”, mentre qui si colpivano solo gli ex parlamentari; in quarto luogo deve essere ragionevole, mentre questo taglio raggiungeva l’86% degli importi; infine deve indicare dove vanno a finire i risparmi che non possono finire nel grande calderone del risparmio, e anche su questo punto la delibera era carente“.

Fonte: repubblica.it

FABIO MARCOMIN

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Non è vero che il BIELLESE è triste

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credit: siviaggia.it

Incastonato come un piccolo gioiello tra le bianche cime valdostane a nord, la provincia di Torino a ovest, la Valsesia ad est e le pianure vercellesi a sud, il territorio Biellese è ad oggi poco apprezzato e sconosciuto ai più sebbene abbia molto da offrire al visitatore che qui decide di recarsi.

 

Non è vero che il BIELLESE è triste

Un territorio morfologicamente variegato, fatto di montagne e pianure, ma con radici storiche e tradizioni ben salde che vale la pena di scoprire per sfatare il falso mito di una terra triste e senza nulla da offrire.

#1 Biella e il suo Piazzo medievale

credit: comune.biella.it

Ai piedi delle Alpi, la città di Biella vanta una storia millenaria capace di rievocare epoche diverse: dalle crociate contro i dolciniani, nel 1307, che videro i sostenitori di fra Dolcino giustiziati fuori dalle mura cittadine, al rinascimento biellese importato in città da Milano grazie a Sebastiano Ferrero, signore di Biella, fino alla nascita dell’industria tessile che renderà famosa la città in tutto il mondo tanto da ottenere l’appellativo di Manchester italiana.

Oggi la città della lana, patria di noti brand come Ermenegildo Zegna, Fila e Lanificio Cerruti, offre, oltre ad elementi di archeologia industriale lungo le sponde del torrente Cervo, attrazioni storico-artistiche dislocate tra la città bassa e la sua parte alta: il Piazzo.
Nella parte bassa, dal fascino ottocentesco che sembra uscito da una pagina del libro Cuore, tra viali porticati si incontrano la cattedrale con il suo battistero romanico e il complesso di San Sebastiano, oggi sede del museo del territorio biellese.

Il vero cuore della città resta l’antico borgo medioevale del Piazzo, raggiungibile sia a piedi che in funicolare, che fu per secoli dimora delle più importanti famiglie cittadine.

#2 Oropa e la Madonna nera

credit: siviaggia.it

Situata a 1200 metri e dichiarata patrimonio mondiale dell’umanità dall’UNESCO nel 2003, Oropa è il cuore spirituale del biellese.

Qui infatti si trova l’antichissimo Santuario Mariano in cui è custodita la statua lignea della Madonna Nera, un’opera che, secondo la tradizione, venne qui portata nel IV secolo da St. Eusebio dalla Palestina per evangelizzare i popoli alpini delle valli.

Attorno alla venerazione della Madonna Nera si è formato nei secoli l’attuale santuario, un complesso ricchissimo di stili architettonici che spaziano dal gotico dell’antico sacello al barocco di Filippo Juvarra.
Oltre alla chiesa in cui è conservata la Madonna, il complesso architettonico comprende gli appartamenti reali di casa Savoia, famiglia fortemente devota al culto di Oropa, e il seicentesco Sacro Monte.

Da Oropa la vista spazia su tutta la pianura sottostante come ad abbracciare il Piemonte intero, un’effetto ancora più spettacolare se ammirato dalla Porta Regia.

#3 Le Alpi Biellesi, Oropa Sport e il Lago della Vecchia

Per gli amanti dello sport estivo ed invernale il Biellese offre numerose attrazioni che vanno dall’alpinismo al trekking, dallo sci alla mountain bike fino al bungee jumping.
Proprio dietro al santuario di Oropa si estende il complesso di Oropa Sport, attivo dal 1926 tanto da essere il secondo impianto sciistico più antico d’Italia. Da qui è possibile non solo sciare, ma anche praticare alpinismo fino alle cime del monte Mucrone (2335mt) e del monte Camino (2398 mt) da cui si gode una vista spettacolare sulle grandi vette alpine della Valle d’Aosta e del Piemonte.

Altro percorso per gli amanti del trekking è la salita al Lago della Vecchia, nella vicina Valle Cervo, a quota 1865 mt, un luogo tanto affascinante da ricordare il paesaggio scozzese e con una leggenda che ha per protagonisti una donna e un orso.
Per gli amanti degli sport estremi, a Veglio-Pistolesa si trova invece il primo centro permanente di bungee jumping in Italia da cui è possibile saltare dalla vertiginosa altezza di 152 mt, che lo pone a più alto bungee jumping permanente d’Europa.

#4 Rosazza, il villaggio massonico

credit: siviaggia.it

Il fascino e la bellezza di questo piccolo borgo della Valle Cervo che conta poco più di 80 abitanti è dovuto a quell’alone di mistero esoterico che ne fa una sorta di Rennes-le-Château italiana.

L’aspetto attuale della cittadina lo si deve proprio a Federico Rosazza Pistolet, filantropo e Gran Maestro Venerabile della massoneria biellese, che scelse di restaurare il suo paese natale secondo un impronta massonica ma anche aiutando la popolazione locale dotando il territorio di infrastrutture moderne.
Tra gli edifici che si possono vedere passeggiando per Rosazza colpisce subito la chiesa e il suo piazzale, ornato di simboli massonici ed esoterici e con all’interno una volta celeste in cui sono visibili numerose costellazioni.

Di gusto neogotico il palazzo comunale, sede delle riunioni massoniche biellesi, e il castello, abitazione di Federico, decorato con altri simboli inerenti alla massoneria biellese.
Una specie di percorso d’iniziazione in cui tutto, compreso il cimitero, sono frutto di un progetto ben studiato.

#5 Ricetto di Candelo, la “Pompei medioevale”

Visitare il borgo medioevale di Candelo equivale a fare un salto nel medioevo, dove tutto si è fermato. Effettivamente tra queste mura di cinta è rimasto tutto come nel lontano XIII-XIV sec.

Passeggiando tra queste vie acciottolate si può davvero capire come vivesse la popolazione medioevale, un po’ come chi va oggi a Pompei od Ercolano respira l’atmosfera che si viveva nella Roma Imperiale.

Leggi anche: Ricetto di Candelo, uno dei villaggi medievali meglio conservati d’Europa

#5+1 Ottima cucina… e non solo

Oltre ad avere ancora tante altre attrazioni da visitare, il biellese vanta un’ottima cucina.

Il piatto sicuramente più famoso delle alpi biellesi, e soprattutto d’Oropa, è la polenta Concia (Cunscia in dialetto locale), un unicum biellese preparato con farina, Toma Biellese e Maccagno, il tutto  mescolato assieme ad abbondante burro fuso che da come risultato questa deliziosa polenta molto cremosa. Un piatto antico che veniva servito ai pellegrini giunti ad Oropa.

Tipicamente biellesi sono anche la birra Menabrea, fondata a Biella nel 1846, e il Ratafià di Andorno, un liquore tradizionalmente a base di ciliegie nere risalente all’anno 1000 ed oggi preparato ancora in Valle Cervo nell’antico liquorificio Rapa.

 

MATTIA GALBIATI

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L’effetto boomerang della sicurezza: l’INQUINAMENTO AMBIENTALE

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Credits: oceanasian.org - Mascherine recuperate in mare

Mascherine, guanti, vaschette per alimenti: la paura del contagio ha riportato la plastica usa e getta nelle nostre vite. Ma con quali conseguenze per l’ambiente?

L’effetto boomerang della sicurezza: l’INQUINAMENTO AMBIENTALE

Pensavamo di essercene liberati ma l’arrivo del coronavirus ha riportato “in voga” l’uso della plastica usa e getta e ci sono già i primi segnali che l’inquinamento da plastica monouso stia peggiorando. In molti Paesi i governi hanno affidato la sicurezza dei loro cittadini a guanti e mascherine usa e getta, dispositivi di protezione considerati necessari per frenare il contagio da Covid-19 e che dovrebbero permettere una graduale ripresa di tutte le attività sociali e produttive. Per molti governi, Italia in primis, l’impiego di questi dispositivi di protezione è diventato il baluardo del ritorno alla nuova normalità e sembra destinato ad accompagnarci nella tumultuosa e difficile convivenza con il virus. Ma se da un lato questi dispositivi dovrebbero aiutarci a contenere l’epidemia, dall’altro rischiano di causare un nuovo problema: l’inquinamento ambientale da plastica e la produzione di materiale difficile da smaltire in modo sostenibile. Solo in Italia si stima che ogni giorno l’uso di mascherine produca almeno 100 tonnellate di rifiuti plastici che, essendo materiale contaminato, non possono essere riciclati e molto spesso finiscono per essere dispersi nell’ambiente.

