Il progetto, i benefici dell’opera e quando è prevista l’inaugurazione.
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Una nuova stazione in arrivo: si andrà al parco in treno
# Stanziati 5 milioni di euro per la sua costruzione
Comune di Monza – Inquadramento area stazione e sottopasso
L’annuncio da parte di RFI: stanziati 5 milioni di euro per la costruzione delle stazione ferroviaria di Monza Est-Parco fra le vie Einstein e Confalonieri/De Marchi.
urban_transport_etc IG – Besanino
Nel progetto è compreso anche il sottopasso ciclopedonale di 25 metri fra le vie interessate, già inaugurato da oltre un anno, una banchina per ospitare i treni della linea “Besanino” S7 Monza – Molteno – Lecco e la predisposizione di un’altra banchina aggiuntiva per il futuro passaggio della linea S8 Lecco – Carnate – Milano Porta Garibaldi.
# Un collegamento più rapido con Milano
Linea S7 con stazione Monza Est-Parco
La fermata sarà di tipo urbano e non di interscambio. Il passaggio del Besanino consentirà di raggiungere Milano in modo più rapido, senza essere obbligati a raggiungere la stazione centrale di Monza. Nel 2014 era stato firmato il primo accordo tra Comune di Monza, Regione e Rfi con stanziamento dei fondi necessari alla realizzazione dell’opera da parte del primo.
# La nuova stazione pronta per il 2027
Area futura stazione Monza-Parco Est
L’inaugurazione era prevista inizialmente nel 2024 ma, a causa dell’incremento dei costi passati da 1,5 a 6,5 milioni di euro, il progetto era in stallo. L’intervento di Rfi ne consente la ripartenza e secondo le previsioni la nuova stazione dovrebbe entrare in funzione entro il 2027.
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Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
Non puoi vivere a Milano se non capisci l’importanza di…
#1 …di far parte della città in modo attivo e propositivo
Qui non puoi vivere come un ospite che lascia al padrone di casa ogni incombenza.
#2 …della posizione
Del fatto che è una città in una posizione strategica che ti permette di vivere alla grandissima: prendi la macchina e puoi andare in posti della Madonna in un’ora. Non c’è metropoli al mondo a 2 ore di macchina da montagne, laghi, città d’arte, mare.
#3 …di quanto è importante il centro
E’ uno degli status symbol più ambiti. Molti dicono che abitano in centro anche se in realtà vivono vicino la tangenziale. Il centro è una misura di valore: negli ultimi anni sta diventando però sempre più policentrica.
#4 …del fatto che la città è il centro di un territorio molto vasto e interconnesso
Milano è il centro di un sistema nervoso molto più ampio della città stessa. Un territorio che va da Piacenza al Canton Ticino, da Bergamo alla Liguria.
#5 …del tempo
Qui nell’unità di tempo si fanno più cose che in qualunque altra parte d’Italia.
Credits bischerimilano IG – Bischeri Milano
#6 …dell’energia che ti trasmette
Diventi milanese anche se non lo sei.
#7 …di appartenere alla città più internazionale d’Italia
A Milano si respira l’internazionalità, l’Europa, senza perdere le tradizioni italiane, come la buona cucina, le estati calde, la pausa pranzo. Di più: Milano è il palcoscenico di quanto di meglio ha l’Italia da offrire.
#8 …di lavorare
Se tu lavori, ti dai da fare, qui riesci a metterti in evidenza e vieni trattato come uno di noi.
#9 …di fare azione
Non bisogna guardare o parlare, ma fare.
#10 …dell’ottimizzazione
Ancora più che veloce, qui devi essere efficiente. Fare più cose nello stesso tempo dallo stesso posto.
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Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
Si tratta del primo intervento pubblico di questo tipo in Italia. Ecco come funziona e quanto si riduce il consumo di gas.
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Il palazzo di Milano riscaldato con la pupù
# Il palazzo in stile liberty di corso Monforte
Agenzia del Demanio
Il primo edificio pubblico in Italia che per il riscaldamento prende il calore delle fogne. Il progetto vede coinvolti MM Spa e l’Agenzia regionale del Demanio: riguarda proprio la sua sede in Corso Monforte, un edificio di grande pregio storico-architettonico rielaborato in stile liberty dall’architetto Alfredo Campanini. Intervenuto a “Italia, direzione Nord” l’amministratore delegato della società di ingegneria partecipata del Comune, Francesco Mascolo, ha spiegato che “nelle fognature ci va un contenuto di calore elevatissimo dalle nostre case, ad esempio l’acqua calda delle docce o delle lavastoviglie. Ci sono dei tratti dove la temperatura non scende neanche in inverno sotto 18 gradi“.
# Un risparmio medio del consumo di gas del 40%
Fognatura MM
Nell’ambito di un progetto di riqualificazione complessiva dell’edificio è prevista l’installazione di un condotto fognario con una portata di circa 30 litri al secondo e temperature superiori a 18 gradi. Il calore residuo delle acque reflue alimenta poi una pompa di calore, dopo essere stato traferito in un circuito di acqua dolce, per integrare il riscaldamento fornito dalla caldaia a gas. Ilrisparmio medio del consumo di gas previsto è del 40%, con punte del 50%.
# Obiettivo riduzione della CO2 del 60% entro il 2026
L’obiettivo dell’Agenzia del Demanio per la sede regionale è più ampio e infatti ne prevede il restauro, l’illuminazione della facciata principale, a cui si aggiungono le azioni di efficientamento energetico e decarbonizzazione, per abbandonare le fonti di energia climalteranti a vantaggio di quelle pulite. Le parole di Massimiliano Iannelli, Direttore Regionale della Lombardia dell’Agenzia, in merito alla riqualificazione dell’edificio: “entro il 2026, data prevista per il termine dei lavori, puntiamo alla riduzione di oltre il 60% delle emissioni di Co2, in netto anticipo rispetto al target del 45% fissato dal Comune di Milano nel proprio piano Aria Milano Coal Free per il 2030”.
# Gli esempi in Europa: anche l’Eliseo viene scaldato con la “merde”
archi_urbainpage IG – Palazzo dell’Eliseo
Come detto si tratta del primo intervento pubblico di questo genere in Italia, ma non all’estero. In Francia troviamo ad esempio l’Eliseo che utilizza questo sistema e alcuni edifici scandinavi.
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Uno dei giochi in scatola più giocati di sempre ispira le sue caselle alle vie di Milano. Il Monopoli milanese è stato però sostituito!
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Le vie del Monopoli sono a Milano: ecco quali sono
# Le vie di Milano sono fonte d’ispirazione per la nascita del Monopoli
Credits: giochi.com
Emilio Ceretti è stato un giornalista, traduttore, critico cinematografico e imprenditore milanese, ma viene ricordato soprattutto per essere stato l’uomo che nel 1935 distribuì in Italia uno dei giochi in scatola più giocati di sempre: il Monopoli.
L’uomo, nato a Milano nel 1988, decise di scegliere le vie del Monopoli ispirandosi ad alcune vie o quartieri del capoluogo lombardo, Milano. Nello specifico stiamo parlando di: viale Gran Sasso, viale Monte Rosa, piazza Vesuvio, via Accademia, via Verdi, via Raffaello Sanzio, via Dante, corso Vittorio Emanuele, via Marco Polo, via Magellano, corso Cristoforo Colombo, Stazione Ferrovie Nord, piazza Costantino, viale Traiano, piazzale Giulio Cesare, corso Littorio, largo Augusto e via dei Giardini.
# Dal Parco della Vittoria a San Vittore di “Vai in prigione!”
Credits: publicpolicy.it
La casella del Parco della Vittoria, la più remunerative e allo stesso tempo la più costosa per la costruzione di case e hotel, era il vecchio nome dei Giardini Indro Montanelli. Per i più sfortunati invece che, pronti ad accaparrarsi l’ultimo filotto di caselle, passavano sulla casella “Vai in Prigione”, che ti dava la possibilità di vincere un viaggio gratuito in cella di detenzione, che ci piace ipotizzare a San Vittore per essere coerenti con la scelte delle altre caselle. In Viale dei Giardini, la seconda casella più costosa del gioco dopo il “Parco della Vittoria”, è dove abitava l’ideatore dei nomi del gioco. Le caselle meno costose del gioco, ovvero Vicolo Stretto e vicolo Corto, sono le uniche due a non essere tratte dalla città meneghina, anche se c’è chi li riconduce ai due vicoli di Brera, Fiori Chiari e Fiori Scuri.
# Addio alle vie di Milano: 22 nuovi nomi per le caselle del Monopoli
Credits: gqitalia.it
Negli anni ’10 la Hasbro, nota società statunitense che produce giochi e giocattoli, ha deciso di cambiare i nomi delle 22 caselle del tabellone del Monopoli. I nomi delle vie milanesi sono state sostituite da quelli di 22 città italiane secondo delle votazioni online avvenute nel 2010. Il responso? Le nuove città scelto sono: Teramo, Sanremo, L’Aquila, Trani, Torino, Cosenza, Milano, Viareggio, Terni, Messina, Foggia, Caserta, Brindisi, Ischia, Monopoli, Ascoli Piceno, Isola D’Elba, Andria, Barletta, Catanzaro, Reggio Calabria, Chieti. Così Milano ha visto perdere tutti i suoi Hotel e le sue case su quasi tutto il tabellone, rimanendo in vita solo grazie alla casella fucsia a lei dedicata.
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Bella la Cappella Sistina, meraviglioso il Duomo di Milano, stupenda Piazza San Marco, ma i turisti sono attirati anche dalle curiosità, dai luoghi strampalati e dai monumenti insoliti, di cui l’Italia è particolarmente ricca. Luoghi e monumenti come…
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Le 10 cose più strane che abbiamo in Italia
#1 Lo scopino da bagno di Omegna
Che ci fa uno scopino da bagno gigante in questo paese sul Lago d’Orta? Internet non ha ancora risolto questo mistero, ma intanto è ancora lì.
#2 La salama da sugo di Ferrara
Per chi non lo sapesse, la salama da sugo è un insaccato tipico del Ferrarese al quale è stato addirittura dedicato un monumento: insolito, vero?
#3 La fontana delle tette di Treviso
Passeggiando per la bella Treviso potreste incappare in questa curiosa statua, che ai tempi della Repubblica di Venezia spillava vino bianco e rosso in occasione di particolari festeggiamenti.
