Prendi il DENARO e non far nulla: la nuova frontiera della POLITICA ITALIANA

Money for nothing. Dire Straits. Parole che ossessivamente ripetevano lo stesso concetto, money for nothing, soldi senza far niente, and chicks for free, e le ragazze sono gratis. Se dovessimo scegliere una colonna sonora per la nostra epoca politica money for nothing sarebbe perfetta. 

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Money for nothing. Era la canzone di punta dell’omonimo album dei Dire Straits. Con parole che ossessivamente ripetevano lo stesso concetto, money for nothing, soldi senza far niente, and chicks for free, e le ragazze sono gratis. Era un attacco alla società degli anni ottanta, di consumi inutili e di soldi facili, talmente facili che sembravano alla portata di tutti. E soprattutto che si potessero guadagnare senza fare nulla. Se dovessimo scegliere una colonna sonora per la nostra epoca politica money for nothing sarebbe perfetta. 

Prendi il DENARO e non far nulla: la nuova frontiera della POLITICA ITALIANA

Sarebbe ingeneroso attribuire la responsabilità dell’ultima frontiera della politica italiana a una sola forza politica. I soldi per non fare nulla è ormai l’unica linea politica del nostro Paese. La logica evoluzione di una politica che ha radici lontane. Per capirlo facciamo qualche passo indietro. 

Scavare buche e poi ricoprirle

Lo Stato governa, mentre la produzione di ricchezza e di lavoro vengono lasciati al settore privato: questa divisione di ruolo era le fondamenta delle società fino alla grande crisi degli anni trenta del novecento. Crollo in Borsa, superinflazione, risparmi bruciati, code di persone per raccattare un tozzo di pane. Una situazione inedita per i nuovi stati nazionali trasformati dalla rivoluzione industriale del secolo precedente. E come risposta è arrivato in soccorso Keynes con la sua idea semplice: se le cose si mettono male lo Stato deve dare lavoro. Poco importa se quel lavoro è davvero utile, sosteneva Keynes, piuttosto date una pala a ognuno per scavare un buco per poi ricoprirlo da capo, non importa che sia utile ciò che conta è che la gente lavori. Una regola semplice semplice che ha portato gli stati occidentali a combattere la disoccupazione con una scorpacciata di lavori pubblici. L’America di Roosevelt ha sposato le idee di Keynes e si è risollevata, così come nel vecchio continente hanno fatto i nazisti in Germania e i fascisti in Italia. Visioni del mondo diverse ma accomunate dall’idea di uno stato salvifico che dà lavoro ai suoi cittadini. 

Un’idea che per alcuni anni ha funzionato anche se non si può sapere come sarebbero andate le cose visto che è stata interrotta dalla più grande e devastante guerra che il mondo abbia mai sperimentato. Nessuno può dire che ci sia una relazione di causa ed effetto tra lo Stato che dà lavoro e il conflitto mondiale, ciò che conta per questa analisi è che quando lo Stato crea lavoro dal nulla non si sa dove si può andare a finire. 

I soldi non fanno la felicità ma…

Difatti nel dopoguerra le cose sono cambiate. Gli anni cinquanta e sessanta hanno assistito a un boom economico con lo Stato che ha fatto lo Stato e il mercato che ha fatto il mercato. Questo almeno è accaduto in una metà del mondo, perchè l’altra metà ha spinto sull’acceleratore dello Stato che fa tutto. Sono i decenni della guerra fredda, della divisione del mondo tra Bene e Male, della diffusione di modelli collettivistici del mezzo universo comunista, dove si prometteva ai cittadini uguaglianza, lavoro e felicità per tutti. Un modello che però aveva qualche limite. Forse il limite maggiore era dovuto alla psicologia e alle debolezze umane: il comunismo ha fallito perché alla fine il lavoro lo dava ma i soldi erano pochi, troppo pochi per rendere la gente felice.