# L’impiego della plastica monouso ai tempi del coronavirus

L’obbligo per i cittadini di indossare dispositivi di protezione in pubblico e le normative imposte a molti settori produttivi per tornare alle proprie attività hanno portato ad aumentare l’impiego della plastica in diversi settori. I principali modi in cui il Covid-19 ha aumentato il consumo di plastica sono:

  • uso di dispositivi di protezione come mascherine, guanti e camici
  • aumento dell’utilizzo di imballaggi in plastica monouso per gli alimenti. Nonostante oggi siano disponibili valide alternative, durante la pandemia è aumentato il ricorso a sacchetti monouso e pellicole avvolgenti. Secondo i dati di un recente rapporto di ISMEA, durante la fase 1 il consumo di prodotti alimentari confezionati è cresciuto del 18 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.
  • aumento del consumo di cibo da asporto, un settore che sembra non poter fare a meno dell’uso di grandi quantità di contenitori in plastica
  • normative che obbligano all’utilizzo di plastica monouso, come ad esempio la normativa INAIL che obbliga i parrucchieri a consegnare a ogni cliente “una borsa/sacchetto individuale monouso per raccogliere gli effetti personali da restituire al completamento del servizio”, e a “fornire al cliente durante il trattamento/servizio una mantella o un grembiule monouso ed utilizzare asciugamani monouso”.

A ciò si aggiungono due aggravanti. Innanzitutto, almeno in Italia, non esiste un piano nazionale per il recupero a fine vita delle mascherine e altri dispositivi di protezione individuale ed inoltre, con il petrolio ai minimi storici riciclare la plastica è oggi molto meno conveniente che produrne di nuova e questo potrebbe indurre le aziende a fare meno ricorso a plastica riciclata per confezionare i propri prodotti.

# L’inquinamento da plastica è aumentato durante il coronavirus?

La plastica prodotta e utilizzata per gestire l’emergenza Covid-19 non può essere riciclata, in quanto si tratta di materiale contaminato che deve essere smaltito nelle discariche e negli inceneritori. Se questo non accade, i rifiuti non riciclabili si disperdono nell’ambiente e possono compromettere la salute di fiumi, laghi e oceani, azzerando gli sforzi fatti fino ad ora per ridurre l’inquinamento da microplastiche. E questo sta già succedendo, almeno secondo quanto dichiarato dalle associazioni ambientaliste, che denunciano come guanti e mascherine hanno già raggiunto fiumi e mari, dove lentamente si degraderanno in piccole particelle, chiamate appunto microplastiche, pericolose per la salute dell’uomo e dell’ambiente. Infatti le microplastiche hanno le stesse dimensioni del plancton, per cui vengono mangiate dai pesci e tendono ad accumularsi negli organismi superiori, arrivando fino a noi. La pericolosità delle microplastiche per la salute umana è ancora oggetto di studio, ma dato che la maggior parte della plastica dispersa nell’ambiente è contaminata da sostanze tossiche, si ritiene che il suo accumulo nel nostro organismo possa avere effetti negativi sul nostro organismo.

I dispositivi di protezione rappresentano poi un’ulteriore peculiare minaccia per gli oceani del mondo. “I guanti, proprio come i sacchetti di plastica, possono essere scambiati per meduse dalle tartarughe marine, mentre gli elastici delle mascherine sono un pericolo per molte specie animali”, ha dichiarato John Hocevar, direttore della campagna oceani di Greenpeace Usa. Quindi guanti e mascherine, oltre ad aumentare le microplastiche, possono interferire e alterare anche il normale habitat della fauna acquatica.

# Il paradosso della sicurezza

Il paradosso è che mentre cerchiamo di combattere una crisi di salute pubblica, potremmo contribuire lentamente a crearne un’altra. Per evitare che l’emergenza coronavirus generi una nuova bomba ecologica, è quindi necessario tener conto anche dello smaltimento della plastica monouso utilizzata e pensare a nuove soluzioni più sostenibili per l’intera filiera produttiva. Perché quando avremo finalmente vinto la nostra battaglia contro il coronavirus, la plastica che abbiamo disperso nell’ambiente ci farà compagnia ancora molto, molto a lungo.

Fonte: edition.cnn

LAURA COSTANTIN

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Le 7 MERAVIGLIE sconosciute del PIEMONTE

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Credits: piemonte.eu - Sale San Giovanni

E’ la regione della prima capitale d’Italia, circondata a nord dalla bianca corona delle Alpi, i cui massicci dominano come giganti le pianure circostanti fino a Milano, dalla mole del Monte Rosa alla perfetta punta piramidale del Monviso a cui si ispira il logo della Paramount. Andiamo alla scoperta di queste sette chicche poco conosciute del Piemonte.

Le 7 MERAVIGLIE sconosciute del PIEMONTE

#1 Gurro, un angolo di Scozia tra le valli piemontesi (VB)

Credits: travel.fanpage.it – Gurro

Basta passeggiare per le vie di questo piccolo borgo della Val Canobbina per rendersi conto dell’autenticità che lo caratterizza, ad iniziare dall’abbigliamento tipico dei suoi abitanti: il tartan. Difatti Gurro è un piccolo angolo di Scozia tra le valli piemontesi, dove la cultura gaelica vive ancora nel dialetto locale, nei suoi costumi tipici con tanto di kilt, nelle sue architetture e nelle melodiche cornamuse.

Tutto ebbe inizio nel 1525 quando, alla disfatta francese di Pavia, un gruppo di soldati scozzesi di ritorno verso l’amata patria decisero di fermarsi in questa valle e di stabilirvisi, forse vedendo una somiglianza con la loro terra natia. Ricerche effettuate dal barone Gayre of Gayre and Nigg negli anni ’70 confermarono quanto la storia effettivamente tramandava, riscontrando nei cognomi locali l’effettiva origine scozzese, e decidendo di adottare Gurro e i suoi abitanti nel clann Gayre, il cui colore verde del tartan è oggi presente nei kilt indossati dagli abitanti del borgo.

 

#2 Terre Ballerine, un bosco magico (TO)

Credits: viaggiaescopri.it – Terre ballerine

Un percorso naturalistico in cui sembra quasi di camminare, o saltellare, su un morbido materasso elastico, queste sono le cosiddette “Terre ballerine”. A poca distanza da Ivrea, tra i laghi Sirio e Pistono, sorge questo bosco che potremmo definire magico, dove gli alberi sembrano muoversi quasi a ritmo di danza. In realtà questo fenomeno è dovuto alla presenza in passato del Lago Coniglio, divenuto in parte una torbiera e quindi prosciugato nel 1895 per volere dell’industriale valdostano Francois Mongenet, padre della siderurgia italiana, per ricavarvi materiale combustibile per le sue industrie.

Grazie allo strato d’acqua presente nel sottosuolo si ha la sensazione di camminare su un materiale talmente morbido da sembrare di gomma, provare per credere. Per gli amanti dell’arte, a Montalto Dora, comune di cui fanno parte le “terre ballerine”, si trova anche la quattrocentesca chiesetta di San Rocco, al cui interno è presente un pregevole ciclo di affreschi rinascimentali influenzati dallo stile di Gaudenzio Ferrari.

 

#3 Menir di Cavaglià, la Stonehenge piemontese (BI)

Credits: wikipedia.org – Menhir Cavaglia

Poco distante dal lago del Viverone in passato insediamento palafitticolo, sorge il più grande cerchio di pietre del Piemonte, una sorta di Stonehenge locale. Risalente al 4000/5000 a.C., questi Menhir costituivano il più grande luogo di culto celtico dell’intera regione, in cui nell’età del ferro la popolazione vi giungeva per celebrare riti legati all’astronomia.

Sebbene negli anni ’70, a causa dell’incuria e del menefreghismo dell’espansione edilizia molto spesso nocivo per le bellezze del passato, i Menhir siano stati spostati in un area poco distante dal loro sito originale. Nel 2005, grazie alla Soprintendenza ai Beni Archeologici della Regione Piemonte e allo studioso Luca Lenzi, questo sito è stato risistemato e valorizzato in maniera decorosa. Un importante, silenziosa e mistica testimonianza del passato celtico di questa terra.

 

#4 Abbazia di Vezzolano (AT)

Credits: ambientecultura.it – Abbazia di Vezzolano

Immersa nel verde delle colline vinicole astigiane, questa romanica Abbazia venne fondata da niente meno che Carlo Magno attorno all’VIII secolo. Oggi l’edificio è un insieme di stili architettonici che variano dal romanico al gotico, con una facciata in cotto decorata con motivi decorativi in pietra come la statua di Cristo posta a mo di bifora tra gli arcangeli Michele e Raffaele. L’interno, risalente al 1100, ricorda molto le abbazie francesi, con il suo pontile divisorio nel mezzo della navata centrale, decorato con alcune storie della Vergine, oltre ad affreschi trecenteschi che si sono conservati lungo le pareti.

