Addio a RADIO PADANIA LIBERA: finisce il sogno autonomista in modulazione di frequenza

L'autodeterminazione è diventata fuori moda

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Radio padana libera

Cade il nome-simbolo di lunghe battaglie. La rinascita della radio sotto una nuova veste più politically correct per la nuova politica della Lega.

Addio a RADIO PADANIA LIBERA: finisce il sogno autonomista in modulazione di frequenza

# Cade il nome simbolo di anni di battaglie per l’autodeterminazione

Radio padana libera

Padania cosa? Da tempo nella mappe di via Bellerio è scomparsa la Padania e con lei anche  la spinta federalista. Il motto “Roma ladrona” è stato messo in solaio e la gallina dalle uova d’oro, che riforniva il forziere capitolino, è un’immagine di cui rimangono solo vaghi ricordi.

Sì, perché la mitica, bossiana e salviniana, sgarrupata e libertaria radio che martellava su identità e autodeterminazione dei popoli padani ha cessato di esistere. Rinascerà subito dalle sue ceneri in veste di “Radio Libertà”. Con la fine del nome-simbolo cade ogni riferimento agli anni delle marce su Po e delle relative istanze secessioniste settentrionali. 

Eppure ne aveva di storia l’ex Radio Varese, fm 100.70. Gli inizi dell’emittente, che fu voluta da Bossi e che ha visto nascere come giornalista e leader politico il giovane Matteo Salvini, si perdono nel sottobosco delle istanze indipendentiste degli anni settanta. Ma da oggi si cambia tutto. 

# Il cambio di denominazione in Radio Libertà: nuova linea, nuovi colori (appare anche il rosso)

Radio Libertà

Via la parola Padania, bandite in studio anche le nuance verdi che ricordavano l’ormai tramontato sole delle alpi. Il colore dominante sarà l’azzurro-Savoia, il microfono sarà (addirittura) rosso. Addio alla voce di personaggi scomodi alla Borghezio, basta ai pittoreschi epiteti degli ascoltatori contro centralisti e meridionali, stop alle sanguigne voci popolari che reclamavano libertà, fine dei riferimenti nordici, della mitologia celtica, dell’Alberto da Giussano. 

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L’attuale direttore, il riconfermato Giulio Cainarca, canticchia Gaber. “La libertà non è uno spazio libero”. Nel senso che ormai la libertà ha perso qualunque senso per quel Nord che una volta era ritenuto, a ragione, la locomotiva d’Italia. La libertà secondo Cainarca, come riporta il quotidiano Libero, non è più nemmeno un’esclusiva richiesta, né un marchio leghista: “Radio Libertà si propone di non essere più un megafono del Carroccio. Ma una sorta di aggregatore culturale del centrodestra”. 

La redazione, anch’essa riconfermata, ha accettato di buon grado il cambio di denominazione. «Erano anni ormai che il padanismo era sfiorito politicamente – ci rivela uno speaker – e la radio non poteva che adeguarsi di conseguenza sotto il profilo editoriale». E nonostante qualche autonomista della prima ora lanci messaggi di un amore mai sopito (“Io continuerò sempre a chiamarla Radio Padania”), i giornalisti di via Bellerio accettano la transizione. «Non ci sarà in realtà alcun grande cambio di rotta – ci rivelano sottovoce -, la libertà diventa il concetto centrale e fondamentale. Di autonomia continueremo a parlarne all’interno del palinsesto quando, giornalisticamente, sarà opportuno farlo».    

# L’autonomia mancata e le libertà perdute di lombardi e milanesi

Quindi basta libertà per quella Padana delineata dall’allora politologo leghista Gianfranco Miglio. Con buona pace del referendum autonomista di fine 2017, fortemente voluto e stravinto dalla Lombardia di Maroni e dal Veneto di Zaia. Per il governatore Veneto l’autonomia era considerata “il big bang delle riforme”. A ognuno, disse “il Doge” citando Einaudi, dovremo dare l’autonomia che gli spetta. “Questa stagione delle riforme autonomiste sarà e diventerà endemica”. 

Ma ormai negli ultimi due anni, i veneti e i lombardi (e anche noi milanesi “cittastatisti”) hanno visto sfuggire grandi fette di autonomia e libertà dalle loro vite. Endemica non è quindi diventata la riforma autonomista, anzi. Al suo posto stanno proliferando burocrati che ne governano le ricadute sociali alimentando un neostatalismo centralista e paternalista che pare la manifestazione del più grande incubo di Gianfranco Miglio. 

Continua la lettura con: Il TRASPORTO MILANESE punta su BOLOGNA

LEONARDO MENEGHINO

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