Pensato per rivoluzionare la mobilità cittadina tranviaria della città, questo progetto vede la creazione di una nuova linea di superficie sulla circonvallazione.
Proposta da Roberto Bressanin, l’idea è quella di trasformare la 90 e la 91 in una sorta di metropolitana su gomma.La proposta riprende in parte un progetto di alcuni anni fa di ATM. Iscriviti al canale di milano città stato su YouTubeper i video esclusivi.
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Quello che resta di quei tempi: le feste degli ex compagni di classe in cui le mogli possono stare tranquille.
Quando a Milano c’erano scuole solo per maschi (o solo per femmine)
Hai presente il film Compagni di Scuola di Verdone? Un gruppo di ex compagni di classe si ritrova dopo molti anni per festeggiare l’anniversario della maturità. Coppie scoppiate, amori infranti, chi non era degno di uno sguardo è diventato ricco di fascino e poi amanti, storie nascoste, insieme a scene di ordinaria disperazione. In breve, un casino. Qui si parla di tutt’altro. Delle feste degli ex compagni di classe in cui le mogli possono stare tranquille.
Nell’epoca del gender fluid è difficile immaginare la Milano che fino alla metà degli anni Ottanta aveva ancora scuole di genere: solo per maschi o solo per femmine.
Dalla prima media alla quarta ginnasio ho frequentato una scuola di soli maschi, gestita dai gesuiti: il Leone XIII. Com’era la scuola solo al maschile?
C’era molto cameratismo. Anche spinto all’estremo. Bollori ed energie in esubero adolescenziale venivano incanalati soprattutto nelle attività sportive e, in generale, in ogni forma di competizione. Ci si sfidava su tutto, la vittoria era vista come segno di predestinazione divina, un po’ come i soldi nell’antica cultura ebraica.
Non solo ci si misurava negli sport che praticavamo ma anche per quelli che si tifavano. La vittoria di uno scudetto della squadra del cuore era motivo di gloria. Tutte cose poi smussate nelle classi miste.
Altro fattore distintivo era l’interesse fantascientifico per l’altro sesso. In una scuola solo maschile, senza internet o i social, l’altro sesso veniva visto dal binocolo. Letteralmente. Il nostro binocolo era rivolto a Piazza Tommaseo dove si schiudeva l’altro mondo dei misteri, dove c’erano le Marcelline, l’equivalente del Leone XIII ma declinato interamente al femminile. Gli unici incontri, fuori dalla scuola o nelle feste, si vivevano come documentari di Quark.
Ultimo fattore distintivo erano gli insegnanti. Il professore di Lettere del Ginnasio ci aveva avvertiti: “Con l’ingresso delle femmine nulla sarà più come prima”. Una differenza erano infatti i discorsi che ci facevano gli insegnanti. Con una classe al solo maschile si potevano affrontare argomenti delicati, sulla sessualità, sui bollori adolescenziali, usando anche espressioni scurrili, da caserma, focalizzati su un pubblico maschile che difficilmente si sarebbero potuti replicare con le ragazze.
L’anno di grazia è stato l’anno scolastico 1984-85. Non solo perché è stato l’anno in cui la mia anomala squadra del cuore, l’Hellas Verona, ha vinto lo scudetto, innalzandomi alla gloria divina, ma soprattutto perché scuole maschili, come il Leone XIII, o femminili, come Marcelline o Orsoline, hanno aperto a studenti dell’altro sesso.
A partire da quell’anno iniziarono a formarsi le prime classi miste. Nei ricordi è come se la scuola fosse passata dal bianco e nero al colore. Quei bollori ed entusiasmi che venivano sublimati nello sport e in ogni forma di competizione esplosero in tutta un’altra forma, quella che regna da millenni.
Le prime, poche ragazze apparse nella prima classe del liceo avevano sostituito lo sport come principale centro di attenzione. E’ stato come passare da spettatori a protagonisti del documentario. Le prime cotte, le attese nelle pause, i primi appuntamenti fuori dalla scuola. Qualcosa che può suonare normale per chi ha sempre vissuto in una scuola mista ma che per noi erano come un viaggio di Jules Verne.
E il cambiamento si è visto anche negli insegnanti. Personaggi ruvidi che si ammorbidivano davanti a un sorriso, qualcuno faceva anche delle cosacce, così si diceva in una nuova forma di intrattenimento: il pettegolezzo.
Così, tra ricordi di Julius Cesar imparato a memoria, Friends Romans and Countrymen, di figuracce alle interrogazioni o di vittorie gloriose, ha avuto luogo la festa di reunion per i 25 anni della maturità. In certi momenti è sembrato di tornare come allora, in altri si è provato un gusto amaro tipo Compagni di Scuola di Verdone, ma con una fondamentale differenza. Era una reunion in cui le mogli potevano stare tranquille.
Prima Milano. E non è una sorpresa. Ma dopo Milano quali sono le città italiane più belle per i milanesi? Ecco la classifica completa, dalla decima alla prima posizione. Foto cover: travelphotographer
La prima sorpresa. Al decimo posto la storica rivale cittadina: anche se in decadenza, i milanesi le riconoscono almeno questo. La bellezza. Grazie alla Mole Antonelliana, a Piazza San Carlo e Piazza Castello, alla Basilica di Superga e al primo Parlamento Italiano, ma anche a Palazzo Reale con i suoi giardini e al Parco del Valentino sulle rive del Po.
#9 Siracusa
Credits piadapizzalpesto IG – Siracusa
Altra sorpresa: al nono posto per i milanesi c’è questo gioiellino della Sicilia. Famosa per la sua ricca eredità greca e romana, fu fondata nel 734 a.C. proprio dai Greci, che si ritrova nei suoi lasciti come il Parco Archeologico della Neapolis e il Teatro Greco. Tra le altre bellezze da scoprire ci sono l‘Orecchio di Dionisio e l’isola di Ortigia, il cuore storico della cittadine con le sue stradine pittoresche, la Cattedrale edificata su un antico tempio greco, e la Fonte Aretusa.
#8 Siena
Ph. Anastasia Borisova (Pixabay)
La città del palio. Ma non solo. Tra le meraviglie di Siena c’è Piazza del Campo, una delle piazze medievali più belle d’Europa con la caratteristica forma a conchiglia e dove due volte all’anno si tiene la corsa di cavalli, il Duomo, una stupenda cattedrale gotica con statue di Michelangelo al suo interno, il Palazzo delle Papesse di epoca rinascimentale o l’Orto de’ Pecci, un incantevole parco pubblico a pochi passi da Piazza del Campo. Oltre alle contrade che colorano le vie della città.
Una città da sempre molto cara ai milanesi. Una storia ricca e complessa, influenzata da diverse culture, tra cui quella austriaca, slovena e italiana, e con un centro storico caratterizzato da eleganti palazzi neoclassici e caffè storici. Affacciata sul mare e vegliata dall’alto dal magnifico Castello di Miramare, vede in scena ogni anno la Barcolada, la regata più grande del mondo.
Sesta piazza per il capoluogo ligure. L’ex storica Repubblica marinara, con il suo porto ancora oggi tra i più importanti in Europa, si fa apprezzare per il suo labirintico centro storico medievale, i maestosi Palazzi dei Rolli e l’Acquario, uno dei più grandi d’Europa. Da vedere il Porto Antico con negozi, ristoranti e attrazioni turistiche come il Bigo, un ascensore panoramico con una vista spettacolare sulla città e sul mare, e il pittoresco borgo marinaro con case colorate di Boccadasse.
#5 Palermo
Credits Sammy-Sander-pixabay – Cattedrale Palermo
In quinta posizione la regina della Sicilia. Ricco di storia, cultura e tradizioni, il capoluogo della regione più grande d’Italia è conosciuto per la sua architettura composta da un mix di stili arabo-normanno, barocco e gotico. Tra le attrazioni più importanti da vedere ci sono la Cattedrale, il Palazzo dei Normanni con la Cappella Palatina, il Teatro Massimo, il più grande d’Italia, e il colorato mercato di Ballarò.
#4 Firenze
Credits Azamat Esmurziyev-unsplash – Firenze
I milanesi mettono al quarto posto una delle classiche mete turistiche internazionali: Firenze. Il cuore del Rinascimento italiano, un tesoro di arte e cultura, con palazzi storici, musei e giardini. Tra i monumenti e gli edifici imperdibili il Duomo con la sua cupola di Brunelleschi, Piazza della Signoria, Palazzo Vecchio, la Galleria degli Uffizi con la Venere del Botticelli o la Galleria dell’Accademia con il David di Michelangelo. Per una passeggiata suggestiva immancabile il Ponte Vecchio che collega le due sponde dell’Arno.
