MILANO

In questo penultimo video di questa serie di video parliamo di Milano, per applicare e rivedere concretamente i concetti espressi nei video precedenti e per illustrare le condizioni essenziali per un nostro eventuale impegno attivo nella politica locale

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Trascrizione integrale del video del Direttore Andrea Zoppolato “L’estate di FILOSOFIA POLITICA – Settima e ultima puntata: Milano”

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Buongiorno a tutti e benvenuti a questo nuovo video dell’estate di filosofia politica. Oggi è l’ultimo video di questa serie di video e oggi si parla di Milano, e secondo me è un modo anche per mettere a terra quello che si è detto nei giorni scorsi. Questi sono video che sono di introduzione alla scuola di formazione politica che si farà a fine settembre e riprenderà questi concetti. Ci saranno tanti protagonisti della politica, della cultura e del mondo intellettuale che li tratteranno in modo anche più concreto. Comunque invito tutti quelli che vogliono svolgere un ruolo di impatto sulla società a fare questa scuola. Il centro di tutto è appunto la filosofia politica perché a nostro avviso quello che si è perso nella politica è proprio il concetto filosofico, cioè quello dell’interrogarsi sulle cause e soprattutto sul fine del fare politica. Abbiamo visto, prima di parlare Milano, anzi ricollegando Milano con quello che si è visto negli scorsi video, tanti mi hanno detto ma perché ce l’ha così con i politici. In realtà come ho detto nei video, io dico che a differenza degli altri mestieri, il politico tendenzialmente soprattutto nella nostra epoca non svolge bene il suo mestiere. Sostanzialmente per questo motivo. Allora innanzitutto il suo mestiere dovrebbe essere, secondo i termini classici, occuparsi di gestire la società cioè organizzare la società e la comunità in modo da creare l’ambiente ottimale per rendere le persone più felici. Questo è il concetto classico o aristotelico, ma la stessa cosa che poi dice anche Macchiavelli quando dice che il principe deve strumentalizzare tutto pur di rendere felici i suoi sudditi.

Perché questo non avviene, cioè perché il politico non riesce a far politica? Sostanzialmente per due ragioni. La prima che è quella spesso analizzata dai politologi, che il vero problema non è che i politici sono peggiori delle persone, anzi di solito c’è chi dice sono lo specchio della società, c’è chi dice che, e io credo in quelli, che tendenzialmente siano meglio, meglio se non altro perché si occupano di fare quel mestiere e quindi per fare quel mestiere sono persone che tendenzialmente sono quelle che teoricamente dovrebbe essere più adatte. Però è un dato di fatto che difficilmente riescono a creare un ambiente ottimale nella società per rendere le persone felici, quindi tendenzialmente non riescono a fare bene il loro mestiere. La prima ragione è conscia, cioè nel senso che il vero problema è che pochi politici consciamente quando fanno le cose hanno come priorità quella del benessere dei cittadini. Questo sia per un problema di confusione, cioè di confusione su quelli che sono i fini, cioè se voi chiedete a chi fa politica perché fa politica, riceverete cento risposte. Però il vero problema è che chi fa politica è un dato di fatto che spesso abbia altre priorità, ha una confusione di fini e debba rispondere a delle priorità differenti rispetto a quelle del pensare al benessere cittadino, che può essere quello di ottenere un consenso piuttosto che ottenere il proprio potere, essere funzione della sua parte politica. Però quindi c’è un motivo non cosciente, cioè i politici magari son bravi però rispondono a dei poteri differenti o meglio a delle priorità differenti rispetto a quella del pensare al benessere cittadino e questa è un’opinione che tra l’altro condivido.