#4 La spada nella roccia di Chiusdino
Presso l’Abbazia di San Galgano a Chiusdino, in provincia di Siena, si trova una spada che, secondo la leggenda, sarebbe stata inflitta dal santo al quale è dedicato questo luogo di culto.
#5 Il dito medio di Milano
Conosciuta come “Il Dito”, il vero nome di questa scultura tanto dibattuta di Maurizio Cattelan è “L.O.V.E.” (acronimo di “libertà, odio, vendetta, eternità”).
#6 La foresta fossile di Dunarobba di Avigliano Umbro
In provincia di Terni è possibile esplorare questa curiosa foresta di alberi mummificati, risalenti a tre milioni di anni fa, appartenenti ad una specie estinta di sequoie.
#7 Il campanile sommerso di Curon Venosta
In provincia di Bolzano si trova un paese con un lago artificiale ricavato nel 1950, dopo aver “spostato” il centro abitato che vi sorgeva. Di questo borgo rimane soltanto l’antico campanile, risalente al XIV secolo, che emerge dalle acque. La struttura è raggiungibile a piedi in inverno, quando il lago ghiaccia.
#8 Il monumento al camionista di Bologna
Qualcuno ha pensato di dedicare una scultura alta dieci metri a tutti gli autotrasportatori, rivestita in fogli di alluminio e con tanto di camion sulle spalle.
#9 Il parco dei mostri di Bomarzo
In provincia di Viterbo sorge un parco stupendo, chiamato anche “Sacro Bosco”, che venne commissionato nel XVI secolo e decorato con statue di personaggi mitologici, animali fantastici e mostri.
#10 I tonni suicidi di Genova
Da molti considerati il monumento più brutto d’Italia, i cosiddetti “tonni suicidi” dovrebbero decorare una delle piazze di Genova, ma di fatto non vengono apprezzati da nessuno.
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Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
Ingresso solenne a Milano dell’imperatore Ferdinando I d’Asburgo-Lorena (1771)
Tra Milano e l’ultima dominazione straniera rimane un legame indissolubile. Ecco 10 esempi.
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10 cose in cui Milano è rimasta austriaca
#1 Il dialetto milanese: ha influenze della lingua tedesca
credit: proverbimilanesi.blogspot.com
Il dialetto milanese è il risultato delle influenze linguistiche delle varie popolazioni che hanno attraversato Milano nel corso della sua storia, dai celti fino agli austriaci. Tra le parole di derivazione austriaca troviamo baüscia, ghεll da “geld” soldi e skosu da “Schoss” grembo.
#2 La michetta: deriva dal Keisersemmel, un pane a forma di rosa portato in Lombardia da funzionari asburgici
Credits: pianetapane.it -Michetta
Il pane più amato dai milanesi oltre a quello più rappresentativo. Dal 2007 è specialità a Denominazione Comunale e rappresenta a pieno le pause pranzo milanesi ma ha origini austriache. La sua tipica forma a stella infatti deriva dal Keisersemmel, un tipo di pane a forma di rosa che i funzionari asburgici portarono in Lombardia. Allora i milanesi presero la novità e adattarono i Keisersemmel: il pane con tutta l’umidità non restava croccante e da qui l’idea di fare un pane senza mollica.
Fu il marchese Ferdinando Cusani, giudice delle strade, su incarico del ministro austriaco Wilczeck per volontà dell’imperatore d’Austria Giuseppe II, a far appendere nel 1786 sulle strade di Milano il nome della rispettiva via. A ogni casa venne assegnato un numero nominato “teresiano”, perché utilizzato sotto Maria Teresa d’Austria. Secondo un sistema progressivo unico, che partiva dal Palazzo Reale col numero 1, per poi proseguire in senso circolare a spirale, dal centro alla periferia che allora era cinto dalle mura spagnole, fino ad arrivare all’ultimo numero, il 5314. Su diversi palazzi sono visibili ancora oggi.
#4 Il Teatro alla Scala: costruito per ordine dell’imperatrice Maria Teresa d’Austria
Teatro alla Scala, Giuseppe Piermarini, 1776-1778
Il Teatro alla Scala fu costruito in conformità a un decreto dell’imperatrice Maria Teresa d’Austria, emanato su richiesta di famiglie patrizie milanesi, per sostituire il vecchio teatro di corte milanese distrutto a causa di un incendio nel 26 febbraio 1776. Il “Nuovo Regio Ducal Teatro alla Scala”, da 3.000 posti, fu inaugurato il 3 agosto 1778 con la prima rappresentazione assoluta de L’Europa riconosciuta di Salieri.
#5 La Biblioteca Nazionale Braidense: istituita nel 1770 dall’imperatrice
Biblioteca Braidense – Via Brera, 28
La Biblioteca Nazionale Braidense fu istituita nel 1770 dall’imperatrice Maria Teresa, per supplire alla mancanza “di una biblioteca aperta ad uso comune di chi desidera maggiormente coltivare il proprio ingegno, e acquistare nuove cognizioni”. La Biblioteca è ancora oggi titolare del deposito legale relativo a tutte le pubblicazioni cittadine.
#6 L’Accademia di Brera: anch’essa opera dell’imperatrice Maria Teresa d’Austria nel 1776
L’Accademia venne fondata nel 1776 da Maria Teresa d’Austria con lo scopo di «sottrarre l’insegnamento delle belle arti ad artigiani e artisti privati, per sottoporlo alla pubblica sorveglianza e al pubblico giudizio». Il progetto prevedeva la creazione di un centro culturale gravitante attorno al secentesco Palazzo di Brera che comprendesse anche l’Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, la Biblioteca Nazionale Braidense, l’Osservatorio astronomico e l’Orto botanico.
#7 L’Arco della Pace con lo sberleffo degli austriaci ai francesi: i cavalli ruotati con il fondoschiena verso Parigi
Progettato dal Cagnola per festeggiare la vittoria francese di Napoleone nella battaglia di Jena dell’ottobre 1806 contro l’esercito prussiano, i lavori si interruppero poco prima del loro completamento quando il regno d’Italia cadde nelle mani degli austriaci. Questi ultimi nel 1826 ne ripresero l’edificazione, cambiandone la dedica alla pace fra le nazioni europee raggiunta con il Congresso di Vienna del 1815.
La modifica più eclatante fu però un’altra: per farsi beffa dei francesi, i cavalli vennero ruotati di 180 gradi affinché il loro fondoschiena fosse orientato verso la Francia.
Una delle caratteristiche di Milano e dei suoi cittadini è la sobrietà, tipica della tradizione asburgica. Dal modo di fare dei milanesi, mite e poco chiassoso insieme all’eleganza e del vestire, fino ai cortili dei palazzi che rimangono nascosti alla vista dei passanti: qui niente è esibito, ostentato o sfacciato.
#9 Il Bar Radetzky: ricorda il generale austriaco sconfitto nelle 5 giornate di Milano
Credits: flawlessmilano.com
Un’istituzione per gli amanti della movida, il vero locale simbolo della Milano da bere, tra Brera e Corso Como. Il nome è un richiamo al generale austriaco Radetsky a lungo governatore del Lombardo-Veneto, sconfitto e cacciato insieme all’esercito austriaco durante le “5 giornate di Milano” che decretarono una prima momentanea liberazione della città prima del tradimento di Carlo Alberto di Savoia.
#10 Villa Reale: abitata anche da Napoleone e Radetzky
La costruzione della villa fu commissionata dal conte Ludovico Barbiano di Belgiojoso, consigliere dell’imperatore austriaco. Affidò l’incarico all’architetto ufficiale della Casa d’Austria, Giuseppe Piermarini. L’architetto, già autore dei giardini pubblici realizzati sui terreni vicini, ne passò l’incarico al suo principale allievo, l’austriaco Leopoldo Pollack, che la completò nel 1796. Con l’arrivo di Napoleone, l’imperatore francese la scelse come sua residenza a Milano.
Con il ritorno del governo austriaco sulla città l’edificio divenne proprietà dei Viceré austriaci, abitata fra gli altri dal maresciallo Josef Radetzky che qui stipulò la Pace di Milano del 1849 che decretò la resa della città all’Austria.
P.S. Palazzo Reale: nelle sue attuali vesti neoclassiche
La sua costruzione si pone il XIII – XIX secolo, ma agli austriaci si deve soprattutto la ristrutturazione dell’esterno del Palazzo nelle forme che possiamo vedere ancora oggi. Con l’intervento di Piermarini, chiamato a corte dal 1770 al 1778, scomparve ogni testimonianza architettonica dell’arte lombarda e tutto il Palazzo assunse le vesti neoclassiche.
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Hai un video di Milano da inviarci o segnalarci? Scrivici su info@milanocittastato.it (video del giorno)
Potrebbe diventare un’attrazione a livello mondiale e darebbe vita a una metropoli dei laghi alpini. Ecco come potrebbe essere realizzata la linea, il percorso, le località servite e le fermate possibili.
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La «Metro dei Laghi»: queste le fermate e la possibile tecnologia
# Una metropoli dei laghi alpini di 3,7 milioni di abitanti
Da Varese e Como a Lugano
Nell’attesa che nasca una “Città dei Laghi” transfrontaliera, da Como a Varese fino al Canton Ticino, perchè non pensare a una super metro dei Grandi Laghi italiani?I due progetti potrebbero addirittura integrarsi. Il primo parte infatti da un Tram-Treno di Varese che prevede la trasformazione dell’attuale sede ferroviaria tra Varese e Laveno-Mombello in linea adatta al passaggio del tram. Una metrotranvia veloce sull’asse est-ovest, che si aggiunge all’asse nord-sud da Varese e da Como verso il Canton Ticino, per creare una città diffusa connessa tramite trasporto su rotaia.
La metropoli dei laghi alpini
Realizzando una metro veloce tra i Grandi Laghi italiani, che interscambi con queste linee, si verrebbe a creare una metropoli dei laghi alpini, collegata anche a Milano, di oltre 4.000 kmq e circa 3,7 milioni di abitanti.