 

#5 Sale San Giovanni, un angolo di provenza tutto italiano (CN)

Credits: piemonte.eu – Sale San Giovanni

Da metà giugno fino al 5 luglio i campi attorno a questo caratteristico borgo medioevale si colorano del viola tipico delle lavande e del loro profumo, come se per incanto fossimo trasportati in Provenza. Fino al 5 luglio è possibile percorrere quei campi di lavanda a piedi, ammirarne i colori ed apprezzare il paesaggio circostante.

Sale è comunque apprezzabile tutto l’anno, in quanto con la lavanda raccolta vengono prodotti distillati, oli profumati che si possono comprare nelle botteghe del paese. Paese che non smette di affascinare anche culturalmente ed artisticamente, grazie alla presenza della romanica Pieve di San Giovanni e al medioevale castello dei Marchesi di Incisa Camerana.

 

#6 Santuario del Cavallero, gioiello incastonato nella Val Sessera (BI)

Credits: fondoambiente.it – Santuario del Cavallero

Per raggiungere il santuario che sorge sul ponte-piazzale più grande d’Italia bisogna percorrere un facile sentiero boschivo, con tanto di ponticello sospeso sulle acque del torrente Sessera. Dopo un suggestivo cammino tra le bellezze della natura, ecco apparire la barocca mole della chiesa e la sua piazza-ponte sul rio Cavallero, costruita nel 1772 e talmente ambia da poter ospitare numerosi fedeli.

Il santuario venne costruito sul finire del XVII secolo, quando la Vergine apparve in questo luogo ad contadina sordomuta, ridonandole l’uso dell’udito e della parola. Bell’esempio di arte tardo barocca, il santuario gode di una posizione unica e magica, incastonato nel mezzo della biellese Val Sessera, uno dei cosiddetti santuari minori che circondano il piu ben noto santuario alpino di Oropa.

 

#7 Ponte Tibetano Cesana Claviere, il ponte sospeso più lungo del mondo (TO)

Credits: torinotoday.it – Ponte Tibetano Cesana Claviere

In una terra come questa non poteva mancare un ponte tibetano, per l’esattezza il ponte sospeso più lungo del mondo, coi suoi 554 mt di lunghezza su 30 di altezza. Un percorso mozzafiato attraverso tre ponti sospesi sulle Gorge di San Gervasio, nelle quali scorre la piccola Dora. Costruito nel 2006, è un esperienza che vale la pena di fare almeno una volta nella vita.

 

MATTIA GALBIATI

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ARTE nei CANTIERI: le nuove costruzioni potrebbero rilanciare gli artisti del territorio

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Opere d'arte su cantiere a Sidney (Foto di Natalia Molchanova (c))

Un’idea interessante per migliorare Milano arriva da Sydney: i cantieri sparsi nella metropoli australiana sono ricoperti di stampe di artisti locali per tutta la durata dei lavori, per portare bellezza in luoghi anonimi, caratterizzati da impalcature e ferraglia.

A Sydney ogni cantiere è una mostra d’arte

Foto di Natalia Molchanova (c)
Foto di Natalia Molchanova (c)

Le metropoli sono in costante mutamento, le trasformazioni urbane sono continue e questo porta ad avere immobili in costruzione o in ristrutturazione in diversi quartieri. Per sfruttare positivamente questa situazione, a Sydney hanno avuto un’idea geniale: dare la possibilità ad artisti emergenti di esporre gratuitamente la propria arte in forma di stampe sulle strutture metalliche che fungono da camminamenti per gli operai.

Foto di Natalia Molchanova (c)
Foto di Natalia Molchanova (c)

Girando tra le strade della città si possono vedere carrellate di opere d’arte con tanto di descrizione dell’idea, un modo originale per valorizzare i cantieri, gli artisti e regalare cultura agli abitanti e ai turisti.

Qualcosa di simile è stato fatto anche a Milano

Milano città del design ha sempre valorizzato poco i suoi monumenti e le sue opere d’arte, mostrando sempre scarsa cura nell’arredo urbano, figuriamoci se è in grado di rendere i cantieri un’attrazione turistica, tralasciando gli umarell per i quali ogni lavoro edile è una meraviglia.

Un esempio di arte abbinata a lavori pubblici si è avuto ed è presente tuttora solo sulle cesoie che delimitano i cantieri della costruenda linea metropolitana M4.

Opere d’arte su cesoie metro M4

I disegni da esporre e gli artisti che li avrebbero dovuto produrre sono stati scelti tramite un concorso indetto congiuntamente da Comune di Milano e Metro4 Spa, optando prevalentemente per disegni dipinti direttamente sui pannelli e solo in alcuni casi stampe o quadri di materiale di vario genere, dal gesso alla cartapesta.

E se Milano diventasse una città di cantieri d’arte?

Milano ha fatto scuola nel mondo per il design, Franco Albini e Bob Noorda hanno fatto da spartiacque nelle comunicazione visiva snella segnaletica delle linee metropolitane, Leonardo da Vinci ha dipinto il Cenacolo diventato Patrimonio dell’Unesco: purtroppo è solo un ricordo.

La città avrà nei prossimi 20 anni degli stravolgimenti urbanistici senza precedenti, dall’ulteriore sviluppo immobiliare del quartiere Porta Nuova alla riqualificazione degli scali ferroviari, dall’apertura dei Navigli ai cantieri olimpici: potrebbe essere un’occasione imperdibile per far esplodere di bellezza Milano, attrarre turisti e a lavori conclusi realizzare un parco-museo permanente che celebri gli artisti passati da Milano mentre la stessa ha cambiato volto.

Ringraziamento per le foto: Natalia Molchanova

FABIO MARCOMIN

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Arrivano a Milano le PANCHINE ARCOBALENO

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la prima panchina arcobaleno inaugurata nel municipio 8

Corona Virus permettendo, con il lavoro congiunto di istituzioni pubbliche, associazioni e realtà commerciali, Milano si colora per il Milano Pride 2020, l’evento-manifestazione dell’orgoglio delle persone gay, lesbiche, bisessuali, transessuali, asessuali, intersessuali e queer, quest’anno in versione online il 27 giugno.

Arrivano a Milano le PANCHINE ARCOBALENO

Verranno dipinte dieci panchine

Dieci panchine arcobaleno decoreranno altrettanti quartieri di Milano per dire basta all’omotransfobia. È il progetto del Municipio 8 che, insieme al Coordinamento Arcobaleno, regalerà alla zona Nord-Ovest della città dieci simboli di riscatto contro le discriminazioni e le violenze nei confronti della comunità Lgbt. La prima panchina è stata inaugurata il 21 giugno. 

 

Da Citylife a Quarto Oggiaro, tutti i quartieri interessati

CityLife, QT8, Trenno, San Leonardo, Lampugnano, Piazza Firenze e Gerusalemme; Villapizzone, il quartiere di Quarto Oggiaro e per finire Piazza Chiesa. Sono queste in cui verranno colorate le prime 10 panchine. Nel frattempo, molti cittadini le vorrebbero in tutta la city. Quando?

SILVIA BOCCARDELLI

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5 + 1 primati e curiosità su MORIMONDO, il comune del “distanziamento sociale”

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Morimondo dista circa 5 chilometri da Abbiategrasso lungo la statale per Pavia e 30 da Milano.
Il territorio è posto sulla riva sinistra del Ticino e vanta diversi primati.

 

5 + 1 primati e curiosità su MORIMONDO, il comune del “distanziamento sociale”

#1 Un nome scelto per “marketing territoriale”

In origine si chiamava Coronate. Dal 1871 ha preso questo nome, anche per identificarlo con l’abbazia divenuta di interesse nazionale, mentre Coronate è diventata una sua frazione.

#2 E’ il comune del “distanziamento sociale”

Per chi vuole sfuggire dalla calca e si è affezionato al distanziamento sociale, Morimondo è il comune che fa per lui.
Con soli 41,69 abitanti per km quadrato, Morimondo è infatti il comune con la più bassa densità abitativa della città metropolitana di Milano.
Dopo di lui i comuni per chi non soffre di solitudine ci sono Ozzero, Besate, Mediglia, Abbiategrasso e Corbetta.

#3 E’ nella lista dei “borghi più belli d’Italia”

Nella selezione ufficiale dell’associazione privata che promuove i piccoli centri.