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Mentre l’altra metà del mondo suonava musica a palla che diceva money for nothing and chicks for free (soldi senza fare nulla e ragazze gratis per tutti), dall’altra parte più che avvertire la critica a un sistema arido e in decomposizione, sentivano solo le schitarrate e le sirene dei soldi di cui erano privi e di un mondo in cui tutto era possibile. Soldi in cambio di niente? Forse qualcuno negli anni ottanta, ascoltando Mark Knopfler e i coretti di Sting, su quel “money for nothing” ha iniziato a fare mumble mumble, a pensare che forse in quella frase c’era nascosta una luminosa carriera politica. 

La scarpa di Lauro

In realtà prima di arrivare ai giorni nostri, più che una canzone di grande successo, il primo seme, la prima intuizione che il potere si potesse ottenere agendo sull’avidità delle persone la ebbe Achille Lauro. Non il cantante, ma il sindaco di Napoli. 

Detto “il Comandante”, Achille Lauro è stato un sindaco negli anni cinquanta di stampo peronista, anche se è andato oltre perfino a Peron e alla sua compagna. E’ entrato nella storia per i suoi metodi leggendari per accaparrarsi voti, come donare una sola scarpa: l’altra l’avrebbe data solo dopo aver ricevuto prova del voto alle elezioni. Non ancora money for nothing, ma scarpe in cambio di voti, una mossa innovativa ma che è nulla rispetto alla politica attuale. Ma prima di arrivare ai giorni nostri c’è stato un ultimo passaggio. 

“Un milione di posti di lavoro”. Questo il felice slogan che a detta di molti è stato alla base della rivoluzione berlusconiana, quando per la prima volta nella storia d’Italia un imprenditore ha fondato un partito dal nulla arrivando a stravincere le elezioni diventando primo ministro. Anche in questo caso sarebbe ingeneroso ridurre tutto il suo successo alla promessa di lavoro. La vera promessa con le sue parole e il suo esempio era quella del successo. Un successo ottenibile con il lavoro ma soprattutto con relazioni, scorciatoie e un sorriso convincente. Per il resto la ricetta era simile a quella degli anni trenta, lo Stato che crea lavoro anche se in questo caso non lo fa con lavori pubblici e a spese dei contribuenti, ma attraverso un modello culturale che si diffonde nel paese, che è poi il modello cantato dai Dire Straits, di money for nothing, dei soldi facili, delle ragazze disponibili, del successo con poco. E se questo non capita grazie al mercato, è il debito che lo produce. 

Work for nothing

L’idea dei soldi in cambio di niente covava già forse nell’inconscio politico dagli anni ottanta in poi ed è stato alla base dell’esplosione del debito pubblico usato per acquisire voti, alimentare clientele e pompare a bomba uno stile di vita superiore alle proprie possibilità, lasciando il conto alle generazioni che seguono. E il conto è arrivato nel nuovo millennio quando solo per il pagamento degli interessi sul debito creato due decenni prima, il nuovo debito è finito in una spirale che chi finisce nelle mani degli strozzini conosce bene. Indebitarsi per ripagare i debiti. Debito per debito che ha portato il Paese a indebitarsi e a impoverirsi sempre di più, segnando per tutto il nuovo millennio uno dei tassi di crescita inferiore tra tutte le economie del mondo. 

Dopo anni di stenti e di arretramento, in cui spesso invece che money for nothing era diventato work for nothing, lavora come una bestia ma alla fine in tasca non ti rimane nulla. E questo vale per la piccola impresa o il commerciante massacrato dalle tasse prese per pagare il debito oppure il giovane inserito nel mondo del lavoro che si spacca in due per uno stage non retribuito. Logico che molti iniziano a scappare: persone e anche soldi che cercano riparo in luoghi dove la causa-effetto non è soldi per niente né lavoro per niente, ma lavoro per soldi e soldi per lavoro. 

