L’INGEGNO SEGRETO di Milano. Le 7 opere NEGLETTE

Nuovo capitolo ai confini della realtà della Milano bella e impossibile di Andrea Bullo

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Credits: fanpage.it - Moba, le opere più brutte al mondo

Nuovo capitolo ai confini della realtà della Milano bella e impossibile di Andrea Bullo. Trova l’opera autentica tra queste sette formidabili creazioni dell’ingegno. 

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L’INGEGNO SEGRETO di Milano. Le 7 opere NEGLETTE

#1 – Missa Pontificali Solemnis (Cherubino da Lambrate, 1367-1433)

Si tratta, come suggerisce il nome, di una messa pontificale solenne della durata di 256 minuti oltre ai supplementari, composta dal polistrumentista Cherubino da Lambrate, noto all’epoca per essere affetto da un serio disturbo multiplo della personalità grazie alla quale poteva suonare contemporaneamente diversi strumenti. L’opera, avveniristica per i suoi tempi, fu composta e presentata al pubblico nel 1381, in occasione dell’incardinazione arcivescovile di S.Em. Ildebrando Cacarelli di Barzotti, che sei anni dopo ascenderà al soglio di Pietro con il nome di Bonifacio IX e che verrà, poco più tardi, destituito, scomunicato e arso vivo per debiti di gioco.

La leggenda vuole che, durante l’esecuzione del cupo ed intenso salmo “In tribus diebus tu videbis”, in cui i fedeli sono chiamati a rispondere alle esortazioni del celebrante, il famoso basso A.M. Brogio proruppe suo malgrado in un rutto clamoroso, tosto ripetuto dall’intera cattedrale stracolma di partecipanti travolti dal trasporto mistico. A causa dell’incidente, la Missae non venne più rappresentata ed il Cherubino finì i suoi giorni sbranato dai piccioni di piazza del Duomo mentre, correndo nudo in groppa ad un asino bianco, supplicava il perdono.

#2 – Procinere (anonimo, 1284 circa)

L’opera, conservata nel Museo della Scienza e della Tecnica “Leonardo da Vinci”, fu realizzata da un anonimo milanese intorno al 1284 e reca auspici per la vittoria del Palio delle Scrofe che si correva allora ogni anno, a giugno (allora “grugno”), nel Sestiere di Porta Vercellina. Il manufatto consiste in un dischetto di peltro finemente decorato e con bordi leggermente rialzati, nei quali sono ricavati tre piccoli semicerchi. Farà parte della collezione privata dei Visconti, con una funzione puramente ornamentale, fino all’occupazione spagnola, allorché fu donato con la forza al primo Governatore spagnolo di Milano, il celebre Don Miguel Cabeza Rellena de Piojos.

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Soltanto nei primi anni del XVI secolo fu chiaro, grazie alla progressiva introduzione del tabacco, da poco scoperto nelle Americhe, che l’anonimo creativo Milanese aveva intuito, con tre secoli di anticipo, la necessità di creare un posacenere, dettando un modello di stile dal quale il resto del mondo non di discosterà mai.

#3 – La Diga sul Seveso (1868, progetto)

Nell’entusiasmo dell’unificazione, le prime Autorità regie di Milano si posero il duplice problema di contingentare il reticolo idrografico che allora caratterizzava Milano (un tempo si diceva che “se Venezia avesse la nebbia sarebbe una piccola Milano”) e sfruttare la potenza delle acque per la generazione di energia elettrica per le tante industrie cittadine.

Il Comune commissionò allora un concorso d’idee alla cittadinanza per la realizzazione dell’opera, che avrebbe dovuto essere sì funzionale, sì solida, sì efficiente, ma soprattutto BELLA, per celebrare le glorie e le speranze del neonato Regno d’Italia.

Fu così che la città, nei primi giorni di febbraio 1868, fu letteralmente inondata di vistosi manifesti comunali recanti, a caratteri cubitali, la scritta “Milanesi! Vogliamo una bella diga!”. Qualche pennello e l’ironia dei Milanesi fecero il resto. La Diga non si farà mai, ma la sua storpiatura diverrà un intercalare tipico della parlata meneghina, molto in uso ancora oggi.

#4 – La pettinatrice (Anonimo, X secolo, olio su legno)

Si tratta, con ogni probabilità, del quadro più misterioso che sia mai esistito: e si trova a Milano. Sin dall’epoca della sua realizzazione (su commissione di una veggente che aveva lungamente viaggiato nelle più remote lande allora conosciute, taluni suggeriscono addirittura fino a Casalpusterlengo), l’opera riscosse fin da subito il più acuto allarme delle Autorità, nessuna delle quali si prese tuttavia, per scaramanzia o rispetto, la responsabilità di distruggerla.