#4 Prende il nome da un’abbazia francese

La fondazione della prima chiesa risale al 1134. I primi monaci giunsero dall’abbazia di Morimond, vicino a Digione. I monaci bonificarono l’area nei pressi del Ticino, realizzarono dei canali di irrigazione e impiantarono la coltivazione a marcite. Nel 1182 iniziò la costrizione dell’abbazia attuale, tutta in laterizio, con facciata a capanna e tiburio ottagonale sulla crociera. Secondo altre fonti il nome del luogo deriverebbe dalle parole francesi “moire mont”, cioè “monte nella palude”, poiché l’abbazia fu costruita su un rilievo in mezzo alle zone paludose.

#5 Napoleone soppresse il Monastero

Nel 1798 con l’arrivo di Napoleone il monastero fu soppresso e il patrimonio culturale andò disperso. In tempi più recenti, grazie al supporto della comunità locale, l’attività religiosa e culturale dell’abbazia è rifiorita.

#5+1 Un set cinematografico 

Alcune scene del film Cado dalle nubi di Checco Zalone sono state girate a Morimondo. Qui sono stati girati anche alcuni spezzoni del film Papà dice messa di Renato Pozzetto, e, presso l’abbazia, è stato girato il telefilm mediaset “Benedetti dal Signore” con Ezio Greggio ed Enzo Iacchetti.

MILANO CITTA’ STATO 

 

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I 3 VANDALISMI CELEBRI contro le OPERE D’ARTE discusse di Milano

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Credits: paperblog.com - Montagna di sale danneggiata dai tifosi del Milan

Milano è stata negli anni banco di prova per molti artisti, emergenti e non, che, con le loro installazioni bizzarre hanno fatto discutere i cittadini meneghini. Si potrebbero citare molti esempi in proposito: la scultura Ago e filo in piazza Cadorna, la Torre Branca nel parco Sempione e, più recentemente, l’albero della vita realizzato in occasione dell’Expo del 2015.

I dibattiti su queste particolari opere sono stati innumerevoli e, purtroppo, spesso esse sono state oggetto di vandalismo. Milano ha molti primati di cui andare fiera, ma il primato sul numero di vandalismi verso opere d’arte, verde e oggetti pubblici offusca la fama di una Milano civile. In questi giorni l’opinione pubblica si è schierata sulla “questione Montanelli”: la statua del celebre giornalista è infatti stata oggetto di vandalismo in seguito al riemergere di alcune zone d’ombra nella vita di Montanelli. Non possiamo quindi non ricordare tre vandalismi celebri che hanno interessato opere d’arte discusse a Milano.

I 3 VANDALISMI CELEBRI contro le OPERE D’ARTE discusse di Milano

# I “bambini impiccati” di Cattelan

Credits: disc.pellegrina.blogspot.com – I “bambini impiccati” di Cattelan

Nel 2004 La Fondazione Trussardi contattò Cattelan, celebre artista famoso per le sue opere-scandalo, al fine di commissionargli una installazione da porre in Piazza XXIV Maggio in occasione dell’anniversario della morte di Napoleone. Cattelan realizzò tre manichini raffiguranti bambini a piedi nudi, con gli occhi aperti e il cappio al collo, impiccati ad una quercia. L’opera suscitò un grande clamore e molti furono i contestatori che ritenevano che essa fosse contro la morale ed etica. L’artista spiegò che, come tutte le sue opere, anche essa era stata pensata come una violenta provocazione per le coscienze umane. Il mondo moderno, con i suoi orrori, ci pone davanti a innumerevoli scene violente e impressionanti tutti i giorni tramite i media. Questi bambini, con i loro occhi aperti ci invitano a riflettere e ad interrogarci.

Tale installazione avrebbe dovuto rimanere esposta per un mese ma, dopo solo un giorno, nella tarda serata, un uomo prese una scala e un seghetto, salì sulla quercia e staccò due dei tre manichini. Mentre stava staccando il terzo perse l’equilibrio e cadde procurandosi ferite e un trauma cranico. L’uomo, Franco De Benedetto, 46 anni, abitante di una vicina casa popolare affermò che non riusciva più a sopportare tale vista dalla finestra e pensò quindi di liberarsene. I vigili del fuoco, in seguito a tale evento, rimossero anche il terzo manichino.

# Le palme di Piazza Duomo 

Credits: ilportaledeitreni.it – Palme in Piazza del Duomo

Nel 2017 il comune di Milano lanciò un bando pubblico di sponsorizzazione per le aiuole presenti in piazza Duomo, precedentemente curate da Konica Minolta Business solutions. Tale bando fu vinto da Starbucks che decise di affidare il progetto all’architetto paesaggista Marco Bay. Egli volle piantumare delle palme, naturalmente con il benestare della Soprintendenza. Tale decisione scatenò sin dal suo annuncio una grande contestazione: molti milanesi infatti ritenevano che tale scelta fosse contrastante con l’identità meneghina e con i giardini già presenti a Milano. Tale fu la contestazione che il comune dovette fare un comunicato in cui faceva presente che la scelta del colosso del caffè era stata approvata dal comune e che nella tradizione ottocentesca della piazza erano già presenti dei filari di palme. Tali piante provenivano inoltre da vivai italiani.

Tanto accesa proseguì la critica da scatenare un atto vandalico nel febbraio del 2017: fu dato fuoco alle palme e una risultò gravemente danneggiata. Tale evento non fermò però il progetto: dopo pochi giorni furono piantumate anche piante di banano e degli arbusti di ortensie, hibiscus e bergenia.

Palma incendiata nel 2017

Il contratto di sponsorizzazione con Starbucks in scadenza a fine 2019, è stato rinnovato fino al 2022, con l’assetto dell’aiuole che rimarrà pressoché identico. La novità riguarderà le piantumazioni di banani, che saranno diradate, perché godendo di ottima salute negli anni gli alberi si sono moltiplicati e uno sfoltimento anche delle specie Miscanthus sinesis, anch’essa divenuta molto rigogliosa. Resteranno le altre specie vegetali presenti che garantiscono fioriture colorate: trachycarpus fortunei, musa ensete, malvoni, hibiscus, ortensie paniculate, spighe del miscanthus, con l’eccezione della Bergenia ibryda Bach, sostituita nel progetto con la Felce Dryopteris erythrosora, che offrirà un maggior risultato estetico e compositivo nella bordura delle strisce verdi a confine con la parte grigia della ghiaia nero ebano.

# La Montagna di sale di Mimmo Paladino per il 150° anniversario dell’Unità d’Italia

Credits: airtribune.it – Montagna di sale

Nel 2011, in occasione dell’anniversario dei 150 anni dell’Unità d’Italia, fu installato in piazza Duomo un vulcano bianco, la celebre Montagna del Sale, realizzata da Mimmo Paladino. Tale artista aveva precedentemente realizzato tale opera a Napoli, nel 1995 ed essa era diventata un oggetto di culto collettivo. Questa architettura maestosa, con un diametro di 30 metri e un’altezza di 20 era ricoperta da uno spesso strato di sale da cui fuoriuscivano trenta sculture tra cavalli e frammenti di bronzo. Essa era stata fortemente voluta da Letizia Moratti che la volle collocare tra la statua di Vittorio Emanuele II e il Duomo, all’altezza dell’ingresso della Galleria.

L’installazione era ricca di significati: la distesa bianca rappresentava il silenzio, la sospensione silenziosa nel paesaggio della città. In questo contesto i frammenti che emergevano erano come tessere di un mosaico difficile da ricomporre: il nostro mondo caotico. Purtroppo anche tale opera fu oggetto di vandalismo, ad opera dei tifosi del Milan. Essi infatti, per festeggiare il diciottesimo scudetto della squadra salirono in massa sulla struttura facendo innumerevoli danni all’opera. Nelle ore successive allo scempio, al danno si unì la beffa, infatti molti frammenti di statue furono rubati da persone probabilmente convinte di poter realizzare un affare.

Credits: paperblog.com – Montagna di sale danneggiata dai tifosi del Milan

L’artista prese tale affronto con molta calma e non richiese nessun risarcimento personale, ma solo il pagamento per il ripristino dell’opera che ammontò a circa 150.000 euro, prontamente sborsati dall’allora amministratore delegato del Milan, Adriano Galliani, per conto della società rossonera.

GIULIA PICCININI

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Gli straordinari record del CANALE VILLORESI, l'”acqua di Expo”

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Il canale Villoresi (in lombardo Canal Vilores o, localmente, Rongion) è un importante canale d’irrigazione ideato dall’ingegnere lombardo Eugenio Villoresi da cui prese il nome.

Gli straordinari record del Canale Villoresi, l'”acqua di Expo”

Credits: wikipedia.org – Le chiuse del Canale Villoresi

#1 Il secondo canale artificiale più lungo d’Italia

ll canale voluto dall’ingegnere Villoresi che ha origine dal fiume Ticino, dalla diga del Pan Perduto in località Maddalena, frazione di Somma Lombardo si estende per 86 km, issandolo al secondo posto nella classifica dei canali artificiali più lunghi d’Italia dopo il canale Emiliano Romagnolo. Ma i numeri incredibili non si fermano qui.

