Pubblichiamo articolo di Cristina Marrone per “Il Corriere” – Coronavirus, l’immunità sembra perdersi tre mesi dopo l’infezione
L’IMMUNITA’ al Coronavirus SCOMPARE IN POCHI MESI: tre importanti ripercussioni
Una donna di Pozzuoli di 84 anni che mesi fa si è ammalata di Covid-19 è risultata di nuovo positiva a Sars-Cov 2. La paziente è ricoverata al Covid-center dell’Ospedale del Mare per una grave astenia e ha scoperto con sorpresa di essere positiva al tampone. Lo era già stata lo scorso 19 aprile con sintomi non particolarmente gravi, tanto che era stata curata a casa e un mese dopo, con il doppio tampone negativo, era stata dichiarata guarita. Ora però la doccia fredda. Un caso simile era successo ad aprile a Negrar in provincia di Verona quando una donna dimessa dopo la guarigione da Covid-19 si era di nuovo riammalata con febbre e tosse.
# Ci si può riammalare?
Ci si può dunque riammalare di coronavirus? “Non conoscendo bene la risposta immunitaria potrebbe essere» sintetizza Pierangelo Clerici, presidente dell’Associazione Microbiologi Clinici italiana. I casi di una seconda infezione sono segnalati in tutto il mondo anche se non è sempre così chiaro se si tratta davvero di una nuova malattia, oppure se il virus, magari annidato nella profondità dei polmoni sfugge al rilevamento con tampone o se frammenti virali indugiano nel corpo a lungo dopo la scomparsa dei sintomi. Una ricerca italiana appena pubblicata sulla rivista BMJ Global Health ipotizza addirittura che l’immunità acquisita non solo potrebbe non essere protettiva, ma potrebbe addirittura favorire reinfezioni con sintomi più gravi.
# La potenza immunitaria diminuisce con il tempo
Un nuovo studio non ancora sottoposto a revisione paritaria condotto dal King’s College di Londra non porta buone notizie sulla durata dell’immunità che sembra invece indebolirsi drasticamente nel giro di pochi mesi. I ricercatori hanno studiato 90 ex pazienti e hanno visto che il livello di anticorpi raggiunge il suo picco dopo circa tre settimane dalla comparsa dei sintomi per poi gradualmente diminuire. Tre mesi dopo l’infezione soltanto il 17% di chi ha contratto il virus mantiene la stessa potenza di risposta immunitaria, destinata a ridursi in certi casi fino a non essere neppure più rilevabile. Un’altra ricerca pubblicata da poco su Nature va nella stessa direzione: si è visto chei livelli di anticorpi protettivi diminuiscono di oltre il 70% in convalescenza e in alcuni soggetti non sono più rilevabili.
# Che cosa sappiamo
Per ora sappiamo con qualche certezza che la maggior parte di chi si ammala di Covid-19 sviluppa anticorpi entro 19 giorni. Pare anche che questi anticorpi siano neutralizzanti, cioè in grado di respingere attacchi futuri del virus. Ancora non sappiamo quanto dura l’immunità che concedono. Se dovessimo far fede a questo studio diremmo «mesi». La speranza è quella che il SARS-CoV-2, invece, si comporti come gli omologhi coronavirus SARS e MERS che rispettivamente producono anticorpi protettivi per 2 anni e 34 mesi. Il problema ulteriore legato a questo specifico virus è che la stragrande maggioranza delle persone o non presenta sintomi o si ammala in modo blando: in questo caso non sappiamo se la risposta immunitaria indotta, di cui la presenza di anticorpi è una spia, sia davvero protettiva o se queste persone rischiano una nuova infezione. Per avere maggiori certezze sulla durata della protezione non resta che continuare gli studi epidemiologici e ripetere i test sierologici per la rilevazione di anticorpi a scadenza fissa, ad esempio ogni tre mesi per chi fosse risultato positivo alle IgG.