Il secondo aspetto invece è inconscio. Abbiamo visto come in una visione classica dell’essere umano, non si può ridurre l’essere umano alla sua razionalità, all’io cosciente ma bisogna considerare tutto l’essere umano, che è quello che fa dire a tutti i saggi che l’obiettivo della vita è quello del far luce su se stessi, “conosci te stesso”. Perché il conosci te stesso? Perché noi abbiamo una parte, ormai tutti dicono, dominante di inconscio, e in questo inconscio abbiamo visto come ci sono sia i cosiddetti mostri di Freud, cioè qualcosa che ci porta fuori dalla nostra strada che ho definito in modo abbastanza banale “complessi”, e dall’altro lato c’è anche però la nostra grande ricchezza, c’è chi la chiama intenzionalità di natura, chi in sè, chi anima, ognuno la chiama a suo modo, che è quello che c’è nel nostro scrigno da aprire per conoscere noi stessi. E quindi, tornando al politico, oltre al conscio del fatto che non fa bene il suo mestiere, perché risponde spesso delle priorità differenti rispetto a quelle del pensare al bene dei cittadini, il secondo aspetto è quell’inconscio, cioè abbiamo visto come spesso oggi il potere viene dato dal consenso, nelle democrazie come diceva tra l’altro Le Bon è il motore, la benzina per poter fare politica. Abbiamo visto come proprio dal punto di vista proprio psicologico, il consenso spesso è un rinforzo alla dinamica complessuale dell’individuo, cioè spesso lo stesso tipo di relazione che si ha nei confronti il consenso è molto simile a quella che si ha con l’adulto di riferimento, nei momenti in cui nella prima infanzia si generano i complessi per una eterodirezione. E quindi, fuor di metafora, il problema è che molti politici, purtroppo inconsciamente, hanno una relazione con il consenso che è di tipo complessuale.

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Abbiamo visto alcuni esempi negli scorsi video, di tipo complessuale cosa significa? In ultima analisi il complesso ha una caratteristica: prima o poi sfocia nell’autosabotaggio. Perché? Perché non è parte della nostra natura, è la caratteristica del complesso. Quindi lo si vede che tutti i principali governanti che magari erano anche mossi a fin di bene, alla fine vi verrà in mente chiunque negli ultimi dieci anni, soprattutto quelli che sembravano avere la palla per cambiare le cose, alla fine hanno fallito. Hanno fallito perché non sono riusciti a cambiare le cose come volevano e sono caduti loro, cioè sono precipitati, che è la caratteristica principale del complesso. Quindi questo non per dire che dobbiamo essere ossessionati da dinamiche psicologiche, ma perché dobbiamo considerare, soprattutto a chi vuole avere una responsabilità di impatto nella vita delle persone, perché politica significa incidere nella vita delle persone e quindi occorre interrogarsi sull’aspetto filosofico, cioè sulla volontà, quali sono i fini della politica che vogliamo fare e soprattutto anche avere una confidenza del fatto che c’è una parte di noi che è inconscia. Quindi occhio che noi possiamo perseguire con la nostra più buona volontà questi fini ma se i complessi ci portano fuori strada, alla fine come ho detto ieri uno esce per prendere latte, però la vita è fatta di gente che poi torna a casa e il latte non l’ha preso. Quindi questo si può dire è un breve riassunto degli altri video, che ci azzecca Milano?

MILANO

# I due elementi che occorrono per una buona politica

Perché ci azzecca Milano? Partiamo dall’aspetto positivo come abbiamo visto ad esempio nel video di ieri sulla buona politica. Sostanzialmente per fare buona politica occorrono, secondo quella che è la tradizione classica, due elementi che abbiamo messo in luce, se non altro come la intendo io una buona politica. Significa fare in modo che la politica ritorni a essere quella che è il suo fine, quello che è il suo fine ontologico cioè politeia, cioè come la intendeva Aristotele, cioè la costituzione, l’organizzazione ottimale perché le persone possano essere felici. Che poi è lo stesso principio classico dei sovrani mesopotamici che dicevano che il vero governante deve creare il giardino, cioè il giardino che produca le piante con i frutti ideali.

Le due condizioni perché si possa fare politica sono sostanzialmente: la prima è quella appunto, anche in questo caso mi riallaccio a tutti i classici, quella del principe filosofo, cioè dei governanti filosofi come diceva ne “La Repubblica” Platone. È importante questo concetto, cosa vuol dire filosofo? Filosofo è esattamente come lo intende e lo intendeva Tomaso D’Aquino che diceva che sostanzialmente che il governante deve essere soprattutto un uomo di scienza e di virtù. Oppure Lao Tze quando diceva che il principe deve essere il saggio, che è quello che ha imparato a governare se stesso. È questo il concetto di filosofo, cioè il filosofo esattamente come nell’uomo di business, il bravo imprenditore è quello che inizia con la sua attività, mano a mano grazie alla sua capacità di creare ricchezza e produrre valore, strumentalizzando i vari mezzi, amplia il suo spazio vitale, la sua azienda diventa sempre più grande.