#3 Napoli
Credits danilo-d-agostino-unsplash – Napoli
Bando alle ciance dei luoghi comuni: per i milanesi la terza città più bella è Napoli. Un centro storico dichiarato Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO, con monumenti come il Duomo, Castel dell’Ovo e il Maschio Angioino, ma anche la Galleria che ricorda quella tra il Duomo e la Scala a Milano. Dal Vomero a Spaccanapoli, dal Vesuvio a Piazza del Plebiscito, dalla via San Gregorio Armeno, famosa per i suoi presepi, alla Napoli sotterranea. Adagiata sull’omonimo golfo, da cui si possono ammirare le isole di Capri e Ischia, è tra le città preferite dai milanesi.
#2 Venezia
Credits LunarSeaArt-pixabay – Gondola a Venezia
La città degli innamorati si prende la medaglia d’argento. Venezia, città unica al mondo costruita su più di 100 isole nella Laguna Veneta, è famosa per i suoi canali romantici. Visitabile solo a piedi tra le strette calle o in barca, meglio ancora se in gondola, è un museo a cielo aperto: i palazzi affacciati sul Canal Grande, attraversato da ponti come il celebre Ponte di Rialto,Piazza San Marco con la sua omonima basilica e Palazzo Ducale. Tra i luoghi di cultura è presente uno dei quattro musei Peggy Guggenheim al mondo.
#1 Roma
Mike_68-pixabay – Roma
La sorpresa più grande. Molti milanesi la criticano, la guardano con sospetto, vorrebbero strapparle lo scettro da capitale, ma poi sotto sotto tutti le riconoscono questo. Che è la più bella di tutte. Un plebiscito. Gli aggettivi si sprecano per la città che molti definiscono la più bella del mondo. Oltre 2.500 anni di storia e un fascino immutato dato dai suoi iconici monumenti nel suo centro storico Patrimonio dell’UNESCO: i Fori Imperiali, il Colosseo, il Pantheon e la Fontana di Trevi. Per non parlare di Piazza di Spagna con la Scalinata di Trinità dei Monti, Piazza Navona con le sue chiese e fontane, Villa Borghese e i vivaci quartieri popolari come Trastevere e Testaccio. Per chiudere il cupolone di San Pietro, uno dei simboli di Roma anche se nel territorio dello Stato della Città del Vaticano.
Alcuni dicono che se la smettesse di essere la Capitale, sarebbe anche meglio. Ma questa è un’altra storia.
E’ stato stipulato un accordo tra RFI e Nevomo per realizzare un treno a levitazione magnetica in grado di viaggiare sulle rotaie già esistenti al doppio della velocità. Il primo passo previsto è quello di un progetto pilota in Italia. Il punto sulla tecnologia e in quale circuito dovrebbe essere testato nel nostro Paese.
I treni a lievitazione magnetica su rotaie in arrivo anche in Italia? Il punto sul progetto
# I treni a levitazione magnetica
Credits: milanoevents.it – Hyperloop
I treni a levitazione magnetica non sono una novità. Si è infatti spesso parlato del famoso progetto di Hyperloop, il treno superveloce a levitazione magnetica che promette di viaggiare fino a 1.200 km/h e che ha già ottenuto degli ottimi risultati nei primi test negli Stati Uniti, anche se alcuni progetti, come Hyperloop One, hanno chiuso.
La promessa è comunque che Hyperloop arrivi anche nel nostro Paese, tra le tratte ipotizzate la Milano-Roma in soli 30 minuti o la Milano Cadorna – Malpensa in 10 minuti, un progetto in realtà sparito dai radar. Prosegue invece in Veneto il progetto Hyper transfer, con l’obiettivo di prototipazione e realizzazione di un test-track di 10 km finalizzato a sperimentare sul campo, la tecnologia e ottenere la certificazione del sistema.
Ma come funziona l’Hyperloop? Questa tecnologia di trasporto ad alta velocità per passeggeri e merci utilizza treni che viaggiano attraverso tubi a bassa pressione magnetica all’interno di ampi tubi sottovuoto.
Il progetto richiede la costruzione di un’infrastruttura estesa di tunnel, un’impresa complessa e lenta, specialmente in un paese come l’Italia. E se ci fosse un modo per eliminare la necessità di costruire tunnel e far viaggiare i treni a levitazione su binari?
# L’accordo tra RFI e Nevomo: velocità doppia usando i binari esistenti
Credit: ferrovie.info
Per esplorare le potenzialità e la fattibilità di questo sistema di trasporto, il 18 giugno 2021 è stato siglato un Memorandum of Understanding da Vera Fiorani, Amministratrice Delegata e Direttrice Generale di RFI, azienda pubblica partecipata al 100% da Ferrovie dello Stato Italiane, e Przemyslaw Paczek, CEO della società tecnologica polacco-svizzera Nevomo.
Il progetto ha l’obiettivo di analizzare e verificare la possibilità di un’importante evoluzione per i treni a levitazione magnetica: permettere loro di viaggiare a una velocità quasi doppia rispetto a quella attuale, senza modificare le principali caratteristiche delle linee ferroviarie esistenti.
# Come funziona Magrail
Credit: @nevomo_tech
Questo nuovo sistema utilizzerà la tecnologia Magrail, un metodo di levitazione magnetica passiva che permette di operare su binari ferroviari esistenti a velocità fino a 550 km/h. Consentirebbe l’uso della stessa linea sia da parte dei treni convenzionali che dai nuovi veicoli a levitazione magnetica, i quali potrebbero raggiungere velocità superiori del 75% rispetto ai treni attuali.
Inoltre, la stessa tecnologia può essere impiegata per incrementare la velocità fino a 1.000 km/h in tunnel a bassa pressione e fino a 1.200 km/h su binari dedicati.
# Il primo progetto pilota sull’anello ferroviario di 6 km a Bologna
Credit: hwupgrade.it
L’obiettivo delle due aziende è avviare lo studio di fattibilità e chiedere un finanziamento all’Unione Europea per la realizzazione di un progetto pilota Magrail sul circuito di prova di proprietà di RFI a Bologna San Donato e per sostenere la costruzione di una carrozza in proporzioni 1:1. Il tracciato dedicato a prove e collaudi di materiale rotabile è un anello di 6 km dalla Tangenziale fino al territorio comunale di Castenaso.
innovando.it – Anello ferroviario Bologna
In caso di un esito positivo per lo studio, il circuito sarà poi utilizzato per i processi di certificazione e omologazione necessari per consentire l’implementazione commerciale della tecnologia.
# Positivi i test in Polonia
innovando.it – Test Nevomo
Nell’attesa che il progetto pilota arrivi in Italia sono stati eseguiti dei test, andati a buon fine, su un tratto di oltre 720 metri del circuito di prova a Nowa Sarzyna nel Voivodato della Precarpazia, in Polonia. Il veicolo testato, dal peso di 2 tonnellate e lungo 6 metri, ha raggiunto la velocità di 135 km/h, utilizzando la levitazione e mantenendosi stabilmente su un binario tradizionale e ha accelerato fino a 100 km/h in 11 secondi.
Uno dei momenti simbolo di Milano. Non tutti sanno che rappresenta una storica presa in giro. Che ha divertito molto i milanesi dell’Ottocento. Foto cover: Andrea Cherchi
L’Arco della Pace, una delle più grandi prese in giro della storia
# Nato per celebrare la vittoria di Napoleone contro gli austriaci (e i loro alleati)
L’Arco della Pace
In origine fu eretto da Napoleone per celebrare le sue vittorie. Si chiamava infatti “Arco della Vittoria”: la vittoria era quella dei francesi nella battaglia di Jena contro le potenze dell’Ancien Regime. Tra cui c’erano anche gli austriaci che quella scoppola se la sono legata al dito. Come vedremo. Ma torniamo all’arco più celebre di Milano.
# Nato per celebrare il trionfo di Napoleone
rotaty club Milano – Napoleone a Milano
Il monumento era quasi completato quando è accaduto un fatto che non era un dettaglio: la caduta di Napoleone. A quel punto l’opera venne abbandonata. Ma dopo il loro ritorno in città, gli austriaci decisero di completare il monumento, ma cambiandone il significato. Invece che alla Vittoria fu intitolato alla Pace. La pace era quella di Vienna che aveva sancito la sconfitta di Napoleone e la ripresa dei territori da parte degli Asburgo. Ma gli austriaci che se l’erano legata al dito decisero di non fermarsi qui. E di aggiungere un tocco di classe.
