L’articolo 132 della Costituzione Italiana consente la creazione di una autonomia per Milano.
Milano città stato mira a diventare la prima città d’Italia autonoma, modello di efficienza e cultura di vita, come già sono Berlino,Madrid, Amburgo, i cantoni svizzeri, Singapore e Hong Kong, esempio di come una città stato possa essere da stimolo per la nazione di cui fa parte.
Fine di questa campagna è di organizzare le MILANARIE, dando la possibilità ai milanesi di poter dire SI o dire NO a Milano Città Stato.
Milano ci piace così. Al centro della storia. Ecco in ordine sparso 10 protagonisti del suo glorioso passato.
10 PERSONAGGI CHE HANNO FATTO LA STORIA DI MILANO
#1. Alessandro Manzoni
Alessandro Manzoni
Forse il più grande romanziere italiano, autore de I promessi sposi, letto in tutte le scuole. A Milano è nato (il 7 marzo 1785) e morto (22 maggio 1873) e vi ha trascorso l’intera vita. Ha contribuito a diffondere in tutto il paese l’illuminismo cattolico e la lingua italiana.
#2. Ludovico Maria Sforza (Il Moro)
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Nato a Milano il 3 agosto 1452 è stato duca dal 1494 al 1499. Nei suoi soli 5 anni di regno, Milano divenne una capitale del Rinascimento attirando alcuni tra gli artisti di maggior rilievo dell’epoca, tra cui Leonardo Da Vinci a cui Ludovico commissionò l’Ultima Cena. Con la sua caduta per mano dei francesi, Milano perse l’indipendenza e rimase sotto domino straniero per 360 anni. Ludovico visse gli ultimi anni da prigioniero in terra di Francia, fino alla morte avvenuta nel 1508.
#3. Aurelio Ambrogio (Sant’Ambrogio)
Ambrogio
Il santo patrono di Milano era un tedesco. Nato a Treviri, l’attuale Trier, nel 339 è uno dei quattro dottori della Chiesa, assieme a San Girolamo, San Gregorio e a Sant’Agostino che lui stesso battezzò a Milano. La città gli deve le sue chiese più antiche, tra cui San Nazaro, San Simpliciano e la basilica che porta il suo nome. In suo onore si tiene la prima della Scala, a lui si ispira l’Ambrogino d’oro, il premio del Comune di Milano per i suoi cittadini più emeriti e a lui dobbiamo il Carnevale più lungo del mondo, che termina il Sabato Santo, in piena quaresima.
#4. Tommaso Marinetti
Marinetti
Nacque ad Alessandria d’Egitto nel 1876, visse in diverse città e solo dopo la laurea si trasferì a Milano. La fondazione del Futurismo ha un che di leggendario: dopo essere finito con la sua Isotta Fraschini dentro un fossato poco fuori Milano, Marinetti elaborò il manifesto del futurismo affermando che dal fossato ne era uscito “un uomo nuovo” che aveva chiuso i ponti con il passato. Il manifesto venne inviato da numerosi giornali italiani e stranieri e diede il via a una corrente culturale che da Milano si diffuse in tutto il mondo. Morto a Bellagio nel 1944, riposa al Monumentale.
#5. Giuseppe Verdi
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Un altro genio nato fuori, ma che a Milano ha raggiunto la sua grande fama. Compositore e tra i massimi operisti di tutti i tempi, le sue opere vengono rappresentate ancora oggi in tutti i teatri del mondo. Era un sostenitore dell’unità d’Italia e a Milano soggiornava al Grand Hotel et de Milan. Oltre le sue opere immortali ci ha lasciato la casa di riposo per artisti che porta il suo nome.
#6. Cesare Beccaria
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Nato (15 marzo 1738) e morto (28 novembre 1794) a Milano. Considerato uno tra i massimi esponenti dell’illuminismo italiano che a Milano ha raggiunto il suo livello più elevato. La sua opera principale, Dei delitti e delle pene, costituisce ancora oggi il trattato ispiratore del codice penale del mondo occidentale, specie per essere stato contro la pena di morte, allora diffusa ovunque, e per aver inserito l’obiettivo della rieducazione nel trattamento dei carcerati. Era convinto che la cultura potesse ridurre la criminalità. Era il papà di Giulia, madre di Alessandro Manzoni.
#7. Gian Galeazzo Visconti
Il suo sogno era di unificare l’Italia con alla guida Milano. Nel 1395 fu elevato al rango di duca imperiale e diede inizio a molti conflitti: il suo progetto era di unificare l’Italia in un grande stato nazionale con alla testa Milano. Sotto di lui lo stato di Milano raggiunse la sua massima estensione, comprendendo gran parte del nord e del centro Italia, estendendosi in quasi tutta la Lombardia, gran parte del Veneto, parti del Piemonte, dell’Emilia, dell’Umbria e della Toscana, dove conquistò Siena e Pisa. Fece costruire la Certosa di Pavia e diede avvio all’edificazione del Duomo di Milano. Morì di peste nel 1402 nel castello di Melegnano dove si era rifugiato per cercare di scampare al contagio.
#8. Francesco Sforza
Fu il primo duca di Milano della dinastia degli Sforza, grazie al matrimonio con Bianca Maria figlia di Filippo Maria Visconti. Fu artefice della pace di Lodi tra gli Stati italiani e della rinascita politica, economica e culturale del Ducato di Milano, guadagnandosi l’ammirazione dei suoi contemporanei, tra cui Nicolò Machiavelli. Diede inizio alla costruzione del Castello Sforzesco.
#9. Leonardo Da Vinci
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L’uomo che è considerato uno dei più grandi geni della storia si è formato a Firenze ma è Milano la città dove diede il meglio di sé. A Milano trascorse i suoi anni più creativi dal 1482 al 1500 nella cerchia di Ludovico Il Moro. Solo quando Ludovico dovette scappare e Milano perse l’indipendenza, Leonardo fu costretto a lasciare la città da lui così tanto amata.
#10. Indro Montanelli
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Concludiamo con un altro grande toscano, un’icona del giornalismo e del pensiero liberale italiano che nel nostro paese ha avuto fugace fortuna. Nato a Fucecchio ha vissuto quasi tutta la sua vita a Milano da lui amata spassionatamente. I suoi luoghi preferiti era quelli attorno ai giardini di Porta Venezia, denominati in suo onore Giardini Montanelli. Morto nel 2001 dopo aver fondato il suo ultimo giornale a oltre 90 anni, ha forgiato le coscienze di molti di noi.
Queste sono le nostre prime scelte in ordine temporale. Vi proponiamo una seconda lista di personaggi significativi.
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La prima cosa che il non milanese nota quando sbarca a Milano per la prima volta è l’incredibile concentrazione di cani. Sono ovunque e scodinzolano un sacco. Si vede che sono a loro agio.
Io adoro i cani, quindi la cosa mi piace pure, ma immagino che per una persona con la fobia di questo animale vivere a Milano sia un incubo.
Da forestiero di questa grande città, mi sono chiesto quale sia il motivo di tutto questo amore per i cani.
Dopo un’intensa riflessione e un piccolo sondaggio ho individuato 12 motivi per cui i milanesi comprano un cane.
Eccoli qui.
#1 Portare il cane al parco è un piano infallibile per fare nuove conoscenze.
#2 Fare nuove conoscenze è la condicio sine qua non per rimorchiare. Quindi portare il cane al parco aiuta a rimorchiare.
#3 Passeggiare con lui è una sicurezza perché ti segnala in anticipo pozzanghere, buche sul marciapiede o escrementi di altri cani.
#4 Quando qualcuno gli rivolge la parola – ma come stai bel cagnolino – lui ti guarda con l’aria di chi pensa, “ma come sta messo questo?” e tu capisci perché gli vuoi bene.
#5 Perché legarlo fuori dall’ingresso dei supermercati è una cosa brutta. Meglio dire al tuo ragazzo, “entra tu a fare la spesa mentre io resto fuori con il cane”.
#6 Altrimenti a cosa servirebbero Parco Sempione, Pagano o i giardini di Porta Venezia?
#7 Il tuo cane è l’unico in tutta la città che qualunque cosa tu faccia ti è sempre riconoscente.
#8 Finisce che vi assomigliate. E fa sempre piacere avere un complice.
#9 Per evitare di fare jogging da soli. Il cane funziona come un personal trainer: ti motiva, ti segue nell’attività sportiva e ti ringhia se batti la fiacca.
#10 È un modo alternativo per ostentare il tuo potere d’acquisto. Lo dice anche l’ISTAT.
#11 Si tuffa su tutte le cagnoline che incontra. E di solito le cagnoline hanno una padroncina alla fine del guinzaglio.
#12 A Milano per vedere un amico devi prendere appuntamento un mese prima e rimandare quindici volte prima di riuscirci. Un cane è un migliore amico a portata di guinzaglio.
27 aprile 2016. Non lucchetti ma poesie- il 'Poetry Bridge' sui Navigli di Milano
Uno dei luoghi più romantici di Milano, più tipici, più fotografati. In mancanza di grandi ponti su cui attaccare un lucchetto di mocciana memoria, lo storico ponte del Naviglio in Ripa di Porta Ticinese (angolo via Paoli) si trasforma in Poetry Bridge, il Ponte della Poesia.