Dal punto di vista politico la stessa cosa deve accadere per il cosiddetto principe filosofo, se lo si intende in questo modo, cioè il governante ideale è uno che ha preso confidenza con se stesso, è diventato “padrone di se stesso” nelle sue dinamiche complessuali e in quelle invece positive e questo lo dimostra in una vita riuscita, da “illuminato” come dicevano tutti questi grandi. Cioè, diceva Lao Tze, la differenza fra saggi e illuminati che poi l’illuminato è quello che fa luce sulla sua interiorità, che ha come fine quello del non strumentalizzare la realtà in nome di determinati fini, ma di usarla come specchio. Quindi in questo senso riallacciano la prima cosa, riportiamo il filosofo non come intellettuale ma come persona che ha una confidenza sulla sua interiorità e soprattutto una corrispondenza su quelli che sono i suoi fini esistenziali, con quelli che sono i suoi interiori. Soprattutto sulla confidenza in che cosa? Sul fatto che ci deve essere una passione sincera su quello che è l’obiettivo, anche in questo caso riprendo Aristotele, quello dell’obiettivo esistenziale del contribuire al benessere degli altri. Aristotele aveva detto che l’uomo o qualunque essere umano è riuscito se sviluppa la sua parte privata, i suoi interessi personali, ma sviluppa anche ciò che contribuisce al benessere degli altri: non ci può essere realizzazione individuale se non c’è un contributo positivo alla tua comunità. Quindi deve essere proprio per questo il filosofo, cioè uno che ha consapevolezza che fare il bene degli altri è coerente con la propria natura. È importante cosa vuol dire bene e qua mi rivolgo soprattutto a tutti i genitori, cioè esattamente come qualunque processo formativo e di sviluppo, a che cosa è finalizzato?

Questo è il secondo punto: è finalizzato a che cosa? Non ad assecondare la volontà del bambino, perché se il loro processo di sviluppo di qualunque tipo di educazione del maestro col lo studente o del genitore col figlio, vedete quello che volete, se fosse assecondare la volontà come avviene ad esempio oggi con la politica del consenso, nessuno di noi avrebbe la bicicletta perché alla prima caduta piangiamo e basta non andiamo più, nessuno di noi saprebbe nuotare, nessuno di noi avrebbe studiato perché studiare è un sacrificio. E lo sa bene quindi ogni maestro, ogni genitore che non deve assecondare la volontà, ma deve assecondare che cosa? L’autonomia. Cioè ogni percorso di sviluppo è un percorso, se ci pensiamo, che è finalizzato a dare autonomia all’oggetto dello sviluppo, che in questo caso abbiamo detto il bambino o lo studente, ma è valida anche in tutta la natura. Mamma tigre con i suoi cuccioli fa in modo che i cuccioli possano diventare autonomi, se ci pensate tutti percorsi formativi e di sviluppo sia nel rapporto maestro-studente che nel rapporto dei genitori sono finalizzati all’autonomia, cioè vado in bicicletta perché sono più autonomo, nuoto perché è un’autonomia, posso fare di più, studio perché acquisisca la mia autonomia e così via. Questo è il fine che è lo stesso fine, ad esempio, non solo della cultura, non solo dell’economia, che abbiamo visto la sana economia è quella in cui le parti rimangono autonome, che è lo scambio. Io pago per ottenere in cambio qualcosa che per me è un valore superiore, chi riceve i soldi rimane autonomo, io rimango autonomo, tutti e due siamo contenti perché abbiamo ricevuto qualcosa in più, che è quello che diceva Aristotele. Invece nel caso dell’economia monetaria, proprio perché invece crea un rapporto di reciproca dipendenza, meglio di dipendenza unilaterale, cioè se io do dei soldi per avere più soldi, cioè li do in prestito, il debitore alla fine rischia di entrare in dipendenza nei confronti del creditore. Quindi l’obiettivo anche dell’economia sana, di portare a produrre, alla creazione del valore, lo si ottiene con persone autonome. Autonomia lo ribadisco anche qua, non significa ognuno si fa i fatti suoi, ma è proprio l’opposto, cioè l’autonomia è l’individuo che entra in società, però non entra da oggetto passivo della società, ma entra da soggetto attivo, che significa che cosa? Che è movente, l’autonomia significa avere un proprio movente interiore, che però per definizione ha questa caratteristica: agire nel metabolismo per rinforzare la propria identità, però anche come diceva Aristotele, l’autonomia caratterizzata da rinforzo l’identità dove l’identità è sia la propria individuazione, sia l’essere parte di un insieme più grande. Abbiamo parlato come ciò che unisce tutti i viventi è il fatto di avere delle cellule, le cellule sono un simbolo di autonomi, perché sono mosse da una loro legge interiore che le fa metabolizzare l’esterno.