L’idea sarebbe quella di un linea su rotaia veloce con stazioni nel Lago Maggiore, il Lago di Como e il Lago di Garda e intercettare anche il Lago d’Iseo lungo il percorso. Realizzando un tracciato lineare, deviando solo quando necessario, si potrebbero avere 7 fermate e una lunghezza complessiva di circa 175 km.
Da ovest ad est ci potrebbero essere queste stazioni:
Laveno Mombello Nord con interscambio con l’omonimo capolinea sulla direttrice Laveno Mombello-Milano Cadorna, servita dai treni RegioExpress RE1 Laveno – Varese – Saronno – Milano, e punto di partenza traghetti;
Induno Olona con interscambio con la linea ferroviaria TILO che da Varese arriva fino a Lugano, la direttrice Nord-Sud della “Città dei Laghi”;
Como Nord Lago con interscambio con l’omonima fermata, con treni che arrivano da Milano, e punto di partenza di traghetti e funicolare per Brunate;
Lecco con interscambio con la stazione ferroviaria e la linea Lecco-Milano,
Iseo a servire il lago e la zona della Franciacorta, interscambiando con la linea R3 Brescia-Edolo-Iseo in procinto di essere servita da treni alimentati con l’idrogeno;
Nuova stazione basso Garda tra Desenzano e Pozzolengo che interscambi con quella dell’alta velocità prevista lungo la tratta in costruzione tra Brescia e Verona, che parte da Milano;
Peschiera del Garda, capolinea che interscambi con la stazione ferroviaria della linea tradizionale e serva gli utenti diretti sul lago dato che quella precedente è distante diversi km dalle sue sponde.
# La tecnologia: treni a levitazione magnetica, in 40 minuti da un capolinea all’altro
credit: mobileworldlive.com
Visto le distanze importanti tra le fermate, eccetto le ultime due non sarebbero mai inferiori ai 20 km, si potrebbe pensare a un treno a lievitazione magnetica, come il Maglev che attualmente collega Shanghai con il suo aeroporto. Riuscendo ad implementare il modello che raggiunge i 600 km/h e tenendo conto del tempo delle soste per la salita e discesa dei passeggeri e quello per accelerare e decelerare, le velocità più alte si toccherebbero nei due tratti tra Lecco e il Lago di Garda. In circa 40 minuti si riuscirebbe a percorrere tutto il tragitto. Per rendere il viaggio ancora di più un’attrazione si potrebbero realizzare anche dei tratti in superficie, per vedere scorrere in panorami dai finestrini.
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Chi è venuto prima? Il Big Bang o i cantieri sulle autostrade per il mare?
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Novara è distante circa 50 km da Milano. Una città con un’importante posizione strategica. Ma con il potenziale per essere anche qualcosa di più: una “Milano Nuova”, un centro complementare e strategico che potrebbe estendere e rafforzare l’influenza di Milano in tutta la regione Piemonte. Ecco perché Novara potrebbe essere strategica per il futuro di Milano.
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Una nuova Milano in Piemonte? Il centro complementare e strategico per renderci una vera metropoli internazionale
# Milano e Novara: la grande alleanza per una nuova metropoli internazionale
Ph. @_salvo30_ IG
La vocazione di Milano è di essere un magnete economico, un polo di innovazione e sviluppo che attrae talenti e investimenti da tutto il mondo. Tuttavia, la sua crescente popolazione e la pressione sull’infrastruttura e sui servizi hanno creato sfide significative. Ecco perché potrebbe essere saggio pensare a una “Milano 2”, un centro satellite che offra funzioni complementari e supporti l’espansione di Milano senza sovraccaricarne le risorse.
Un esempio storico potrebbe essere il ruolo di Versailles per Parigi durante l’epoca monarchica, un luogo strategico e amministrativo distaccato dalla capitale ma essenziale per il suo governo. C’è già il luogo che sembra fatto apposta per incarnare questo ruolo in chiave moderna: Novara. Per diventarlo occorrono alcune innovazioni radicali.
# Un super collegamento tra le due città
Il primo passo fondamentale per rendere Novara una “Milano 2” sarebbe un collegamento diretto e superveloce tra le due città.
Si dovrebbe creare una metro express che metta insieme la frequenza della metro con la velocità dei treni TAV. Si potrebbe immaginare un percorso a tratti interrati e a tratti in superficie che, come il tunnel sotto la Manica, sia progettato per il metro express e per le automobili.
Tipo un tunnel ultra-moderno, simile ai progetti di trasporto rapido proposti da Elon Musk, che consenta un viaggio ultra-veloce da Milano a Novara in pochi minuti.
Se il collegamento fosse davvero veloce e frequente, si potrebbe anche pensare di costruire a Novara una serie di silos interrati di parcheggio di grandi dimensioni, che potrebbero estendersi sotto l’intera città o essere distribuiti in più grattacieli lungo la città. Questa infrastruttura permetterebbe ai pendolari di lasciare l’auto a Novara, ma anche ai milanesi di uscire di casa “mollare” l’auto a Novara e poi dirigersi in una di quelle zone di Milano come i Navigli dove, comunque, la ricerca del parcheggio avrebbe richiesto molto più tempo. Ma quali attività essenziali per Milano si dovrebbero spostare a Novara?
# Il centro energetico della Pianura Padana
Novara è situata in una regione ricca e produttiva, il Piemonte, che è la nona regione più ricca d’Italia con un PIL di circa 138 miliardi. La creazione di un avamposto economico milanese porterebbe sicuramente benefici reciproci sia a Milano che a Novara.
Pensando in grande, si potrebbe immaginare Novara come un centro energetico per Milano: qui, la costruzione di impianti di centrali nucleari a basso impatto ambientale potrebbe soddisfare il fabbisogno energetico della metropoli lombarda a un costo minimo, rendendo Milano meno dipendente da fonti di energia esterne e aumentando la sua resilienza energetica. Con l’eccesso di energia prodotto, Novara potrebbe iniziare a venderla non solo a Milano ma anche a tutta la Lombardia, poi al Piemonte e, successivamente a tutto il resto d’Italia, creando una rete di scambio energetico e favorendo la sostenibilità regionale.
Questo approccio potrebbe avere un impatto positivo anche su altre città come Torino, che si troverebbe a interagire più strettamente con Milano grazie alla maggiore disponibilità energetica. Un approccio integrato e collaborativo tra Milano, Novara e Torino porterebbe a un asse inter-regionale coeso e prospero, capace di attrarre investimenti e di potenziare la propria competitività su scala europea.
# Università e ricerca: spostare tutto a Novara? La “Repubblica degli universitari”
Un’altra proposta ambiziosa sarebbe quella di spostare alcune delle principali università milanesi a Novara, la “Repubblica Universitaria” di cui abbiamo già parlato potrebbe essere realizzata qui.
Istituti pubblici come il Politecnico di Milano, l’Università Bicocca e l’Università degli Studi di Milano potrebbero trasferirsi integralmente a Novara, costruendo nuovi campus dedicati nella città piemontese, contribuendo a risolvere il problema del caro-affitti per gli studenti e rendendo gli studi universitari più accessibili. L’area dedicata a questo progetto potrebbe essere trasformata in un vero villaggio universitario, con alloggi per studenti, residenze per docenti e aree per la ricerca e lo sviluppo.
La presenza delle grandi università milanesi sarebbe in grado di stimolare l’innovazione, attirando talenti e progetti di ricerca in ambiti come l’ingegneria, le scienze naturali, l’economia e le tecnologie verdi. Gli studenti e i ricercatori potrebbero collaborare con aziende locali e con il nuovo centro di riciclo di Novara, dando vita a progetti di ricerca applicata e a startup innovative focalizzate sulla sostenibilità e sulla gestione delle risorse.
# Novara come hub di riciclo e sostenibilità
Un’altra grande opportunità per Novara è quella di diventare il principale centro di riciclo e gestione dei rifiuti per Milano e, successivamente, per la Lombardia e l’Italia. Nel 2023, il business del riciclo ha generato un valore di 3,3 miliardi di dollari a livello mondiale, spinto dalla crescente consapevolezza ambientale e dalla necessità di gestire le risorse in modo più efficiente.
Novara, con la sua posizione strategica e la capacità di ospitare impianti industriali, potrebbe diventare il fulcro di un sistema integrato di smaltimento e valorizzazione dei rifiuti, non solo per Milano ma anche per l’intera nazione. L’idea sarebbe quella di creare un grande centro di riciclo, equipaggiato con tecnologie avanzate per il trattamento e la trasformazione dei rifiuti. Questa iniziativa si sposerebbe perfettamente con il trasferimento del Politecnico a Novara.
Accanto al distretto universitario, potrebbero anche sorgere grandi complessi residenziali (spartani ma confortevoli, per essere a basso costo) per i senzatetto di Milano. Chi di loro accettasse di “trasferirsi” e lavorare negli impianti di produzione nucleare o di riciclo dei rifiuti (sicurissimi), potrebbe aver diritto a un alloggio pressoché gratuito che, comunque, inizierebbe a pagare solo una volta andato in pensione, come piccola detrazione dall’assegno mensile.
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Produrre energia pulita senza dover sfruttare terreni naturali. Vediamo come funziona il sistema, dove è programmato il primo test e quanta energia elettrica riuscirebbe a produrre se installato su un’intera rete ferroviaria.
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Svizzera: pannelli solari sui binari dei treni. Che cosa potrebbe succedere se l’Italia facesse lo stesso?
# Approvato il primo impianto solare rimovibile su una linea ferroviaria
Andrea Pinat FB – Pannelli solari sui binari
Il progetto è frutto della collaborazione tra la start-up svizzera Sun-ways, l’Epfl, l’istituto federale svizzero di tecnologia di Losanna, il fornitore di energia Viteos e la società DG-Rail, specializzata in impianti elettrici ferroviari. Bocciato inizialmente dall’Ufficio Federale dei Trasporti, a causa della mancanza di riferimenti tecnici sulla nuova tecnologia, è stato ora approvato a condizione che vengano condotti test e misurazioni aggiuntive durante il periodo di operatività del progetto pilota, per evitare che l’infrastruttura ferroviaria subisca effetti negativi. Tra i pericoli sollevati anche quello della formazione di crepe nei pannelli, provocate dal passaggio del traffico ferroviario, e conseguenti rischi diincendio.