#2 Il suo immenso bacino

Nel percorso di attraversamento dell’alta pianura di Milano da ovest verso est irriga un bacino di 85.000 ettari attraverso 120 bocche e rami secondari, estesi per circa 130 km, che diventano 1400 se si considerano anche i canali di terza grandezza. Oltre a questo, bagna il territorio di 3 comuni della provincia di Varese e 24 comuni nella città metropolitana di Milano e nella provincia di Monza e Brianza, oltre alla stessa città di Monza

#3 Ha dato acqua all’Expo

Credits: milano.repubblica.it – Albero della vita

Molti ricorderanno i canali d’acqua che disegnavano il perimetro del sito di Expo e il Lake Arena ovvero il lago artificiale sotto l’attrazione principale del parco espositivo, l’Albero della vita. Ebbene l’acqua era ed è tuttora alimentata dal Canale Villoresi in un progetto che prevedeva la realizzazione di 20 km delle cosiddette “vie d’acqua” in parte navigabili da battelli per collegare il sito dell’esposizione universale alla Darsena, al posto del quale hanno visto la luce solo 8 chilometri di piste ciclabili lungo il corso d’acqua che collega il canale Villoresi al sito espositivo.

FABIO MARCOMIN

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Leggi anche:
*I dieci effetti di Milano città stato più votati dai milanesi: al primo posto portare Milano a livello delle PRIME AL MONDO
10 città stato del mondo che possono ispirare Milano
* E ora Milano Città Stato! Se non lo fa l’Italia, si può chiederlo all’Europa
Milano Città Stato sarebbe un bene soprattutto per l’Italia
Primo passo del consiglio comunale verso Milano Città Stato
Corrado Passera: Milano Città Stato è il più interessante progetto che ci sarà in Europa nei prossimi anni
“Proviamoci. Mi impegnerò personalmente”. Beppe Sala a Milano Città Stato

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L’attacco di SALA alle Città Stato (estratto dal libro Società: per azioni)

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Premessa. Nel suo nuovo saggio, “Società: per azioni”, il sindaco Sala dedica alcune pagine all’idea di città stato. La sua posizione è nettamente critica. Qui sotto riportiamo il testo e in fondo una nostra replica. Per esprimere un giudizio obiettivo vi segnaliamo che su questo link di wikipedia potete vedere la lista di tutte le città stato attuali nel mondo: Lista delle città Stato. Come vedete tra le città stato ci sono alcune delle città più internazionali e aperte del mondo, come #Amburgo #Madrid #Berlino #Ginevra #Basilea #SanPietroburgo #Bruxelles #Budapest #Amsterdam #Praga #Londra #Mosca #Vienna #Tokyo #Seoul  #Manila #KualaLumpur #Washington #NuovaDelhi #HongKong   #CittàDelMessico #BuenosAires #Singapore. Fatta questa premessa potete giudicare voi stessi il senso delle parole di Sala.

L’attacco di SALA alle Città Stato (estratto dal libro Società: per azioni)

A questo livello di sviluppo delle connessioni e dei commerci, che assumono una dimensione planetaria, non è possibile pensare alle città (a quelle di rilevanza internazionale nello specifico) come Città-Stato. La Città-Stato greca, da Atene a Sparta a Micene, rappresenta l’origine della politica occidentale. È evidente che non si tratta più di una forma adatta alla contemporaneità. Chiunque concepisca una metropoli come una Città-Stato ne predetermina la chiusura, l’isolamento, l’irrilevanza e un freno fatale allo sviluppo della società e delle azioni, cioè all’espressione dell’umanità che fiorisce e prospera.
Non la Città-Stato, ma la Città-Mondo è il perno di un mutamento di prospettiva. La Città-Mondo rappresenta in sé stessa il mondo: chiunque vi è incluso, chiunque ha diritto di cittadinanza, purché intenda e dunque abbia la possibilità di inserirsi nella logica attiva del benessere comune. Ma la Città-Mondo è qualcosa di più: è un aggregato di culture ed esistenze, proteso alle connessioni e al commercio con tutto il pianeta, capace di esercitare l’apertura e lo scambio con le altre Città-Mondo, insieme alle quali fa parte di una rete globale in costante movimento. La vita della Città-Mondo, e lo si vede con precisione di giorno in giorno, non coincide con la superficie geografica cittadina.
La Città-Mondo indica le finalità strategiche dell’agire sociale, gli obiettivi che sono a loro volta gli elementi essenziali per una connessione tra le varie città di rilevanza mondiale, capaci insieme di incidere sulla qualità della vita di tutto il pianeta. I principali obiettivi e le fondamentali risorse della Città-Mondo definiscono il quadro di un’apertura che ha bisogno di essere tradotta in un programma politico. Si possono citare la messa in crisi delle gerarchie di genere e di età, la riduzione drastica delle diseguaglianze, gli standard di equità sociale declinati in termini di formazione e abitazione e salute, il raggiungimento di emissioni zero, il policentrismo urbano, il superamento delle gerarchie spaziali città-campagna e centro-periferia e natura-cultura. Finalità sociali che, perseguite come vita politica della metropoli, consentono di raggiungere la partnership piena con altre Città-Mondo.
Questi e altri obiettivi strategici potranno essere perseguiti solo se si darà luogo a un ripensamento completo delle funzioni della città. Le città sono ancora fin troppo fondate sui princìpi della polis greca, cioè la Città-Stato. Ma quei princìpi erano basati su gerarchie spaziali e sociali oggi totalmente anacronistiche, quali il primato della città sulla campagna, del maschio sulla femmina, dell’anziano sul giovane, della rendita sul lavoro, del cittadino sullo straniero, della guerra sulla pace.
La fondazione delle Città-Mondo può minare dalle fondamenta quel modello a partire dall’architrave principale: la politica. 
La politica ha avuto una funzione essenziale nel governo della città. La parola stessa, politica, viene da polis. In quanto politica fondata sulla struttura di una città localizzata e chiusa, è inadeguata a governare gli ambiti sociali del nostro tempo aperto e connesso. Se priva di complesse relazioni con il resto del mondo, la città diventa uno spazio angusto, un cortile che imprigiona. Senza quel mondo, che coincide con il pianeta, la città rischia di ridursi alla mitologia autocentrata e reclusa che nel contemporaneo ama definirsi sovranista.
La politica fondata sulla Città-Stato diviene così il governo del passato. La forma storica da prediligere e perseguire nel presente non è più la polis o la Città-Stato, ma la Città-Mondo.
E i princìpi di governo societario non possono più afferire alla politica dell’isolamento dell’antica città e degli Stati che si escludono reciprocamente, ma alla politica planetaria.
Le città del pianeta sono a questo punto più che il nostro futuro: sono già il presente.

BEPPE SALA (estratto dal libro Società: per azioni)

LA NOSTRA REPLICA: “Sala ha preso un granchio”

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L’ITALIA con il CAPPELLO IN MANO: è questo che vogliamo?

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Austria, Olanda, Danimarca e Svezia annunciano battaglia contro il finanziamento a fondo perduto. Il primo ministro austriaco, Kurz, è categorico: “”No aiuti all’Italia, li sprecherebbe come fatto con il bonus vacanze“. E anche dalla Germania si alza l’allarme: “Si aiutano i Paesi a prescindere da quanto sono stati colpiti dal virus”, scrive il Frankfurt Allgemeine Zeitung. Tutto questo accade dopo mesi in cui in Italia si dibatte sul tipo di aiuti da ricevere dall’Europa, tra MES e Recovery Fund. Ma siamo sicuri che sia questo che vogliamo per il nostro Paese: vivere con il cappello in mano a chiedere aiuto al resto d’Europa? 

L’ITALIA con il CAPPELLO IN MANO: è questo che vogliamo?

# Austria, Olanda, Danimarca e Svezia contro i sussidi dell’Europa al nostro Paese: “No aiuti all’Italia, li sprecherebbe come fatto con il bonus vacanze”

Il cancelliere austriaco Sebastian Kurz in un messaggio su Twitter, mentre è in corso il Vertice Ue in videoconferenza, scrive: “Il Recovery Fund non deve portare a un’unione del debito attraverso la porta sul retro. Deve esserci un limite temporale. Inoltre si deve discutere chi paga quanto, chi beneficia di più e quali condizioni sono legate agli aiuti” sottolineando la volontà dell’Austria di coordinarsi con Danimarca, Paesi Bassi e Svezia, gli altri tre paesi del gruppo dei “frugali” che guardano con scetticismo al piano economico proposto dalla Commissione europea di 500 miliardi in sussidi non rimborsabili e 250 miliardi sotto forma di prestiti. Il cancelliere spera in un avvicinamento delle posizioni sul Recovery, ma ha insistito sul fatto che gli aiuti, soprattutto se a fondo perduto, debbano essere condizionati e soggetti a controllo. In particolare la paura espressa dal cancelliere austriaco e dagli altri Paesi, è che l’Italia sprechi gli aiuti in politiche come il “bonus vacanze”. 