# La famosa giravolta
Gli austriaci decisero di non limitarsi all’inversione del significato del monumento: da simbolo di guerra a simbolo di pace. Ma di apportare un’altra inversione.
Il tocco di classe fu giraredi 180 gradi i cavalli: così da rivolgere il loro fondoschiena verso la Francia, che si protende oltre l’orizzonte di Corso Sempione. Neppure allora dai milanesi i francesi erano molto amati e questo gesto scatenò l’ilarità dei cittadini che per una volta ingoiarono il rospo dell’occupazione asburgica.
# Le “correzioni” dei piemontesi
Credits Andrea Cherchi – Arco delle Pace
Secondo Ernest Hemingway l’Arco della Pace sarebbe allineato con l’Arco di Trionfo del Carrousel e l’Arco di Trionfo dell’Étoile di Parigi.
Un’altra curiosità: nel breve interregno in cui Milano, liberata dagli Asburgo con le cinque giornate, passò al Piemonte, furono apportate al monumento delle nuove epigrafi dedicatorie poste sulla sommità degli archi:
«Entrando coll’armi gloriose / Napoleone III e Vittorio Emanuele II liberatori / Milano esultante cancellò da questi marmi / le impronte servili / e vi scrisse l’indipendenza d’Italia / MDCCCLIX»
«Alle speranze del Regno Italico / auspice Napoleone I / i Milanesi dedicarono l’anno MDCCCVII / e francati da servitù / felicemente restituirono / MDCCCLIX»
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
Pronti, partenza, via! Anzi no. Sembrava troppo bello per essere vero, ma il progetto infinito per realizzare il tratto di preferenziale per la 90/91 in zona Lotto è di nuovo fermo. L’annuncio di avvio cantieri fatto in primavera è stato disatteso. Vediamo quale potrebbe essere la prima data utile e i dettagli del tracciato.
# Un nuovo stop al cantiere per la preferenziale della 90/91 in zona Lotto
Preferenziale 90-91
Il 10 gennaio 2024 l’Assessore alla Mobilità, Arianna Censi, aveva dato l’annuncio durante il Consiglio Comunale dell’avvio del cantiere per la realizzazione del tratto di preferenziale mancante per la 90/91 in zona Lotto. Aggiudicata la gara e firmato l’appalto, i primi operai erano attesi nel mese di aprile. I lavori non sono però partiti e un’opera attesa da oltre 10 anni, si è fermata prima ancora di cominciare. Ma cosa prevede il progetto?
L’intervento interessa un tracciato di poco meno di 1 km tra Piazzale Zavattari e Piazza Stuparich, comprende Viale Migliara e Viale Enrico Elia, che oggi è nel più totale degrado.
Rendering preferenziale 90-91
Nel dettaglio sono previsti:
lavori su tre rotonde, di cui due da realizzare ex novo;
2.300 metri quadrati di verde permeabile;
240 alberi;
un anello ciclabile bidirezionale perimetrale;
una coppia di piste ciclabili monodirezionali;
una corsia riservata;
circa 11 mila mQ di aree pedonali;
rifacimento sistema fognario.
L’investimento è di 23,4 milioni di euro, di cui 3,5 da fondi Pinqua, 9 dal ministero Infrastrutture e il resto a carico del Comune di Milano, mentre la durata dei lavori è stata stimata in circa 3 anni.
Tra i motivi dell’ennesimo rinvio dei cantieri, come riporta l’edizione milanese di Repubblica, stop burocratici, autorizzazioni da ottenere e interlocuzioni con i commercianti. Questi ultimi in particolare sono preoccupati per l’impossibilità di attraversare in auto piazza Stuparich per raggiungere via Albani e della deviazione del bus 68, oggi a servizio proprio della via dove sono presenti diversi negozi, verso via Diomede. Salvo ulteriori intoppi il prossimo mese utile potrebbe essere quello di luglio. Sarà così?
Era il 1967. Un anno magico, soprattutto d’estate, soprattutto a San Francisco. Quell’estate è diventata leggendaria come la Summer of Love, l’estate dell’amore, quando migliaia di giorni scelsero la città della California per vivere all’insegna della libertà, della pace e del piacere dei sensi. C’è tanta voglia di rivivere quelle atmosfere. Pochi sanno che immersi tra le colline o le montagne, oppure in riva al mare, ci sono alcuni piccoli borghi ritrovo di artisti, musicisti, poeti e hippie. Scopriamo dove si trovano.
La nuova Summer of Love in Italia? I bellissimi borghi dei figli dei fiori
#1 Bienno, famoso per le sue fucine e i vicoli pittoreschi
Credits katyamangano IG – Bienno
Paesino della Val Camonica di circa 3.600 abitanti, Biennoè un “agglomerato pittoresco di pietre e tegole” immerso nel verde della Val Grigna. Situato a 450 metri s.l.m. sulla cima di una collina circondata dalle vette della Concarena e della Presolana, il borgo, tra i più belli d’Italia, si sviluppa sulla maglia geometrica di un’antica fondazione romana. Famoso per le sue fucine, è anche un museo a cielo aperto con le sue chiese affrescate, vicoletti pittoreschi e fantastici panorami.
#2 Arcumeggia, il borgo dipinto in provincia di Varese
Credits elenacassella_ IG – Arcumeggia
Arcumeggia, progressivamente abbandonata dopo la Seconda Guerra Mondiale, è una piccola frazione del comune di Casalzuigno in provincia di Varese. Nel 1956 l’Ente Provinciale per il Turismo decise di trasformarla nel borgo dipinto che oggi conosciamo, con quadri e raffigurazioni dipinte sui muri delle abitazioni.
#3 Bussana Vecchia, il villaggio degli artisti
Credits delbourgb IG – Bussana Vecchia
Bussana Vecchia è una splendida frazione del comune di Sanremo. Si trova a 200 metri d’altezza e dopo essere stata abbandonata per circa 60 anni a causa di un terremoto è rinata grazie agli artisti. Oggi è una comunità internazionale di artisti, dotata di uno statuto, un vero e proprio covo di menti creative e che si auto-definisce villaggio degli artisti.
#4 Valloria, il borgo delle porte decorate
Credits cristinagrecchi67 IG – Valloria
Rimanendo in provincia di Imperia c’è Valloria, una piccola frazione di 34 abitanti nel comune di Prelà. Conosciuta per la sua arte di decorare porte, sono in totale più di 150 i portoni affrescati nelle case dei residenti.
#5 Dozza, il borgo dipinto dell’Emilia Romagna
Credits: @ferrara_eventi Dozza
Dozza è soprannominato il borgo dipinto dell’Emilia Romagna. Questo piccolo gioiellino sulle colline bolognesi, inserito nell’elenco dei “Borghi più belli d’Italia”, sembra davvero un borgo delle fiabe: i muri, le arcate delle porte, i balconi, attorno alle finestre sorgono oltre 90 murales e 200 storie raccontate.
#6 Cervara di Roma, il paese scolpito nella roccia o paese degli artisti
Credits batpax70 IG – Cervara di Roma
Cervara di Roma, quasi al confine con l’Abruzzo, è conosciuto per essere il paese scolpito nella roccia e il paese degli artisti. Tra le viuzze del borgo si trovano infatti forme umane scolpite nella pietra, figure e ritratti sulla roccia calcarea e sulle pareti delle case.
#7 Calcata Vecchia, il borgo hippy nel cuore della Tuscia
Credits arastet_st IG – Borgo Calcata
Calcata Vecchia, nella meravigliosa cornice della Tuscia in cima a uno sperone di tufo, è un piccola frazione dove arte e magia si mescolano. Abbandonato dai suoi abitanti, dagli anni 60 è diventato la casa di tantissimi hippy e artisti: pittori, artigiani, architetti e scultori vivono qui alcuni periodi dell’anno per ritrovare un contatto idilliaco con la natura e l’ambiente e dare sfogo alla loro creatività.
Sulla costa calabrase troviamo Diamante, un piccolo paese famoso anche per essere la “città dei murales”. Sui muri delle sue abitazioni ne sono stati dipinti oltre 70, dal 1981 ad oggi, grazie all’opera di artisti provenienti da ogni parte del mondo.
#9 Orgosolo, il borgo sardo con murales dalla connotazione politica
Credits ghirotasbiro IG – Orgosolo
Orgosolo è un vero borgo dei murales nel cuore della Sardegna, dove i murales hanno una forte connotazione politica. Risalenti in parte alla fine degli anni Sessanta, i dipinti raccontano infatti l’impegno dei pastori nella difesa delle loro terre, la vita quotidiana nella Barbagia e inneggiano alla pace tra i popoli.