# Il test con un sistema fotovoltaico da 18 kW su un tratto di 100 metri a Neuchâtel
sun-ways.ch – Posa pannelli su binari
La sperimentazione è prevista su un tratto di 100 metri lungo la linea ferroviaria di Neuchâtel, con l’installazione di un sistema fotovoltaico da 18 kW, composto da 48 pannelli solari da 380 W ciascuno. Lo scopo del test è capire la fattibilità di un sistema che sfrutta lo spazio inutilizzato tra i binari per generare energia solare, senza lo svantaggio di intralciare il traffico ferroviario o la manutenzione della rete. Il periodo di prova è di tre anni, si parte nella primavera del 2025.
# I pannelli vengono srotolati come un tappeto da un apposito treno
sun-wasy.ch – Tratto ferrovia del progetto
Un’innovazione nell’innovazione. L’altro aspetto che aggiunge ulteriore interesse al progetto è collegato al sistema di posa dei pannelli. Se ne occupa infatti un treno progettato appositamente, dalla società svizzera di manutenzione dei binari Scheuchzer, che tramite un meccanismo a pistone srotola una tappeto di pannelli della larghezza di un metro: in questo modo è possibile posizionarne fino a 1.000 mq al giorno.
# L’obiettivo: coprire il 2% del fabbisogno energetico svizzero installando i pannelli su tutta la rete
sun-wasy.ch – Binari
L’investimento per questo progetto è pari a circa 620mila euro e si conta di produrre circa 16mila kWh di energia solare all’anno, nell’impianto vicino alla stazione di Buttes, da immettere nella rete elettrica e utilizzarla per alimentare le abitazioni. Si tratta di un primo passo nell’ottica di un utilizzo più efficiente dello spazio ferroviario per la produzione di energia rinnovabile e di una soluzione alternativa per l’installazione di pannelli solari senza consumare suolo verde. Allo studio c’è l’installazione di pannelli su un tratto quindici volte più lungo a Aiglle. Se il test andrà a buon fine l’obiettivo ultimo è quello di posare questi pannelli lungo tutti i 5.317 chilometri di binari ferroviari della Confederazione Elvetica, eccetto le gallerie, arrivando a produrre un terawattora (TWh) di energia solare all’anno, fornendo il 2% del fabbisogno energetico totale della Nazione.
# «Crediamo che il 50% delle ferrovie del mondo potrebbe essere equipaggiato con il nostro metodo». Arriverà anche in Italia?
Il sistema è in fase di esplorazione anche in Australia, Cina, Francia, Romania, Spagna, Corea del Sud, Thailandia e Stati Uniti. Baptiste Danichert, co-fondatore di Sun-Ways, intervistato dalla Swi Swissinfo ha dichiarato che «esistono oltre un milione di chilometri di linee ferroviarie in tutto il mondo. Crediamo che il 50% delle ferrovie del mondo potrebbe essere equipaggiato con il nostro metodo compiendo un passo molto significativo verso la decarbonizzazione del sistema». Se venisse utilizzato su tutta la rete ferroviaria italiana, in totale sono oltre 24mila binari a cui andrebbero sottratti quelli nelle gallerie, si potrebbe produrre circa 4 terawattora (TWh) di energia pari a circa l’1,5 nazionale.
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Non vivo più a Milano eppure riesco a rivivere attraverso i ricordi le memorabili serate degli anni ’90. Come questa.
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Una tipica serata milanese degli anni ’90
# Corre un freddo novembre dei primi bellissimi anni ’90…
Credits: @mammaena_madda72 (INSTG)
Corre un freddo novembre dei primi bellissimi anni ‘90. A Milano ancora non si parla di mani pulite, di corruzione, di processi e di concussioni con la mafia. Forza Italia è ancora solo un progetto nella testa di un grosso costruttore edile milanese che prenderà a spallate il sistema politico e mezz’Italia. La città è ancora un po’ quella da bere, quella della nebbia e delle insegne in piazza Duomo e dei Burghy che, da lì a poco, inizieranno a chiamarsi Mac Donald. Corso Como è un posto ancora molto figo (cool direbbero i millenial con i pantaloni aderenti e risvoltinati oggi), e, all’incrocio con la Stazione Garibaldi c’è un grande posteggio sterrato che, quando piove, diventa parecchio fangoso. L’orizzonte a destra del posteggio è libero e, poco lontano, c’è il fumoso e ferraginoso profilo delle vecchie giostre delle Varesine. La stazione è un posto poco raccomandabile, tappa finale dei notissimi puttan-tour celebrati negli anni a venire da magliette a tema e racconti al limite del paradossale.
Il Casablanca non esiste, il trip-hop e il chillout sono parole identificabili solo grazie a pochi gruppi che arrivano via cassettina o cd dall’Inghilterra. Gli Oasis sono cosa per i pochi che hanno in casa i 33 degli Stone Roses e degli Happy Monday. Sono ancora gli anni ’80 fondamentalmente, solo inzuppati nella luce azzurrata della new age e dei nuovi video musicali di MTV. Giulio sta a non so che anno della Bocconi e io sono in licenza 36 ore dalla caserma del Reggimento Piemonte Cavalleria di Trieste.
# Siamo ben vestiti: ex paninari riconvertiti in puzzolente Barbour, maglioncino blu e camicia colletto azzurro…
Siamo ben vestiti: ex paninari riconvertiti in puzzolente Barbour, maglioncino blu e camicia colletto azzurro, 501 sopra le Stan verdi d’ordinanza.
Posteggiamo la sua Uno LX a 6 casse tra un mare di altre auto, lasciamo i giacconi nel bagagliaio e con salti acrobatici tra una pozza e l’altra arriviamo all’ingresso del Loolapaloosa. All’esterno non c’è molta coda (mentre davanti all’Hollywood è già casino) e riusciamo ad entrare al volo in questo fantastico pub tipico inglese dai tavoli in legno e dal lungo bancone sovrastato da lampade a pendenti in ferro.
Non ci sono luci strobo, non ci sono faretti colorati, la musica pompa a 10.000 watt ma, per fortuna, non è il solito tunza-tunza da rimbecillimento discotecaro: rock di quello ballabile, primi accenni di trip-hop, pezzi di cartoni animati, rap (non era ancora hip-hop) e una selezione di tutto quello che avreste voluto avere in macchina appena partiti per un viaggio glorioso, quando ancora si cantavano a squarciagola canzoni eroiche.
# E poi c’è la vera nebbia inglese…
credits: http://www.indieforbunnies.com/
E poi c’è la vera nebbia inglese. Sì perché all’epoca non ci si dovevano gelare le mani per fumarsi una sigaretta. Il locale, che deve avere un impianto di areazione pari a quello del bagno di un treno, è pervaso da una nebbia densa e profumata di “stizze”, birra e aggregazione umana. Per qualche strano magnetismo c’è gente “bella”, di quella che se gli arriva uno spillo di birra sul maglione di R.L. non ti guarda male per aspettarti fuori. Si salta tutti assieme come scemi e si canta a squarciagola ogni stupidissimo pezzo che va sul piatto (ci sarà stato un dj o saranno stati cd è un mistero che ancora non ho dipanato, così come non so ancora di che colore e materiale sia il pavimento). Le cameriere fanno del loro meglio per prendere ordini che forse non arriveranno mai o che verranno declamati quando il barista prepara il vassoio e lo appoggia in posizione poco strategica sulla destra del bancone. Le ragazze sono carine e sorridenti o, alla peggio, si fanno i fatti loro. A sinistra dell’ingresso possono ballare sui divanetti e svettare su tutte le teste dei sudati avventori. E’ un tripudio di camicette azzurre, maglioncini blu, vestitini leggeri svolazzanti e sguardi sornioni di chi crede d’aver capito come gira la vita già a 16 anni.
# Verso le due riusciamo ad abbordare un paio di ragazze bionde…
Verso le due riusciamo ad abbordare un paio di ragazze bionde mooolto carine e divertite/divertenti. Ci spacciamo per piloti di linea inglesi (balla più grande e meno credibile non c’è più venuta da allora) e iniziamo la ben brevettata conversazione in finto italiano stentato infarcito di inglese che sembra funzionare perfettamente, anche se ci avranno sicuramente sgamato quando, all’arrivo di Maria degli Articolo, abbiamo cantato dalla prima all’ultima strofa.
Da lì a poco sul bancone vengono tirate su tre tipe (Ballerine? Pagate dal locale? Boh, mai capito anche perché succedeva praticamente ogni venerdì e sabato sera) che su “Mad About You” degli Hooverphonic vengono spogliate a reggiseno e jeans da quei due geni dei baristi. La serata prosegue con qualche pomiciata con le nostre nuove amiche e la tentazione di lasciar loro un vero numero di telefono (tentazione che il mio prode amico riesce a sventare all’ultimo), un sacco di birra e ancora un sacco di bella musica…. Alle 3 passate usciamo dal locale salutando baracca e burattini nel freddo denso e nebbioso di Milano, le orecchie piene e ovattate dall’esubero di decibel.
# C’è il tempo di un hot-dog dal pochettaro che sosta con il suo furgone al limite del posteggio…
Rolling stones
C’è il tempo di un hot-dog dal pochettaro che sosta con il suo furgone al limite del posteggio. Chill-time e l’ultima sigaretta fumata fuori dalla macchina nel silenzio rotto solo dal rullante e dalle casse dell’Holly che arriva attraverso le porte semi aperte alle nostre orecchie stordite.
Recuperiamo la Giulio-mobile e torniamo a casa puzzolenti come due posaceneri, pieni zeppi di birra e stra-felici per una delle tante memorabili serate milanesi anni ’90, quando il Loolla era un posto figo dove sui piatti girava un groove ballabile e le ragazze erano carine e disinvolte, quando all’Hollywood c’erano le modelle uscite dagli shooting di moda e il mondo sembrava più semplice e molto molto meno connesso di oggi.
Grazie Milano, grazie anni ’90.
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Molto spesso capita che si diano dei soprannomi a paesi piccoli o a città di provincia, soprattutto tra giovani. Se nei più comuni i ragazzi al nome della città fanno seguire un semplice “city” o, se i nomi sono troppo lunghi, li abbreviano, altri soprannomi incuriosiscono. Non sono poi solo gli stessi cittadini a darli, a volte, i comuni limitrofi amano attribuire ai paesi in questione altri nomi, a volte in modo dispregiativo.
