La stangata alla milanese: il colpo del secolo in via Osoppo

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Dici “Milano e la Mala” e pensi a Fernando di Leo e alla sua meravigliosa trilogia del Milieu, alla mostra tenutasi a Palazzo Morando, a Renato Vallanzasca.

Prima di camorristi, capubastuni e Famiglie, però, a Milano operava un sottobosco eterogeneo, fumoso ma vibrante, di criminalità organizzata: la cosiddetta Ligera. Le origini del suo nome sono misteriose.

Sebbene l’ipotesi più affascinante ed esotica faccia risalire l’etimo a John Dillinger, il famigerato gangster statunitense, è molto probabile che in realtà “ligera” derivi dai lavoratori stagionali, minatori e braccianti vari, che a inizio Novecento nei loro spostamenti si portavano appresso un bagaglio “leggero”, per impegnarsi in un lavoro visto come iniquo sfruttamento: nei loro viaggi in treno intonavano canti inneggianti alla scarsa voglia di “lavorare da sfruttati”, ogni singolo giorno della settimana.

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Piazza Duomo 1954: l’atmosfera che faceva da contorno alle imprese della Ligera

E’ su questo sfondo che, il 27 febbraio 1958, andò in scena quello che molti considerano, almeno per quanto riguarda Milano, il colpo del secolo: la rapina di via Osoppo.

I briganti dell’omonima banda provenivano tutti quanti da quartieri ancora dismessi dopo i bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale (Giambellino, Ticinese, Isola e Lambrate), tendenzialmente poveri e affollati soprattutto da bottiglierie e beoni.

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L’impresa venne partorita dalla mente di Ugo Ciappina, 30 anni, già partigiano prima e membro della “Banda Dovunque” poi, che si ispirò all’attacco da parte della “Banda dei Marsigliesi” a un camioncino della Crédit Lyonnais per progettare un assalto a un furgone portavalori della Banca Popolare di Milano.

Mentre era in carcere, parlò del suo piano con Luciano De Maria e i due, una volta usciti, reclutarono altri cinque uomini: Arnaldo Bolognini (pure lui ex partigiano), Arnaldo Gesmundo (conosciuto anche come “Jess il bandito”), Enzo Cesaroni (di mestiere droghiere), Ferdinando Russo (soprannominato “Nando il terrone”) e Eros Castiglioni (ex pugile, poi viveur).

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Un primo piano di repertorio di Ugo Ciappina

I sette studiarono meticolosamente vita, morte e miracoli del furgone della BPM, tutti gli orari e i percorsi che seguiva per portare, tre volte a settimana, soldi e assegni da una sede del centro a una in periferia. Per l’attacco, venne scelto lo snodo tra via Osoppo e via Caccialepori, perché spazioso e con facile accesso a rapide vie di fuga.

Dopo due tentativi falliti a fine gennaio e a inizio febbraio, il primo dopo aver incrociato due volanti della polizia, il secondo per aver confuso l’obiettivo con un furgone del latte, venne infine scelto il 27 perché era il tradizionale giorno di paga, “San Paganino”, quindi una giornata dove i portavalori sarebbero stati pieni di soldi.

La mattina della rapina, la banda si vestì con le classiche tute blu da operaio, e pochi minuti prima del colpo, per crearsi un alibi, Ciappina andò dal dentista con sua moglie, Bolognini a comprare pane e taleggio. Ciappina uscì con la scusa di andare a prendere il giornale.

Il piano funzionò alla perfezione: Gesmundo e Russo, alla guida di una Fiat 1400, superarono il furgone e schiantarono l’auto contro un muro. L’autista del portavalori, vedendo l’incidente, rallentò: a quel punto venne speronato dall’OM Leoncino guidato da Bolognini, e il furgone fu così bloccato.

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Una Fiat 1400 e un OM Leoncino

La banda, coperta da passamontagna, ruppe un vetro del portavalori con un martello e fece scendere autista, commesso e guardia, tenuti fermi sotto la minaccia di un’arma. Nel frattempo, una decina tra le cassette sul furgone venne presa e caricata sull’OM Leoncino.

Il tutto durò un paio di minuti: durante il colpo uno dei banditi imitò il suono di un fucile che spara: «TA-TA-TA-TA-TA-TA-TA»; una signora da un balcone buttò dei vasi di fiori verso i rapinatori, mancandoli; un’altra urlò ai banditi «Andate a lavorare!», cosa a cui De Maria rispose «E secondo lei cosa stiamo facendo?»

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Via Osoppo subito dopo la rapina

Un paio di banditi scappò sull’OM Leoncino su cui c’erano i soldi e gli assegni; altri tre a bordo di una Giulietta Sprint rubata a Bergamo pochi giorni prima e lasciata lì vicino; Ciappina tornò dal dentista: era stato via solo una decina di minuti.