5 motivi per non perderlo
#1. E’ l’ultimo giorno: l’installazione è stata inaugurata il 20 aprile
#2. Vedere più di 4.000 componimenti appesi come promesse d’amore, nel prosieguo della Giornata Mondiale della Poesia (21 marzo – ne avevamo parlato qui)
#3. Partecipare ad un evento che, nello stesso momento, si tiene anche a Londra, nel formato del “Poetry Tree”
#5. Un caffè offerto anche dopo la Giornata Mondiale della Poesia in cui “Pay with a Poem“, un caffè veniva offerto per ogni poesia composta e lasciata nei bar e luoghi di incontro di Milano
5 cose che mi aspetto di trovare
#1. La giusta ispirazione per scrivere la mia poesia da lasciare al post-it, al vento, all’opera corale
#2. La stessa atmosfera di festa pacifica e voglia di arte che troverei a Londra
#3. Silenzio e le poesie lette dal rumore del vento
#4. La decisione del Comune di conservare questo ponte, con la dovuta cura e manutenzione
Quello dell’inquinamento è uno dei problemi più percepiti dall’immaginario collettivo, insieme a fame, povertà e guerre. Secondo una stima della World Health Organization, ogni anno 7 milioni di persone muoiono in tutto il mondo a causa dell’inquinamento atmosferico. A Milano sono oltre 5.000 le vittime ogni anno, ponendoci ai primi posti per mortalità in Europa. Uno strumento per salvarle c’è ed è un enzima che depura l’organismo umano dal benzene, la particella tossica che provoca l’insorgenza di tumori causati dall’inquinamento.
Lo dice una ricerca della John Hopkins University a partire dalla quale due imprenditori, under 30, italianissimi, hanno pensato ad un prodotto facile ma vitale, come bere un bicchiere d’acqua. Anzi, un drink, sì by AREEA, la loro azienda.
AREEA limited staff antinquinamento
Ad avere avuto l’idea sono Antimo Farid Mir e Jacopo Mele. Tanto per intenderci: “Jacopo Mele è uno dei giovani sotto i 30 anni più influenti d’Europa secondo Forbes e a 22 anni ha già fatto consulenza per alcune tra le maggiori multinazionali al mondo. Inoltre è il presidente di Ex Machina una fondazione che ha fornito il team iniziale ad AREEA e che conta tra i suoi membri Massimiliano Maria Longo, uno dei creativi pubblicitari più premiati al mondo” spiega Startupitalia. Farid Mir è Romano, Mele è di Salerno mentre Longo è di Milano: tre dei molti talenti che lasciano l’Italia per trovare maggior fortuna all’estero.
“Jacopo è sempre stato attivo nel monitoraggio dell’aria con il suo progetto Sensoma“, prosegue Farid Mir: “Ho immediatamente pensato di coinvolgere Jacopo (Mele, N.d.r.) data la sua passione per la materia e la sua grande rete di contatti”.
Come è nato il drink che scioglie l’inquinamento
Primo passo: “spulciare tutte le ricerche accademiche sul tema, via Google Scholar“, racconta Starupitalia.
Secondo: consultare un tecnologo alimentare, ovvero un esperto che sappia trasformare l’idea in un nutrimento edibile e che faccia meglio di prima. I ragazzi di AREEA lo trovano “presso la più grande azienda alimentare italiana, della quale però non possiamo rivelare il nome”, comunque, c’è.
Terzo: verificare l’efficacia del drink realizzato in versione-beta utilizzando test accademici. Devono portare agli stessi risultati della prima ricerca John Hopkins.
Terzo-punto-uno: è necessario che un professionista aiuti la AREEA a farlo. Ecco arrivare Carmine Landi, ricercatore dell’Università di Salerno con alle spalle numerose pubblicazioni scientifiche sul tema.
Quarto: una volta imbottigliato il liquido, cosa scrivere sulla etichetta? Le norme europee sono molto strette. La risposta la fornisce un altro esperto, new entry anche lui in squadra: Paolo Patruno, “uno dei maggiori esperti di food labeling (l’etichettatura degli alimenti)”.
Quinto: ora il drink che combatte l’inquinamento deve diventare un bene di largo consumo, deve essere “trasformato in un’azienda“.
La palla torna ad Antimo che ha studiato a Londra, si sa muovere, ed entra in contatto con la “Cinnamon Bridge“, un acceleratore dedicato al food technology più importante del Regno Unito e potenzialmente d’Europa”, spiega la nostra fonte. Qual è il pregio della Cinnamon Bridge? Ogni anno, per due volte, seleziona 5 startup da oltre 500 application provenienti da tutto il mondo.
La partita qui entra nel vivo.
Chi ha già scommesso sul drink italiano che combatte l’inquinamento del mondo
Areea Limited drink italiano startup antinquinamento
Il primo: Kastytis Kemezys CEO di Cinnamon Bridge, che accoglie il prodotto by AREEA perché lo considera “centratissimo per il mercato asiatico, […] dove c’è una cultura millenaria riguardante il consumo di prodotti naturali per il benessere” e dove si raggiungono anche le percentuali più alte di inquinamento al mondo aggiungiamo noi.
Kemezys incalza: “In Europa i trend attuali parlano per lo più di senza glutine, senza lattosio ecc. AREEA invece purifica l’organismo e in occidente tendiamo ad essere scettici verso queste cose”.
Il secondo, anzi, i secondi. Arrivare a Londra significa anche saper attirar i primi investitori: AREEA viene messa sotto la lente di ingrandimento da Daniele Nuovo, Andrea Pietrini e Andrea De Bartolis.
A maggio 2015, una volta usciti dalla “zona franca” della modalità stealth, cioè di ombra per non farsi vedere troppo sul mercato, nasce così AREEA.
Il futuro del drink italiano rivoluzionario?
Una raccolta fondi per il grande salto dopo il lancio previsto a settembre 2016, quando AREEA farà la sua prima uscita pubblica per provare il drink in anteprima mondiale. Appuntamento a Milano, con SeedAndChips, 11-14 Maggio.
Chissà che in quella occasione drink e pittura antinquinamento, quella di Airlite, non siano di slancio anche per altri creativi a caccia nuove strategie visionarie per rendere questo mondo un luogo migliore.
Con questa testimonianza, cominciamo la rubrica dei tutorial per risolvere pratiche con la pubblica amministrazione. Se qualcuno ha testimonianze e consigli su altre pratiche, può contattarci scrivendo a: info@milanocittastato.it
A fine marzo ho deciso di dimettermi da dove lavoravo.
Giorno 1. Il giorno dopo scopro che per dare le dimissioni non basta darle mandando una raccomandata all’azienda, ma esiste una procedura obbligatoria: le dimissioni telematiche. Questo come effetto del Jobs Act.
A questo punto mi informo e vedo che ho due possibilità: o lo faccio personalmente ma, per farlo, devo procurarmi il codice Pin dell’Inps, oppure posso chiedere supporto da quelli che nella legge sono stati definiti “soggetti abilitati”, ossia i patronati (i cosiddetti CAF) o le organizzazioni sindacali. Non il rappresentante sindacale d’azienda perché lui non può fare nulla, ma devi andare alla sede del sindacato che preferisci.
Non avendo il codice INPS e pensando che sia più lungo come iter, decido di rivolgermi all’organizzazione sindacale consigliatami dal mio rappresentante sindacale.
Giorno 2. Mi reco nella sede di un sindacato in zona Cadorna. Arrivo e inizio a chiedere informazioni sulla procedura per ‘fare’ le dimissioni. Rimangono tutti perplessi e mi dicono di aspettare qualche minuto per dirmi chi era “aware” di questa novità.
Dopo 5 minuti mi mandano all’ufficio di questa signora che appare abbastanza contrariata di essere stata indicata come responsabile e mi dice che “purtroppo non le possiamo essere di aiuto”.
Alle mie insistenze replica: “Scusi, ma lei è iscritta?”.
No. “Mi spiace ma questo è un servizio che diamo ai nostri iscritti”.
Ed io: “Supponiamo che io mi iscriva, possiamo fare tutto subito?”
“No, purtroppo abbiamo già provato a fare questo, pur avendo i codici. Non funziona”
Giorno 3. In azienda vado dall’ufficio del personale e faccio notare che dopo due giorni sono ancora allo stadio di partenza.
Mi dicono: “Se vuoi provo a contattare il CAF che ci aiuta col 730 e vediamo se loro sono in grado a inserirti con le dimissioni telematiche”. Per due ore silenzio. A quel punto mi metto al telefono a chiamare qualche altro CAF. Dopo un paio che mi fanno capire che ci sono dei problemi, finalmente uno mi dice: “Sì, siamo in grado di farlo, funziona tutto. Venga però entro le 16.30 perché poi chiudiamo tutto”.
Siccome si erano fatte già le 16, mi fiondo in taxi e appena entro mi ritrovo in Africa. Sì, perché nella sala ad attendere c’erano tutti immigrati africani. A un certo punto una signora viene da me e mi chiede cosa mi serve. Alla mia risposta mi dice: “Sì, lo facciamo, ma mi deve compilare una serie di moduli e si deve iscrivere alla CISL. Sono 60 euro”.