# Le conseguenze sul vaccino
Stando alle conclusioni degli scienziati sia dell’università londinese sia di quella cinese il virus potrebbe dunque tornare a infettare di nuovo le stesse persone, anno dopo anno, come accade nelle influenze più comuni. Un’ipotesi da confermare attraverso ulteriori test clinici, ma che comunque dovrà essere tenuta in considerazione anche per le implicazioni che potrà avere sull’efficacia probabilmente temporanea di un eventuale futuro vaccino. E anche l’immunità di gregge sembra molto lontana. “La produzione di anticorpi da parte di chi si ammala ha riguardato in effetti nei nostri casi solo un breve periodo – ha confermato la dottoressa Katie Doores, responsabile dello studio inglese -. E se l’infezione genera livelli di anticorpi così limitati nel tempo, anche la copertura di un futuro vaccino teoricamente avrà una durata limitata e una dose potrebbe non essere sufficiente“. Esistono altri quattro tipi di coronavirus in circolazione diffusa, che causano il raffreddore comune. “Una cosa che sappiamo di questi coronavirus è che le persone possono essere reinfettate abbastanza spesso, l’immunità quindi non dura molto a lungo e dai primi studi sembra che Sars Cov-2 possa rientrare in questa categoria” ha affermato il professor Stuart Neil, coautore dello studio. “Dobbiamo sperare che il vaccino agisca sulle cellule di memoria, mantenendo una risposta immunitaria permanente così da non doverlo rifare nel tempo” chiarisce Clerici. “Gli anticorpi possono anche scomparire ma se il nostro sistema immunitario memorizza il virus, quando ne viene a contatto riproduce le difese“.
# Il ruolo delle cellule T
“Gli anticorpi sono però sono solo una manifestazione della risposta immunitaria, ma il cuore della risposta adattativa, quella che viene dopo la “prima linea” di difesa sono le cellule T» aveva ricordato il professor Alberto Mantovani dopo la pubblicazione di una ricerca del Karolinska Institutet e del Karolinska University Hospital di Stoccolma (Svezia) che ha mostrato che molte persone malate di Covid-19 in modo lieve o asintomatico — e che dunque non si sono, in moltissimi casi, mai rese conto di aver contratto la malattia — hanno sviluppato la cosiddetta “immunità mediata da cellule T” al nuovo coronavirus, anche se non risultano positivi agli anticorpi nei test sierologici. Secondo i ricercatori, in altre parole, ciò significa che probabilmente più soggetti nella popolazione hanno sviluppato immunità al SARS-CoV-2 rispetto a quanto suggerito dai test anticorpali. I linfociti T sono un tipo di globuli bianchi specializzati nel riconoscimento delle cellule infette da virus e sono una parte essenziale del sistema immunitario. I risultati indicano che circa il doppio delle persone ha sviluppato l’immunità delle cellule T rispetto a quelle in cui siamo in grado di rilevare gli anticorpi.
Fonte: corriere.it
# 3 importanti ripercussioni che potrebbero derivare da questa scoperta
#1 Possibile indizio in più che il virus sia già circolato molto di più prima dell’emergenza sanitaria
Se gli anticorpi spariscono in tempi brevi, ovvero nel giro di pochi mesi, potrebbe essere un’ulteriore prova che il virus si sia diffuso molto di più anche prima dell’emergenza, quando ancora non venivano eseguiti tamponi e test come negli ultimi mesi e le terapie intensive erano vuote.
#2 Vaccino e immunità di gregge più improbabili
Viene messa in discussione anche l’immunità di gregge, perché se la copertura anticorpale durasse veramente solo alcuni mesi, con le persone passibili di nuove infezioni “di ritorno”, questo si ripercuoterebbe sull’efficacia del vaccino che sarebbe molto limitato e di dubbia utilità.
#3 Comportamento simile agli altri Coronavirus e ai virus di raffreddamento (come l’influenza)
Diversi ceppi di Coronavirus provocano solamente banali raffreddori, quindi l’infezione non viene nemmeno percepita dal “contagiato”. Pertanto è possibile che con la propagazione diffusa il virus si indebolisca con le diverse mutazioni, o si esaurisca con il tempo oppure dovremmo conviverci tenendo conto che i protocolli di cura sono stati perfezionati e le capacità dei reparti di terapie, in caso di estrema necessità, sono state di molto aumentate.
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