#10 Valle della Luna, con grotte dalle forme stravaganti abitate da una comunità di hippy
Credits fabripepeyzampa IG – Valle della Luna
Rimanendo in Sardegna troviamo la Valle della Luna nel promontorio di Capo Testa, una valle che degrada fino al mare incastonata tra due costoni granitici. Oltre alle meravigliose calette dalle acque turchesi, le rocce rosate e il verde della macchia mediterranea esibisce un paesaggio lunare dalla bellezza primordiale. L’erosione millenaria ha creato grotte dalle forme stravaganti, divenute dimore di una comunità di hippy dalla fine degli anni ’70 del ‘900. A testimoniare la presenza di questa comunità, che qui vive tutto l’anno, ci sono segnali, graffiti e dipinti di vario genere.
In tutte le città del mondo esistono quartieri e zone che si caratterizzano per qualcosa. A Londra c’è Notting Hill, a Parigi Montmartre, a Berlino il Mitte, a Madrid La Latina. A Milano ci sono Brera, Isola, NoLO, San Siro e Città Studi. Insomma ogni quartiere, che sia italiano o estero, ha le sue caratteristiche che lo rendono unico e affascinante. A Milano c’è anche un “sotto-quartiere” che forse dovrebbe avere una maggiore fama. Andiamo a scoprirlo.
Il “Quartiere nel quartiere”: il punto di rottura di Milano
E’ raro che all’interno di un quartiere ci sia un sotto-quartiere. Una porzione di terra che in passato era stato oggetto di studio e di riqualificazione, una zona su cui si puntava molto, dove si è anche riuscito a realizzare qualcosa, ma che col tempo non ha mantenuto salde le proprie aspettative.
# La nascita: un “Punto di rottura” negli anni venti
Credits: pinterest.com quartiere fabio filzi Milano
Siamo in pieno ventennio, l’Istituto Fascista Case Popolari (Ifacp) promulga un progetto allo scopo di provvedere alla costruzione di alloggi popolari ed economici da destinare alle categorie operaie e/o alle piccole classi medie. Un progetto che viene espanso a tutto il territorio italiano e a Milano gli architetti Franco Albini, Renato Camus e Giancarlo Palanti presentano tre progetti, tra cui troviamo quello sul Fabio Filzi, che risulterà infine vincitore del bando e che ancora oggi è visibile in via Illirico (Città Studi). Il progetto, all’epoca, venne visto come un punto di rottura con i vecchi schemi edilizi, quasi un superamento dell’arte razionalista tanto in voga in quel periodo.
# Il quartiere? 5 edifici accostati molto simili tra loro
Credits: ordinearchitetti.mi.it progetto quartiere Fabio Filzi
Gli architetti disegnarono un progetto che prevedeva la costruzione di edifici ordinati in schiere parallele, dove igiene, semplicità geometrica e risparmio sono i principi fondamentali. Il quartiere è costituito dall’accostamento di cinque palazzi molto simili tra di loro, dove all’interno sono previsti alloggi che variano dai 25 ai 55 metri quadri, tutti forniti di blocco bagno-cucinotto aperto sul soggiorno, che può fungere da sala da pranzo e da disimpegno fra le stanze. Un progetto che risultò molto all’avanguardia al tempo. Ovviamente siamo in una dittatura e quindi il regime impone agli architetti di dare ai palazzi un’impronta razionalista (che è la prima cosa che salta all’occhio passando da quelle parti).
# Gli anni successivi
Credits: liminarivista.it set Rocco e i suoi fratelli
L’Italia, durante la guerra, subisce diversi bombardamenti che la distruggono. Quando il conflitto termina c’è una grande voglia di rinascita: bisogna ricostruire, bisogna tornare a vivere e piano piano si torna alla normalità e si arriva agli anni Sessanta, protagonisti di un vero miracolo italiano, protagonisti di una rinascita e di un’identità italiana di cui andare fieri e orgogliosi. Ripartono le attività, le fabbriche, i negozi, l’arte e il milanese Luchino Visconti inizia a girare il celebre film “Rocco e i suoi fratelli” con un immenso Alain Delon, un film che viene girato principalmente a Milano e in particolar modo alcune scene si svolgono proprio nel quartiere Fabio Filzi. A oggi quella pellicola è una testimonianza fondamentale per vedere com’era Milano negli anni Sessanta.
Le case realizzate tra il 1935 e il 1938 e che costituiscono il quartiere Fabio Filzi sono ancora lì, all’apparenza intatte. I suoi ingressi sono rimasti quelli storici in via Birago, viale Argonne e via Illirico e, a parte qualche piccolo intervento di ristrutturazione, non ha subito importanti stravolgimenti. La sua storia è rimasta intatta e continua a mantenere custoditi i suoi ricordi e il suo passato. Diverse critiche sono arrivate dai condomini che si sono lamentati all’ALER e al Comune di aver abbandonato il quartiere e di non averlo valorizzato come “reperto storico”.
Un passato e una storia non devono essere relegati a una semplice targhetta gialla affissa dal lato Illirico.
Tanta pioggia, nel mese di giugno. E il sole si è visto ben poco. I primi dati arrivano dal vicino Canton Ticino, come riportato da Ticino Online. Foto cover: horacio30
«A giugno dimezzate le ore di sole»: primi dati di una primavera da “glaciazione”
Ph. Pexels
# Dati da brividi
Sembrava ieri quando di questi tempi si gridava alla siccità e al riscaldamento del clima. Ma questa primavera si sta rivelando l’esatto contrario di quella che pareva una tendenza consolidata. Anzi. Dopo un maggio da record per le precipitazioni, giugno sta facendo anche peggio. Non solo pioggia. E’ proprio il sole a non farsi più vedere. I primi dati dal Meteo Svizzera sul Canton Ticino sono da brividi: le ore di sole si sono dimezzate rispetto alla media. Roba che neanche a febbraio in Norvegia.
# Maggio e Giugno al “buio”
«Effettivamente, stando ai dati raccolti fino al 23 giugno, questo mese le ore di sole nel Canton Ticino sono state circa la metà rispetto alla media di giugno del trentennio 1991-2020», conferma a Tio/20Minuti Stefano Zanini di MeteoSvizzera. E il dato si aggiunge a un maggio già da record, quando «Il soleggiamento ha raggiunto, a seconda delle zone, tra il 50 e il 65% rispetto alla media».
# «Ci eravamo abituati ad altro»
«Ci eravamo abituati ad altro» commenta Zanini, aggiungendo che i numeri parlano chiaro: «Il clima ha una variabilità, non tutti gli anni le stagioni sono le stesse», commenta però Zanini. «Quello che si può dire è che abbiamo avuto un 2023 secco, e un 2022 ancora più secco. Ci eravamo quindi quasi abituati a questa tendenza, e quest’anno stiamo attraversando un periodo molto umido e instabile».
Ma perché sta piovendo così tanto? «Non è facile individuare una causa specifica», premette l’esperto, «ma abbiamo avuto ripetute situazioni di sbarramento da sud, ovvero correnti umide da sud che si scontrano con le Alpi. Questo fenomeno ha portato abbondanti precipitazioni».
# Anche per luglio ci vuole l’ombrello
Luglio è alle porte, ma le premesse non sono buone. «Prosegue la tendenza all’instabilità, anche se in un contesto decisamente più caldo», spiega sempre Zanini che prevede un fine settimane con temperature che dovrebbero avvicinarsi ai trenta gradi. Ma non per molto. Per quanto riguarda invece l’inizio della prossima settimana «potrebbe esserci un nuovo passaggio perturbato. L’anticiclone che porta tempo stabile al momento non si vede ancora».
Il locale migliore per fare aperitivo a Milano? Lo abbiamo chiesto ai milanesi sulla nostra fanpage. Questi i risultati espressi dai nostri lettori superintenditori: come cambiano i risultati rispetto all’edizione 2023? Spoiler: al primo posto c’è sempre lui. Foto cover: @hallemardahl IG
Svetta nelle classifiche internazionali dei migliori bar da cocktail del mondo ma rispetto allo scorso anno scende di otto posizioni, restando comunque nella top 10. Ambiente rustico, cocktail insuperabili, ma molto piccolo, difficile trovare posto: forse questo lo penalizza.