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Come i milanesi chiamano i paesi dell’hinterland: da Rozzangeles a Buccinarcos
# “Pioltello t’accoltello”
Credits: @cosemoltetuumblr Pioltello t’accoltello
Sicuramente non ne sono felici gli abitanti di Pioltello, ma negli ultimi anni al paese dell’hinterland est milanese è stato dato un soprannome un po’ dispregiativo. Nei dintorni si crede che a Pioltello bisogna avere gli occhi ben aperti se si gira per le strade. Da qui il nome “Pioltello t’accoltello”, letteralmente occhio che a Pioltello rischi di essere accoltellato e non tornare a casa. Si tratta certamente di un luogo comune, anche perché Pioltello è abbastanza gettonata per quanti riguarda gli acquisti di case e occupa una posizione privilegiata: è nella zona della Martesana ma super collegata a Milano. Rimane il fatto che, però, a volte la sua reputazione non è delle migliori.
# Rozzangeles
Credits: mondadoristore.it Rozzangeles
Questa volta tocca al comune che collega il capoluogo lombardo a Pavia ad avere il nome storpiato. Dall’unione di Rozzano e Los Angeles, per i cittadini della città metropolitana di Milano nasce Rozzangeles. Il soprannome è ormai conosciuto da molti, tanto che Jonathan Bazzi nel suo romanzo “Febbre” dice di vivere a Rozzano, ma parla anche di Rozzangeles. Rozzano è un posto da dove provengono un sacco di rapper, come si direbbe, è un posto da cronaca nera, dove sparatorie, risse, baby gang e infiltrazioni mafiose sono all’ordine del giorno.
# Cinisello Beach, Gorgo City e Boston Arsizio
Un altro richiamo all’America lo si trova nel soprannome di Cinisello Balsamo. L’aggiungere “beach” o “city” dopo i paesi è forse il modo più comune per storpiare i nomi dei comuni. Altri esempi sono infatti Gorgo City per Gorgonzola, Boston Arsizio o l’aquaworld di Conco Beach.
# Cernusco sul Lambrusco
Si torna a respirare aria di casa con Cernusco sul Lambrusco, soprannome nato dall’assonanza del fiume con il vino ruspante tipico delle zone di campagna della bassa Padana.
# Buccinarcos
Credits: pocketnews.it Lo spietato
Altro soprannome da gang se lo aggiudica Buccinasco, che diventa “Buccinarcos”. Una città che ha la fama di essere sede della ‘ndrangheta, la si vede accostare nelle cronache a boss della malavita. A peggiorare la situazione c’è sicuramente la serie Netflix “Lo spietato” sul boss che parte dal sud ovest milanese e conquista Milano a colpi di mitra. D’altronde in “Buccinarcos” c’è un filo di verità, ma i buccinaschesi onesti amerebbero vedere la città associata ad altro.
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Credits mara_e_rosario_stock IG - Brand di moda low cost
Vestirsi alla moda con pochi euro è possibile. Anche a Milano.
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I «Deadstock» di Milano: dove comprare capi firmati con 20 euro
# Il mercato rionale più famoso di Milano
Credits: @laurelevans Il Mercato Di Viale Papiniano
Chi non è stato almeno una volta al Mercato di viale Papiniano o almeno ha avuto modo di transitare lungo il viale in auto o su due ruote a fianco di quella interminabile fila di bancarelle? Questo mercato si estende infatti per quasi un chilometro e con molta probabilità è il più famoso di Milano e conosciuto anche dai non milanesi, segnalato anche nelle guide turistiche, una vera istituzione. Lunghissimo e stretto mette a disposizione circa 20 banchi alimentari, concentrati in piazza Sant’Agostino, dove trovare formaggi, carne, pesce oltre a frutta e verdura che arrivano dal grande mercato ortofrutticolo, e numerose bancarelle di vestiti con proposte alla moda. In alcune di queste si trovano capi firmati low cost per poter essere degni della fashion week spendendo pochissimo. Ma qual è il motivo?
# Occhio ai “Deadstock”: i prodotti invenduti da boutique e outlet
Credits mara_e_rosario_stock IG – Brand di moda low cost
Come è possibile trovare vestiti di marca a prezzi stracciati? Camminando con sguardo attento e scrupoloso tra le bancarelle si possono trovare dei cartelli con la dicitura “Deadstock” che stanno ad indicare capi firmati nuovi invenduti da boutique e outlet, e quindi non dell’ultima stagione ma sempre alla moda e di qualità, a prezzi pari a quelli senza etichetta.
Si possono trovare maglie, magliette o pantaloni a 20 euro, biancheria intima a 3 euro. Il martedì all’altezza del civico 60 c’è la bancherella di Stefano Piria “Stock on the road” che propone in vendita stock di scarpe classiche, casual e sportive di brand famosi, borse e accessori oltre ad articoli per la casa.
Per chi vuole buttarsi nella mischia alla ricerca di un abito alla moda, il mercato è aperto oltre al martedì dalle 7.30 alle 14.00 anche il sabato dalle 7.30 alle 18.00.
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Una lunga trasformazione urbana è in corso a Milano. Eppure, e per fortuna, ancora oggi, resiste una Milano insolita e segreta, che custodisce gemme nascoste capaci di suscitare curiosità e meraviglia che vale la pena andare a scoprire. E fare anche così un piccolo ripasso di storia della città.
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I 7 luoghi più segreti e misteriosi di Milano
«Passeggiare per Milano può regalare sorprese ed emozioni. Milano è la città degli angolini nascosti, quelli che bisogna cercare lontano dalla confusione e dai cliché», racconta Massimo Polidoro, giornalista, scrittore, divulgatore scientifico e segretario nazionale del CICAP, che ha deciso di mostrarli nella guida “Milano insolita e segreta”. Mi ha accompagnato in un tour alla ricerca dei luoghi più insoliti e curiosi di Milano.
Fra Santa Marta e Via Nerino, c’è una stradina corta e stretta. Il nome Bagnera sembra derivi dal fatto che ai tempi dei romani lì vicino si trovavano i bagni pubblici. Proprio lì, in un piccolo magazzino che usava come casa e ufficio, nella prima metà dell’800 viveva Antonio Boggia, fabbro, muratore (anche se lui si definiva “imprenditore edile”), dall’aspetto distinto, solitario (la moglie lo aveva abbandonato, portandosi via anche i figli) primo serial killer ufficiale della storia italiana.
Sceglieva un conoscente, uomo o donna, con qualche disponibilità economica. Inventava poi delle lettere con le quali le vittime gli lasciavano procure o deleghe per gestirne il patrimonio o con cui incassare ogni risparmio. Nel suo magazzino, Boggia disponeva di una cantina dove seppelliva le sue vittime. L’assassino finì impiccato nel Prato della morte, che si trovava in uno slargo tra viale Bligny e viale Beatrice d’Este, anticamente adibito alle pubbliche esecuzioni. Fu l’ultimo civile a essere giustiziato a Milano.
#2 Palazzo Acerbi, la “casa del Diavolo“, in corso di porta Romana n. 3
Casa del Diavolo
Il marchese Acerbi, un personaggio decisamente inquietante, “barba quadra et lunga“, era abituato a spostarsi con una carrozza nera trainata da 6 cavalli neri “con staffieri giovani in livrea verde dorata“. Mentre la popolazione veniva decimata dalla peste lui continuava ad organizzare feste sontuose e banchetti all’interno del suo palazzo, negli ampi saloni in marmo adornati con sculture, quadri di gran pregio, stucchi, specchi e tappezzeria di seta, senza che né lui né i suoi ospiti si ammalassero mai.
Da qui la credenza popolare che nel corpo del marchese Ludovico Acerbi si celasse in realtà il Diavolo in persona. “Acerbi in realtà morì anni prima dello scoppio dell’epidemia. Ma la leggenda continuò ad aleggiare attorno a questo personaggio inquietante“, precisa Massimo Polidoro. Nel 1848, il 20 marzo, durante le “Cinque Giornate di Milano” una palla di cannone austriaca colpì la facciata di Palazzo Acerbi e rimase conficcata nel muro della facciata come racconta la minuscola targa sotto di essa. Ancora oggi è possibile vederla alzando la testa, a destra del portone dopo la mensola del primo balconcino.
Tra i palazzi liberty di Porta Venezia potreste imbattervi, nel Palazzo Berri-Meregalli situato in via Cappuccini 8, una delle architetture più eccentriche e sorprendenti dell’architetto Giulio Ulisse Arata, realizzato fra il 1911 ed il 1913, miscelando stili diversi liberty, gotico e barocco. Ma le meraviglie di questo edificio non sono solo all’esterno, nell’incredibile, imponente e misteriosa facciata.
La Vittoria Alata (Adolfo Wildt)
Nell’atrio, si trova una meravigliosa pavimentazione dai toni accesi, contrapposta agli sfarzosi mosaici blu e oro che decorano i soffitti, illuminati dalla vetrata sul fondo. E poi appare lei, la Vittoria Alata, la meravigliosa scultura dell’artista milanese Adolfo Wildt (1868 -1921) progettata e scolpita tra il 1918 e il 1919 per celebrare la fine della prima guerra mondiale. Una statua liberty in marmo, ritrae la testa di una donna con un velo e un paio di ali, con un’espressione eterea, misteriosa che richiama quasi sofferenza nel suo sguardo rivolto verso il vuoto dell’infinito. “Non ha corpo, la sua Vittoria: è fulminea come il pensiero, lanciata in avanti, solo impeto aguzzo e solo ala impennata: prora di nave e fusoliera di aeroplano“, scrive all’epoca Margherita Sarfatti, critica d’arte. Se il profilo affilato del volto sembra modellato dall’aria che fende, le ali sono dorate come un mosaico di Klimt, e il marmo è patinato come un avorio antico. Quando la luce colpisce i tasselli dorati accanto a quelli dai colori accesi e brillanti delle vetrate la magia è completa.