Il concetto di autonomia si basa su un principio naturale che è quello della cellula, che è sia autonoma, cioè interagisce con il metabolismo e metabolizza, cioè ottiene l’energia per poter crescere dall’ambiente, però al tempo stesso la cellula ha senso perché è parte di un organismo. Così come l’albero è sia albero, ma è anche parte di un bosco e quindi il concetto dell’autonomia così come l’essere umano, come diceva Aristotele, ha senso sia come individuo ma come anche parte di una comunità. Quindi la buona politica deve avere i cosiddetti governanti filosofi, che non significa intellettuali ma significa persone che hanno confidenza nell’obiettivo del fare politica e un minimo di padronanza con se stessi, con le proprie dinamiche soprattutto complessuali. Dall’altro lato ci deve essere quello di avere in mente che l’obiettivo per rendere felici le persone è che bisogna renderle autonome e rinforzare la loro identità, cioè creare le condizioni non significa creare lo stato etico, qualcosa che ti indirizza, ma semplicemente come diceva Tao l’opposto, cioè non avere paura di lasciare liberi, perché ognuno è parte anche di un insieme più grande. E poi come abbiamo visto ieri Lao Tze diceva che più togli obblighi e imposizioni, più ti fidi dei cittadini, più ti ripagano con la responsabilità e loro stessi diventano felici. Quindi è un altro modo di fare politica.

# Perchè Milano?

Qui finalmente arriviamo a Milano. Ho fatto una premessa molto lunga, perché Milano?Perché bisogna mettere a terra queste cose, perché giustamente molti di voi potete dire questi son bellissimi concetti molto astratti. Veniamo a Milano. Adesso faccio l’outing da parte anche di tutto il nostro gruppo. Tanti ci chiedono perchè fate politica, scendete in campo, volete fare un partito eccetera? Sono cose che se mi seguite avete capito che non ci interessano tanto. Però al tempo stesso ci interesserebbe molto potere contribuire a una buona politica. Allora a le condizioni sono, adesso faccio l’outing la risposta è: SE. Non è sì o no ma è SE, cioè quali potrebbe essere le condizioni che ci possano portare a noi, il gruppo di Vivaio e Milano città stato in particolare, a impegnarci in prima persona. Ci devono essere due condizioni per farne un’altra terza.

# Le condizioni per impegnarci direttamente

La prima condizione per fare politica è quella del fatto che occorre. Parto dal fine cioè il fine che deve essere quello che è il concetto di milano città stato, che non è semplicemente una riforma amministrativa per dare più autonomia a Milano, ma è partendo da Milano, perché devi partire da qualche parte, partendo da Milano creare una sorta di laboratorio. Perché l’unico modo per rifondare la nostra politica in Italia, ma direi anche in Europa, rispetto a questo modello verticistico e si può dire razionalistico della politica, ed eterodiretto perché i veri poteri in realtà sono altri rispetto a fare bene il proprio mestiere per il benessere dei cittadini. L’unico altro modo è quello del ripartire dal concetto dell’autonomia, autonomia ad ogni livello, cioè il fatto del dire, innanzitutto riprendendo la nostra tradizione, cioè la grandezza dell’italia non solo di Milano è data proprio dal fatto che si sono sviluppate delle città che sono diventate spesso città stato che si sono diffuse e rese grandi nel mondo grazie alla loro autonomia, cioè grazie alla loro capacità del rinforzare la propria identità, sviluppare le proprie eccellenze e la grandezza storica dell’Italia data da questa sommatoria di autonomie. La grandiosità dell’Italia è stata quella dell’aver dato luogo e spazio a delle città che si sono rese grandi nel mondo, che poi è la stessa cosa dell’Europa. Se pensiamo l’Europa prima di questo dominio dei grandi Stati nazionali, la forza dell’Europa è stata l’evoluzione dell’Impero Romano: il Sacro Romano Impero. Cosa era il Sacro Romano Impero? Che cos’era il Sacro Romano Impero, era anche in questo caso il trionfo dell’autonomia e lo si vede perché l’Europa è la terra della diversità. E allora che senso ha creare uno sistema super gerarchico sovranaturale, omologante nel luogo che invece è l’opposto perché è sempre stato il grande trionfo dell’autonomia?