“Ma io non mi voglio iscrivere a un sindacato per potermi dimettere!”
“Se non si iscrive il servizio non glielo diamo”.
Al che chiamo il mio ufficio del personale per sapere se avevano avuto aggiornamenti dal loro CAF. Ma ancora no.
Mi ricollego al sito del governo per trovare un altro soggetto abilitato. Trovo una lista di patronati. Ne scelgo uno e chiamo. Una ragazza mi risponde: “Sì, lo so. Purtroppo non ci hanno ancora fornito i codici di accesso”. Mi spiega che comunque per iniziare la pratica mi devo iscrivere. Ma io mi rifiuto di dovermi iscrivere per poter esercitare un mio diritto.
Torno in azienda che sono passate le 17. Purtroppo non sono ancora riuscita a dare le dimissioni.
Protesto e in azienda mi dicono di presentare dimissioni in bianco, anche se non hanno valore. “Tranquilla te le faremo valere”.
Ma io non sono tranquilla anche perché per la legge esiste solo la modalità telematica. Quindi chiamo quella del CAF convenzionato. Mi dicono “se vuole la aiutiamo e le facciamo un prezzo speciale di 20 euro”.
Ma ancora dico che non voglio pagare per esercitare un mio diritto. E lei dice “lo so, ma vede il governo ci ha assegnato una pratica senza darci alcuna risorsa, quindi noi ce le dobbiamo trovare da noi”.
A questo punto decido per l’altra opzione.
Giorno 4. Faccio delega al mio suocero per recuperare agli uffici INPS il PIN dispositivo. Attenzione! Il Pin può essere anche chiesto via internet. Peccato che delle 16 cifre di cui è composto, 8 arrivano subito via mail e le altre 8 arrivano via posta e ci vogliono circa 10 giorni. E anche quando hai tutte le 16 cifre, il PIN non è dispositivo ma lo devi attivare per renderlo dispositivo.
Alle ore 11, in possesso del mio PIN dispositivo accedo al servizio via internet e scopro che il PIN dispositivo di 16 cifre ha una durata di 2 secondi perché appena lo inserisci il sistema ne genera uno nuovo che sostituisce quello che hai in mano.
A quel punto riesco ad inserire le mie dimissioni telematiche. Però attenzione: non sono ancora definitive perché lo diventano solo dopo altri sette giorni, tempo necessario perché tu possa esercitare il diritto di recesso.
Nota: Il giorno dopo un mio collega è stato spostato internamente da un ufficio all’altro dello stesso gruppo, ma collocato in un’altra nazione. Per la legge deve dare le dimissioni. Su mio consiglio va all’INPS e si fa dare il codice. Io l’ho affiancato nella procedura di inserimento delle dimissioni telematiche ma il sito non andava. Usciva che il server non funzionava o si bloccava. Questa cosa è andata avanti dalle 10 fino al pomeriggio. C’è riuscito solo alle 16, dopo aver perso la giornata intera. Quindi anche col PIN non è detto che tu riesca ad dimetterti.
RICAPITOLANDO
Cosa si deve fare per dimettersi?
E’ obbligatorio dare le dimissioni telematiche. Per farlo ci sono due modi:
Farlo da soli, ma per farlo occorre procurarsi il PIN andando negli uffici dell’INPS oppure chiederlo per via telematica su www.inps.it (sconsigliato, vedi sotto)
2. Rivolgersi a un soggetto abilitato (sindacati o patronati) ma per farlo occorre iscriversi da loro.
Cosa non fare assolutamente
Chiedere il PIN per via telematica (www.inps.it). 8 cifre arrivano via mail, ma le altre 8 arrivano via posta. Potrebbero passare anche più di 10 giorni prima di avere un PIN che si dovrà poi rendere dispositivo.
Sconsigliato
Iscriversi a pagamento a un’organizzazione sindacale o a un soggetto abilitato per la procedura, esclusivamente per poter procedere alla pratica. L’iscrizione dura poi un anno.
Consigliato
Recarsi all’INPS (eventualmente delegando qualcuno) per ottenere il codice dispositivo e poi inserirlo via web sul sito indicato.
IL SUGGERIMENTO DI MILANO CITTA’ STATO AI LEGISLATORI PER RENDERE PIU’ SEMPLICE LA PROCEDURA
Per rendere tutto più semplice basterebbe poter ottenere il PIN Dispositivo completamente per via telematica, ricevendo tutte le 16 cifre del codice via mail o via sms e non metà via mail e metà con posta ordinaria.
Bruno Ferrin ha 79 anni. Forte accento veneto. Guanciotte rubizze. E ha fatto qualcosa che in piccolo contribuisce a rendere il mondo migliore. “Chiaramente non mi reputo un Leonardo da Vinci“, dice con umiltà e lo spirito di un bambino. E’ l’inventore dell’Osteria ai Pioppi, il parco ecologico annesso alla sua attività ristoratrice, con la quale fa sognare grandi e piccini.
“Io non sono capace di scrivere o di disegnare: io l’idea me la devo stampare nella mente, allora vado avanti mesi e mesi a studiarla e modificarla, in mente. Quando sono maturo e pronto: provo”.
Le idee gli vengono al mattino presto, dice, “così, osservo dei movimenti”. I movimenti sono quelli della natura: una foglia che cade o che trema, per esempio. Quella è uno degli spunti dell’elaborazione delle sue idee.
“A livello fisico purtroppo mi accorgo di avere sempre meno forza, ma a livello di entusiasmo, eh, sono caricatissimo”. Ed anche i bambini del suo parco giochi ecologico lo sono come si vede nel video di Zoomin.TV Italia.
Il suo segreto? E’ lui stesso a dirlo: “Mi diverto”.
Dalle poche ore che bastano per fare un’altalena a qualche mese di lavoro per le giostre nuove o più complesse, oggi il suo parco giochi in cui tutto funziona con le sole forze della natura – cinetica, gravitazionale, elettrostatica e umana -. Sono 45 le attrazioni in tutto, tutte costruite a mano e senza l’impiego di alcun filo di corrente.
Ci ha messo 40 anni per costruirle tutte, dalla Contraerea al Giro della Morte, dalle Campane allo Scivolo con Salto e pure a Tre Corsie, e sono sia per grandi che piccini, dislocate sull’intera area della sua Osteria Ai Pioppi.
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La sua giostra preferita? “Sai com’è: a un padre di famiglia con 10 figli non puoi chiedere quale sia il suo preferito”.
Fatto sta che oggi, “la Gardaland dei Poveri”, come ha scritto impropriamente qualcuno, del “luna park senza elettricità, dove ci si sganascia dalle risate” come ha spiegato qualcun altro, funziona che è una meraviglia.
Giostre artigianali e dunque pericolose? Macché, è tutto omologato: “da un ingegnere e vengono sottoposte ad una continua manutenzione da parte dello staff dei Pioppi, in modo da poter garantire un’esperienza di gioco in completa sicurezza”, spiega subito dalle prime righe il sito ufficiale del primo parco giochi al mondo, forse, di certo d’Italia completamente fatto a mano, ecologico, e anti spreco.
Lo dimostra anche il seguito social dell’Osteria ai Pioppi, con i suoi quasi 20mila fan su Facebook, continui video-racconti di fruitori di ogni età iper entusiasti e recensioni felici, la prima delle quali è tutta per il Sig. Ferrin, che non si risparmia nelle interviste, come si può vedere in questo altro video su YouTube:
Dove trovarlo? Il Parco giochi Ai Pioppi di Bruno Ferrin (1937*) è via VIII Armata 76, a Nervesa della Battaglia, Treviso, fa parte dell’omonima osteria, ed è fruibile gratuitamente durante gli orari di apertura del locale – aipioppi.com.
Fonte cover: http://aipioppi.com/ | Si ringraziano per le foto l’ufficio stampa di “Ai Pioppi”
“Quello che oggi pensa Milano, domani lo penserà l’Italia“, scrisse Gaetano Salvemini, spiegando che “ a Milano sono accaduti fatti di portata rivoluzionaria, si sono poste le basi di movimenti e intere onde culturali, sono nati credo – religiosi, politici -, sono morti imperi e nate libertà.”
Spesso Milano è stata al centro della storia. Innanzitutto è stata capitale:
dell’Impero Romano d’Occidente: dal 286 al 402
del Regno Lombardo Veneto durante la Repubblica Cisalpina di Napoleone Bonaparte: dal 1797 al 1802
del Regno d’Italia: dal 1805 al 1814
E’ la città che nel 1607 ha inaugurato la prima biblioteca in Italia aperta e fruibile al pubblico, l’Ambrosiana di Federico Borromeo, ed è la città della prima linea metropolitana d’Italia, inaugurata il° 1 novembre 1964: i lavori, iniziati all’altezza della fermata di Buonarroti nel giugno 1957, proseguirono in direzione ovest verso piazzale Lotto, e verso est e nord per raggiungere il Duomo e il comune di Sesto San Giovanni con la fermata Marelli.
Ma quali sono state le 10 giornate più storiche di Milano? Ecco la nostra selezione.