#4 La Madonna e Gesù con le corna in Sant’Eustorgio
Credits Andrea Cherchi – Madonna con le corna.jpg
Uno degli affreschi più singolari di Milano è all’interno della Basilica di Sant’Eustorgio nella Cappella Portinari. Sulla parete sud, è raffigurata una Madonna con le corna che tiene in braccio il piccolo Gesù, affrescata da Vincenzo Foppa, intitolato “Il miracolo della falsa Madonna”. La leggenda vuole che le corna siano del diavolo in persona che si nascose dietro l’icona della Madonna per disturbare San Pietro da Verona che celebrava la Messa in Sant’Eustorgio. Il Santo se ne accorse e scacciò il demonio, insieme a un mago eretico ritratto sulla destra, reggendo tra le dita un’ostia consacrata. Una volta eseguito il suo esorcismo, però, secondo la leggenda nel dipinto alla Madonna rimasero le corna di Lucifero. “In realtà, Foppa volle documentare l’avversione che all’epoca esisteva in quel luogo per il culto della Vergine“, spiega Massimo Polidoro.
In via Solari 35 (un tempo area delle ex officine Riva Calzoni dove si producevano turbine per centrali idroelettriche) negli spazi sotterranei che l’artista Arnaldo Pomodoro aveva trasformato in un inedito progetto culturale, è custodita un’installazione ambientale intitolata “Ingresso nel labirinto”. Realizzata dal 1995 al 2011 da Pomodoro, si estende su circa 170mq ed è realizzata in bronzo, rame e fiberglass patinato. Quando nel 2019 la Fondazione Pomodoro si è trasferita nella nuova sede tra via Vigevano e il vicolo Lavandai, il suo gioiello, intrasportabile, è rimasto incastonato nel sottosuolo.
Credits barbara_vellucci IG – Labirinto di Arnaldo Pomodoro
Il labirinto si compone di un insieme di vani, corridoi e porte girevoli rivestiti in fiberglass patinato, con interventi in bronzo e pavimento di lastre in rame. Il visitatore, attraversato il portale a scomparsa, viene catapultato in una dimensione di fantasia. Un luogo dove archeologia e arte contemporanea si fondono, tra geroglifici e richiami letterari all’Epopea di Gilgamesh (il primo poema epico della storia, inciso su undici tavolette d’argilla in caratteri sumerici). Al centro dell’opera c’è una sorta di mausoleo dedicato a Cagliostro, l’alchimista palermitano vissuto nel XVIII secolo, dove, su un pavimento a mosaico sottoposto al piano di calpestio, si staglia un giaciglio, luogo di morte del controverso alchimista, morto imprigionato presso la Rocca di San Leo. Visite guidate a cura della Fondazione Pomodoro.
E’ situato in una aiuola spartitraffico della trafficata via Lorenteggio. «Secondo una leggenda», dice Polidoro, «qui nel 1162 entrò il Barbarossa come atto di devozione per invocare la vittoria, mentre Federico Confalonieri usò l’oratorio come covo di cospirazione carbonaro per i moti rivoluzionari contro gli austriaci.» Un tempo usato per la Messa domenicale dai contadini, che la chiamavano anche “Cà o Gesétta di Lusern” (Casa o Chiesetta delle Lucertole) sorgeva in aperta campagna. Quando a fine anni Cinquanta si pensò di abbatterla per fare spazio alla nuova Via Lorenteggio, l’opposizione degli abitanti del quartiere fu tale che si riuscì a salvarla.
All’interno sono visibili affreschi eseguiti in epoche diverse e spesso sovrapposti: il più antico è un fregio nell’abside databile intorno all’anno Mille, con scene di caccia. Sul sagrato di ciottoli della chiesa è stato sistemato il cippo stradale, rinvenuto durante scavi ottocenteschi, che un tempo indicava il territorio dell’antico “Comune di Lorenteggio e Uniti”.
credits: fontanedimilano.it – Rifugio sotto la fontana in Piazza Grandi
Durante la Seconda Guerra Mondiale, ogni volta che il rombo dei bombardieri si avvicinava e le sirene suonavano, i milanesi correvano a nascondersi sotto terra, nelle cantine o in uno dei 135 rifugi antiaerei pubblici sparsi per la città, per ripararsi dalle bombe. I rifugi erano segnalati esternamente con l’indicazione raffigurante una freccia e l’acronimo US ovvero uscita di soccorso oppure con una R che indicava Ricovero. Quelle frecce sopravvivono oggi, ancora ben leggibili sui muri. In piazza Grandi, proprio sotto la monumentale fontana, due grosse frecce bianche con una bordatura nera indicano la presenza del rifugio antiaereo N.56, realizzato dal comune nel 1936 in cemento armato. Uno dei pochi tuttora visitabili (grazie all’associazione Neiade) insieme al rifugio N.87 in Viale Bodio 22, capace di ospitare fino a 450 persone.
Come spesso accadeva, fu costruito riadattando le cantine dei sotterranei di una scuola elementare, in modo da dare immediata protezione agli alunni, ai maestri e ai cittadini dei dintorni. Il rifugio, che occupa 220 mq, ripulito nel 2010, conserva le scritte originali, le frecce che indicano il gabinetto o l’acqua potabile, le vie d’uscita, i divieti di fumare, ed è stato recuperato anche il pavimento originale. La scoperta del rifugio ha una storia incredibile. Fra quei ragazzi che si nascondevano lì sotto c’era anche c’era anche un bambino che da grande sarebbe diventato uno dei registi più sensibili e apprezzati del cinema italiano: Ermanno Olmi. Ne ha parlato nelle pagine del suo libro “Il ragazzo della Bovisa”, romanzo finito fra le mani di una preside saggia e ostinata, Laura Barbirato, quando a metà degli anni Novanta arrivò di fresca nomina a dirigere la scuola elementare Leopardi. Fatto sta che la neo preside legge il libro e il giorno dopo averlo ultimato, decide di controllare di persona. Scende nel seminterrato e sì, il rifugio aereo è ancora lì. Sommerso di rifiuti e polvere, ma c’è. Oggi è un museo.
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Questo 2024 che stiamo archiviando, ci ha portato via anche uno dei più grandi musicisti meneghini. Il 27 maggio scorso, infatti, ci ha lasciato Ghigo Agosti, pioniere del Rock’n’roll italiano, capostipite dei «cantanti urlatori», tra i primi autori di canzoni demenziali e primo artista ad aver trattato in una canzone la tematica della transessualità.
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Ghigo Agosti, pioniere del Rock’n’roll italiano, capostipite dei «cantanti “urlatori»
# Il primo urlatore nel panorama italiano
Di Ghigo Agosti – by Agostimatteo – Agosti Archive, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=2840544 – Alloccus Urlantis
E’ mancato dopo 55 anni di carriera e 88 di vita: all’anagrafe di nome faceva Arrigo Riccardo, da ragazzino si appassiona alla fisarmonica, poi passa al pianoforte: suo cugino era attivo nel mondo della musica internazionale e, dall’America, gli porta i dischi dei pionieri del Jazz, del Blues e del Rhytm&Blues, come Luis Jordan, Lionel Hapton e Stan Kenton. Nel 1952 mette in piedi un gruppo musicale che propone cover d’oltreoceano, mentre nel 1954 crea “Ghigo e gli arrabbiati”, dove entra anche Giorgio Gaber. Più che arrabbiato, Agosti era un urlatore, è stato il primo urlatore nel panorama italiano, anche se questa categoria di interpreti la resero famosa Tony Dallara e Adriano Celentano. Quest’ultimo cantò con Agosti, anzi, la leggenda racconta che Ghigo insegnò al “Molleggiato” l’arte del Rock.
Suona con Gaber e Jannacci e mette nella propria musica quella convinzione secondo cui il Rock e il Blues siano la stessa cosa, vista da prospettive diverse. Il 18 maggio 1957 Bruno Dossena organizza del Primo Festival Rock in Italia, ovvero il Trofeo “Oransoda”. Qui si scrive la storia musicale di Milano, perchè questa kermesse si tiene al Palazzo del ghiaccio. Ghigo Agosti è tra i cantanti più attivi in questo manifestazione.
# Le canzoni bloccate dalla censura: “Coccinella” e “Banana”
Di Paolo Tosi (cugino di Ghigo Agosti) – immagine offerta da Matteo Agosti figlio di Ghigo Agosti, CC0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=9678567 – Ghigo Agosti
Nel 1956 scrive la canzone “Coccinella”, dedicata ad un transessuale francese, che Agosti conobbe proprio oltralpe. Il vero nome di “Coccinella” era Jacqueline Charlotte Dufresnoy, la prima donna transessuale nel mondo dello spettacolo. Quando uscì, il brano fece scandalo, venne bloccato, fu inciso nel 1957, ma per due anni rimase nel cassetto, per essere proposto al grande pubblico nel 1959, diventando subito un successo.
Nel 1960 la censura si abbatte ancora sul cantante milanese, quando incide “Banana (frutto di moda)”. «La banana…se la provano ti dicono “ancora”, ma non basta gustarne una sola». Troppi doppi sensi allusivi, figuriamoci se nell’Italia di allora poteva passare inosservata.
# E’ stato anche il precursore del genere demenziale e fondatore del “Partito estremista dell’urlo”
wikipedia.org – Partito estremista urlo
All’inizio degli anni sessanta,Ghigo Agosti fonda il “Partito estremista dell’urlo”, con tanto di manifesti elettorali, che riportavano la sua fotografia e uno slogan che faceva così: «non stare in silenzio; unisciti e urla con noi». E’ stato anche il precursore del genere demenziale, con le canzoni “Scalogna e carcere” e “No! Al Demonio”, ad inizio degli anni sessanta diventa un riferimento per quel tipo di interpretazioni. Verso la fine degli anni sessanta sperimenta l’”Art Rock”, quel genere che si allunga verso il tentativo di andare oltre gli schemi standardizzati del Rock, coinvolgendo il Jazz e la musica classica europea.
# Dal Rock Psichedelico al giornalismo passando per il teatro d’avanguardia
Agosti
Agosti prova il Rock Psichedelico, con una rivisitazione di “It’s a Man’s, Man’s, man’s world”, che intitola “James Brown dice …io dico!!”, opera che viene proposta al teatro Manzoni nello spettacolo “Off-off”. Passa poi al teatro d’avanguardia, apre i concerti di Jimi Hendrix al Piper milanese, di Elton John e di Isaac Hayes a Genova.
