Fase 2… di PICCHE

È il mio 8 settembre 1943: hanno illuso anche me, hanno tradito anche me, non ho più un re e niente in cui possa riconoscermi...

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Foto: Andrea Cherchi (c)

Stasera la bisca clandestina di stasera è piena di rabbia e di fumo.

La partita di poker è inquinata dall’amara discussione sulla fantomatica Fase Due. Di picche. Questa banda di vecchiacci sderenati, che fino all’altrieri bivaccava nei pressi dei cantieri, adesso avverte la pulsione del popolo di Marco Polo, Cristoforo Colombo, Amerigo Vespucci e del Profeta Mansur. Si sentono oppressi. Vogliono andare, vogliono fare, vogliono partire, coi loro femori di titanio, i girelli e i cateteri, alla riconquista del mondo.

Pesa che il Ticino, le Alpi, il Po e l’Adige siano di nuovo muri invalicabili. Pesa la sensazione di essere intrappolati in una delle più belle regioni del più bel Paese del mondo, figa manca l’aria.

Il Longo, rinomato gastronomo milanese, è in ebollizione. “Ma se demòni l’è un congiunto? L’è il participio passato di congiungere, no? E pö, inn andà tücch à manovèlla, ormai si saranno pure disgiunti, ostia”!

Sullo svogliato tavolo da poker aleggia un’aria di scoramento.

“Sembra l’8 settembre”, dice sconsolata la ex tenutaria di casa chiusa Britton Rivelli D’Agogna, che nel 1943 era una sognante baldracca esordiente. Due carte.
“Già. Stesso tanfo di tradimento, stessa approssimazione… Sembrava dovesse finire, e invece”… A me una, grazie.
“E invece abbiam dovuto convivere coi repubblichini e coi tedeschi, per mesi. E adesso col virus”. Sto.
“E neanche allora ce l’han detto chiaro e tondo”… Vedo.
“Ah no, certo che no… com’era? Ah si, le forze armate però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza! Ma ci voleva tanto a dire quello che tutti sapevano? Che il peggio comincia adesso, che ci piaccia o no”? Vedo anch’io.
“Eh, ma sai come vanno queste cose, per non allarmare la popolazione dicono le cose un po’ alla volta…” fa il sempre succube Zambelli, lascio.
“…che è come prenderlo in culo un po’ alla volta, caro mio, ma alla fine sempre in culo te lo ritrovi”, rimbecca con elegante disincanto il Lauria. Full.

“Avvocato, la vedo un po’ distratto. Come va col pupo”?
“Il Marco? Bene. A parte i compiti di matematica, cazzo li odio. È’ tutto il giorno che riempio e svuoto vasche con rubinetti che perdono e lavandini coi tappi che saltano. Mi scoppia la testa”.
Il professor Guarnaccia, scandalizzato, sta per lanciarsi in una pippa infinita sulle proporzioni ma viene immediatamente zittito dall’Ettore, il marito della Genny, recentemente scampato ad un mezzo infarto, che approfittando del sonno pesante della moglie ex catechista s’è fatto un giro alla bisca.

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La verità è che sì, da quando s’è iniziato a parlare di Fase 2, non riesco a non pensare ad altro che ad uscire un po’ da Milano.

E invece mi sento un coglione per averci sperato. Mi sento come un adolescente in una di quelle serate in cui esci col testosterone a mille e torni a casa col due di picche in tasca.

Qualche anno fa, per quattro soldi, mi sono tolto lo sfizio di una casetta in collina, in una frazione con 39 residenti premorti, i cui figli, residenti in città, sono già pronti con gli annunci mortuari in una mano ed il cartello “vendesi” nell’altra. Un investimento a perdere ma per passarci il weekend, per ospitare gli amici, per staccare un po’ da una vita che -ora sembra lontanissima- si sgranava in minuti, anziché in ore o giorni. Niente di pretenzioso, è una porzione di cascina ai margini del paesello, coi suoi bravi caminetti e le pentole di rame ed con un po’ di terreno attorno, un piccolo frutteto rinselvatichito e svariati, inutili, incontrollabili ettari di bosco dominati da una cosca di cinghiali intrattabili. Il tutto al costo di un garage in Area B.

Tutti la chiamavano proprio così, la “casetta”, finché non è iniziato l’isolamento.

Poi, via via che il tempo passava e le mura domestiche sembravano farsi più opprimenti (in realtà loro sono rimaste al loro posto. Siamo ingrassati noi. Questione di prospettive), la “casetta” ha scalato la gerarchia dei ranghi onirici, e da “casa di campagna” è salita a “cascina ristrutturata”, da lì a da “villa con parco” fino a “la tenuta”. A sentirne l’elegia, sembra Downton Abbey.