Fonte: agi.it

# Covid: autentico danno per l’economia oppure un alibi per aiutare chi è in difficoltà?

Al blocco dei paesi del centro e nord Europa l’Italia ribatte chiedendo solidarietà per quanto è stata colpita dal Covid. In effetti l’emergenza sanitaria ha colpito duramente il nostro Paese ma è davvero questa la causa dei nostri problemi economici e finanziari? A mettere in dubbio la correlazione Covid – aiuti europei è il Frankfurt Allgemeine Zeitung, che si chiede: “Che cosa c’entra il pacchetto di aiuti con la pandemia?”. Secondo un suo dossier, avvalorato anche dai dati dell’istituto tedesco per l’Economia IW, sembra che non ci sia una connessione tra Covid e aiuti europei. Riceverebbero aiuti molto alti se rapportati al PIL anche paesi scarsamente toccati dall’emergenza sanitaria, come la Bulgaria a cui sono destinati aiuti per il 16% del Pil, la Croazia con il 15%, la Grecia con il 14% o la Romania con il 10%. Sensibilmente di più di nazioni molto colpite come il Belgio o la Francia con il 2%. Secondo il FAZ il Covid sarebbe un alibi per aiutare economie in difficoltà. Potrebbe essere così anche per l’Italia? Quale sarebbe allora la causa dei nostri problemi?

# Stare in Europa con il cappello in mano: è questo che vogliamo?

Quello che dice il FAZ per l’Europa pare sia evidente anche all’interno dell’Italia. Non è un mistero che gli aiuti del governo e le future risorse dell’Europa siano indirizzate in gran parte verso le aree del Paese economicamente più deboli, invece che verso le zone che sono state più colpite dal virus che, come sappiamo, si è concentrato per il 50% nella Regione Lombardia. Anche quando il governo italiano ha distribuito aiuti economici alle regioni, tramite decreti e col ricorso al debito, i comuni più colpiti dal Covid del nord sono stati meno finanziati rispetto a quelli del sud. Alla conferenza stampa per illustrare l’arrivo dei fondi europei il primo ministro italiano ha illustrato una serie di opere che si potranno realizzare con quei fondi, tutte concentrate in regioni che risultano meno toccate dalla pandemia. Anche nei comportamenti interni il governo italiano sembra dare ragione al FAZ e ai dubbi degli europei: più che a sostenere i territori colpiti dal virus, gli aiuti servono a sostenere le aree che hanno problemi economici strutturali.  

Leggi anche: Il Covid ha colpito il Nord? Il governo aiuta il Sud

Ma la vera domanda è: serve finanziare a fondo perduto le aree economicamente meno sviluppate? Nel grafico qui sopra si vede come in 20 anni è cambiato il PIL procapite PPP (quindi a parità di potere d’acquisto) in alcune nazioni, rispetto all’Italia. Come si vede, da vent’anni il nostro Paese è fermo, superato nella crescita anche da economie considerate deboli come quella del Portogallo, cresciuta di quasi il 10% più di noi, o della Grecia, cresciuta del 15%. La fonte è IMF e i dati sono PreCovid: tutto lascia immaginare che a emergenza sanitaria conclusa il gap tra l’Italia e gli altri Paesi sarà ancora più ampio. 

La priorità della nostra politica sembra quella di mettere le mani su 170 miliardi di aiuti europei, tra fondo perduto e prestiti agevolati, che si aggiungono all’extra debito accumulato nei primi mesi del 2020 che dovrebbe aver portato il nostro debito pubblico dal 130% circa, dove veleggiava da alcuni anni, a superare il 160% con forti rischi che possa avvicinarsi a quota 200% entro la fine dell’anno. 

Debito e aiuti dell’Europa: è questo ormai il senso della politica economica del nostro Paese, ormai da anni. Una strategia più da cappello in mano che da rilancio per l’economia. Una strategia che come dimostra il grafico sopra, da vent’anni produce solo fallimenti. Ma come si è arrivati a questo punto?

# Il fallimento della politica assistenzialista: invece di prenderne atto per riformarci, si sta trasformano l’intera Italia in un paese da assistere

La politica economica degli ultimi decenni è evidente: si basa sull’assistenzialismo, con il trasferimento di risorse dalle categorie produttive e dai territori più efficienti a chi invece è in uno stato di bisogno. 

In nome della solidarietà i settori, come quello pubblico, e i territori che producono di meno sono quelli che ricevono di più. Chi è in avanzo finanzia chi è in disavanzo, con il risultato di disincentivare progressivamente chi produce di più e di incentivare chi è in uno stato di bisogno a rimanerci e a pretendere sempre di più. 

Questa strategia contraria alle leggi elementari dell’economia ha portato il Paese ad incrementare tassazione e spesa pubblica, alimentando al tempo stesso il debito dello Stato in una spirale di riduzione degli investimenti in infrastrutture e in attività redditizie. 

L’emergenza Covid sembra davvero un alibi molto pericoloso per il futuro del Paese: sta diventando l’occasione per fare diventare identità dell’intera nazione la mentalità assistenzialista che porta l’Italia a essere in Europa il Paese che pretende aiuto dagli altri. 

Come se ne esce?

O l’Italia trasforma la sua mentalità, dando un assetto di buonsenso al suo sistema economico, lasciando più risorse e più libertà alle categorie più produttive (imprese e lavoratori autonomi) e assegnando autonomia ai territori più efficienti, responsabilizzando invece chi è in deficit, oppure abbiamo davanti a noi un destino da eterni bisognosi che agiscono in Europa da assistiti. Se non da parassiti.

Leggi anche: I dieci effetti di Milano città stato più votati dai milanesi: al primo posto portare Milano a livello delle PRIME AL MONDO

ANDREA ZOPPOLATO 

 

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Fase 2: come MUOVERSI A MILANO in maniera intelligente

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Credits: Andrea Cherchi - Mobilità a Milano

Nel “tempo sospeso” coincidente con la fase di emergenza sanitaria più acuta legata alla pandemia da Covid-19 la mobilità è drasticamente calata in conseguenza del lockdown, e questo ha portato il Comune di Milano a rivedere le restrizioni e le regole relative all’accesso e alla circolazione delle auto in città.

Ora le cose stanno ritornando alla normalità, e questo è ormai da qualche settimana chiaramente percepibile a Milano, dove le strade semideserte e le circonvallazioni decongestionate in modo quasi surreale appaiono nuovamente trafficate: tutto ciò comporta un cambiamento delle regole che è bene avere presente per non incorrere in contravvenzioni. Un altro valido escamotage per evitare spiacevoli disguidi è quello di pianificare in anticipo i propri spostamenti, affrontando prima di muoversi il problema parcheggio. Da questo punto di vista parcheggiare con MyParking può essere molto utile: online dal 2007, questa piattaforma aggregatrice riunisce oltre 500 strutture di parcheggio situate presso le principali città, stazioni ferroviarie, aeroporti e porti italiani e consente di assicurarsi un posto auto presso parcheggi qualificati prenotandoli e pagandoli anticipatamente online, sempre a prezzi molto competitivi.

Già dal 18 maggio, ad esempio, è tornato valido il divieto di circolazione nelle corsie preferenziali riservate al trasporto pubblico; e a partire dal 3 giugno è rientrato in vigore il divieto di circolazione dei veicoli nelle Zone a Traffico Limitato (ZTL), ossia nelle aree in cui accesso e circolazione sono consentite soltanto in determinati orari e solo a specifiche categorie di utenti o a particolari tipi di mezzi di trasporto. In questo momento, però, sono ancora esclusi da questa restrizione i veicoli utilizzati da persone che lavorano in ambito sanitario.

Novità in vista anche per quel che riguarda area C, ossia la zona del centro storico di Milano con restrizioni di accesso per alcune tipologie di veicoli, che coincide con la Zona a traffico limitato Cerchia dei Bastioni ed è delimitata da 43 varchi con telecamere (7 dei quali sono a uso esclusivo del trasporto pubblico). Le limitazioni legate a quest’area, attualmente sospese, torneranno attive a partire dal 15 giugno, data a cominciare dalla quale lo torneranno anche le soste riservate ai residenti – quelle delimitate dalle righe gialle – e le aree di sosta a pagamento, circoscritte dalle strisce blu.