Mai censita da alcun inventario, l’opera è tuttora accuratamente nascosta al pubblico e si vocifera trovarsi in una camera segreta che si nasconderebbe dietro una finta parete nell’ufficio privato del Sindaco. Ve n’è uno sfuggito accenno nelle cronache dell’Abate Wilfredo da Lipsia (Lipsia 1311 – Costantinopoli 1387), la cui affidabilità è tuttavia compromessa dal fatto che, secondo recenti ricerche, lo stesso sarebbe passato da Milano esclusivamente per visitare i famosi bordelli del quartiere di Brera, evitando accuratamente qualunque incontro con le Autorità.

Ad ogni modo, il prelato riferisce che il quadro sarebbe in grado di fare cose straordinarie, anche più volte di seguito: ma si suppone essere un’allegoria riferita ad una delle sue amichette. Il mistero che circonda la Pettinatrice resta, a tutt’oggi, inviolato.

#5 – La colonna del Diavolo (II sec. A.C.)

sculture

Sul lato sinistro della Basilica di Sant’Ambrogio, nella parte antistante la cattedrale romanica, si trova una colonna in stile corinzio, forse pure originale, nota come “Colonna del Diavolo”.

I due piccoli fori sulla colonna, stando a un’antica leggenda, non sarebbero altro che il risultato di un intenso scontro tra Sant’Ambrogio e il demonio in persona, che realizzò allora quanto sia difficile tentare di convincere un tedesco recalcitrante, per di più stabilito a Milano, a fare qualunque cosa costui non sia disposto a fare. Tale fu l’incazzatura che il diavolo dovette pinzare la colonna, bucandola, per non dare di matto.

La tradizione vuole che infilando le dita in questi fori si venga purificati da eventuali malocchi e maledizioni.

#6 – Lazzaro (1967)

Benché il titolo originale del progetto fosse “Studio approssimativo di fattibilità di una qualche forma di raccordo, magari sotterraneo, che provi in qualche modo a collegare i quattro punti cardinali di Milano così da diminuire il traffico, migliorare la circolazione pedonale, attenuare gli effetti dell’inquinamento e distribuire tangenti in modo equilibrato, senza spendere troppo”, gli Uffici tecnici del Comune iniziarono ben presto a definirlo con il nomignolo di “Lazzaro”, poiché la copertina del fascicolo recava l’immagine di una Fiat 850 che usciva baldanzosa dall’imboccatura d’una che ricordava vagamente un sepolcro.

Lo studio fu portato a termine da un pool di architetti, ingegneri, avvocati, faccendieri e massoni verso la fine del 1967 e prevedeva, tra l’altro, che i circa 50 km di gallerie sotterranee fossero dotati di ogni confort, tra cui una pista ciclabile e chioschi per la distribuzione di maschere antigas dell’ormai felicemente conclusa guerra di Corea. La soluzione, avveniristica, prevedeva che la galleria fosse realizzata senza alcuno scavo: si trattava semplicemente di alzare il piano strada di tre/quattro metri, in modo che il reticolo fosse anche dotato di negozi.

La crisi petrolifera del 1973, un’indagine della Corte dei Conti e la misteriosa sparizione di alcuni personaggi e delle relative valigette impedì, fortunatamente, che Lazzaro vedesse la luce.

#7 – La Tomba di famiglia dei conti Aurei Ugelli di Montemarcio (1699)

Unica opera scultorea realizzata da Cornelio Baravini da Dormelletto (1675 – 1730), di professione beccaio, si trova nel campo IX del Cimitero Monumentale. Non è chiaro per quale motivo l’augusta famiglia si sia rivolta a quello che, all’epoca, poteva essere considerato soltanto un dilettante, ma l’intuizione fu corretta. Forte dell’esperienza come macellaio e di una profonda fede religiosa, il Baravini rappresentò l’intera famiglia senza fattezze terrene, scolpendone prodigiosamente soltanto gl’intrecci di muscoli, tendini, vasi sanguigni e nervi.

Si sussurra, ma non ve n’è conferma, che in realtà li abbia uccisi lui soltanto per studiarne l’anatomia, ma è sicuramente una malignità indotta dalla fama che il Baravini da Dormelletto acquisì sui campi di battaglia, nei quali si presentava verso fine giornata allo scopo di prelevare qua e là oggetti di valore ed organi umani. Incarcerato e condannato a morte mediante rogo dopo strazianti torture, il Baravini, rivelatosi ignifugo, fu infine annegato dalle Autorità nel fiume Lambro, che da allora esala il suo caratteristico lezzo.

Nota: delle sette una è sicuramente vera. 

ANDREA BULLO

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