Milano è la capitale dell’Impero Romano d’Occidente. Prima della battaglia di Ponte Milvio contro l’autoproclamatosi imperatore Massenzio, Costantino vide una croce con la scritta “in hoc signo vinces”. Costantino decise di sospendere le persecuzioni contro i cristiani e, una volta a Milano, emise un Editto che proclamò la libertà di culto in tutte le regioni dell’Impero. Fu questo un atto storico, simbolo universale di tolleranza religiose, che contribuì a portare nuovo splendore alla civiltà romana e alla sua capitale Milano che raggiunse un incredibile splendore [come abbiamo visto nelle 10 cose di Milano archeologica], come racconta Ausonio, nel 380-390:
« A Mediolanum ogni cosa è degna di ammirazione, vi sono grandi ricchezze e numerose sono le case nobili. La popolazione è di grande capacità, eloquenza ed affabile. La città si è ingrandita ed è circondata da una duplice cerchia di mura. Vi sono il circo, dove il popolo gode degli spettacoli, il teatro con le gradinate a cuneo, i templi, la rocca del palazzo imperiale, lazecca, il quartiere che prende il nome dalle terme Erculee. I cortili colonnati sono adornati di statue di marmo, le mura sono circondate da una cinta di argini fortificati. Le sue costruzioni sono una più imponente dell’altra, come se fossero tra loro rivali, e non ne diminuisce la loro grandezza neppure l’accostamento a Roma. »
(Ausonio, Ordo urbium nobilium, VII.)
#2. 3 agosto 1778
Inaugurazione del Teatro La Scala
Tempio della musica ben prima della sua costruzione: qui sorgeva il Teatro Ducale che venne distrutto da un incendio e fu fatto nuovamente erigere su volontà dell’Imperatrice Maria Teresa d’Austria. Era il 1776 e dopo due anni venne inaugurato. In scena venne rappresentata l’Europa, riconosciuta di Antonio Salieri. Il nuovo nome deriva dal luogo sul quale il teatro viene edificato, su progetto dell’architetto neoclassico Giuseppe Piermarini: il sito della chiesa di Santa Maria alla Scala”. Qui si è fatta la storia della lirica, dell’opera, del balletto. Sono nate stelle come Rossini, Verdi, Toscanini, e poi Maria Callas, Luciano Berio, Carla Fracci, Roberto Bolle. E’ stato il primo edificio d’Europa ad essere illuminato artificialmente.
#3. 26 maggio 1805
Incoronazione di Napoleone
L’incoronazione di Napoleone
Napoleone è stato a Milano, mentre non è mai stato a Roma. A Milano venne anche incoronato: il 26 maggio 1805. Quattro giorni prima, tre carrozze di corte furono mandate al Duomo di Monza a prendere la Corona Ferrea che, portata a Milano, fu deposta sull’altare maggiore del Duomo di Milano.
“Quella mattina di maggio, sotto un sole splendido, la folla affollava piazza Duomo di Milano durante l’attesa del corteo; tutte le campane della città suonarono a festa e le artiglierie spararono a salve”. Si narra che abbia anche fatto giuramento sulla cosiddetta “Colonna del Diavolo” in Piazza San’Ambrogio, dove per tradizione tutti i regnanti dovevano giurare fedeltà a Milano e al suo patrono, là dove aveva sconfitto Satana.
#4. 18 marzo 1848
5 giornate di Milano
Si dice che in Italia le rivoluzioni si dicano ma non si facciano. Questo non vale per i milanesi che in cinque giornate, dal 18 al 22 marzo 1848, insorsero per liberare Milano dal dominio austriaco. Un movimento liberal-nazionale che si affianca a quelli che hanno fatto la gloria di altri Stati europei e preludio alla prima guerra di indipendenza: la rivolta infatti influenzò le decisioni del re di Sardegna Carlo Alberto che dopo aver a lungo esitato, approfittando della debolezza degli Austriaci in ritirata, dichiarò guerra all’Impero austriaco.
#5. 17 maggio 1882
Nasce il Partito Operaio Italiano.
Tutto ebbe inizio con il circolo operaio, la rivista “La Plebe”, e un programma di lotte e rivendicazioni salariali. Su iniziativa locale vennnero gettate le basi di quello che sarebbe diventato il futuro partito socialista italiano, destinato a scrivere una parte importante della storia del nostro paese. Tra i fondatori ci fu Filippo Turati.
#6. 8 marzo 1883
La prima centrale elettrica d’Europa
ViaSantaRadegondaCiminiera5
Ai tempi nostri ci si lamenta che l’Italia è rimasta a guardare la rivoluzione di internet, lasciando il ruolo di protagonista ad altre nazioni. Così non accadde invece nella seconda metà dell’ottocento, quando Milano era in prima fila nella tecnologia destinata a cambiare il mondo: l’elettricità.
Nel 1883 in via Santa Radegonda entrò in funzione la prima centrale elettrica d’Europa. Oggi una targa al confine tra La Rinascente di Piazza Duomo e il Cinema Odeon ricorda una data importante per il progresso tecnologico: a capodanno del 1884 fu illuminata l’intera La Scala. Gli sono Giuseppe Colombo, professore di geometria e meccanica alla scuola di arti e mestieri di Milano, e Giovanni Battista Pirelli che dopo la laurea al Politecnico di Milano si convinse che “l’elettricità sia importante proprio perché può essere applicata alla pratica e all’industria” e fondò nel 1772 la G.B. Pirelli e C..
#7. 23 marzo 1919
Nasce il Fascismo
Piazza-San-Sepolcro
Piazza San Sepolcro. Sotto, da qualche settimana, è stata recuperata la cripta dei templari. A destra, al fianco dell’Ambrosiana, c’è quel che resta del forum romano. Davanti, dove insiste una torre quadrangolare, un giovane Benito Mussolini arringa la folla dopo aver fondato, il 23 marzo 1919, il Movimento dei Fasci italiani di combattimento. Ad essere più precisi, tutto ha origine all’interno: nella sala del Circolo dell’Alleanza Industriale. “I partecipanti a questa prima organizzazione furono detti sansepolcristi e godettero di particolari privilegi sotto l’amministrazione fascista, rafforzati e ribaditi nel regolamento del 1939″ recitano le fonti. Per l’occasione, si unì all’adunata anche il futurista Filippo Tommaso Marinetti, che compose Il poema dei sansepolcristi.
#8. 25 aprile 1945
La liberazione di Milano e d’Italia
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Il 25 aprile, festa nazionale della Liberazione, ricorda l’insurrezione generale partigiana che portò alla liberazione di Milano, come del resto d’Italia, dal Fascismo.
Quattro giorni più tardi, il 29 aprile 1945, i corpi di 18 gerarchi fascisti tra cui Mussolini e la sua amante, Claretta Petacci, vennero esposti in Piazzale Loreto, appesi a testa in giù alla pompa di benzina che qui si trovava, e sottoposti al pubblico scempio.
#9. 12 dicembre 1969
La strage di piazza Fontana
strage piazza fontana
Dopo quasi cinquant’anni ancora non si sa chi sia stato. Erano le 16.37 quando una bomba esplose nella sede della Banca Nazionale dell’Agricoltura, in piazza Fontana. La sala era piena di clienti, venuti soprattutto dalla provincia, in attesa di completare le loro incombenze.
I 7 chili di tritolo contenuti nella bomba uccisero 16 persone e ne ferirono altre 87.
Negli stessi minuti, una seconda bomba, inesplosa e fatta brillare solo in un secondo momento, viene ritrovata nella sede milanese della Banca Commerciale Italiana in piazza della Scala. Altre due bombe esplodono a Roma tra le 17:20 e le 17:30, una davanti all’Altare della Patria e l’altra all’ingresso del Museo centrale del Risorgimento, in piazza Venezia, per un totale di 16 persone ferite.
Tra le prime persone fermate per la bomba di Piazza Fontana ci fu l’anarchico Giuseppe Pinelle che morì precipitando da una finestra della questura di Milano. Era il 15 dicembre 1969. Quel giorno ebbero inizio gli anni di piombo, fatti di stragi e di violenza che portarono l’Italia sull’orlo della guerra civile.
#10. 17 febbraio 1992
Tangentopoli
O Mani Pulite: è la serie di inchieste giudiziarie degli anni novanta condotte da un pool della Procura della Repubblica di Milano formato dai magistrati Antonio Di Pietro, Piercamillo Davigo, Francesco Greco, Gherardo Colombo, Tiziana Parenti, Ilda Boccassini, dal procuratore capo Francesco Saverio Borrelli e dal suo vice Gerardo D’Ambrosio.
Quelle indagini portarono alla luce un sistema di corruzione, concussione e finanziamento illecito ai partiti ai livelli più alti del mondo politico e finanziario italiano.
Tutto è cominciato il 17 febbraio 1992, quando, con un mandato d’arresto, al Pio Albergo Trivulzio fu prelevato il presidente, l’ingegner Mario Chiesa, esponente del Partito Socialista Italiano. Venne trovato in possesso di una tangente di sette milioni, la metà del pattuito, dal proprietario di una piccola azienda di pulizie che, come altri fornitori, deve versare il suo obolo, il 10 per cento dell’appalto che in quel caso ammontava a 14 milioni.