Per quanto concerne infine area B la situazione, almeno al momento, resta invariata. Rimangono dunque sospese le restrizioni previste per la zona che coincide con gran parte del territorio di Milano istituita alla fine di febbraio dello scorso anno: una zona a traffico limitato caratterizzata, da quel momento, da divieto di accesso e di circolazione per i veicoli più inquinanti e per quelli di lunghezza superiore ai 12 metri che trasportano merci, attiva dalle 7:30 alle 19:30 dal lunedì al venerdì. Con lo scoccare dell’emergenza sanitaria le restrizioni legate a questa zona sono state sospese, e il sito del Comune ci informa ora che lo rimarranno fino a nuovo ordine. Sarà determinante, a questo proposito, monitorare l’evoluzione del traffico e della situazione ancora delicata dal punto di vista sanitario per prendere eventuali nuovi provvedimenti, agevolando sino ad allora l’accesso alla città a chi preferisce muoversi in auto ed evitare i mezzi pubblici, sui quali oggi è possibile spostarsi solo mantenendo adeguate distanze dagli altri passeggeri.

Non va dimenticato, tuttavia, che per muoversi in maniera snella in città una scelta sempre intelligente è quella di valutare i parcheggi d’interscambio che si trovano in corrispondenza di molte aree periferiche e che permettono, una volta lasciata l’auto in una struttura sicura, di proseguire il viaggio in metropolitana per spostarsi rapidamente coprendo anche lunghe distanze senza doversi scontrare con le difficoltà in cui, allo stato attuale, si potrebbe invece incappare scegliendo di spostarsi con i mezzi di superficie.

REDAZIONE 

 

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Le trasformazioni della ROTONDA DELLA BESANA: da cimitero al MUBA, il museo per i bambini

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cimitero della bisana

Nell’immaginario collettivo molti ricordano la Rotonda della Besana come un antico lebbrosario, sovrapponendoci forse l’immagine di quello che era invece il Lazzaretto, che non era neanche poi così lontano… ma molto più antico.

Le trasformazioni della ROTONDA DELLA BESANA: da cimitero a museo per i bambini

In realtà siamo alla fine del ‘600 e qui c’era un cimitero annesso all’ospedale Maggiore della Ca’ Granda (l’attuale Università degli Studi). Ci troviamo in quella che era all’epoca piena campagna fuori dalle vecchie mura medioevali che correvano più o meno lungo l’attuale via Francesco Sforza. Si può ancora vedere la porta, detta della Meraviglia, e l’annesso ponticello, da cui, superato il naviglio dell’ospedale i carretti raggiungevano il camposanto.

cimitero della besana
La Porta della Meraviglia

Lo splendido porticato in barocchetto lombardo dalle eleganti forme curve fu innalzato nei primi anni del ‘700 non tanto per funzioni estetiche, o per celare qualcosa o qualcuno al loro interno, ma più semplicemente per isolare il complesso dalle acque stagnanti circostanti.

La città si ingrandisce e il cimitero viene a trovarsi ben presto all’interno del complesso delle mura spagnole e nel 1792, a fronte delle legislazioni sanitarie austriache (che saranno poi confermate da Napoleone) che non volevano cimiteri in città, fu dismesso.

Dopo i più disparati utilizzi, come spesso capitava, e tanta incuria, arriviamo ai giorni nostri.

Da cimitero al MUBA

Questo passato un po’ lugubre oggi sembra davvero molto molto lontano. Il Giardino della Rotonda della Besana è uno spazio verde vivissimo, ristrutturato qualche anno fa, dove d’estate si organizzano concerti, mostre, aperitivi e lezioni di yoga mattutine.

Ma non è tutto! Avete mai sentito parlare della storia di Roberto Piumini che racconta che qui abita una creatura magica, il folletto Bambilla, amico dei bambini e della natura. Che sia proprio questa storia ad aver dato l’idea di creare un luogo interamente dedicato ai più piccoli?

cimitero della besana

cimitero della besana
Chiesa sconsacrata di San Michele Arcangelo ai Nuovi Sepolcri

Da qualche anno infatti, in quello che era lo spazio centrale, dove era stata eretta la Chiesa di San Michele Arcangelo ai nuovi sepolcri, oggi sconsacrata, è presente il MUBA, alias Museo dei Bambini, un grande spazio tutto per loro… con giochi, tanti libri da leggere e colorare, laboratori di didattica e di scoperta e utilizzo di colori, forme e materiali. Un luogo unico che ancora una volta dimostra come Milano sia una città all’avanguardia e proiettata al benessere di tutti i suoi cittadini, anche di quelli ancora piccoli.

 

ROBERTO BRACCO

 

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La formula di LUCIANO FLORIDI: la rivoluzione della BUONA POLITICA

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Credits: alessioporcu.it - Luciano Floridi

In una lunga chiacchierata, Luciano Floridi, professore di Etica dell’informazione all’Università di Oxford, ci ha raccontato come in questo momento storico abbiamo l’opportunità di rifondare le basi della politica e dare uno scossone alla nostra società. Se non saremo in grado di farlo, le generazioni future non ce lo perdoneranno.

La formula di LUCIANO FLORIDI: la rivoluzione della BUONA POLITICA

La pandemia da Coronavirus ha fatto emergere e messo chiaramente in luce la debolezza e la mancanza di competenza e preparazione di molti leader politici. Ma potevamo veramente aspettarci qualcosa di diverso? Al momento del bisogno, le classi dirigenti prive di una visione e di progetto politico a lungo termine e votate da elettori incuranti delle competenze necessarie per governare un Paese hanno semplicemente mostrato la loro inadeguatezza. La crisi non è una bacchetta magica che rende improvvisamente “migliore” e “capace” una classe dirigente mediocre e priva di competenze, al limite rende solo i cittadini più indulgenti e tolleranti verso le inadeguatezze dei propri governanti. Ma quindi ha ancora senso parlare di impegno politico e qual è il ruolo che la politica deve assumere per tornare ad essere rilevante e avere un forte peso nella società? Ne abbiamo parlato in questa intervista con Luciano Floridi, professore di Etica dell’informazione all’Università di Oxford, che nel suo nuovo libro “Il verde e il blu. Idee ingenue per migliorare la politica” mette la filosofia al servizio della politica e propone qualche idea concreta per affrontare le grandi sfide di oggi.

# Prof. Floridi, quali sono a suo avviso le debolezze e le mancanze della società che questa pandemia ha messo in luce?

Quando si tratta di affrontare sfide difficili e importanti, come la gestione di una pandemia o il problema ambientale, la buona volontà dei singoli da sola non basta. Tanto più il problema è complesso, tanto più la struttura organizzativa della società deve essere adeguata ed articolata in modo tale da poter affrontare le grandi sfide di oggi in modo progettuale e concepire soluzioni appropriate.

Nella seconda metà del ‘900, lo Stato è stato estromesso dalla maggior parte dei progetti sociali per paura di quanto si era verificato nei primi del ‘900, quando lo Stato era entrato prepotentemente nella gestione delle questioni sociali. Gli effetti di questo distacco si sono visti nella gestione di crisi importanti come quella ambientale, che non possono essere affrontate dai singoli cittadini ma nemmeno dai singoli Stati. Oggigiorno le crisi sono globali e richiedono soluzioni globali. Proprio per questo è necessario un ritorno alla buona politica, che deve essere in grado di portare avanti quelle istanze e quei progetti sociali che richiedono una vera leadership e un coordinamento più ampio e globale che solo la vera politica può offrire. I cittadini hanno percepito questa esigenza e sono nati dei movimenti, come quello delle Sardine in Italia, che chiedono alla politica di impegnarsi e fare di più.

# In questo scenario, come vede il rapporto tra Stato e cittadini?

I cittadini devono avere l’opportunità di contribuire al progetto sociale fin dall’inizio, e in particolare come effetto di questa pandemia i cittadini dovrebbero essere messi in grado di contribuire direttamente alla ricostruzione dello Stato sociale. Allo stesso modo, lo Stato e la pubblica amministrazione dovrebbero “avvicinarsi” ai cittadini e rendere facile l’esercizio dei loro doveri. Lo Stato va rifondato sulla base dei principi della partecipazione, della fiducia, e delle solidarietà. Se io cittadino contribuisco ad elaborare le leggi e le regole del Paese in cui vivo, sarà più difficile che poi mi tiri indietro nel rispettarle.

# Ma in concreto quali strumenti potrebbero essere utilizzati per favorire questa cultura della partecipazione e della fiducia?

Gli strumenti digitali possono essere estremamente utili a questo scopo. La Comunità Europea organizza periodicamente delle consultazioni pubbliche (https://ec.europa.eu/info/about-european-commission/service-standards-and-principles/transparency/consultations_it) per dare ai cittadini l’opportunità di contribuire al processo legislativo, dalla fase di preparazione fino alle nuove proposte legislative e alle valutazioni dell’efficacia delle leggi in vigore. I cittadini possono partecipare alle consultazioni pubbliche e ai vari meccanismi di feedback previsti lungo tutto l’arco del ciclo di elaborazione delle politiche, e possono inoltre consultare i documenti correlati e i contributi pervenuti. In genere si parte con una bozza iniziale che viene rifinita gradualmente e gli strumenti digitali ci vengono in aiuto proprio nel gestire e portare avanti questo processo, che ovviamente richiede anche un coordinamento centrale.