Però come detto per evitare di stare qui tanto chiacchierare, occorre farlo, ma con grande serietà, dire partiamo da Milano facciamo che è laboratorio di autonomia, dimostriamo che perfino ogni singolo municipio se lo si responsabilizza, gli si da delle risorse, lo si misura sui risultati, può essere fautore d’identità di luogo e di rinforzo per tutta la città. La singola persona, la singola impresa: renderla autonoma significa dare consapevolezza che così come una persona non può che essere riuscita se non contribuisce al benessere degli altri, anche le aziende del territorio devono essere, devono capire che non possono inaridire il territorio, ma la riuscita esistenziale ed economica di un’azienda passa attraverso la creazione di valore che produce anche per il territorio, e così via.

La cultura  deve essere torna ad essere una coltivazione per favorire l’autonomia individuale, che in questo caso è un’autonomia di pensiero, solo persone che hanno un’autonomia di pensiero possono dare un contributo attivo alla cultura. La stessa economia deve essere finalizzata alla creazione di valore per rendere le parti tutte le parti che continuano a essere autonome, non può essere basata su una dipendenza di una parte rispetto all’altra. Quindi tornando però alla politica, quali sono le due condizioni? La premessa è che siamo tutti uniti per dire, facciamo una stagione costituente, cioè costituente mostriamo che da Milano si può partire un modello di autonomia che possa può essere replicato con successo e con forza nel resto d’italia e la mia ambizione anche al resto d’Europa, ma per farlo occorrono due condizioni che direte sono impossibili. È vero, magari sono impossibili e della risposta del “SE”, cioè in quel caso continuerò a fare quello che amo di più, occuparmi dell’aspetto filosofico della politica. Però se accadono, che cosa sono le due condizioni.

Le due condizioni sono quelle della prima stagione costituente mirata all’autonomia della città, non solo in termini amministrativi, ma proprio come l’uomo modello fondante, far vedere che funziona quello che sto dicendo, che l’autonomia è motore di sviluppo oltre che di eccellenza. La dimostrazione di tutta la storia oltre che l’esempio che abbiamo davanti agli occhi, della natura, le due condizioni però devono essere che non ci può essere, come detto, un’eterodirezione di questo progetto, cioè dobbiamo dire, perché una stagione costituente, forse la stagione più affascinante della storia repubblica è stata proprio la costituente dopo la fine della guerra mondiale, quando tutte le forze si sono unite e hanno partorito un prodotto comune, che è stata la Costituzione. Probabilmente il progetto intellettualmente più edificante della nostra politica quindi non c’erano parti, o meglio c’erano delle parti che hanno contribuito a un fine superiore.

Qua il fine superiore deve essere questo laboratorio di autonomia per il Paese, cinque anni in cui tutte le forze politiche del territorio più rappresentative decidono di dire basta, per cinque anni lavoriamo insieme, cioè niente lezioni uno contro l’altro, facciamo la costituente. Se volete io e i nostri saremo quelli che potrebbero far da garanti, noi siamo assolutamente trasversali anzi non amiamo proprio la logica il partito, quindi finalizzati al progetto l’autonomia, però si può fare solo se poi ci sono i politici veri del luogo. Tutti uniti per dire facciano qualcosa di storica facciamo come la “Comune” cioè un qualcosa che vada oltre i partiti nel solo interesse, non solo della comunità di Milano, ma di Milano che torni a essere quello che è sempre stata. La sua forza è sempre stata essere una luce, un’innovazione utile per il resto del Paese, cioè la garanzia che questo non può essere una roba secessionista è l’identità di Milano. Milano è una sommatoria di tutto il meglio delle identità locali, quindi non la puoi togliere dal resto d’Italia e al tempo stesso la forza di Milano è sempre stata quando Milano si è posta funzione del resto del Paese. Non ha mai fatto per i fatti suoi e quindi prima condizione che le forze politiche decidano per questa illuminazione. Facciamo quest’esperimento, a Milano non si parla di partiti, cioè siamo tutti uniti per questo fine, per questo progetto. Non si fa campagna elettorale, non solo per le elezioni ma per cinque anni si lavora tutti umilmente, e io lo so che i milanesi di nascita o di scelta hanno questa caratteristica che si sentono parte di una comunità, al di là delle proprie idee. Quindi uniti per fare questo gioco come costituente, ma tutti uniti non rosso, giallo, verde, uniti per questo progetto.