Indirizzo: Viale Piave 1 (Porta Venezia – Municipio 3)
#9 Terrazza Triennale (New Entry)
Terrazza Triennale
La prima new entry rispetto al 2023 è Terrazza Triennale. Passata alla gestione di Compass Group Italia nel 2023, la proposta gastronomica è sempre curata da Tommaso Arrigoni, una stella Michelin con il suo ristorante Innocenti Evasioni di Milano. La novità per il 2024 sono le “meneghinas” servite all’aperitivo, delle tapas in salsa milanese fatte con il panettone.
Entra tra i primi 10 anche un’istituzione per gli appassionati della vita notturna, il locale iconico della Milano da bere, situato tra Brera e Corso Como. Il suo nome richiama il generale austriaco Radetzky, che fu governatore del Lombardo-Veneto per lungo tempo, sconfitto e costretto alla ritirata insieme all’esercito austriaco durante le “Cinque giornate di Milano”. Un grande vantaggio è godersi lo struscio lungo corso Garibaldi in una posizione strategica tra Largo La Foppa e i grattacieli di Porta Nuova.
Indirizzo: Corso Garibaldi, 105
#7 Cantine Isola (New Entry)
Credits: scattidigursto.it – Cantine Isola
Nel cuore di Chinatown si trova un altro storico indirizzo degli amanti degli aperitivi: Cantine Isola, che si prende la settimana posizione. Un locale rinomato per l’ampia varietà di vini che offre, una bottega storica aperta dal 1896, il luogo ideale per stappare bottiglie rare e gustare un calice di vino. Inoltre, è perfetta per l’aperitivo, con una selezione di cicheti in stile veneziano che vanno dal tradizionale mezzo uovo sodo ai crostini conditi con funghi o pomodori secchi.
Indirizzo: Via Paolo Sarpi, 30
#6 Gattullo (New Entry)
esperi.amo IG – Gattullo
Un 2024 che sembra un ritorno al futuro con diversi indirizzi storici che entrano nella top 10. Tra i più storici c’è lui: il bar-pasticceria Gattullo. Inaugurato negli anni ’60, è diventato nel corso di oltre cinquant’anni un punto di riferimento per persone di ogni tipo, dai celebri agli sconosciuti, artisti e sportivi, fino agli abitanti del quartiere e agli studenti della vicina Università Bocconi. Mantiene intatto il fascino dei tradizionali bar milanesi, con le pareti, il bancone e l’arredamento in legno, e seduti ai tavolini si può gustare un aperitivo coi fiocchi.
Indirizzo: Piazzale di Porta Lodovica, 2
#5 Gin Rosa (new Entry)
Credits: @soup_opera – ginrosa
Stesso discorso del precedente. Locale della Milano degli altri tempi, originariamente aperto come bottigliera nel 1820 a San Babila, è uno dei bar più antichi di Milano. Qui non si può che fare aperitivo con il famoso bitter rosa e profumato che ne ispira il nome, creato da una nobildonna piemontese. Lo stile e la cortesia del personale, sia al bancone che alla cassa, evocano la Milano di un tempo.
Indirizzo: Galleria San Babila
#4 Section80Bar (New Entry)
section80.bar IG
Tra le novità dell’anno e subito nelle prime posizioni tra i locali che offrono gli aperitivi migliori di Milano. Section80Bar è il nuovo locale nato dall’omonima casa di produzione milanese, dalla doppia anima. Uno spazio aperto alla creatività, dove leggere libri, guardare proiezioni tematiche e ascoltare musica che dalle 18.30 si trasforma in luogo dove fare aperitivo accompagnato da piccoli snack, scegliendo da una carta vini con 40 etichette di piccoli e medi produttori.
Indirizzo: via Carlo Farini, 44
#3 Bar Magenta (New Entry)
Credits Andrea Cherchi – Bar Magenta
La più alta new entry dell’anno è un altro luogo quasi leggendario per le serate di Milano. Il Bar Magenta, aperto da quasi 100 anni, dal 1907 per la precisione. Dai bancone retrò, secondo il parere dei milanesi, preparano l’aperitivo tra i più spettacolari di Milano, dai classici cocktail a quelli più sofisticati.
Indirizzo: via Giosue Carducci, 13
#2 Il Camparino (+6 posizioni)
credits: IG @camparinoingalleria
Il Camparino in Galleria si prende la seconda posizione, scalandone sei rispetto alla classifica precedente e insidiando la numero uno. Spicca per la sua location scenografica e conserva tutta l’allure dei bar di un tempo. Famoso per il suo aperitivo con l’inconfondibile cocktail dal colore rosso, il Campari, tra i conosciuti al mondo e nato proprio tra le mura del locale affacciato su Duomo e Galleria nel 1860.
Al primo posto c’è sempre lui. Per il secondo anno di fila svetta in classifica, una certezza per la zona di Porta Vittoria e non solo. Il luogo dove è nato il Negroni Sbagliato, e tutte le sere è affollato di gente fino sulla strada.
Quando dobbiamo spostarci da una parte all’altra di Milano, tendiamo a valutare esclusivamente i percorsi in metropolitana o con i mezzi di superficie. Perché non considerare il passante? Il passante è un’infrastruttura ferroviaria che attraversa la città da Nord-Ovest a Sud-Est e talvolta è anche più rapido della metro. In questo video cerchiamo di dimostrarvelo.
Milano è considerata universalmente come una città elegante, raffinata. Abbiamo chiesto ai milanesi di dirci quali sono le cose più eleganti che ci sono a Milano. Queste sono risultate le 10 superstar.
Milano è super-posh: queste sono le 10 cose più eleganti (secondo i milanesi)
# Galleria Vittorio Emanuele quando è deserta
Credits Andrea Cherchi – Interno Galleria
“La galleria di notte, quando è illuminata e non c’è nessuno“, scrive Andrea Rota. Quando il “salotto buono” di Milano è deserto lo si può godere in tutta la sua raffinatezza. Lo sapevate che quando fu inaugurata fu la prima galleria coperta commerciale d’Europa?
# Il duomo di notte
Credits: @andreacherchi_foto – Duomo illuminato
Con il calar delle tenebre la cattedrale gotica più grande del mondo diventa anche la più elegante. E’ anche una canzone, stupenda, di Alberto Fortis. Piroette di sabbia e le guglie del Duomo Differenza tra pietra e le voglie di un uomo Che ha per vita una gabbia
# I vecchi tram
Credits Andrea Cherchi – Tram fermo
Il fascino dei mitici tram 28 o Carrelli, con sedute e porte in legno, portalampade originali sono l’emblema dell’eleganza in movimento. Lo sapevate che il 28 è anche il più vecchio tram ancora in attività del mondo?
# I milanesi che vanno al lavoro
Credits Andrea Cherchi – Fashion week Milano
“Le persone eleganti che vanno a lavorare. Perché i milanesi sono eleganti anche a lavoro.”, dice Livio Severino. Uno stile inconfondibile. Una volta a Berlino un barista vedendomi con l’abito elegante mi ha chiesto: “ti vesti così perché hai bisogno di soldi?”.
# La zona Magenta
Foto redazione – Piazza Tommaseo
Forse la zona più elegante di Milano. Da Quinto Alpini a piazza Tommaseo, passando per via Venti Settembre e le sue meravigliose ville liberty, camminare tra le sue strade vuol dire rimanere stupiti ad ogni passo.
Non da meno è la zona di Porta Venezia, dove spicca lo stile Liberty, ma nono solo. Ci sono anche edifici in stile neoclassico, eclettico e rinascimentale. Il meglio lo è esprime Corso Venezia e le sue vie traverse.
Per chi viene da fuori è Via Montenapoleone. Ma per i milanesi la via più elegantedel Quadrilatero della Moda è lei. Da via Manzoni a via Bagutta, si fa riconoscere per la pietra al posto dell’asfalto, per le sua larghezza ridotta a renderla intima ai passanti e le sue boutique
# Il Teatro alla Scala
Credits dimitrisvetsikas1969-pixabay – Teatro alla Scala
Non poteva mancare il Teatro alla Scala, il più importante teatro dell’opera al mondo, con il suo stile sobrio ed elegante all’esterno, sfarzoso all’interno.
# L’ “allure” che si respira
Foto Alessandro Kerze Man – MFW Milano 2024
Lasciamolo spiegare ad Andreina Sbarretti: “L’allure” che vi si respira e che ti cattura. Sei a Milano e sai che dire Milano non è soltanto dire il nome proprio di una città, ma è aprire un mondo: città dinamica, moderna, proiettata verso l’Europa, moda, opportunità.