Negli anni settanta si specializza nella fotografia e nel giornalismo. Negli anni ’90 lo vediamo in Tv nella trasmissione “Sarabanda” a duettare con “Coccinella”, ovvero un concorrente della trasmissione, particolarmente appassionato al cantante milanese. Nel 1993 ebbe un rientro musicale dal vivo e discografico.
Nel frattempo Ghigo si era trasferito nell’Oltrepò pavese dove morirà, appunto, lo scorso mese di maggio.
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Il sogno di ogni milanese. Vivere in una casa da sogno. Tipo queste.
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10 case di Milano in cui tutti vorrebbero trascorrere almeno una notte (immagini)
#1 La casa clonata
Casa 770: via Poerio 35
Casa 770 Milano
Questo edificio gotico al 35 di via Poerio è una delle 12 case costruite negli anni ’40 dalla dinastia di ebrei ortodossi, i Lubavitcher.
Tutto ebbe origine nell’Eastern Parkway di Brooklyn, quando il rabbino Yoseph Yitzchok Schneerson acquistò questo edificio gotico una volta fuggito dalle persecuzioni naziste.
Dopo di lui la casa fu abitata da suo genero, il rabbino Menachem Mendel Schneerson, guida del movimento Chabad-Lubavitch e fondatore dei centri di incontro delle comunità Chabad nel mondo. Da allora, la Casa al 770 di Eastern Parkway divenne la casa 770 cenacolo e cuore della comunità ebraica, così tanto che alcuni suoi componenti decisero di replicarla tale e quale in altre città.
Dunque, oggi, di Casa 770 ce ne sono nel New Jersey, a Cleveland, Los Angeles, in Canada, in Israele, in Brasile, Argentina, Australia, Cile e Ucraina. L’unica nell’Unione Europea è a Milano, in via Poerio 35, in zona Porta Venezia dove la comunità Chabad è molto diffusa.
New York aveva le Twin Towers, Roma ha le chiese gemelle in Piazza del Popolo. E Milano? Ha i due grattacieli di Piazza Piemonte, o meglio, quelli che all’epoca della costruzione nel 1923, erano considerati tali. Forse non tutti sanno che sono stati tra i primi grandi condoni di Milano: all’inizio del ‘900 il regolamento edilizio comunale non permetteva di costruire palazzi più alti di 28 metri, e i due edifici furono innalzati fino a 38 metri con una deroga concessa ‘in virtù della vastità della piazza’.
#3 Il Liberty sopra i panini
Casa Galimberti: via Malpighi 7
Casa Galimberti
È una delle case più fotografate di Milano in un quartiere, Porta Venezia, tra i più Liberty della nostra città, con straordinari balconi in ferro battuto e cemento, ed un androne e vano scala riportato alla luce solo alla fine degli anni Novanta del secolo scorso.
Impossibile non riconoscere questa casa decorata con immagini di donne, ramages, foglie, frutti, dipinte “a fuoco su ceramica”, tecnica che consiste nel pitturare sul prodotto già cotto e verniciato e richiede un’ulteriore cottura del pezzo.
Realizzata nel 1903-1905 dal noto architetto Malpighi con motivi decorativi dell’architetto Bossi, a volerla così furono i fratelli Galimberti, costruttori, che comprarono il terreno dove erigere la loro casa e ai quali si deve l’altrettanto famosa Casa Campanini.
Oggi, i più la scoprono mossi dalla fame di un Panino Giusto nell’omonimo bistrot al pianterreno.
#4 In riva alla Martesana
Villa sul Naviglio, via Tofane
Casa sulla Martesana, in via Tofane
Vivere sui Navigli? Giammai: tra zanzare e ratti passa subito la voglia. È pur vero, però, che il desiderio torna subito se si pensa dimore storiche pieds dans l’eau, al fatto che ognuna di esse fosse un buen retiro per i ricchi patrizi prima, borghesi poi.
Questa di via Tofane, per esempio, fa parte della collezione dei gioielli immobiliari milanesi, che per l’affaccio sull’acqua e la posizione strategica che permette di vivere in un’oasi di pace pur godendo di tutti i servizi (in questo caso viale Monza è a due passi, ma non se ne sente il frastuono) – restituiscono ai corsi d’acqua meneghini la loro magica atmosfera.
#5 Nel Quadrilatero del Silenzio
Villa Mozart: via Mozart
Villa Mozart
Villa Mozart sorge dietro ai Giardini di via Palestro, davanti a Villa Necchi Campiglio, sopra a un giardino di quiete, a due passi dal centro. In primavera diventa verdissima, con quel nome che da solo evoca il rumore delle foglie che la avvolgono e il frinire delle cicale d’estate. Eleganza d’altri tempi, quella degli anni Trenta, epoca in cui la villa venne eretta dall’archistar dell’epoca Piero Portaluppi, e di tempi sospesi. Come quelli dei matrimoni, che qui possono essere celebrati, o come quelli della gioielleria, visto che un noto designer del settore ha scelto questo indirizzo nell’omonima via per aprire uno showroom, facendone il cuore pulsante del suo business.
Se dall’altra parte della via, Corso Venezia, parte il Quadrilatero della Moda, da qui inizia il Quadrilatero del Silenzio.
#6 La casa a fungo
Via Lepanto, Villaggio dei Giornalisti
Non siamo nel villaggio dei Puffi ma in quello dei giornalisti, in via Lepanto.
Nel quartiere della Maggiolina,dove igloo, palafitte ed esperimenti architettonici un tempo erano di competenza del comune autonomo di Greco, annesso a Milano nel 1923. Qui scelsero di abitare i giornalisti di allora. Ieri era fuori dai confini milanesi, oggi vicino al nuovo centro del business, ma sempre capace di sorprendere. Questa di via Lepanto è una delle case più pittoresche, risalente agli anni ’40 ed opera dell’ingegnere Mario Cavallè.
Premiato come il “grattacielo più bello e innovativo del mondo” dall’International Highrise Award, nel 2015, è una delle eccellenze dell’opera diriqualificazione di Porta Nuova. Simbolo di opulenza oltre che di design e sostenibilità, è il giardino più alto e iconico di Milano, che trae una delle sue fonti di ispirazione niente meno che dai Giardini Pensili di Babilonia.
#8 Una notte nel Medioevo
Casa dei Panigarola: Piazza dei Mercanti, 17
Casa dei Panigarola
Il nome è quello della famiglia di notai di Gallarate, Panigarola, che conservò il suo palazzo nei secoli sino al 1741, quando si estinse definitivamente. Qui si sono vissute le vicende della storia medievale del Comune di Milano: dietro le sue grandi arcate a sesto acuto, infatti, si trovava l’Ufficio degli Statuti, “che provvedeva alla registrazione e trascrizione dei decreti ducali, degli atti pubblici e a determinare le categorie degli atti privati”.
#9 Sopra la porta delle Colonne San Lorenzo
Colonne di San Lorenzo: corso di Porta Ticinese
Sopra la porta delle Colonne San Lorenzo
Probabilmente una delle viste più belle e suggestive di Milano, rumore della movida a parte. Alcune finestrelle si aprono su questa che è la porta meridionale di ingresso alla città, Porta Ticinese, detta anche Porta Cicca, dal momento che era l’unica delle porte cittadine ad avere una sola apertura. Pesantemente rifatta nel 1861 da Camillo Boito, che ne aprì i due fornici laterali, è uno degli ultimi vessilli dellaMilano romana e tardomedioevale, insieme agli archi di Porta Nuova in via Manzoni.
#10 Il Palazzo con vista Duomo
Palazzo Carminati: Piazza del Duomo 17
Palazzo Carminati, in faccia al Duomo, nel 1975
Diciamo che vista più vista di così non c’è. Aprire le imposte e trovarsi di fronte solo lui, il Duomo, non è davvero niente male. Il palazzo più invidiato di Milano è Palazzo Carminati, sito in Piazza del Duomo 17 – fa scena dirlo, eh?! L’edificio, eretto nel 1867 dall’industriale dell’argento Giacomo Cesati, deve il nome al ristorante al piano strada, il Carminati, “che a sua volta era subentrato alla birreria Casanova”, riportano le fonti. E’ diviso in due parti da una galleria, il Passaggio Duomo che collega la piazza con via Orefici, ma a renderlo famoso nel mondo e a farlo immortalare nelle cartoline di un secolo di storia e lustrini è stata la sua vita come “testimonial naturale”: in passato la sua facciata era decorata da luminarie pubblicitarie, insegne di caroselli, citazioni in noti film, e pure un Ernesto Calindri che, seduto a un tavolino in mezzo al traffico proprio di fronte a questo palazzo e le sue insegne caratteristiche, sorseggiava un Cynar “per difendersi dal Logorio della vita moderna“. A noi piace ricordarlo così!
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Sondaggio aperto tra i milanesi: quali opere vorreste vedere a Milano? Queste sono le 7 idee più interessanti, originali e funzionali che sono emerse.
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Le 7 grandi opere che i milanesi vorrebbero a Milano
# Un penitenziario come il CECOT di El Salvador: detenuti impiegati in lavori utili per la città
Al primo posto dei problemi per i milanesi c’è la sicurezza. Per migliorarla sono state avanzate diverse proposte. Tra le più singolari spicca quella di costruire un nuovo carcere. C’è chi ha riportato l’esempio del carcere CECOT di El Salvador, noto per la sua massima sicurezza, che impiega i detenuti in attività utili alla collettività, riducendo i costi statali e promuovendo la loro riabilitazione.
A Milano si potrebbe immaginare una struttura con una logica simile, ma orientata ai reati minori. Situato in un’area periferica o nell’hinterland, per esempio San Giuliano Milanese o Sesto San Giovanni, questo carcere potrebbe ospitare programmi di formazione per i detenuti, che si impegnerebbero in attività come la manutenzione dei parchi, la pulizia delle strade e la gestione del verde urbano.
In cambio, i detenuti potrebbero ricevere un compenso simbolico, utile per il reinserimento nella società, e l’amministrazione comunale beneficerebbe di una forza lavoro che migliorerebbe la qualità della vita cittadina. Il modello potrebbe anche essere ampliato per includere i giovani detenuti del carcere minorile di Opera, con l’obiettivo di prevenire la recidiva e promuovere una società più sicura.