Dalla corsia di emergenza alla corsia di sorpasso

Arriviamo ai giorni nostri. L’Italia ha molti difetti ma una cosa non le manca. Il tocco di genio, nel bene o nel male. Un luogo straordinario dove spesso si anticipa quello che accadrà nel resto del mondo. Così il Paese che ha generato il Rinascimento, la Chiesa Cattolica, la scoperta dell’America, ma anche l’Inquisizione o il fascismo, mette la freccia e dalla corsia di emergenza passa direttamente alla corsia di sorpasso facendo ciao ciao alle auto delle nazioni incolonnate in una crescita costante ma per noi troppo banale. La macchina Italia dopo vent’anni in panne ora spinge sul gas suonando da una vecchia musicassetta “Money for Nothing”. 

Pensateci. Non sono money for nothing le due grandi riforme che ha fatto il governo giallo verde, quota 100 e reddito di cittadinanza? Ed era solo l’antipasto. Chiudete gli occhi e pensate a Conte che appare in televisione con i suoi discorsi alle otto di sera, cosa vi viene in mente? 80, 150 o 450 miliardi? Soprattutto promessi per cosa: per la cassa integrazione, per le persone in difficoltà, per autonomi e dipendenti, per chi è a casa, per chi non ce la fa ma anche per chi ce la fa, per aziende in crisi, per aziende di stato, per aziende private da trasformare in aziende di stato, soldi, soldi, soldi in cambio di niente. E senza gli sforzi del passato di cercare di darli in cambio di qualcosa, senza opere pubbliche, senza avere gente che armata di pala costruisce autostrade o scava buche per poi ricoprirle. Il colpo di genio è capire che ancora più che dare soldi per chi lavora è molto meglio darli per non fare nulla. Un colpo di genio che è riuscito anche a fare breccia in Europa. Il Paese fondatore dopo aver trascorso decenni a costruire, a fare, a immaginare un nuovo futuro tra i paesi dell’Unione, ha sbancato tutte le trattative chiedendo semplicemente questo: money for nothing. Soldi in cambio di nulla. Ed è riuscito a ottenerli.

Come tutte le canzoni, anche money for nothing alla fine finisce

Questa politica ha capito qualcosa di geniale. Dare e promettere soldi senza far niente per meritarli. È la paghetta di papà semplicemente perchè esisti, è l’assistenzialismo dalla culla alla tomba, è ricevere soldi senza far niente. La conseguenza di un paese fatto per chi vive di rendita più che per chi produce, per chi controlla più che per chi crea valore, per l’assistito più che per chi assiste.

A questo punto sembra una storia bellissima. La politica italiana si è conformata a una voce sola, gialli, rossi, verdi e blu, in gara per chi dà e promette più soldi in cambio di nulla, una sfida che sembra irresistibile e senza alcun elemento negativo. Il problema è che come in tutte le storie che sembrano iniziare bene, c’è sempre un ma a rovinare tutto. 

L’unico problema di questo sistema è che i soldi non durano per sempre. Non si possono fare debiti all’infinito, non si può avere aiuti eterni dall’Europa e, se anche tornassimo un giorno a farlo, non si può stampare moneta senza avere un corrispondente deprezzamento del valore dei soldi.

E allora a quel punto, quando terminerà il giochino, cosa accadrà?
Dopo aver alimentato e diffuso una mentalità parassita del pretendere senza dare, del dipendere in uno stato di costante passività e distruzione di ricchezza, l’unica conseguenza logica sarà di trovare un capro espiatorio.
Oggi c’è un’emergenza sanitaria, domani potrebbero essere i ricchi o, più probabile, qualche potere occulto o potenza nemica che ci trascinerà in una guerra devastante. 

Ma la responsabilità di quello che accadrà è nostra, ora. Come diceva Jean Paul Sartre, “si è sempre responsabili di ciò che non si è riusciti ad evitare”. Noi oggi, con il nostro lassismo compiacente verso la politica del denaro in cambio di niente, dicendo sì a tutto questo ci stiamo rendendo complici della disintegrazione del nostro Paese. 

Get your money for nothing. Get your chicks for free.

ANDREA ZOPPOLATO 

 

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Andrea Zoppolato
Più che in destra e sinistra (categorie ottocentesche) credo nel rispetto della natura e nel diritto-dovere di ogni essere umano di realizzare le sue potenzialità, contribuendo a rendere migliore il mondo di cui fa parte.