Tralascio arte e cultura perché sono proprie anche di altre città, ma non avendo esse tutto il resto appena menzionato, non sortiscono lo stesso effetto, non ti incutono la stessa soggezione verso una tangibile eleganza che subito si nota e percepisce, ma che, eppure, non indispone o infastidisce, anzi, ti invoglia a farla propria, a imparare da essa.
Quando sono a Milano, più che in un altro posto, sento forte il desiderio di presentarmi al meglio, di tenere il tono della voce basso e mi sento immediatamente cittadina del mondo, magicamente proiettata oltre “quell’ermo colle che il guardo esclude”, qualunque sia il luogo da cui provengo.”
# Giorgio Armani
Credits: notizie.it – Giorgio Armani
Re Giorgio rappresenta l’essenza dell’eleganza. Per il suo stile e per i suoi abiti, che si sposano perfettamente con l’anima della città. Celebre la sua frase sul tema: “L’eleganza non è farsi notare, ma farsi ricordare”. E in questo Milano e Armani sono maestri.
Un lavoro di ricerca lungo alcuni anni ha prodotto un elenco di 90 piazze di Milano. Accomunate da uno stesso particolare: sono senza un nome. Vediamo nel dettaglio quanto pubblicato da Urbanfile.
Un lavoro durato diversi anni quello di Roberto Arsuffi, e alcuni suoi colleghi, pubblicato su Urbanfile. Prendendo la mappa del Comune di Milano e facendo una verifica di tutti gli slarghi, spiazzi o piazzette senza nome hanno individuato almeno 90 potenziali piazze a cui assegnare un nome in città. Palazzo Marino propende più per intitolare giardini e aiuole, forse per evitare di dover modificare gli indirizzi dei residenti, con tutte le conseguenze del caso.
Vediamo quindi quali sono le piazze, ognuna individuabile con il numero della mappa.
# Quattro nel centro storico
Urbanfile – Rendering suggestione di trasformazione piazzetta Via Larga, oggi parcheggio per auto
Nel centro storico potrebbero essere quattro le aree indiziate per avere un nome:
una piazzetta tra via Larga, via Sant’Antonio e Via Bergamini;
lo slargo tra via Larga, via Albricci e via Pantano;
l’incrocio tra via Lanzone, via Orazio, via Francesco Novati e via S. Pio V.
via Morozzo della Rocca
# Sette tra i quartieri di Porta Genova e Porta Vercellina
Maps – Via Solari e via Montevideo
Nel quadrante ovest della città troviamo:
5. l’area dove si incrociano via Solari e via Montevideo;
6. la piazza tra via Bergognone incrocia via Tortona, appena rinominata in Largo Delle Culture;
7. lo slargo tra via Washington e via Foppa;
8. la piazzetta tra via Emilio Motta, via Giovanni Battista Soresina e via Bartolomeo;
9. l’enorme piazzale tra via Mario Pagano, via Giotto e via del Bucchiello;
10. una piazzetta tra via Marghera, via Cuneo e via Ravizza;
11. dove via Sardegna e incrocia Via Antonio Cecchi e Viale Ergisto Bezzi.
# Cinque piazze a nord ovest tra Figino, San Siro e Gallaratese
C’è un mostro che si aggira a Milano. Un grosso serpente, un drago sputafuoco: le sue origini risalgono a un’età antica della città, quando a Sud Est era bagnata da un grande lago.
Sulla facciata del Duomo c’è un lungo mostricciattolo, che può essere scambiato per un dinosauro. Ancora più celebre è l’enorme serpente che divora un bambino, effigiato nello stemma del Comune di Milano.
# Un “mostro” ancora presente a Milano
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Ma c’è di più: che cosa ci fanno palafitte e lo scheletro di uno pseudo balenottero nelle campagne tra Milano, Pavia e Cremona? Ad essere precisi, per la Pianura Padana ne troviamo ben due: una nella chiesa di San Cristoforo, nel lodigiano, l’altra nella chiesa di San Bassiano, a Pizzighettone.
E come la mettiamo con la questione delle piroghe, ben undici, ritrovate tra i fiumi Serio, l’Adda e l’Oglio, negli anni Settanta, e datate tra il 400 ed il 750 dopo Cristo?
A tutti questi quesiti l’unica risposta valida è: tutta colpa del mostro di Loch Ness di Milano.
Sì, perché anche Milano ha avuto il suo lago e all’interno non poteva che viverci un mostro tremendo, puzzolente. Il mostro Tarantasio che viveva nel Lago Gerundo.
# I “resti” del lago Gerundo
Lago Gerundo
A convalidare questa tradizione ci sono diversi aspetti.
Innanzitutto, la toponomastica. Passando in rassegna i nomi dei luoghi si scoprono cascine come la Taranta, tra Cassano d’Adda e Treviglio, oppure i paesi Gera d’Adda, Gerola,Girola.
Poi c’è la geologia. Anche gli studiosi ritengono che, appena fuori di Milano, ci fosse un lago preistorico, paludoso, malsano, ricco di ghiaia, il cui sottosuolo emanava metano e idrogeno solforato. Un inferno di posto che rievoca Ăchĕrōn, in greco, il fiume infernale Acheronte. Ma Gerundo può venire anche da géra, la “ghiaia” (oppure gérola), letteralmente “sasso”.
Tuttavia, le suggestioni e le favole sono più intriganti della scienza.
# Tarantasio, il mostro del lago Gerundo
Credits 4passi a Lodi e dintorni – Mostro Tarantasio
Nasce così la storia di Tarantasio, il drago-dinosauro nato dalla tomba del perfido Ezzelino da Romano. Tarantasio si avvicinava alle rive del lago mangiando uomini e bambini, dall’alito asfissiante – come le esalazioni di metano -, al quale venivano offerti sacrifici umani.
Una volta toccò anche al figlio del fondatore della dinastia dei Visconti il quale, impavido, con un colpo di spada strappò dalle fauci del mostro il suo erede, distruggendo l’avversario.
Per eliminare ogni pericolo di qualunque ritorno, Visconti fece prosciugare il lago di Gerundo e bonificare la palude. Per eternare l’impresa, poi, prese l’immagine di quella vittoria e la forgiò su pietra.
Nasceva così il Biscione, il simbolo di Milano. Secondo qualcuno il merito non fu di un Visconti ma dell’unico Federico Barbarossa, ma il mostro c’era e il lago pure. E nella tradizione popolare ci sarà sempre.
Meno famosi della cotolettae del panettone, nella tradizione culinaria di Milano ci sono anche loro. Sono stati insigniti come “piatto di denominazione comunale“.
I mondeghili, le “polpette alla milanese”, lanciano la sfida alla cotoletta
# Le polpette alla milanese di origine… araba
Mondeghili
In Italia il termine polpetta si riferisce ad una preparazione prevalentemente tondeggiante a base di carne trita, a Milano questo stesso tipo di preparazione viene indicata come mondeghili. Questo modo di fare le polpette si diffuse nella Milano del Cinquecento durante l’occupazione spagnola. In verità non fu un’invenzione degli spagnoli, ma degli arabi che insegnarono agli spagnoli l’uso di confezionare una sfera di carne trita, per poi friggerla. I castigliani chiamarono questa preparazione “albondiga” che diventò a Milano albondeghito, fino ad arrivare a “mondeghilo”.
# La ricetta
Mondeghili. Fonte: Agrodolce
La ricetta, nata per il recupero del manzo avanzato, prevede un impasto arricchito con salsiccia, salame crudo o mortadella.
Quindi pane bagnato nel latte, uovo, Grana padano, aglio o cipolla, noce moscata.
I mondeghili vanno fritti nel burro rosso, lo stesso che dovrà essere usato per schiumarli una volta disposti nel piatto di portata.
Questa la ricetta tradizionale:
Ingredienti per 4 persone
· 300 g. avanzi di carne lessata;
· Un uovo;
· Una mollica di rosetta di pane bagnata nel latte, strizzata e passata al setaccio;
· Prezzemolo tritato;
· Buccia gialla di limone a volontà;
· Sale;
· Burro
Procedimento
Impastare il tutto, farne delle pallottole grosse come una noce e schiacciare un poco, impanarle e friggerle nel burro fatto imbiondire.
# Piatto DOC
Il Comune di Milano, con delibera della Giunta Comunale in data 17-03-2008, ha concesso il riconoscimento di Denominazione Comunale (De.Co.) ai Mondeghili.
La De.Co. (Denominazione Comunale) sta ad indicare l’appartenenza di un prodotto, di un piatto ad un territorio.