Erano le ore 17:30: Magni aveva un microfono e una telecamera nascosti e, appena Chiesa ripose i soldi in un cassetto della scrivania, dicendosi disponibile a rateizzare la transazione, nella stanza irruppero i militari, che notificarono l’arresto. Chiesa, a quel punto, afferrò il frutto di un’altra tangente, stavolta di 37 milioni, e si rifugiò nel bagno attiguo, dove tentò invano di liberarsi del maltolto buttando le banconote nel water.
Un ‘mariuolo isolato’, lo definì Bettino Craxi. Ma così non fu: da quell’episodio, si dipaneranno a macchia d’olio le successive inchieste che coinvolgeranno partiti e i massimi esponenti della politica e dell’industria del paese, fino a dichiarare finita la cosiddetta “prima repubblica”.
Milano è la capitale dei single. Pare siano oltre il 50%, in continuo aumento. E il single milanese è all’avanguardia nelle strategie di sopravvivenza.
#1. Spesa all’Esselunga
La salvezza sono le monoporzioni e soprattutto i pronti in tavola. È un luogo dove il single non si sente mai solo. E stanno sorgendo supermercati aperti 24 ore su 24 che insidiano il primato dell’Esselunga.
#2. Jogging al parco
Single da soli, in coppia o in gruppo sgambettano al parco, in testa Sempione poi giardini di Porta Venezia. Per i più atletici c’è il monte Stella. Abbondano anche le corse più o meno competitive a misura di single come le color run.
#3. Facebook
Ha ucciso più coppie lui che la legge sul divorzio. Su Facebook il single si illude di avere un sacco di amici e di amori in corso, senza le menate della vita di coppia.
#4. Le librerie
Un rifugio sicuro per i single. La libreria. Tra le più gettonate, la Mondadori in centro, la Feltrinelli in Gae Aulenti, la Rizzoli in galleria Meravigli.
#5. Il cinema d’autore
Resiste grazie ai single. Il vecchio cinema di essai. I single amano ritrovarsi a vedere film che è quasi impossibile possano piacere a due persone contemporaneamente (ossia in coppia). Tra i luoghi più alternativi ci sono la cineteca di Piazza Oberdan, l’auditorium San Fedele e l’Anteo, anche se ha sedie un po’ scomode.
#6. L’aperitivo al Radetzky
Single recidivi, coppie scoppiate, divorziati e divorziate si ritrovano al Radetzky e nei locali attorno a Moscova.
#7. Il lavoro
Il passatempo preferito dei single incalliti: lavorare duro.
#8. Le inaugurazioni
Immancabili. Motivo di noia e spesso di litigio per le coppie, perché si incontra sempre chi non si vorrebbe incontrare, sono invece un’oasi felice dove il single regna sovrano e indisturbato.
#9. Il cibo a domicilio
Molti single vivono con ansia un solo momento (feste a parte): la cena al ristorante. Mangiare da soli li espone a sensi di colpa spesso autoinflitti. Per evitarli ci sono le app di consegna cibo a domicilio.
#10. La bicicletta
Milano offre molti percorsi intriganti per chi va in bici, tra cui la mitica pista ciclabile che parte da Melchiorre Gioia e arriva a Cassano d’Adda, lungo il naviglio Martesana.
Ma soprattutto andare in bici a Milano consente di scaricare rabbia e frustrazioni contro gli automobilisti.
Dove: Spazio Mil, area industriale degli stabilimenti Breda, 52 mila metri quadrati contenenti questo Spazio come il Carroponte, la locomotiva e la Porta Breda
Costo: 2 euro a lanterna, previ prenotazione al n° di telefono 3477614244 (no sms) oppure via e-mail (info@codue.com), contattando l’Associazione Spettacolazione. Ritiro delle lanterne alle ore 21.00 al ristorante Il Maglio.
L’anno scorso incendiarono, per modo di dire, la Darsena e furono a migliaia le persone che lasciarono le lanterne cullare nel ‘mare di Milano’, non senza problemi di ordine pubblico e tuffi in Darsena fuori programma. Stavolta l’atmosfera sarà un po’ più tranquilla: la Notte delle Lanterne Volanti si terrà a Sesto San Giovanni. Ecco cosa c’è da sapere.
5 cose per cui mi piacerebbe andare
#1. assistere allo spettacolo di 500 lanterne luminose che salgono verso il cielo come piccole lucciole beneauguranti
#2. lanciare i miei sogni verso le stelle
#3. vedere com’è il Carroponte
#4. assistere con più tranquillità all’emozionante spettacolo dell’anno scorso, rovinato dalla troppa calca
#5. parlare con qualche monaco buddista, tra i promotori dell’edizione 2015
5 cose che mi piacerebbe trovare
#1. una lanterna anche per me (l’anno scorso non ce n’erano)
#2. meno gente dell’evento in Darsena 2015
#3. un dopo-lancio con musica dal vivo al Carroponte
#4. un party post evento per tutti gli affezionati delle Lanterne
E’ tempo di pensare alle vacanze estive. Alzi la mano chi non lo fa. Purtroppo c’è chi la mano non la alza perchè ha altro a cui pensare: sono i malati gravi che sono ricoverati in ospedale. Milano Città Stato ha come priorità quella di favorire la realizzazione di ogni persona ampliando ogni opportunità. Questo vale anche per chi è malato e in particolare per i bambini malati di tumore. Per questo seguiamo con grande attenzione il progetto nato per i bambini del St. Jude Children’s Research Hospital di Memphis, Tennessee, Stati Uniti.
Loro non possono muoversi per mesi o, nella peggiore delle ipotesi, per anni. Sono bambini che non possono viaggiare nè vedere il mondo. E allora Expedia, il noto vettore di viaggi, si è detto “onorato” di collaborare con l’agenzia 180LA per fare in modo che fosse il mondo ad entrare tra le mura dell’ospedale e dentro gli occhi dei piccoli pazienti.
Nasce così il progetto “Dream Adventures” che ha regalato momenti di svago e felicità ai baby malati, portandoli nel cuore di una corsa di cavalli a perdifiato; a spasso nei fondali marini con banchi di pesci pagliaccio; tra gli scavi archeologici impegnati a riportare alla luce le ossa di un dinosauro; o in mezzo ai giochi delle scimmiette della Florida della Monkey Jungle di Miami.
Alcune persone dello staff di Expedia, Sara, David, Chera e Reenie, si sono messe in viaggio attrezzati con una “videocamera a 360 gradi, una tecnologia streaming testata per ridurre al minimo interruzioni ed eventuali difetti di proiezione e uno spazio esperienziale allestito all’interno dell’ospedale: un lavoro che ha richiesto del tempo, ma che è stato ampiamente ripagato dalle espressioni di gioia e stupore dipinte sui volti dei quattro pazienti coinvolti nel progetto” spiega Thenexttech.startupitalia.eu. Così sorprendente che, se c’è stato chi non ce l’ha fatta, qualcun altro ha potuto avere anche dei leggeri miglioramenti sul proprio stato di salute perché stimolato dalle emozioni felici date dal contatto diretto con esperienze così uniche e irripetibili.
Sara, David, Chera e Reenie: i quattro viaggiatori con alle spalle storie di malati oncologici tra i loro affetti o che sono sono riusciti a sconfiggere un tumore (Sara, al cervello). Le loro esperienze di vita e la loro energia ha dato ulteriore slancio a questi videoracconti, affinché i bambini potessero vivere ancora più a 360 gradi la loro “avventura da sogno” immersi in un ambiente, quello dell’ospedale, appositamente ri-creato per loro.
Si tratta di un’installazione che, a mò di un libro, si apre di fronte e tutto intorno, sopra e sotto il paziente, avvolgendolo e proiettando su pareti, pavimento e soffitto immagini in streaming, riprese dalla videocamera a 360 gradi.
Un’installazione divenuta permanente perché, come spiega la presentazione dell’iniziativa, “vedere il mondo è un’esperienza talmente forte che tutti dovrebbero avere la possibilità di provarla”. Anche tra le mura di una struttura ospedaliera nel Tennesse.
Chissà che non possa diventare un’esperienza a cui aderire – come volontari o come parenti di malati oncologici – anche per le strutture italiane.
Milano è una città piatta e di dimensioni tutto sommato ridotte. Sembra facile percorrerla ‘coast to coast’: si è stimato che l’interramento dei Navigli abbia portato un risparmio di 2 ore sull’attraversamento della città.
Eppure ci sono due problemi che rendono ostico girare a Milano. Il primo è il traffico, il secondo sono resti di isolati o scali ferroviari caduti in disuso.
E’ invece di questi giorni il progetto portato alla luce dalblog.urbanfile.org di realizzare un un ponte sull’ex Scalo di Porta Romana (viale Isonzo-Corso Lodi).
Il progetto prevede una passerella ciclo-pedonale “da realizzare in tempi brevissimi, con un investimento ridotto, senza compromettere le future scelte di riassetto complessivo del comparto” e sostenibile dal punto di vista ambientale. Ecco come sarebbe:
Il progetto del ponte sull’ex Scalo Romana
Secondo il portale blog.urbanfile.org la passerella di circa 250 metri partirebbe dall’attuale Largo Isarco, accanto all’ingresso di Fondazione Prada, e, superando l’area dismessa e oggi inaccessibile dello Scalo Romana, arriverebbe al di là della ferrovia, in zona Piazza Trento-Viale Isonzo.
