Il NUOVO TREND di Milano: MANGIARE MALISSIMO

E dire che eravamo la capitale della buona cucina. Che cosa sta succedendo? La testimonianza

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Cibi bruciati, molli, stracotti, con poco gusto o un cattivo sapore. Una sequenza di esperienze negative a pranzo, aperitivo e cena. E dire che eravamo la capitale della buona cucina. Che cosa sta succedendo? La testimonianza. 

Il NUOVO TREND di Milano: MANGIARE MALISSIMO

# Shish kebab: la carne bruciata

Oggi è una giornata importante nel mio piccolo: ho firmato il contratto per un nuovo libro che uscirà nel 2024 e decido di festeggiare con un pranzo fuori casa che sancisca questo risultato.

Il ristorante è semplice, uno dei tanti posti a Milano dove l’unico vero business è la pausa di mezzogiorno. Gestione egiziana, una garanzia. Il menù del giorno prevede un shish kebab che già solo a nominarlo fa venire l’acquolina in bocca. Non guardo nient’altro e attendo di essere servito, ma anche se l’attesa è minima il piatto che mi viene consegnato non è proprio invitante: tre piccoli spiedini di carne arrostita, nel vuoto di un piatto bianco decorato con una foglia d’insalata verde. Non si giudica mai dall’aspetto, del resto in luoghi così genuini l’impiattamento non può essere considerato un requisito. La carne è bruciata, il mio primo pensiero trova purtroppo conferma in un sapore di cottura esagerata. Mi guardo attorno e vedo gente mangiare la stessa cosa: c’è chi lascia il piatto a metà, chi lo rimanda indietro, chi si fa servire della focaccia per fare fondo. Era tanto che non venivo in questo locale e ora capisco anche perché.

# La pizza verace napoletana: fredda e molliccia

Suvvia, stasera sarà l’occasione per rifarsi, del resto abbiamo appuntamento con degli sconosciuti che hanno già prenotato la pizzeria, una di quelle catene che sono un trend da molti anni a questa parte, là dove la veracità della pizza napoletana si traduce in un menù pieno di prelibatezze, che sappiamo tutti quanto andare in vacanza o in trasferta di lavoro a Napoli si possa facilmente tradurre in qualche chilo in più per via della qualità e dell’abbondanza delle materie prime e dei piatti locali.

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Il locale lo conosco bene, con le sue piastrelle smaltate e la birra alla spina che per quanto sarà sempre meglio del vino sfuso di oggi a pranzo. Ci fanno aspettare, il tavolo non è pronto, anche se siamo in ritardo di un quarto d’ora. Va bene, pregusto la gioia delle papille davanti a una pizza napoletana farcita con tonno e cipolla, una delle ricette intramontabili divenute nuovi classici, eppure qualcosa non torna. Già fredda, molliccia, al primo responso del coltello. Lo sconosciuto che nel frattempo si è presentato magnifica la sua pizza calda, cotta alla perfezione. La mia si è pure sfaldata al centro, niente da fare: per digerire questa volta ci vorrà un caffè.

# Pizza al trancio: dura e bruciata

Un nuovo giorno porta interrogativi più importanti del cibo, se devi passare tre ore in call con Londra per provare a lavorare a un progetto congiunto. E quando la riunione virtuale finalmente finisce è ora di cercare un locale nella zona dell’ufficio. Scelgo di dare la mia preferenza a quel ristorante italiano che è sempre affollatissimo di operai che scelgono il menù completo. Anche oggi riempiono la sala e a me assegnano un tavolo proprio vicino ai loro discorsi sulle donne, quanto mai fuori luogo in questa stagione di violenze. Ma non importa, io sono qui per un buon piatto.

Eppure, della lista del giorno non c’è nulla che mi ispiri, abbinamenti particolari di ingredienti e nessun piatto della tradizione. Beh, ma allora tanto vale puntare ancora sul fiore all’occhiello del posto: la pizza al trancio. Ordino la mia margherita abbondante mentre il retrogusto amaro della birra alla spina mi prepara per la versione più fast food del più famoso piatto italiano. Il coltello fa fatica, però, la fetta è dura come se l’avessero cucinata il giorno prima. E anche il sapore ha un che di cancerogeno: sfilo via il manto di mozzarella e pomodoro e scopro il nero evidente della bruciatura.

# Aperitivo di periferia all’hotel cinque stelle, la cena non decolla

Non me ne è andata bene una in questi giorni, ma stasera finalmente mi rifarò, al gran galà nell’hotel cinque stelle del centro di Milano. Basta kebab, basta pizza, immagino già le prelibatezze del finger food. Ma la realtà è un po’ diversa: noccioline e patatine, come in un bar di periferia. Allora ditelo che siamo al ribasso ovunque. Isole, isole, vi bramo con l’entusiasmo di un neofita che scopra solo oggi la cucina italiana. Ecco, questa tartare di tonno con rucola potrebbe essere un buon inizio. Avrebbe potuto, dai. Ma il buffet non doveva essere morto e sepolto dai tempi del Covid? Infatti sento altri ospiti lamentarsi del fatto che i piatti sono esposti ai colpi di tosse e agli starnuti della gente.

La band suona dell’ottimo jazz, ma la cena non decolla. I primi non mi ispirano, il riso sembra più che stracotto e i tortellini senza il brodo per me che sono emiliano sono una mezza bestemmia. Magari con questo bicchiere di prosecco discreto mi farò qualche dolcino: macché, mi sono perso in chiacchiere e i divoranti non aspettano certo me. Aspetta, però, ho visto che c’è il mio cibo preferito: il radicchio rosso. Quello non mi ha mai deluso mai. Però stavolta l’aceto balsamico è davvero troppo dolce.

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LORENZO ZUCCHI

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Lorenzo Zucchi
Laureato in statistica, milanese d’adozione da 16 anni. Grande appassionato di viaggi, fotografia minimalista, architettura e urbanistica. Sognatore estremo, coltiva l’idea di una federazione mondiale di Città Stato. Obiettivo nascosto: svecchiare la società dai suoi tanti risvolti retrogradi. Citazione preferita: la vita reale è per chi non sa fare di meglio.

1 COMMENTO

  1. Certo che con il kebab sei partito proprio male. E poi hai infilato una compilation dei peggio posti di Milano da poca spesa poca resa. Che mangiare a Milano non sia sempre il massimo lo sanno anche i sassi, ma di locali che si salvano c’è n’è a bizzeffe. Magari spendendo più di 20 euro e aprendo una buona bottiglia a cena. A pranzo capisco che se non si vuole un panino bisogna accontentarsi

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