C’è una ferita verde nel cuore di Milano. In pieno centro c’era un luogo magico, un’oasi di alberi e di giardini all’inglese. E’ stato chiuso nel 2017. Al suo posto doveva sorgere un “Colosseo verde”. Da inaugurare nel 2022. Da allora sono stati tagliati gli splendidi alberi ma al suo posto resta una radura brulla e inaccessibile. E, soprattutto, nessuna notizia su quello che succederà. Ma procediamo con ordine.
Nei pressi delle Colonne di San Lorenzo si trova il Parco Archeologico. Diciamolo subito: non è una delle mete turistiche principali della città. A dire il vero non rende neppure molto l’idea di quanto monumentale fosse la costruzione che conteneva.
Si trattava di una delle opere pubbliche più importanti della Milano capitale dell’Impero Romano: l’Anfiteatro. Vero richiamo per l’intera popolazione di Mediolanum e vetrina per lo stesso Imperatore.
Quel che resta dell’anfiteatro di Milano
# Un parco quasi inaccessibile
l’ingresso del parco
Quel che resta oggi e che possiamo visitare è purtroppo davvero poco: solamente le fondazioni (parziali) sono visibili nel “Parco archeologico dell’anfiteatro romano“, un parco che oltre ad avere alcuni reperti archeologici, è particolarmente riservato, visto che al suo interno non c’è mai nessuno. Anche perchè la mancanza di ingressi e gli orari di chiusura lo rendono praticamente inaccessibile.
Ci sono due cancelli che darebbero l’accesso diretto al parco. Uno in via De Amicis, l’altro in Via Arena. Ma sono sempre chiusi. Ci sarebbe anche un terzo ingresso teorico, che fino al 2017 era costituito dal Vivaio Riva, ma anche il Vivaio è stato chiuso. Per entrare, l’unico modo è di individuare il portone di un palazzo di via De Amicis 17, un ex monastero femminile. Già era poco accessibile, ora lo è diventato ancor di più per i lavori del grandioso progetto del Colosseo Verde. Progetto per cui è stato smantellato il Vivaio Riva, l’oasi verde nel cuore di Milano che ha resistito alla Grande Guerra ma non alle forche caudine della burocrazia.
# Il Vivaio Riva: smantellato per un “progetto grandioso”
Com’era (Vivaio Riva)
In questo caso il Comune non c’entra, anche se sorprende che abbia ceduto alla Sovrintendenza a costo zero anche l’area di sua proprietà dove, dagli anni venti fino a dicembre del 2017 sorgeva il Vivaio Riva. Altra area verde che, oltre ad aver fatto la storia di Milano, almeno era aperta al pubblico. Il Vivaio Riva è stato chiuso per costruire al suo posto un’opera ambiziosa: il Colosseo di Milano.
# Il Colosseo di Milano: “inaugurazione nel 2022”. Chi l’ha visto?
I primi lavori sono iniziati nel 2018 per realizzare “il più vasto parco archeologico della città”. Il nuovo parco di circa 22.300 mila mq, con i resti antichi lasciati a vista, dovrebbe prendere il nome di PAN, Parco Amphitheatrum Naturae. Il progetto a firma dell’architetto Attilio Stocchi prevede la sistemazione dell’intera area, raddoppiata dopo l’acquisizione da parte del Comune di quasi tre terzi del terreno, di proprietà private fino a qualche anno fa, con la riproduzione dell’impronta del “Colosseo milanese”.
Il progetto prevedeva la realizzazione del Colosseo fatto di 1.700 mq di cespugli sagomati di bosso, ligustro e mirto a raggiera e alberature di cipressi disposti al bordo, dove sorgeva la facciata curvilinea, a completamento dei resti archeologici esposti nell’area. Un progetto di land art che avrebbe dovuto recuperare il tema della simbiosi tra natura e antichità, riportando in vita attraverso la vegetazione un patrimonio antico scomparso. L’inaugurazione annunciata: entro il 2022.
# Il mistero del Colosseo scomparso
Ma quello che accade al progetto di Colosseo Verde e del nuovo parco archeologico è ancora avvolto dal mistero. Se si cerca su Google (vedi immagine sopra), viene ancora annunciata la sua apertura nel 2022. Ma siamo nel 2024 e nulla è ancora successo. In cerca di informazioni proviamo ad andare sul sito web del parco dove fino a qualche mese fa si trovavano gli orari e qualche interessante informazione sulla Milano imperiale. Purtroppo il sito che risultava aggiornato al 2015 conduce oggi a una schermata vuota. Così come lo spazio prima coperto di alberi oggi è un luogo brullo, inospitale, inaccessibile ai cittadini.
# La “madre” del progetto è stata trasferita a Firenze
Com’è oggi (ex Vivaio RIva)
Com’è oggi (ex Vivaio RIva)
Com’è oggi (ex Vivaio RIva)
Com’è oggi (ex Vivaio RIva)
Com’è oggi (ex Vivaio RIva)
Una ragione di questa impasse potrebbe essere quello che è successo alla sua ideatrice. Il progetto del Colosseo Verde è stato fortemente voluto dall’allora Soprintendente a Milano: Antonella Ranaldi. Ma dal novembre del 2022 è diventata Soprintendente Archeologia, Belle arti e Paesaggio per la città metropolitana di Firenze e le province di Pistoia e Prato. Dietro di lei ha lasciato il deserto. Letteralmente.
Il risultato è che dopo sette anni dalla chiusura del Vivaio Riva, il gioiello verde nel cuore di Milano, che era aperto e disponibile al pubblico, ancora nulla si vede al suo posto. Nessuna traccia. E scadenze mai rispettate, non solo: neppure vengono comunicate. In una Milano che parla tanto di verde, stupisce la scarsa disponibilità di un parco nel cuore della città e una simile trascuratezza nel rispettare quanto comunicato ai cittadini sulla sua completa riapertura. A meno che non prendano piede le ombre che avevano accompagnato la chiusura del Vivaio Riva: quello che non è un mistero, infatti, è che si tratta di uno spazio parecchio appetibile per i costruttori…
A Milano Nord, al confine tra i distretti di Dergano e Affori, c’è una terra di nessuno che ben esplicitava il senso di una frase dell’ex sindaco Pisapia: ci vorranno sessant’anni prima che tutte le ex aree industriali della città siano riqualificate.
Se i due quartieri nel loro complesso godono di buona salute e sono in ripresa come buona parte delle periferie cittadine, questa area è in stato di completa putrefazione. Andiamo a visitarla con tanto di shooting fotografico dei suoi monumenti più illustri.
Via Cialdini comincia là dove via Tartini fa ciao ciao con la manina ai regionali per Torino. Ma la messa in sicurezza del sottopasso, millantata dall’amministrazione, non è altro che una soluzione temporanea, già degradata. Sullo sfondo notiamo una lavatrice e dei materassi dell’abitudine italica alla discarica urbana.
# Okkupare
Lorenzo Zucchi – Degrado
Poco oltre, ignorando la parte terminale di Via Zambelli che corre parallela ai binari (queste zone non possono brillare) eccoci davanti a un edificio che ospitava prima un’azienda e poi una comunità di persone con lenzuola appese fuori. Non che faccia molta differenza in ogni caso, davanti al degrado di un palazzo abbandonato.
# Il corriere scaduto
Lorenzo Zucchi – Ex Corriere
Questa area si era riempita di corrieri dopo il boom della Bovisa, dove è tuttora presente una sede importante di BRT (Bartolini) oltre ad altri operatori minori. Ma in via Grazioli, superata una simpatica trattoria e un bell’esempio di parcheggio riqualificato con gli alberi, ecco uno dei tanti esempi di aree abbandonate un tempo occupate dal business dei pacchi. Avremmo potuto focalizzare il nostro reportage anche solo su queste strutture.
# Il cantiere infinito
Lorenzo Zucchi – Il cantiere infinito
Via Grazioli prosegue con una delle più grandi attrazioni di questa zona: il cantiere infinito. Da almeno vent’anni lo scheletro di questo palazzo molto più alto di quelli circostanti simboleggia la terra di nessuno. Proprio di fronte sta per partire lo splendido progetto immobiliare di Grazioli 73, dove si legge che la Terra di Nessuno è un quartiere bohemien.Il cantiere infinito è stato ripreso a ondate regolari, per brevi periodi, senza riuscire ad avanzare alle fasi conclusive. Poco oltre, all’angolo con via Pedroni, un ex locale per appuntamenti sta riverniciando una nuova esistenza, a fianco dei TIR parcheggiati di via Leningrado.
