Anselmo Barbogio detto Il CAPPELLAIO

Un altro capitolo della Milano che non esiste dal mago del fantasy di Milano città stato

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Si tratta forse del più ingiustamente trascurato pittore milanese. Per questo la notizia dell’imminente mostra mercato in cui verranno esposte le sue opere principali sarà la giusta occasione per conoscere “Il Cappellaio” e rendergli il dovuto omaggio. La sua storia, la vita artistica e i dettagli dell’evento.

Anselmo Barbogio detto Il CAPPELLAIO (Milano 29/2/1775 – 31/6/1810)

# A palazzo Roverbella di Brondolo la prima mostra mercato delle opere del trascurato pittore milanese

Nella splendida cornice di Palazzo Roverbella di Brondolo a Milano, in piazza Roverbella 2, recentemente restituito agli antichi fasti dopo un accurato restauro finanziato da un’azienda leader nel settore dei contraccettivi (cui è stato inibito l’uso del marchio per espressa richiesta dell’Arcivescovado), grazie alla stretta collaborazione tra il Comune e la celebre casa d’aste londinese Hagathaz, si svolgerà a breve la prima, attesissima mostra mercato di uno straordinario, quanto ingiustamente trascurato, pittore milanese: Anselmo Barbogio detto il Cappellaio.

# L’affascinante storia dell’oriundo milanese, figlio illegittimo di Oregondo Trombini di Ragliano e di una anonima meretrice

Oriundo milanese, il Barbogio nacque illegittimo – si sussurra figlio dell’esuberante marchese Oregondo Trombini di Ragliano e di una anonima meretrice al seguito dell’esercito napoleonico- nell’antico quartiere dell’Ortica e fu da subito affidato alle amorevoli cure delle Figlie Errabonde di Maria Maddalena, Ordine areligioso non contemplativo (tuttora attivo) contrario ad ogni forma di clausura ed anzi dedito alla diffusione del Verbo, nonché di numerose malattie veneree, sulle strade cittadine.

Sin dalla più tenera età, oltre a stupire gli astanti con una singolare scioltezza nell’uso del pennello, il Barbogio (cui le devote Figlie Errabonde, nell’entusiasmo laicista napoleonico, avevano originariamente assegnato il cognome Diotifulmini) rivelerà di sé due caratteristiche che ritroveremo spesso nelle sue opere visionarie: uno spiccato senso della giustizia e una propensione all’ubriachezza molesta per la quale divenne tosto famoso nelle osterie della città.

# Le sue opere pregne di riferimenti all’oscurità e alla sua grama vita

L’opera sua è pregna di riferimenti alle oscurità ed alle difficoltà della vita che gli toccò in sorte. Pigro, assillato dai creditori e costantemente al verde, il Barbogio si specializzò presto nella ritrattistica di lebbrosi e mutilati di guerra. Inizialmente perché (cito) “c’è meno roba da pitturare”, ma in un secondo tempo ebbe l’intuizione: iniziò a ricrearne ad minchiam le fattezze, inventandosi di sana pianta arti mancanti, riempiendo orbi oculari e tamponando necrosi, col nobile scopo di regalare a quegli infelici l’illusione, che è il più potente afflato dell’arte, di vedersi anche più belli di com’erano prima che la sorte s’accanisse su di loro.

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Tale fu il successo che il Barbogio fu elevato, per il breve periodo che gli toccò di vivere, ai più alti fasti: fu chiamato a ritrarre aristocratici, vescovi, banchieri e mercanti, tutta l’alta società meneghina. Ma il passaggio dagli squallidi ed affollati giacigli delle Figlie Errabonde alle sete preziose ed ai candelieri argentei dei più sofisticati salotti milanesi non lo domò. Ciò che aveva aggiunto, inventandoselo, ai derelitti della società lo toglieva, arbitrariamente, ai nobilotti ansiosi di ritagliarsi mezzo metro quadrato su una qualche parete. E così, via l’orecchio destro alla baronessina; zac, niente mano destra al monsignore; tric, guerciato il supponente banchiere, azzoppato l’avido mercante: di un noto generale francese asportò tutta la parte sinistra. Trovò qualcosa da togliere persino ad un Asburgo, schiatta che secoli di endogamia avevano sì dotato d’un enorme potere, ma privato di forma umana.

Tutti gli organi che il Barbogio asportava, artisticamente parlando, ai ricchi, li donava ai derelitti, che non abbandonò mai. Tanto intenso fu il lavoro di sezionamento dell’aristocrazia milanese che, verso la fine dei suoi giorni, afflitto da una cirrosi epatica irreversibile, non sapeva più dove piazzare gli organi: fu così che un carrettiere, storpiato da un cavallo imbizzarrito, poté ammirarsi con tre piedi, quattro testicoli e sei dita per mano.

# Fu sua l’indimenticata opera “Le Birichine”: Il girotondo di innocenti ragazzine di classi sociali diverse

Sua l’indimenticata opera “Le Birichine”, vivissima e iconica rappresentazione d’un girotondo (tema assai caro al Barbogio) di innocenti ragazzine di classi sociali diverse, dalla contessina alla figlia della stracciaia: ancora oggi resta il mistero di come il Barbogio, autodidatta e alcolizzato, abbia potuto rendere quel vorticoso movimento che porta l’orecchio della baronessina ad apparire sulla stracciaia, il vestitino di taffetà della prima convertirsi a straccio maleolente e viceversa, con un losco personaggio sullo sfondo, riconoscibile dalle tre narici, indeciso se violare l’una o l’altra o entrambe. Un crescendo icastico di simmetria e profonda, sconsolata, ma tutto sommato ottimista consapevolezza che la ruota gira per tutti e che nessuno è mai al sicuro da niente.

# La morte lo colse nella giovane età in tragiche circostanze

Il grande, visionario anticipatore dei temi dell’equità e della giustizia sociale, morì giovane in tragiche circostanze: chiamato a ritrarre nientemeno che il suo supposto padre naturale, l’ormai anziano marchese Trombini di Ragliano, il tagliente pennello del Barbogio non seppe resistere alla tentazione di evirarlo e di apporne il membro virile nel ritratto di un arricchito beccamorto, tale S. Alvini, proprio in mezzo alla fronte. Un gesto di grande considerazione da parte del Barbogio, che il cliente non gradì: un suo scherano attese il Barbogio sotto casa e lo costrinse ad ingoiare il quadro.

Fu ucciso da una scheggia della cornice, obiettivamente indigesta.

A Palazzo Roverbella di Brondolo, il 31 settembre 2020.
Ingresso pieno € 11,58, ridotto € 6,73. Graditi gli spiccioli.

ANDREA BULLO

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Andrea, milanese, avvocato, tanto dovrebbe bastare