Un ponte altissimo? Non proprio: la rampa verrebbe pensate con una pendenza del 5%, quindi affatto ripida, così da permetterne l’utilizzo diffuso anche dalle persone affette da disabilità.
Un ponte bruttissimo? No, perché sarebbe realizzato con un’ossatura modulare prefabbricata in acciaio, un piano di calpestio in legno, quindi riciclabile una volta dismessa, e che si integrerebbe con i colori circostanti.
Di notte? Verrebbe illuminata per aumentarne la fruizione, la sicurezza e l’evidenza delle sue caratteristiche: se si seguisse il progetto del Centro Studi TAT di via P. Diacono 9, Milano (composto da Fabrizio Schiaffonati, Elena Mussinelli, Arturo Majocchi, Andrea Tartaglia, Matteo Gambaro con Giovanni Castaldo, Adriana Granato, Martino Mocchi, Raffaella Riva), il Ponte di Porta Romana verrebbe “realizzato con una struttura a secco e con limitati elementi fondazionali”, senza richiedere “opere di bonifica o di trattamento preventivo dei suoli“.
Chi paga? Nella più rosea delle possibilità, il finanziamento della struttura temporanea “potrebbe basarsi sull’intervento diretto degli stakeholder (partenariato pubblico-privato) e su alcune forme innovative quali il crowdfunding civico“.
Aspetto questo che porterebbe Milano in linea con gli scenari di altre città europee, dove operatori pubblici, privati e gli stessi cittadini collaborano e insieme decidono e realizzano le trasformazioni della loro città.
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Fonte e foto: http://blog.urbanfile.org/2016/04/20/milano-i-porta-romana-uno-sguardo-sul-ponte/
Il best seller di qualche anno fa, Uomini che Odiano le Donne, e la trilogia di Millennium portavano agli occhi dell’opinione pubblica l’alto tasso di violenza sulle donne di cui era vittima Stoccolma. Allora i protagonisti erano Mikael Blomkvist, giornalista economico di discreto successo alle prese con la risoluzione di un giallo, e Lisbeth Salander, giovane hacker punk vittima di abusi. Un successo editoriale lungo tre libri e altrettanti film che ha conquistato il mondo. [nella copertina, una scena dalla trilogia con i due protagonisti]
Lisbeth era il simbolo di una donna libera, che si batte per i suoi diritti e per diventare protagonista del suo futuro. Una donna che ha incarnato lo spirito dei tempi. La Svezia è rimasta un’avanguardia, capace di anticipare le tendenze di tutto il mondo, specie se si parla di ambiente, tecnologie e di innovazione.
Un’innovazione che investe anche ciò che di solito è più ostile al cambiamento: la politica. E’ stato creato il ministero del Futuro e alla sua guida è stata scelta una donna. Vediamo di chi e di cosa si tratta.
Il profilo del primo ministro del Futuro
Si chiama Kristina Persson, ha 71 anni [foto a destra].
Con un passato nel sindacato ed una carica pregressa al ministero della Finanza e alla Banca Centrale di Stoccolma, la Persson fa parte del Partito Socialdemocratico dei Lavoratori di Svezia, il più vecchio partito svedese, 1889, esattamente quello che, nel corso del XX secolo, ha contribuito in maniera decisiva all’evoluzione del cosiddetto modello svedese.
Il credo del SAP si basa su una politica capillare di welfare basata su una forte tassazione, come spiega la Signora Ministro: “In Svezia si pagano tante tasse? Io sono orgogliosa di pagarle perché abbiamo una buona governance e spendiamo bene i soldi delle tasse, anzi ne pagherei anche di più visto che portano servizi”.
Femministi convinti, fan dell’uguaglianza in tutte le sue forme, in forte opposizione con qualsiasi tipo di discriminazione e razzismo, i sostenitori del SAP rappresentano quella ‘terza via‘ tra l’attitudine liberista elogiata dal Financial Times e le ambizioni socialiste che tanto piacciono alla sinistra.
E dunque, la messa a punto di un Ministero per il Futuro, il cui nome completo è Ministro per le strategie future e per la cooperazione nordica, si colloca proprio tra queste due strade.
A cosa serve il Ministero per il Futuro?
A promuovere il cambiamento e l’evoluzione delle pubbliche amministrazioni, con una visione lungimirante, detto in estrema sintesi.
La Peerson l’ha spiegato per esteso in una bella intervista, noi per praticità lo riportiamo per punti:
parità di genere e uguaglianza
innovazione e cambiamento
fiducia nelle istituzioni da parte dei cittadini svedesi
un settore pubblico molto forte e privo di corruzione
buona governance
ridurre la diseguaglianza
rafforzare la cooperazione a livello europeo, “che oggi si è indebolita, poiché le risorse
dei singoli governi non sono sufficienti”
flessibilità
creare la felicità
E così, dopo le politiche di welfare e promozione attiva dell’uguaglianza (anche tra uomini e donne), il congedo parentale esteso a 18 mesi, “di cui 12 pagati a stipendio pieno” ricorda il sito de IlSole24Ore, dopo le start up tecnologiche, i mobili e le saghe nordiche, ecco un motivo in più per ammirare la Svezia.
La notizia della biblioteca naturale, realizzata in un bosco da un gruppo di studenti di architettura sostenuti dall’accademia estone delle Arti e dalla comunità locale, nei pressi della foresta di Võru, è di per sè una meraviglia, soprattutto se collocata in un’epoca, la nostra, stracolma di rumori e inquinamento anche acustico; in un ambiente pieno di materiali di scarto che scarseggiano ad essere riutilizzati; in un sistema che vede, impotente, giovani promettenti cui spesso non vengono date le giuste chiavi per sfruttare i loro talenti. Ancora più meraviglia desta sapere che quella biblioteca ha la forma di tre megafoni di legno enormi, del diametro di 3 metri, e che è diventata una location per eventi.
Questa meraviglia si trova in Estonia.
I tre mega-megafoni di legno dalle forme coniche, in lingua estone si chiamano “ruup“, sono la risposta di un team di giovanissimi [fotogallery] alla ricerca di un luogo franco in cui rinfrancare corpo, spirito, sensi, e sentirsi fisicamente, oltre che emotivamente, cullati dalla natura.
Una vera e propria biblioteca all’aperto i cui “libri” sono i singoli elementi di flora e fauna che naturalmente si muovono nell’ambiente e regalano un po’ di sé a chi si lasci abbracciare da queste enormi strutture. Megafoni-culle-amplificatori che sono stati costruiti a impatto zero sul bosco in cui si trovano, e che servono ad ascoltare, a suonare strumenti musicali, a meditare,a condividere un’esperienza sostenibile e unica.
Una storia che sembra una favola, e che apre ad una serie di domande.
La prima. Perché in Estonia?: “Il segno distintivo dell’Estonia è sia l’abbondanza di suoni sia il silenzio che si trovano nella foresta”, ha osservato Valdur Mikita, scrittore e semiologo coinvolto nel progetto. “Nel megafono si possono ascoltare i pensieri. E’ un luogo per la navigazione del ‘libro della natura’, per l’ascolto e la lettura della foresta attraverso il suono”, riporta Lifegate.it.
C’è da aggiungere anche che l’Estonia, come buona parte dei paesi del Nord Europa, è particolarmente sensibile alle tematiche ambientali, soprattutto considerato che ben il 45% della superficie di questo Paese è coperta da foreste. Ma bisogna pure ricordare che proprio le foreste costituiscono la risorsa naturale principale di questa parte del mondo affacciata sul mar Baltico.
Non è dunque un caso se proprio da queste parti l’attivismo ambientale è molto forte, e se l’Estonia si classifica tra le prime nazioni “al mondo per innovazione, diffusione e utilizzo delle nuove tecnologie”.
Perché dei megafoni di tre metri di diametro? Per offrire ampi spazi all’interno, per la lettura e per il riposo. Ma anche perché siano rifugio “per visitatori ed escursionisti di passaggio, ma anche una piattaforma per lezioni all’aperto, piccoli eventi culturali e concerti”.
Qual era l’obiettivo degli studenti? Creare un bosco-biblioteca vicino al centro naturale Pähni che amplificasse i suoni tranquilli della natura, come i cinguettii degli uccelli e il fruscio delle foglie.
Quando provare gli EKA sisearhitektuur appena fuori Tallin? Ecco i prossimi due appuntamenti:
In questi giorni di su e giù per il Fuorisalone e per Milano, di riflessioni su architettura e design, di ripensamenti a Expo e ai progetti di un anno, è emersa una domanda che già si poneva il blog.urbanfile.org, che scriveva: “Zona Sempione – Che fine ha fatto il progetto di Álvaro Siza?“.
Sempione: cos’era
Facciamo un salto nel tempo e nello spazio.
Torniamo alla Milano di età napoleonica. Al 1801. A Parigi i suoi “Campi Elisi”, gli Champs-Elysées. Quel lungo viale alberato con partenza dall’Arco di Trionfo su cui oggi si proiettano negozi del lusso e indirizzi prestigiosi, meta imperdibile per i turisti di passaggio e per il passeggio dei parigini.
