7 GIOCHI dei bambini di Milano del PASSATO

7 giochi di un tempo che potrebbe essere divertente far riscoprire ai nostri bambini

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Ai giorni nostri è la tecnologia ad essere al centro del divertimento della maggior parte dei ragazzi dell’era contemporanea che, grazie ai numerosi videogames, tendono sempre più ad isolarsi. Ma prima dell’avvento della tecnologia come ci si divertiva a Milano?

7 GIOCHI dei bambini di Milano del PASSATO

#1 La lippa (rèla)

credit: wikipedia.org

Il gioco consisteva nel far alzare da terra un legnetto lavorato per renderne le estremità appuntite con un altro legno, generalmente ricavato da manici di attrezzi da lavoro rotti per l’usura e lunghi circa 50-60 cm. Con il legno lungo si colpiva una delle estremità del legnetto in modo da farlo sollevare da terra per poi colpirlo e far si che volasse il più lontano possibile. Probabile antenato del baseball per la meccanica adottata nel colpire un oggetto in volo era il passatempo per i bambini nei cortili o per le strade non ancora congestionate dal traffico. Servivano riflessi pronti e molta tecnica. Impossibile barare. Democratico.

#2 Gioco dei tappi, chiamato anche “Giro d’Italia”

credit: zigzagmom.com

Utilizzando i tappi in metallo delle bottiglie come pedine si disegnava sull’asfalto, quasi sempre di un marciapiede, un circuito e le regola era non uscire, colpendo il proprio tappo, percorrendo tutta la pista disegnata. Per dare maggior stabilità al tappo lo si riempiva di stucco da vetraio o qualunque altro materiale che fosse adatto allo scopo. Un tappo consunto creava meno attrito e poteva più facilmente andare lontano e con la giusta esperienza nel dare il colpo più controllabile.

Il colpetto per avanzare a Milano veniva chiamato fruc mentre per aderenza allo sport principe dell’epoca il gioco stesso veniva chiamato Giro d’Italia. Ovviamente ogni partecipante amava chiamarsi come il proprio beniamino sulle due ruote. Durante la seconda guerra mondiale aggiudicarsi Coppi voleva dire essere il ras del cortile. Da maschietti.

#3 Nascondino

Credits: paoloruffini.it

Giunto fino ai giorni nostri consisteva nel nascondersi senza essere scoperti da chi “stava sotto”, ovvero contava fino a cento senza guardare in giro per poi mettersi in caccia. Il punto di partenza di colui il quale contava era “la tana” e il gioco consisteva nel non farsi trovare per poi liberarsi dal cacciatore andando a toccare la tana prima di essere scovati. Di contro il cacciatore, una volta individuato uno dei nascosti, doveva far prigioniero il concorrente andando a toccare la tana urlando il nome della persona scovata senza essere preceduto dal giocatore. L’ultimo rimasto aveva le sorti del gioco in mano dato che poteva liberare tutti nel caso riuscisse ad arrivare a tana senza essere scovato, gridando “tana libera tutti”.

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Necessarie una buona deambulazione e un minimo di abilità nel nascondersi per chi giocava e scaltrezza da parte di chi era “sotto”. Praticato in età puberale creava feeling tra giocatori di sesso opposto al punto che alcuni ricomparivano la sera con una evidente espressione soddisfatta. Si narra di persone mai più ritrovate sullo stile Hiroo Onoda ma sono leggende da cortile. Come molti giochi dell’epoca erano esclusi, ahimè, tutte le bambine e bambini che avevano problemi motori o fisici. Una durezza che a quei tempi non veniva considerata. Selettivo.

#4 Bandiera

Allineato per possibilità fisiche a nascondino e altri giochi (vedi rialzo) bandiera più degli altri richiedeva doti atletiche e di riflessi non indifferenti. Un giudice teneva tra le dita un fazzoletto e chiamava un numero corrispondente a due giocatori delle due squadre avversarie. I due chiamati correvano verso il giudice e dovevano appropriarsi del fazzoletto senza che l’avversario potesse toccare qualunque parte del suo corpo prima che tornasse indietro, pena la sconfitta e l’assegnazione del punto alla squadra avversaria. Assolutamente scorretto verso chi non poteva correre o afferrare un fazzoletto era invece corretto in termini di sesso, ovvero era praticabile alla pari (come nascondino) tra maschi e femmine. Per due acerrimi nemici era l’occasione per tirarsi qualche pappina rimanendo nell’ambito del gioco. Per atleti vendicativi.

#5 Campana

Chiamato anche Giro del mondo era un gioco di abilità ed equilibrio. Con un tracciato fatto col gesso si delimitavano una serie di quadrati di circa 30-40 cm. per lato, 7 o 10 a secondo dei casi. Si tirava un sasso in modo che andasse a finire in uno dei quadrati dopodiché lo si doveva recuperare facendo attenzione di saltare poggiando i piedi nei quadrati delimitati.