Ma è davvero una casetta, coi caminetti e le pentole di rame, immersa nel silenzio di un mare verde alle spalle d’una distesa di risaie a perdita d’occhio, che da metà maggio, con l’ossidazione, sembra un oceano viola a quadretti. Ora che la primavera è esplosa, posso solo immaginare il delirio di colori e di profumi della campagna, le prime visciole e le ciliegie in arrivo e tutto il resto.
Sarebbe il posto ideale per isolarsi e lavorare in smart working, insomma per fare niente di diverso rispetto a quello che già faccio qua da settimane, se non fosse che quest’incanto di posto è ad una ventina di chilometri dal confine lombardo, forse meno, appena al di là del Sesia.
Ma, stando alle disposizioni della “Fase Due” è come se fosse a Tunisi, o in Patagonia, o a Bora Bora.

Ovviamente mi sono domandato, come poterla raggiungere, e sono sprofondato in un delirio pianificatorio in stile militare studiandomi tutti i punti di accesso, terrestri e fluviali, per aggirare i controlli, che in zona mi riferiscono essere capillari e severissimi. Non nascondo di aver attinto anche ai miei amatissimi libri di storia, solo per constatare che il Monferrato non è mai stato invaso da ovest. Cazzo, mai. E’ circondato da fiumi non navigabili, i fiumi hanno ponti, i ponti hanno posti di blocco. E’ inespugnabile.

Ora, è ovvio che potrei inventarmi una scusa, e anche molto credibile, per andare lì.

Potrei inventarmi un congiunto, che so: una prozia, un propinquo, un addentellato di quelli che neanche la prova del DNA, ci vuole un notaio per capire se è entro il sesto grado o no. Potrei inventarmi d’aver lasciato là, prima della pandemia, un qualche documento originale importantissimo ed insostituibile; diversi locali si sono già offerti di manomettere la casa, rompere tubi e provocare cortocircuiti per simulare una situazione d’emergenza, ma come farei a giustificare la presenza in auto di due gatti e, se l’Eugenia non se lo riprende, del Marco, che almeno potrebbe farsi una corsa nei prati?

Potrei, è ovvio. Potrei sbattere gli occhioni e dire al carabiniere di turno “metta che si rompa l’auto e non riesca a tornare, chi si occuperebbe di loro”? “metta che mi viene un colpo, chi si occuperebbe di me”? “metta ‘sti cento euro in tasca e pensi alla salute”. Oppure potrei lanciarmi in un’invettiva benaltrista, tipo “ma invece di rompere i coglioni alla gente per bene, perché non va ad arrestare i delinquenti veri?”, o una filippica neomarziale, “lei si vergogni, con quell’uniforme in disordine”, ma non è nel mio carattere.

Non è nel mio carattere violare la legge, maledizione.

Faccio l’avvocato, la legge l’ho piegata e insozzata mille volte, ma quella è naja, è lavoro, e dall’altra parte c’è sempre stato qualcuno che l’ha piegata e insozzata peggio di me. No, il problema è che io sono milanese. Calvinista dentro. E per di più sono stato cresciuto da un milanese vecchio stampo, di quelli per cui “prima il dovere e poi il dovere: fatti piacere il dovere e ti diverti due volte”.

E poi mi conosco. Davanti all’agente che mi fa la morale, col ditino, insomma proprio lei che è avvocato dovrebbe dare il buon esempio, bla bla bla, duro cinque minuti, poi esplodo. Il misurato e pettinato professionista cede il posto ad uno scaricatore di porto empio e blasfemo, una bestia immonda, un licantropo, l’Idra di Lerna. Altro che multa, è roba da manicomio criminale.

Sicché sono qui e resto qui, rosico e sbavo, rogno e soffio come un mantice e sono incazzato come una tigre in gabbia, ma è il mio 8 settembre 1943: hanno illuso anche me, hanno tradito anche me, non ho più un re e niente in cui possa riconoscermi: ma ora è il mio turno, di ributtare i tedeschi a calci nel culo oltre le Alpi. Anche se i tedeschi, adesso, sono un cazzillo a forma di corona che manco si vede, e gli Alleati sono delle persone col camice verde.

È che la resistenza non la combatti dove ti piace, o quando ti piace, o facendo quello che ti piace.
Combatti dalla posizione che t’hanno assegnato.
E per il momento, il mio posto di tiro è ancora qui.

ANDREA BULLO

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