La seconda caratteristica deve essere che non solo le forze politiche ma anche le forze più vitali e direi, in termini classici, filosofiche di ogni settore si mettano in azione per fare questo rinnovamento, cioè tutti quelli che hanno dimostrato nel loro mestiere e che mi capiscono che sto parlando di questo, che è naturale nel proprio mestiere che il proprio successo, la propria felicità passa attraverso il benessere che tu porti all’altro. E quindi persone nell’ambito la cultura, del business, con gli imprenditori perché ci sarà una stagione devastante che o ricomincia a creare valore o non possiamo continuare a fare debiti all’infinito e per fare valore bisogna coinvolgere quegli imprenditori che questo valore lo sanno fare, ma non solo un valore monetario, un valore proprio di benessere. Quindi occorrono delle condizioni clamorosamente speciali, che mi fanno dire probabilmente questa probabilmente sarà un’utopia, ma questa è una risposta, lo faccio su questo video in diretta almeno non è che devo poi contraddirmi, questa è la risposta a quelli che mi dicono ma perché fate politica, vi volete candidare eccetera.

La risposta è “SE”, se le condizioni sono queste, un progetto serio da Milano per il Paese di rifondare tutto e concentrando tutto su un reale concetto di autonomia, perfino oltre rispetto a quello che comunque funziona nel mondo svizzero, cioè deve essere radicale delle autonomie, bisogna dimostrare che funziona qua. Per farlo occorre che ci siano tutte le forze politiche più importanti, che unite dicono, deponiamo l’ascia di guerra per cinque anni, si lavora su questo perché è come veramente una guerra. Adesso bisogna essere uniti ma non è una guerra sanitaria, quella finirà lo sappiamo, ma è economica e soprattutto di valori in crisi e quindi una grande opportunità di rinascita, e poi anche le più forti persone ed espressioni della società milanese. Anche in quel caso, basta, ragionare in termini corporativi, dell’io sono commerciante e sono a difesa dei commercianti, io sono un teatro e sono a difesa del teatro. Anche in questo caso benissimo lo fai nel tuo mestiere, ma la dimensione politica è un’altra. La dimensione politica è quella dell’ampliare gli spazi a tutta la comunità, quindi io posso essere una persona che si occupa della mobilità, però se mi occupo per la comunità mi posso occupare del bene della comunità e a quel punto anche contraddire alcune delle cose che nel privato invece mi invitano a combattere.

Quindi queste sono le condizioni, come detto sono condizioni quasi impossibili però questo è un momento talmente impossibile che potrebbero anche verificarsi. Questo è quanto. Spero che sia stato chiaro quali sono le nostre intenzioni, quello che dico unisce tutti quelli che fanno parte del progetto di Milano Città Stato, ormai siamo oltre un centinaio. Vi invito tutti quanti, tutti quelli che vogliono alimentare la propria dimensione politica della riuscita esistenziale, vi dico è un progetto che funziona perché ci sono persone di tutti i partiti. Tanti ci attaccano di essere uno o l’altro, ognuno ha le sue proprie idee, siamo rappresentati direi da qualunque pensiero politico, eppure ci troviamo d’accordo in modo magnifico perché mettiamo sempre come obbiettivo il benessere di una città e tutti quanti intendiamo una città più autonoma, più responsabile, più funzionale al bene dell’Italia e soprattutto più protagonista a livello internazionale. Quindi tutti quelli che vogliono collaborare possono partecipare. 

ANDREA ZOPPOLATO

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Andrea Zoppolato
Più che in destra e sinistra (categorie ottocentesche) credo nel rispetto della natura e nel diritto-dovere di ogni essere umano di realizzare le sue potenzialità, contribuendo a rendere migliore il mondo di cui fa parte.