# La palazzina da deserto dei tartari
Lorenzo Zucchi – Palazzina da demolire
Via Montanari inizia con questo bell’esempio di palazzina destinata a una demolizione che mai ha luogo. Sembra quasi di sentire il piagnisteo di chi potrebbe avere da ridire sul fatto che l’edificio potrebbe essere preservato. In realtà la via non è certo uniforme da un punto di vista architettonico, anche se poco più in là si allarga in un inedito slargo di Norvegia bucolica, tra capannoni in amianto che sembrano casette di legno e aiuole ben curate.
# Il Bosco Finlandese
Lorenzo Zucchi – Il “bosco finlandese”
A fianco del cantiere c’è quello che ormai è divenuto un bosco finlandese di piante cresciute spontanee (dal lato di via Grazioli sono anche più grandi). Indipendentemente dalla proprietà, chiediamo al comune di preservare quest’area verde. Quanto ad aree abbandonate dove poter far edificare, qui attorno c’è solo l’imbarazzo della scelta. Qui, no, grazie. Ci vedremmo bene un bel giardino rigoglioso.
# L’occhio del malocchio
Lorenzo Zucchi – Ex complesso di spedizionieri
Tornati su via Cialdini, all’incrocio con via Grazioli troviamo questo ex complesso di spedizionieri dal doppio cortile fatiscente. A fianco c’è una fabbrica che è stata recentemente restaurata, mentre dall’altro l’edilizia convenzionata ha creato due palazzi iconici per la loro altezza. Qui serve solo l’iniziativa di un costruttore che riporti in vita l’angolo morto con una bella palazzina balconata. Di fronte, una vecchia cascina lombarda renderà l’ambiente sempre molto da periferia milanese, anche nella Terra di Nessuno.
# Il Gigante Svizzero che produceva cannoni
Lorenzo Zucchi – Ex complesso Oerlikon-Brühle
Proseguendo verso nord lungo via Cialdini ecco l’ex complesso industriale, la Oerlikon-Brühle, sede italiana di un’azienda svizzera, dove si producevano cannoni. Negli anni ’60 devastò il centro di Affori, ora faticosamente recuperato grazie all’Esselunga e agli alberi piantati sul giardino del lato nord della fabbrica abbandonata. Non si farà più la gronda nord di viabilità, che pure sarebbe stata utile, per cui è tempo di investire in quest’area dal grande potenziale, gommisti e alberi che crescono rapidamente ai ritmi delle ultime stagioni tropicali.
# La teoria della finestre rotte
Lorenzo Zucchi – Ex azienda trasporti
Di fronte al cadavere della Oerlikon, c’è quello meno monumentale di una piccola azienda di trasporti, messa in sicurezza tempo fa con l’aggiunta delle transenne che causarono già la rimozione o il taglio di un certo numero di piante spontanee. Negli ultimi mesi l’edificio si sta letteralmente svuotando: chi può entra e preleva qualsiasi cosa possa essere utile, mattoni inclusi, un po’ come nella famosa Teoria delle Finestre Rotte. Il disordine della Terra di Nessuno è fortemente contagioso.
# Il progetto immobiliare
Lorenzo Zucchi – Progetto immobiliare fermo
Fino a qualche mese fa nell’ultimo tratto di via Cialdini che costeggia l’ingombrante cadavere dell’Oerlikon campeggiava un render in manifesto che annunciava la prossima costruzione di palazzine residenziali al posto dell’ennesima azienda di trasporti. Purtroppo, la speranza di rilancio della Terra di Nessuno è ritardata anche da questi progetti che un giorno nascono e quello successivo muoiono. Eppure, qui, ormai siamo in pieno nel distretto di Affori, con bar, ristoranti e attività commerciali a poca distanza.
# Vita nuova
Lorenzo Zucchi -Area abbandonato
Imbocchiamo una laterale che connette via Cialdini con via Pedroni e che ufficialmente non ha nome, essendo i suoi civici relativi alla stessa via Pedroni. Appena dietro al complesso del progetto immobiliare saltato, l’area si presenta per chi scrive con due novità inattese. Il manto stradale pieno di buche è stato riparato. E il complesso fatiscente di mattoni che occupava il lato nord della strada è stato recentemente demolito. L’area è enorme e non so quanto sia appetibile un complesso circondato dalla fatiscenza, ma perlomeno qualche spiraglio di futuro qui si intravede, anche per la Terra di Nessuno.
# Il logo di design
Lorenzo Zucchi – Ex Aurora
Tornati in via Pedroni, alla fine di questo nostro percorso attraverso le attrazioni della Terra di Nessuno, ci imbattiamo in questo ex edificio industriale, utilizzato impropriamente come discarica abusiva da chi arriva a scaricare negli orari di chiusura della vicina ricicleria dell’AMSA (e non solo). La proprietà era dell’Aurora, un’azienda con un logo ancora chiaramente visibile dai locali della ricicleria. Una “A” rosa degli anni Settanta, con tanto di tricolore. Faccio un appello a chi demolirà: ricordatevi di me, mandatemi quella lettera a fare modernariato nel mio salotto. Saluti dalla Terra di Nessuno!
Il tunnel sottomarino diventerebbe il più lungo del mondo. Ecco il progetto dell’alta velocità ferroviaria tra Cina e Usa.
Alta velocità in treno sotto l’Oceano tra Cina e Usa: è il progetto del millennio?
# Un progetto da 200 miliardi di dollari con il tunnel sottomarino più lungo del mondo
Credits: futuroprossimo.it – Treno sottomarino
La linea ferroviaria China-Russia-Canada-America è un progetto che prevede un treno superveloce, a lievitazione magnetica, che colleghi Cina e Stati Uniti attraverso un tunnel sottomarino.
Credite everyeyetech – Tunnel
Il tragitto ipotizzato è lungo 13.000 chilometri, per un costo complessivo dell’opera stimato in circa 200 miliardi di dollari. Il tunnel sarebbe lungo circa 200 km, quattro volte superiore a quello del tunnel della Manica, e diventerebbe il più lungo al mondo.
# Il viaggio durerebbe poco più di 2 giorni
Credits wired.it – Tracciato Cina-Usa
Come ricorda il sito Tech Fanpage il viaggio inizierebbe nel nord-est della Cina, attraversando la Siberia e le acque dell’Oceano Pacifico attraverso lo stretto di Bering dove verrebbe realizzato il tunnel. Dopo essersi inabissato il treno riemergerebbe in superficie in Alaska, per poi procedere attraverso il Canada, con passaggio da Yukon alla Columbia Britannica, per giungere di nuovo negli Stati Uniti. Tutto il viaggio durerebbe circa 55 ore grazie a una velocità media di crociera di 350 km/h.
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
Letteralmente “Vai in chiesa a farti benedire”, viene utilizzato per qualcuno che si deve togliere di torno. Ma detto in modo carino.
#2 Va scuà l mar cun la furchèta
Credi: rinopolloni.wordpress.com
Quando qualcuno è inutile in italiano si può consigliargli di “andare a pettinare le bambole”, ma in milanese no. La versione meneghina per dire a qualcuno di perdere tempo altrove è “Vai a scopare il mare con la forchetta”.
#3 L’ha becaa l’oca!
Credit: imieianimali.it
“L’ha beccato l’oca!”. Questa frase non si usa per spiegare come qualcuno si è fatto male, ma quando ci si riferisce ad una persona considerata pazza, fuori di testa.
#4 Và a ‘drisàa i banan
Credit: tuttogreen.it
Un altro modo per insultare qualcuno in milanese, pur non essendo volgari, è “Vai a raddrizzare le banane”. Che si utilizza come la versione italiana “vai a quel paese”.
#5 Và a mung al tor cunt la sidela russa
Credit: europa today
Questa non ha bisogno di un’attenta analisi per essere capita, “vai a mungere il toro con la secchia rossa”è un gentile invito a fare qualcosa di pericoloso. Un po’ come quando si consiglia a qualcuno di “giocare a moscacieca in autostrada”.
#6 Uregia panada
Si utilizza questa frase per dare a qualcuno dello stupido, ma indirettamente. L’orecchia impanata infatti allude all’orecchia di elefante, senza insultare direttamente il malcapitato.
#7 Và a Bagg a sonà l’orghen
Credits: Organo chiesa vecchia di Baggio | screanzatopo (YouTube)
Questo può essere capito solo se contestualizzato. “Vai a Baggio a suonare l’organo” fa riferimento alla chiesa Sant’Apollinare di Baggio che l’organo ce l’ha solo disegnato… e quindi difficilmente potrà essere suonato. E’ usato per togliersi dai piedi qualcuno di indesiderato, ed è la versione , forse un po’ più gentile, del napoletano “Vattinne”.
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
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