Secondo i piani dell’imperatore corso, anche Milano avrebbe avuto la sua omologa, con l’Arco della Pace in partenza alle spalle di Castello Sforzesco, allora Piazza D’Armi, e la traiettoria definita, pulita, neoclassica verso Parigi.
Un po’ le vittorie e le sconfitte della storia; un po’ la capacità tutta italiana di lasciare i lavori in corso e fare dei grandi progetti enormi sprechi; comunque sia il grande asse Milano – Parigi non si è mai concluso. Oggi lo sappiamo: l’Arco della Pace è diventato sinonimo di movida; l’asse Sempione è diventato uno stradone a tre corsie con parcheggio selvaggio e disordinato sulle aiuole che lo separano dai controviali.
Lo solcano auto e tram e pedoni di corsa, che si guardano bene dal fare di questo un luogo del passeggio o dello struscio alla parigina.
Milano, Sempione: come sarebbe potuto essere
7 marzo 2012. Il portale dell’architetto portoghese Alvaro Siza propone un piano di riqualificazione per la Zona Sempione e il suo asse.
Il piano Siza prevede la soppressione della carreggiata centrale, da destinare a grande giardino, “un sistema da comprendere in quello di riqualificazione delle strade cittadine dirette all’area dell’Expo 2015 (la cosiddetta “via di terra”)”.
Allora, la cosiddetta Zona Sempione si sarebbe tramutata in una combinazione di arte, grazia urbana, edifici residenziali, con Via Tommaso Agudio cuore del progetto nella porzione orientale del sistema. Questo video spiega bene come sarebbe dovuto essere:
Milano, Sempione: ci sarà?
Expo è alle spalle; zona Sempione, i suoi parcheggi, il suo decoro urbano sono ancora terra di nessuno.
Nel 2015, Urbanfile riportava la notizia di uno “stanziamento europeo dedicato alle Aree Metropolitane, ecco in arrivo 36 milioni di euro da dedicare a piccoli e grandi progetti di rigenerazione urbana“. E ancora: “all’interno c’era anche l’idea di trasformare Corso Sempione da parcheggio selvaggio a viale dedicato al passeggio in mezzo al verde! Gli spazi per la sosta verranno ricavati sacrificando in parte una corsia di quelle centrali e si riuscirà così a coniugare verde, area per i pedoni e sosta regolamentata. In attesa di regalarvi un nuovo render, ecco uno schema di come sarà il nuovo volto di Corso Sempione”.
E allora la domanda (ri)sorge spontanea
“Zona Sempione – Che fine ha fatto il progetto di Álvaro Siza?“. Il bello è che, dalle immagini che abbiamo trovato, abbiamo visto incluso anche il famoso Cavallo di Leonardo, e dunque ci piacerebbe sapere dal futuro sindaco: si vuole farlo così?
L’asilo: il luogo in cui crescono i più piccoli, sempre di più l’ambiente in cui si applicano idee sostenibili.
E’ da un portale di mamme che troviamo la news di un concorso by AWR Competition, per la realizzazione di un nuova visione degli asili inglesi.
Il progetto, denominato “London Nursery Schools”, prevedeva una risposta a domande come: “Come dovrebbe essere il nido del futuro?“, “Come dovrebbero trascorrere le loro giornate in queste strutture, i nostri bambini”?
A vincere su tutte sono state le idee di un pool di architetti italiani e olandesi. Insieme, nel nome dello studio Aut-Aut (aut–aut.it) per una scuola materna, hanno avanzato l’idea della creazione di un orto all’interno dell’asilo, per insegnare fin da subito l’agricoltura urbana.
Argomento, quello dell’agricoltura e dell’anima verde, ampiamente sviluppato anche questo portale, per le aiuole condivise nelle grandi città, oltre che in altri progetti per gli asili dell’infanzia.
Gabriele Capobianco, Edoardo Capuzzo Dolcetta,Davide Troiani e Jonathan Lazar, questi i nomi degli architetti, hanno giocato con il titolo di una celebre canzone dei Beatles, Strawberry Fields, ed hanno ideato il loro “Nursery Fields Forever” con il proposito di “avvicinare i bambini all’agricoltura, alla produzione territoriale e al rispetto per l’ambiente, un obiettivo che dovrebbe essere primario di tutti i genitori e di tutti gli educatori”, riporta www.mammapretaporter.it.
Perché? Perché i bambini, soprattutto quelli che vivono nelle grandi città, hanno perso ogni contatto con la terra; non conoscono i processi produttivi basilari; molti addirittura credono che la verdura e la frutta crescano imbustate al supermercato.
Insomma, la loro percezione della realtà è distorta. A fare gioco è, per fortuna, la loro naturale propensione alla curiosità.
Sono previsti spazi agricoli collocati nelle aule come nelle sale mensa, in luoghi appositi in cui mettere in pratica quanto imparato, ma sempre attraverso azioni divertenti.
“L’idea di questo asilo si adatta sia a bambini in età prescolare che a bimbi più piccoli, neonati, che in un nido del genere possono interagire fin da subito con la natura, rispondendo a stimoli super positivi che incoraggiano la relazione e la curiosità”, commentano le mamme blogger, “La bioetica e il rispetto verso la natura e i suoi prodotti sono sempre in primo piano, e i protagonisti, i bambini, ne traggono benefici incredibili, sia a livello didattico, emotivo e sociale, sia a livello tecnico, riscoprendo attività e approcci che lentamente paiono scomparire. Insomma, vincono tutti!”.
Porta Nuova è il nuovo polo d’attrazione di Milano: con la passerella inaugurata nel 2015 che regala un suggestivo colpo d’occhio su Bosco Verticale, Piazza Gae Aulenti, quello che resta del quartiere di Brera e il rinato quartiere Isola. Nelle belle giornate a nord si possono ammirare anche le Alpi con le creste innevate. Tutto splendido, se non fosse per un parallelepipedo di acciaio, ferro, vetro, grigio, lasciato a se stesso, sopra la fiumana di mezzi che lo solca da sotto in Via Melchiorre Gioia. E pensare che immaginando il naviglio che un tempo passava lungo la via, quella costruzione potrebbe rappresentare il nostro Ponte Vecchio. Con le debite differenze, si intende. Ma cos’è questo edificio che fa da ponte su Via Melchiorre Gioia e come mai è abbandonato?
Quel Palazzo a forma di Ponte che aspetta il ritorno dell’acqua
Ogni giorno migliaia di automobili passano sotto questo colosso caduto in disuso e che si staglia come un ponte sopra Melchiorre Gioia, il lungo viale dedicato al sacerdote, patriota e martire, studioso, esperto di scienze economiche, autore, tra gli altri scritti, del “Nuovo Galateo”, 1838.
Potremmo ribattezzarlo “il Ponte Vecchio di Milano”, un po’ per prenderlo in giro, un po’ per tornare con l’immaginazione agli inizi del ‘900, quando la via era solcata dai battelli e dall’acqua. [continua dopo le foto]
Ponte vecchio firenze milano
Su questo punto di via Melchiorre Gioia, fino agli ’60 scorreva il Naviglio della Martesana, così come il canale artificiale era stato voluto in età sforzesca a partire dal 1460 (circa).
Il fratello più moderno, e più brutto, del Ponte Vecchio, è stato costruito come Centro Direzionale di Milano con gli uffici comunali, ovvero era una emanazione di Palazzo Marino, seguendo il piano regolatore del 1953.Peccato che non sia mai stato completato.
Qualche irriducibile e fautore della riapertura dei Navigli l’ha immaginato come un palazzo-ponte sotto cui far tornare a scorrere l’acqua. Prima di sognare però è lecito chiedersi come mai questo edificio così in vista sia in totale stato di abbandono.
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A cosa doveva servire il “Ponte Vecchio” di Milano?
L’obiettivo del palazzo era farne un polo terziario posto a nord del centro cittadino, fra le due importanti stazioni ferroviarie Centrale e Garibaldi, più agevole da raggiungere considerata la congestione del centro cittadino con il traffico delle auto.
La posizione era stata pensata come ‘super strategica’: da una parte, Stazione Centrale; dall’altra, la vecchia stazione di Porta Nuova, oggi hotel di lusso e di eventi by Maison Moschino, più di recente sostituita nella sua funzione da Stazione di Porta Garibaldi.
“Il baricentro dell’hinterland milanese, persino dell’intera Regione” dicevano che sarebbe diventato. Un po’ perché sarebbe stato collocato all’incrocio tra due assi attrezzati – due autostrade urbane mai realizzate, la metropolitana verde (oggi M2), la nuova stazione ferroviaria collegata alle linee regionali delle Ferrovie dello Stato (attuale Porta Garibaldi FS), le Linee celeri della Brianza che non vennero mai realizzate. Un po’ perché, per renderlo un sito iper-accessibile, per lui sarebbero arretrate stazioni e sarebbero stati sventrati quartieri e palazzi (come Corso Como, via Borsieri).
Le campagne per realizzarlo? Furono divise in due momenti: la prima, nel 1955; la seconda, nel 1962. A interrompere i lavori fu la mancanza di normative “che limitassero l’ulteriore espansione del terziario nel centro storico, che proseguì inesorabilmente per tutti i decenni successivi”, si trova scritto nel web, “e l’ostilità al progetto degli abitanti dei vari quartieri” oltre che l’inevitabile insostenibile costo degli espropri.