L’idea di base è quella di mettere in condivisione l’intelligenza comune al fine di prendere le decisioni migliori e coinvolgere i cittadini nel processo decisionale, in modo tale che si sentano coinvolti e quindi responsabili nel seguire e rispettare le decisioni prese. Sembra una procedura lontana dagli interessi reali, ma immaginiamo una partecipazione aperta a tutti a livello di quartiere, o comunale, per esempio. Potrebbe essere un buon modo per attrarre le persone alla politica a partire da quello che le tocca immediatamente.

# Possiamo pensare di utilizzare questi strumenti anche per aprire delle consultazioni sui piani elaborati dai Comitati tecnici per affrontare tematiche complesse?

Assolutamente sì, anzi è proprio quello che andrebbe fatto. Nella maggior parte dei casi, i piani delle task force sono percepiti dai cittadini come delle decisioni prese e calate dall’alto. Ad esempio oggi in Italia si potrebbe aprire una consultazione sul piano prodotto dalla task force di Colao. In questo modo, i cittadini potrebbero contribuire con le loro idee e proposte ai progetti elaborati dai tecnici e si sentirebbero più partecipi e coinvolti. Il piano della task force non sarebbe più solo il piano elaborato da esperti chiusi nelle loro stanze ma diventerebbe anche il loro piano.

La co-partecipazione e il co-design aiuta a far sentire tutti proprietari del prodotto finale.

# Ma non si rischia di avere troppo “rumore di fondo”, ovvero troppe persone che vogliono dire la loro magari senza nemmeno essere qualificate nel farlo?

Come dicevo prima, è necessario un coordinamento centrale che vagli tutte le proposte. Ma l’ascolto è fondamentale per progettare delle buone soluzioni politiche.

Le faccio un esempio molto banale. Se voglio affrontare i problemi della piccola-media impresa italiana, parlo con l’imprenditore di Padova per capire di che cosa ha bisogno realmente e provo a costruire assieme a lui delle soluzioni ad-hoc. A quel punto, non solo gli dò quello di cui ha bisogno, ma lo coinvolgo e lo “aggancio” nel rispettare delle regole condivise, esplorando insieme i limiti del fattibile.

# Come è cambiato o come cambierà il rapporto tra i cittadini e la politica? Quali sono le debolezze del rapporto tra i cittadini e la classe politica che la pandemia ha messo in luce?

La politica non faceva un buon lavoro prima e non lo ha fatto durante l’emergenza da Coronavirus. Una classe dirigente mediocre non può diventare improvvisamente capace e competente per affrontare una sfida imprevista e complessa, e con questo mi riferisco soprattutto alla Gran Bretagna, che conosco più da vicino, ma non solo, si pensi anche all’amministrazione Trump.

Purtroppo c’è un forte rischio che nella “nuova normalità” dopo la pandemia, il rapporto tra i cittadini e la politica non si evolva e si ritorni alla stessa situazione di prima. La politica oggi rifugge da qualsiasi impegno nei confronti della società e non si occupa di progetti sociali che coinvolgono le comunità. Dobbiamo recuperare questo aspetto e rimuovere gli ostacoli che impediscono ai cittadini di partecipare attivamente al processo decisionale. Per fare questo, la politica deve fondarsi su idee concrete e costruttive, a disposizione di chiunque voglia usarle e aperte ai contribuiti dei cittadini; solo in questo modo è possibile far emergere e metter in condivisione l’intelligenza e la buona volontà comune. Se questo non succederà, avremo sprecato un’occasione veramente unica. Oggi abbiamo l’opportunità di rifondare meglio le basi della nostra politica e dare uno scossone alla società. Se non lo faremo, le generazioni future non ce lo perdoneranno.

# Cosa ne pensa delle forme di partecipazione politica attraverso i partiti?

Lo scontro tra partiti è una cosa datata e questo è uno dei fattori che ha portato i cittadini a staccarsi dalla politica. La maggior parte delle persone, e quindi degli elettori, vuole solo fare le cose bene e in modo concreto. Salute e ambiente potrebbero essere due ambiti da cui partire per coinvolgere di nuovo i cittadini nella politica, dato che sono ambiti che toccano da vicino tutte le persone.

# Un’ultima domanda. Quali sono le competenze da mettere in campo ora per far “rinascere” la nostra società?

Innanzitutto sono necessarie persone dotate di visione strategica, ovvero in grado di immaginare gli scenari futuri e capaci di indirizzare e guidare le azioni e le scelte verso una direzione favorevole.

Inoltre sono necessari quelli che possiamo chiamare “esperti di circoli virtuosi”, ovvero tecnici in grado di disegnare meccanismi utili e necessari per perseguire la direzione indicata dalla visione e in più capaci di auto-rinforzarsi e mantenersi nel tempo. Anche in questo caso possiamo fare un esempio banale, i pagamenti digitali non solo facilitano la vita delle persone, evitando code e perdite di tempo, ma allo stesso tempo permettono di combattere l’evasione e quindi hanno un effetto positivo anche per le casse dello Stato. I processi che funzionano sono quelli in cui il risultato del processo rinforza il processo stesso. Niente di nuovo, è quello che ci insegna anche la natura, e il buon senso.

LAURA COSTANTIN

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Riparte l’industria degli eventi: MILANO resta AL PALO

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Credits: milanotoday.it - Fuorisalone

Il settore degli eventi in Italia vale l’1,7% del PIL, con Milano che da sola ne organizza il 10% nazionale, e in quasi tutto lo stivale è ripartito dopo lo stop causato dall’emergenza Covid in deroga al DCPM come previsto dal governo. La Regione Lombardia ancora una volta ha deciso di aspettare, causando un enorme danno all’economia milanese.

Riparte l’industria degli eventi: MILANO resta al palo

# Il DCPM 11 giugno stabiliva la ripartenza degli eventi il 14 luglio, con deroghe in capo alle regioni

Il settore degli eventi in Italia vale l’1,7% del PIL, offre lavoro ad una forbice tra 50.000 e 100.000 persone e, nel 2019, ha visto partecipare oltre 28 milioni di persone.
Senza contare l’indotto legato ai pernottamenti in albergo, ai consumi dei partecipanti quando sono in trasferta ed a tutte le altre componenti della filiera.  Con il DPCM del 11 giugno è arrivata la doccia fredda: contrariamente a quanto si prevedeva, il testo del decreto rimanda al 14 luglio la ripartenza del settore, unico ad essere escluso dalla Fase 3. Con una postilla però: le Regioni possono decidere di derogare a questa disposizione alla luce di valutazioni autonome della situazione epidemiologica

Ed è cosi che nei giorni immediatamente successivi, 16 Regioni su 20 hanno imboccato questa strada facendo ripartire uno dei settori che ha visto il proprio fatturato completamente azzerato. Quasi tutte le ordinanze regionali, adottando le linee guida ed i protocolli proposti al governo da Federcongressi, non prevedono limitazione al numero di partecipanti agli eventi, unica condizione è che vengano rispettate le norme sul distanziamento sociale e sul divieto di assembramento.

# La Regione Lombardia una delle poche a lasciare fermo il settore degli eventi, nonostante Milano sia leader in Italia e tra le prime al mondo

Quando si parla di eventi Milano è leader incontrastata in Italia, con alcune manifestazioni come il Salone del Mobile e l’EICMA uniche al mondo, infatti ne ospita ogni anno circa 45.000, il 10% di tutti gli eventi nazionali. L’industria degli eventi in città è complementare a tutti i settori più trainanti come moda, design, turismo, architettura, farmaceutica, real estate, finanza. La ripartenza del settore sarebbe stata quindi una boccata d’ossigeno per l’economia della città e per l’Italia intera.

Purtroppo per ora Milano non potrà farlo perché dipende ancora dalle decisioni di Regione Lombardia, una delle 4, insieme a Piemonte, Valle d’Aosta e Trentino, che hanno deciso di non derogare al decreto disposto del Presidente del Consiglio. Quindi si ritroverà in condizione di svantaggio anche nei confronti delle altre regioni che hanno già derogato l’apertura del settore e che potrebbero drenare mercato anche in ottica internazionale. Questa è l’ennesima dimostrazione che senza un’autonomia, alla pari delle altre città internazionali, Milano si troverà sempre a dipendere da scelte altrui senza nessuna voce in capitolo rischiando di scivolare sempre più nell’anonimato.

LUCA BENSAIA

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