Bolognini si tolse la tuta blu e il passamontagna e restò lì ad aspettare la polizia. È agli atti che al commissario che lo trovò, sapendolo un ligerino, Bolognini disse: «Secondo lei, se avessi appena fatto una rapina, sarei così stupido da restare qui?». Ovviamente, fu proprio a partire dal suo volto che ebbero via le indagini per scovare i colpevoli: in tutto, erano stati rubati 115 milioni di lire.

Ora, bisogna dire la Ligera era ben vista da gran parte della popolazione milanese. Erano “ladri gentiluomini”, figli di quartieri abbandonati a sé stessi dove molta gente se la passava male e, spesso, succedeva che qualche ligerino aiutasse o proteggesse gli abitanti del suo vicinato. Parte del gergo della Ligera era in ampio uso in queste stesse zone della città: polenta, per esempio, per dire oro; “borlótt”, per indicare i dadi usati nelle bische.

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Titolone sul Corriere all’indomani della rapina

Il giornalista Franco Di Bella scrisse sul Corriere che «dal pomeriggio del 27 febbraio 1958 alla Questura di Milano non si dormì, non si mangiò, non si fece altro che impazzire. Le farmacie dei dintorni fornirono a funzionari e agenti migliaia di compresse contro l’emicrania, e decine di tubetti di simpamina o di tranquillanti, a seconda delle ore». In totale, circa cinquemila tra poliziotti, ispettori e commissari si occuparono delle indagini.

Gesmundo e De Maria andarono a Cortina d’Ampezzo a spendere i loro soldi all’insegna delle “tre D” (donne, dadi, danze), ma la festa durò pochissimo: già il 6 marzo vennero ritrovate le tute blu che i sette banditi gettarono nel fiume Olona subito dopo la rapina. La polizia lesse che erano state prodotte da una ditta di Modena e scoprì che qualcuno le aveva rubate proprio da quella ditta. Risalì a quel qualcuno e si fece dire a chi le aveva vendute. Così, il 1° aprile vennero arrestati Ciappina, De Maria, Bolognini, Gesmundo e Russo.

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La fine del gioco

Stando alle fonti dell’epoca, la maggior parte delle persone stava dalla parte dei banditi. Memorabile, a riguardo, è quello che scrisse Montanelli sul Corriere della Sera, dove affermò che questo delitto così all’avanguardia, con lo scontro calcolato alla frazione di secondo fra il portavalori e il camion, per distrarre l’attenzione dei passanti, e quell’assalto al furgone, così scientificamente rapido ed efficace, poteva davvero rappresentare una spinta per l’Italia a raggiungere quei livelli di eccellenza anche in altri campi.

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Rappresentazione artistica dell’interrogatorio ai cinque

La sentenza del primo processo per Ciappina, Bolognini, De Maria, Gesmundo e Russo arrivò nel novembre 1958, all’una e mezzo di notte. Le televisioni, di solito non operative dopo le 22, fecero un’eccezione per dare la notizia dei verdetti. Considerando anche altre rapine di cui erano stati accusati, i sette si presero condanne che andavano dai nove anni e otto mesi a Russo ai vent’anni e otto mesi per De Maria, sentenze confermate in Cassazione.

Cesaroni era latitante in Venezuela, ma venne trovato e arrestato qualche mese dopo. Castiglioni era fuggito in Francia vestito da prete, come raccontò in una lettera pubblicata da Epoca, la rivista di Enzo Biagi. Venne arrestato nel 1960 a Parigi, dopo un controllo casuale eseguito per una vicenda con la quale non aveva niente a che fare.

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Locandina del film ispirato alla rapina

La rapina di via Osoppo ci lascia in eredità un film di Nanni Loy con Vittorio Gassman protagonista, L’audace colpo dei soliti ignoti, sequel dell’applauditissimo I soliti ignoti e ispirato al “colpo del secolo”, oltre che un senso di nostalgia, se così si può definire, guardando alla Milano violenta che sostituì la Ligera negli anni a venire: si pensi a Vallanzasca, Epaminonda, Turatello e agli anni di piombo.

Come straordinaria testimonianza dello storico avvenimento qui raccontato, c’è un video risalente al 2011 dove si vede Arnaldo Gesmundo in via Osoppo circondato da varie persone, tra cui una signora che, dopo aver scambiato qualche battuta sulla rapina avvenuta lì nel 1958 con questo strano anziano, improvvisamente gli chiede «Ma lei chi è?» e si sente rispondere «Lui è uno dei rapinatori».

La signora a quel punto ride, gli stringe calorosamente la mano per poi dire, raggiante: «Piacere!».

 

Qui dal minuto 6:22

 

 


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Hari De Miranda
Giacché questa è la verità: ho abbandonata la casa dei dotti e ne ho chiusa la porta dietro di me.