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Riapertura Navigli
Tutto intorno, un’anarchia architettonica. Se da una parte sorgevano i Grattacieli come il Pirelli, le aree rimaste vuote e inedificate per decenni venivano parzialmente occupate dal Luna Park delle Varesine.
Il progetto venne definitivamente abbandonato nel 1978, con la variante al “piano regolatore [che] sancì il definitivo abbandono del progetto, definendo genericamente le aree ‘di interesse pubblico’, sostanzialmente impedendo qualsiasi edificazione o sviluppo della zona”.
E così rimase abbandonato e ignorato fino al 2004, quando il progetto di riqualificazione “Progetto Porta Nuova“, fece dell’area delle ex-Varesine e dell’attiguo quartiere isola un po’ come accadde alla Fenice: risorse dalle sue ceneri.
E il “Ponte Vecchio” di Milano? Neppure la riqualificazione dell’area lo ha sottratto dal suo degrado. E per ora del “gemello” bello di Firenze gli resta solo la forma e il sogno di venire riscoperto un giorno nei secoli a venire.
Ischia: sole, mare, pane fragrante da mangiare con un po’ di olio, basilico e la salsedine che si infrange sugli scogli.
Emanuela Pacera è la giovane titolare di uno dei forni dell’isola, meta di turisti e visitatori tutto l’anno. Emanuela ha avuto una idea fragrante e buona.
Ogni sera, terminata l’attività, prima di chiudere il suo esercizio su corso di Casamicciola, riempie buste e sportine di ogni ben di Dio rimasto invenduto: panelli, rosette, baguette , pizzette.
Sulla sua pagina Facebook ha specificato il perché di quel gesto:
emanuela pacera ischia – foto ufficiale Facebook
Tramite la sezione partenopea di Repubblica.it spiega: “Questo è un modo semplice per aiutare chi è in difficoltà. Nulla di particolarmente originale, ma dialogando con un’amica, che a Ischia gestisce la catena alimentare per i poveri, ho preso coscienza di una realtà in parte sommersa: anche su un’isola apparentemente ricca non mancano persone che hanno difficoltà ad acquistare un po’ di pane a un euro o di sfamarsi con una pizzetta. Soprattutto quando ci si avvicina alla fine del mese e il portafogli è inesorabilmente vuoto“. E ancora: “Anche gestendo da cinque anni un piccolo panificio facciamo i conti con l’opportunità di non cestinare le eccedenze. E il pane è vita, amore, condivisione. Ma il mio non è certo un gesto eclatante. Piuttosto, un invito a fare altrettanto rivolto a ristoranti, panifici, pasticcerie: mettere a disposizione le rimanenze, magari con l’ausilio delle amministrazioni, creando dei punti di raccolta a favore di chi ne ha bisogno“.
Parlando di Germania si pensa immediatamente a tre cose:
Wurstel,
Birra,
Le serate nei club di musica elettronica.
Sul terzo punto non esistono dubbi: non puoi andare in una grande città tedesca senza trascorrere una serata in uno di quei club dove la musica è sperimentazione e le persone che incontri sono uniche sulla faccia della terra.
Già, la musica elettronica. Con buona pace di Wagner e dei nazionalisti, è questa la nuova nota che suona nel cuore dei tedeschi postmoderni, così importante e “un passo in avanti rispetto agli altri, […]”, recita il blog Berlinocacioepepe, “[..] che per festeggiare i 25 anni della caduta del Muro chiama a suonare il suo DJ più famoso, Paul Kalkbrenner, di fronte alla cornice istituzionale della Porta di Brandeburgo dimostra di aver capito l’importanza di questo (relativamente) recente stile musicale […]”.
Così importante e identificativo da meritarsi un museo.
Ma, a sorpresa, non sarà a Berlino bensì Francoforte, “la più occidentale delle città tedesche”, ad ospitare il MOMEM, acronimo di Museum of Modern Electronic Music.
Nella speranza che Milano rilanci con un museo della musica classica, per tornare ad essere una capitale della musica, scopriamo in 7 punti come sarà il museo della musica elettronica.
Il MOMEM in 7 punti:
Dove sarà? Probabile indirizzo: An der Hauptwache 15, 60313 Frankfurt am Main.
Che cosa conterrà? Questo spazio ripercorrerò la storia, le tappe e i nome principali di chi ha fatto e reso celebre nel mondo l’elettronica.
Quanto sarà grande? ca. 800 mq.
Quando aprirà? Nel 2017.
Quanto costerà? Alla città: zero .”La città non darà finanziamenti per l’apertura del museo ma concederà gratuitamente lo spazio attualmente dedicato al Kindermuseum (museo dei bambini), il quale si sposterà in altra sede (Die Welt)“, spiega la nostra fonte. Ovviamente, non mancheranno i concerti.
Che tipo di museo sarà? Ovviamente poli-esperienziale: suoni, mode, strumenti, app, cultura, indirizzi dei club, spazi, interazioni, tutto sarà al servizio di “questo che sarà il luogo del qui e ora” dice il sito del museo.
Chi sarà a dirigerlo? Andreas Tomalla (a.k.a Talla 2XLC), un produttore ed ex direttore del Technoclub, che ha aperto nel 1984 per dare una voce agli artisti della musica elettronica [Fonte: darlin.it]
Per saperne di più: MOMEM – Museo della musica elettronica: sito in costruzione www.momem.org
La 55ma edizione del Fuorisalone di Milano si è appena conclusa con un grande successo di pubblico e di idee. Molti si domandano quali migliorìe alla vita quotidiana e quali nozioni di design ci avrà consegnato in eredità la sei giorni di presentazioni ed eventi conclusasi ieri con oltre 350.000 tra gli operatori professionali arrivati da tutto il mondo di cui il 70% stranieri e circa 50.000 (numeri da Affari Italiani Milano).
Per mettere ancora di più Milano al centro del mondo abbiamo trovato 3 idee ecosostenibili e rivoluzionarie che speriamo di trovare nella prossima edizione del Fuorisalone, tratte dal portale blog.homepal.it.
La prima: Current Table, il tavolo che produce energia
current table design fuorisalone milano
‘Per fare un tavolo, ci vuole il legno’ cantavamo da bambini; dall’anno prossimo potremmo trovarci a fischiettare il contrario.
Current Tablenon è che uno dei suoi progetti sostenibili, rivoluzionari, minimali, progettati dalla designer olandese neo trentenne Marjan van Aubel.
Creato nel 2014, funziona grazie alla sua superficie popolata di celle fotovoltaiche che si attivano con l’energia del sole. Le celle usate, infatti, sfruttano la loro pigmentazione per produrre energia (celle solari dye).
La seconda: addio lavapiatti, i piatti saranno autopulenti
tomorrow machine piatti autopulenti
Sembra una scena da “Ritorno al Futuro”, eppur funziona, ed ancora una volta è stata la natura a fornire lo spunto.
Avete presente il Fiore di Loto? Questa delicata pianta, naturalmente, presenta un rivestimento di pura sciolina.
Lo studio svedese Tomorrow Machine e il KTH Royal Institute of Technology di Stoccolma ne hanno studiato le proprietà, hanno tratto un rivestimento simile a quello delle foglie di loto, ovvero una cera sciolta che, ad alta temperatura, diventa idrofobica, impedendo a olio e sporco di rimanere sul piatto.
In questo modo, se rivestiti di tale membrana, le stoviglie, una volta inclinate, faranno autonomamente scivolare via i residui di cibo e altro. Con buona pace della bolletta di acqua e corrente.
…questo progetto che nel 2014 ha vinto il Lexus Design Award 2014.
Hanno base a Londra i design Rodrigo Garcia Gonzalez, Pierre Paslier e Guillaume Couche, che nel loro Skipping Rocks Lab hanno creato questa: la prima bottiglia di plastica completamente edibile.
Come fa ad esserlo? Perché è realizzata da una membrana gelatinosa di alghe, che può essere mangiata in tutta sicurezza oppure diventare un comune rifiuto organico.
La fonte di ispirazione qui sono le uova, in particolare la sottile membrana che tiene separati il tuorlo dall’albume.
E l’acqua??? E’ racchiusa in una pallina che è una doppia membrana, sferica grazie alla tecnica della “sferificazione” che, in cucina, rende sferici i liquidi.
Forma, consistenza, funzione: tutto chiaro. Resta da sapere come sarà il sapore e l’esperienza di una bevuta “per palline di acqua”.
Repubblica.it dice che le persone a spasso nei quartieri, la scorsa settimana, sono state 400mila e che gli eventi ‘censiti’ sono stati 1.100 eventi. “Impossibile riuscire a vedere tutto in una settimana” commenta. Da qui, l’idea di Palazzo Marino di replicare in autunno.
Chissà che allora tra una porchetta, una salamella, un selfie in un prato in pieno centro e una passeggiata sulle Torre Velasca, che tutti hanno sempre disprezzato ma non nella Design Week, chissà che allora non spunti la voglia di proporre qualcosa di utile e di duraturo, diffusa come la smania di sentirsi tutti designer per una settimana. Allora il Fuorisalone potrebbe tornare a fare breccia nel cuore e nella voglia di partecipazione di chi al buon design ci crede davvero. Purché abbia senso.