# Un tunnel d’interscambio tra Crocetta (M3) e Sforza-Policlinico (M4)
Progetto interscambio Missori – Sforza-Policlinico
Altro grande problema: la mobilità. Molti milanesi hanno evidenziato la necessità di migliorare i collegamenti tra le linee metropolitane, con particolare riferimento alla introduzione di un tunnel pedonale sotterraneo lungo 240 metri che faccia da interscambio tra le fermate Crocetta (M3) e Sforza-Policlinico (M4).
La costruzione sottoterra dovrebbe essere una caratteristica fondamentale di questa infrastruttura. Un esempio poco virtuoso è rappresentato dal caso del collegamento tra Missori (M3) e Sforza-Policlinico, situato a breve distanza da Crocetta. Inizialmente previsto come un interscambio sotterraneo, con 10 milioni di euro già stanziati, il progetto è stato poi trasformato in una riqualificazione della superficie, che prevede una piazza pedonale come area di collegamento. Sebbene il risultato finale migliori l’estetica e la vivibilità della zona, l’obiettivo primario è stato perso: garantire un interscambio rapido, asciutto nei giorni di pioggia e protetto dal gelo durante l’inverno.
Per tratte brevi come questa, in alternativa a un tunnel sotterraneo, si potrebbe considerare un approccio innovativo, che abbiamo pensato per altri contesti urbani: isolare aree specifiche come piazze (San Babila) o interi quartieri (Brera) con strutture che le rendano vivibili anche in condizioni di neve o gelo. Applicando un concetto simile agli interscambi in superficie, si potrebbero progettare percorsi coperti e protetti che offrano comfort climatico a costi inferiori rispetto a quelli di un tunnel.
# La Circle Line
Un anello ferroviario che colleghi i principali nodi periferici di Milano è un progetto che molti cittadini sognano da tempo. La “Grande Circonvallazione” ferroviaria, risalente al XIX secolo, aveva proprio questa funzione, ma con il tempo è stata abbandonata.
Una nuova Circle Line potrebbe riprendere parte del percorso, adattandolo alle necessità moderne. Collegamenti strategici tra fermate come Romolo (M2 e S9), Rogoredo (M3), Pagano (M1) e Gerusalemme (M5) permetterebbero agli abitanti delle periferie di spostarsi senza passare dal centro città.
L’utilizzo di vecchie linee ferroviarie abbandonate, convertite in una linea moderna e veloce, ridurrebbe il traffico e renderebbe anche la città più sostenibile. La Circle Line diventerebbe presto un pilastro del trasporto pubblico, migliorando la qualità della vita per pendolari e residenti.
# Un’arena per concerti rock e metal
Effettivamente, pur essendo Milano un punto di riferimento per la musica in Italia e, soprattutto, una grande piazza per concerti e gruppi internazionali, alla città manca un’arena progettata specificamente per i concerti rock e metal. Attualmente, strutture come l’Alcatraz, il Legend Club e il Mediolanum Forum offrono soluzioni temporanee, che, però, rischiano di non soddisfare le esigenze tecniche e logistiche di questo genere musicale.
Un’arena dedicata potrebbe nascere in aree ex industriali come Bovisa o Rubattino, valorizzando spazi dismessi con un progetto di riqualificazione urbana.
L’arena dovrebbe avere un’acustica eccellente, progettata con materiali fonoassorbenti e tecnologie avanzate per garantire un suono potente e immersivo. Una capienza modulabile, da 3.000 a 20.000 posti, permetterebbe di ospitare eventi di diversa scala, offrendo zone standing, tribune rialzate e aree VIP. Inoltre, dovrebbe includere servizi specifici come punti ristoro tematici, negozi di merchandising, spazi per mostre musicali, backstage ampi e attrezzati, e tecnologie innovative come schermi LED e illuminazione scenografica.
Progettata con criteri di sostenibilità, l’arena potrebbe utilizzare energie rinnovabili e materiali riciclati, riducendo l’impatto ambientale. Una struttura simile non solo consoliderebbe Milano come capitale internazionale della musica live, ma attirerebbe fan da tutta Europa, generando un impatto economico positivo e valorizzando quartieri oggi poco sfruttati.
Non sono pochi i milanesi, magari d’adozione, che pensano alla sorte degli studenti fuorisede. Effettivamente, Milano, che ospita alcune delle università più prestigiose d’Italia, soffre la carenza di alloggi a prezzi accessibili: il famoso caro-affitti.
Recentemente abbiamo pensato a una “Repubblica Universitaria Milanese”, ovvero un grande distretto universitario in zona Bicocca, per riunire il fermento universitario milanese, dotato di residenze studentesche sia classiche che moderne. Gli studenti potrebbero beneficiare di tariffe calmierate in cambio dell’impegno a lavorare a Milano per almeno cinque anni dopo la laurea, contribuendo così allo sviluppo del tessuto economico e sociale cittadino.
Il progetto includerebbe anche spazi comuni per favorire l’interazione e la collaborazione tra studenti di diverse discipline, trasformando il quartiere in un vero hub della conoscenza e dell’innovazione.
# Una fontana iconica per Milano
In passato, Milano vantava fontane piuttosto iconiche nei pressi del Duomo, ma oggi questa tradizione è andata persa. In più, sono parecchie le fontane cittadine che “galleggiano” tra il dismesso e il mal tenuto. Diversi milanesi ritengono che riportare in vita queste fontane, progettandone anche di nuove (al passo con i design contemporanei), farebbe bene all’estetica della città.
Un’idea alquanto provocatoria, che proviene direttamente dalla mente di un milanese, sarebbe spostare la Fontana di Trevi da Roma a Milano. Perché non farlo? Milano, pensa questo nostro concittadino, la gestirebbe sicuramente meglio, la pulirebbe più frequentemente e, perché no, troverebbe anche il modo di renderla un’attrazione turistica ancora più profittevole.
Se però trasferirla a Milano dovesse risultare infattibile… perché non progettare una fontana altrettanto iconica nel cuore pulsante della città? Si, in Piazza Duomo. Un’opera che abbini tradizione e innovazione, valorizzando l’estetica storica della piazza, ma anche conferendo un tocco di modernità.
# Un palazzo dello sport degno di Milano
Milano ha una lunga tradizione sportiva, lo Stadio Meazza è solo un esempio, ma gli impianti attuali per molti sono inadeguati. Il crollo del Palasport di San Siro, nel 1985, e, oggi, il mancato recupero del Palasharp rappresentano due grandi occasioni perse. Da anni i milanesi devono andare ad Assago per trovare l’arena per gli eventi sportivi e musicali indoor.
Per le Olimpiadi Invernali Milano-Cortina 2026, la città aveva deciso di rimediare, ma la mala gestione ha dirottando le gare di hockey femminile a Rho Fiera. I milanesi, però, sentono la necessità di un palazzo dello sport all’altezza della città.
Un’idea davvero ambiziosa, ma parliamo di Milano e quindi non ci sono limiti, l’avevamo pensata a proposito dello Stadio e del quartiere San Siro: trasformare l’intera area in un “tempio dello sport”. Vietando l’ingresso alle auto, nulla ostacolerebbe la realizzazione, in superfice, di grandi piste da corsa e per le bici, o zone per lo yoga. E, sottoterra, una rete sotterranea di palestre, infrastrutture tecnico-mediche all’avanguardia e perfino spazi per gli sport estremi. Un’intero quartiere dello sport sarebbe decisamente meglio di un solo palazzo.
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Non solo Milano, anche nell’hinterland i valori immobiliari continuano a salire a ritmi vertiginosi. Risulta ancora conveniente andare a vivere nei comuni fuori città? Questo il comune dove costa di più in assoluto comprare un’abitazione.
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Peggio che a Milano: la località dell’hinterland con prezzi delle case da record
# Boom dei prezzi a Milano negli ultimi 8 anni: l’hinterland rincorre (anche se la crescita degli affitti è simile)
L’alto costo della vita è uno dei fattori che ha spinto molti milanesi a lasciare Milano, anche solo per spostarsi nell’hinterland dove soprattutto le abitazioni, la spesa maggiore nel budget famigliare, sono più abbordabili. Una certezza che però sta venendo sempre meno. Negli ultimi 8 anni infatti, in base agli ultimi dati forniti dal centro studi Immobiliare.it Insights, i prezzi degli affitti sono cresciuti quasi alla stessa velocità: +42% a Milano, +39% nell’hinterland. Più marcata la differenza per quanto riguarda gli immobili in vendita sia per incremento dei valori, rispettivamente +50% e +18%, che per il costo medio, rispettivamente 5.500 euro/mq e 2.240 euro/mq.
# Il comune fuori città con prezzi delle case da record: oltre 3.800 euro/mq
Assago elena_grossi IG
Risulta quindi ancora conveniente andare a vivere nell’hinterland? Dipende da cosa si è risposti a rinunciare. Se si vuole essere comunque comodi ai mezzi di trasporto veloci, come la metropolitana, bisogna esser disposti a pagare. Nella top tre dei comuni con le case più costose troviamo:
#3 Cernusco sul Naviglio, servito da due stazioni della M2, con valori medi di 3.350 euro/mq: più alti di quelli dei quartieri periferici di Milano, ma con una distanza doppia dal suo centro.
#2 Al secondo posto, non ancora servito dalla metropolitana ma a soli 10 km dal cuore di Milano, c’è Segrate: qui servono in media 3.450 euro.
Maps – Assago Forum M2
#1 Il comune dell’hinterland con prezzi delle case più alti in assoluto è Assago: la media è superiore ai 3.800 euro al mq, non lontano da quelli nelle zone prossima alla cerchia filoviaria milanese. Si trova però a circa 12 km dal centro di Milano e anche se ha due fermate della M2 sul suo territorio, la più vicina dista circa 2,5 km dal quartiere più lontano. Sono infatti più comode per l’utenza del centro direzionale, dell’area commerciale e del palazzetto che per i residenti.
# Sesto è il paese che ha registrato l’incremento maggiore: +46%
Credits: wikipedia.org
Sesto San Giovanni non è ancora tra quelli con i prezzi medi più costosi, nonostante sia in continuità con l’abitato milanese e servito da due fermate della metro più stazione ferroviaria, ma si sta avvicinando rapidamente. Negli ultimi 8 anni, infatti, sono saliti quasi al ritmo di Milano, +46% contro +50%, arrivando a 2.900 euro/mq.
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