Il sasso doveva essere recuperato stando in bilico su un solo piede e si doveva poi completare l’andata del percorso e relativo ritorno sempre seguendo le regole. Generalmente preferito dalle femmine era però praticato anche dai maschietti sempre pronti a cogliere l’occasione per mettersi in mostra. Una sorta di gioco del corteggiamento. Per bambine agili e bambini pavoni.

#6 Murella

Partendo dall’altezza della spalla si appoggiava una figurina al muro e la si lasciava cadere per terra. La sfida era tra due concorrenti e il fine era quello di far cadere la propria figurina su quella dell’avversario. Si andava avanti ad oltranza quando uno faceva “murella” e a quel punto si appropriava di tutte le figurine per terra. Ovviamente era valido solo nel caso in cui si andasse a coprire una figurina appena giocata e non una delle tante eventualmente già giocate dall’avversario in precedenza.

Esisteva anche una versione con la quale bisognava far cadere una figurina neutra, ovvero messa semplicemente a disposizione del gioco, posta per terra o su un piano in posizione incerta, tipo appoggiata su due lati opposti contro un muro. Vinceva chi la faceva cadere e in questo caso i giocatori potevano essere anche tre o più, Chi riusciva nell’intento prendeva tutte le figurine precedentemente buttate senza successo.
I più spavaldi giocavano le figurine rare (che non esistevano ma era ciclicamente una leggenda inventata da qualche opinion leader dell’epoca…) o dei propri amati campioni mostrando temerarietà.
Per giocatori dai nervi saldi.

#7 Biglie, la gara con le sferette multicolori

Se ben tutti conoscono il gioco delle biglie nelle sue varie versioni dubito che le ultime generazioni abbiano avuto modo di confrontarsi con questo gioco. Alcune società di giochi in scatola produssero anche delle piste per poter giocare sul pavimento di casa o più comodamente su un tavolo. Quello che pochi sanno è che le biglie, rigorosamente in vetro dopo il primo periodo di sferette prodotte anche artigianalmente in creta che dopo poco tempo perdevano la loro sfericità, venivano anche ricavate dalle bottiglie di gazzosa. Delle palline di vetro inserite nella bottiglia andavano a chiudere ermeticamente, complice il gas sprigionato che creava compressione, la bottiglia nella parte terminale del collo.

Per aprirla bastava esercitare una pressione sufficiente a far fuoriuscire un po’ di gas ed allentare la pressione creatasi all’interno della bottiglia. Suddetta pallina era recuperata rompendo la bottiglia ed utilizzata come biglia. Champagne de la baleta era quindi la gazzosa (gassosa per i milanesi che da sempre eliminano la z nella loro parlata) ed era poi comunemente usata come frase per indicare un vino, specie bianco frizzante, che fosse di scarso valore. Tornando al gioco in sé si facevano gare sfidandosi in percorsi, bocciate e mille altri varianti. Molto famoso divenne il gioco praticato in spiaggia con sferette più grandi, in plastica, che contenevano le immagini di campioni del ciclismo e ultimamente del Motomondiale e Formula Uno, cosa inaccettabile per i puristi di questa disciplina ludica. Multicolore.

Continua la lettura con: quando i bambini dicevano Arimo!

ROBERTO BINAGHI

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Roberto Binaghi
Nato a Milano il 25 agosto 1965. Sin da bambino frequento l’azienda di famiglia (allora una tipografia, ora azienda di comunicazione e stampa) dove entrerò ufficialmente a 17 anni. Diplomato Geometra all’Istituto Cattaneo a 27 anni e dopo aver abbandonato gli studi grafici a 17, mi iscrivo a Scienze Politiche ma lascio definitivamente 2 anni dopo per dedicare il mio tempo libero alla famiglia e allo sport. Sono padre di Matteo, 21 anni, e Luca, 19 anni. Sono stato accanito lettore di quotidiani e libri storico-politici, ho frequentato gruppi politici e di imprenditori senza mai tesserarmi, per anni ho seguito la situazione politica italiana collaborando anche con L’Indipendente allora diretto da Vittorio Feltri e Pialuisa Bianco (1992-1994). Per questioni di cuore ho iniziato a seguire il mondo del basket dilettantistico ricoprendo il ruolo di dirigente della società Ebro per oltre 10 anni e della Bocconi Basket FIP dal settembre 2019 (ruolo che ricoprirò anche per la prossima stagione). Nel corso degli anni ho contribuito allo sviluppo di alcune start-up e seguito alcuni progetti di mia ideazione che hanno come obiettivo la rivalutazione del patrimonio meneghino oltre che un chiaro interesse sociale.