La SFIDA più grande quando tutto sarà finito

L'emergenza Coronavirus ci sta portando una nuova consapevolezza: su quello che eravamo e su quello che potremo diventare

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Foto: Andrea Cherchi (c)

Qualcosa di buono, in fondo, ci sarà.
Non dobbiamo attendere che tutto questo finisca per scoprirlo, anche perché, lo sappiamo, sarà lunga a finire. E quello che sarà un nuovo inizio – perché lo sarà – ci vedrà globalmente diversi. Intimamente modificati. Più ammaccati, meno sicuri, più sintomatici, meno connessi, più diffidenti. E altre cose che ancora non conosciamo. Forse.

# La paura, il terrore di non essere più

Nel mezzo però, in questo limbo lento di attese, a tratti spaventoso di silenzio urlante spezzato dalle sirene della autoambulanze, ma anche, dall’inno d’Italia cantato in qualche modo dai balconi, o dalla tromba di Raffaele Kohler che dalla sua finestra intona uno struggente “Oh mia bela Madunina”, dagli applausi scroscianti per i medici e gli infermieri che si stanno dannando per salvare il numero maggiore di persone, dalle dirette Instagram che si moltiplicano, sovrappongono, uniscono, dai sorrisi scambiati così dal niente con quel passante frettoloso con mascherina e spesa sotto casa, da catene whatsapp che fino a più o meno due settimane fa avremmo definito stucchevoli, ma adesso, quasi quasi “una candela la accendo anch’io” ci ritroviamo, per la prima volta nelle nostre vite – per tutti i nati nel dopoguerra – faccia a faccia con il noi più intimo. Il nostro essere esseri umani. E con la paura, il terrore di non essere più.

Siamo noi spogliati da ogni sovrastruttura che per la prima volta in vita nostra siamo chiamati a comportamenti obbligati, ad una restrizione importante di libertà, per tutelare la nostra salute, anzi no, di più, per salvarci la pelle. La nostra e quella degli altri. Quella del nostro Paese. E come ci vediamo nel mondo. Siamo così tanto connessi che non esiste azione del singolo che non abbia conseguenze sull’altro. Lo hanno capito anche quelli che fino a 48 ore fa sminuivano tutto con un “Ma è solo un’influenza, noi non siamo l’Europa”, contagio dopo contagio, lo stanno capendo tutti.

Anche noi a Milano, così viva, così veloce, così appassionata, così “week”, avevamo forse perso l’aderenza a noi

# Essere migliori esseri umani

E quindi nel cuore di questa pandemia incredibile e violentissima, ma non del tutto inimmaginabile, visto i tanti, ripetuti e spregiudicati modi in cui abbiamo vissuto – scherzo tragico del destino – abbiamo un’occasione, forzata, ma l’abbiamo: possiamo provare ad essere esseri umani migliori. Possiamo prepararci, rispettando rigorosamente ciò che ci è imposto, dentro le nostre case, ad un domani più consapevole. Ne abbiamo la responsabilità e anche il privilegio.

Non a caso scelgo di utilizzare questa parola, privilegio. Perché noi, fino a due settimane fa siamo stati dei privilegiati. Gli esseri umani più privilegiati della storia, nella parte più ricca, eccitante, sana, ambiziosa del mondo in cui crescere e vivere. Eravamo così sfacciatamente fortunati agli occhi di gran parte del pianeta che nemmeno ne eravamo consapevoli. Con un’intrinseca e odiosa convinzione, che i desideri fossero bisogni. Anche noi a Milano, così viva, così veloce, così appassionata, così “week”, avevamo forse perso l’aderenza a noi. È così semplice quando va tutto bene.
Ma ora che non va tutto bene, e abbiamo tempo, tanto, restando sani fino a prova di tampone contrario, interroghiamoci e ridiamo un ordine al senso delle cose e alle priorità. Ascoltiamo quella paura profonda e umana, viscerale, che ci vuole legati alla vita. Che ci fa sentire il terrore di non poter controllare nulla di ciò che ci accade. O ci è accaduto.

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Questo virus ci sta urlando in faccia che le chiacchiere stanno a zero, che la scienza è democratica e ancora di più che solo la competenza ha o può provare ad avere risposte. Non tutti possono sentenziare e argomentare su tutto. Anche questo ci sta dicendo. Facciamone tesoro quando tutto questo sarà finito. Nel frattempo rimettiamo le cose al loro posto, dentro di noi e fuori.
Possiamo essere esseri umani migliori di quanto siamo stati fino a due settimane fa. Lo dobbiamo e lo dovremo a chi non ce l’avrà fatta. A noi stessi. E alla nostra Milano che ha la scorza dura, che ha indossato guanti e mascherine e che, instancabile, non ci fa sentire soli.

ridiamo un ordine al senso delle cose e alle priorità. Ascoltiamo quella paura profonda e umana, viscerale, che ci vuole legati alla vita. Che ci fa sentire il terrore di non poter controllare nulla di ciò che ci accade. O ci è accaduto.

 

ERIKA BRENNA

 

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