Lo “SCIPPO” di risorse fatto dal NORD al SUD: un FALSO STORICO (dati osservatorio CPI)

Arriva l'ennesima conferma, dallo studio dell'osservatorio Cpi (Conti Pubblici Italiani), di quanto in realtà al Sud la spesa pubblica "reale" sia maggiore che al Nord, pari a quasi 40 miliardi di euro in più. Ecco tutti i dati nel dettaglio

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Credits: repubblica.it - Entrate e spesa Pa

Ne avevamo già parlato qui. Ora arriva l’ennesima conferma, dallo studio dell’osservatorio Cpi (Conti Pubblici Italiani), di quanto in realtà al Sud la spesa pubblica “reale” sia maggiore che al Nord, pari a quasi 40 miliardi di euro in più. Il Mezzogiorno d’Italia è anche una della poche aree al mondo in cui il livello dei consumi è superiore al PIL. Ecco tutti i dati nel dettaglio.

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Lo “SCIPPO” di risorse fatto dal NORD al SUD: un FALSO STORICO (dati osservatorio CPI)

Pubblichiamo estratti articolo a cura di Giampaolo Galli e Giulio Gottardo   dell’osservatorio CPI per “La Repubblica” – Il falso mito dello “scippo” di risorse del Nord a danno del Sud: al Mezzogiorno la spesa pubblica pesa di più

# La dichiarazione del Presidente dello Svimez: “il Nord ha sottratto al Sud 60 miliardi all’anno“. Perché è un’affermazione sbagliata

Di recente, il presidente dell’Associazione per lo Sviluppo Industriale del Mezzogiorno (Svimez) ha dichiarato che “il Nord ha sottratto al Sud 60 miliardi all’anno”. Come è stata ottenuta questa stima? Nell’analisi della Svimez vi sono una serie di peculiarità che a nostro avviso distorcono notevolmente il risultato.

#1 Analisi basata su dati di spese entrate la cui somma per regioni è diversa dai totali nazionali Istat

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Innanzitutto, l’analisi è basata sui dati di spese ed entrate di fonte CPT, Conti Pubblici Territoriali a cura dell’Agenzia della Coesione, la cui somma per regioni è molto diversa dai totali nazionali ISTAT, un punto (di notevole gravità) che è già stato messo in evidenza dalla Banca d’Italia e dall’Ufficio Parlamentare di Bilancio.

#2 Viene considerata la spesa della cosiddetta P.A. allargata

In secondo luogo, viene considerata la spesa della cosiddetta P.A. allargata, ovvero l’insieme di società partecipate, enti locali e amministrazioni centrali. In questi 60 miliardi sono quindi incluse le spese di società come Eni, Enel, Poste Italiane e Leonardo che sono quotate in borsa e non operano in base a obiettivi di perequazione geografica, bensì di profittabilità e che devono soddisfare la domanda effettiva per i beni e servizi prodotti. È quindi pressoché inevitabile che la spesa di queste società sia maggiore nelle regioni più ricche, in cui la domanda è più elevata e le opportunità d’affari sono tipicamente maggiori. Consegue che considerare tutta la P.A. allargata è discutibile, in quanto include delle spese il cui meccanismo di allocazione è fondamentalmente il mercato e non una decisione politica.

#3 Nel calcolo sono inserite anche le pensioni

In terzo luogo, nel calcolo dei 60 miliardi “sottratti” al Mezzogiorno, secondo Svimez, ci sono anche le pensioni, che rappresentano più di 250 miliardi all’anno di spesa pubblica. Tuttavia, lo Stato non ha alcun controllo sulla loro allocazione regionale: dato che al Nord i lavoratori (provenienti sia dal Nord che dal Sud) hanno versato più contributi, i pensionati settentrionali hanno mediamente diritto a pensioni più alte, il che fa inevitabilmente lievitare la spesa pubblica pro capite nelle loro Regioni.

#4 La stima non tiene conto delle differenze nel costo della vita

Infine, la Svimez non tiene conto delle differenze molto rilevanti nel costo della vita tra regioni.

# La distribuzione regionale della spesa: + € 1.950 pro capite a favore del Sud

Credits: repubblica.it – Tavola 1 Cpi

Per fare un’analisi solida della distribuzione regionale della spesa, occorre fare riferimento all’aggregato della Pubblica Amministrazione calcolato dall’ISTAT, in base ai criteri Eurostat, la cui disaggregazione per regioni e macroaree è calcolata dalla Banca d’Italia.

# Prendendo il dato grezzo dell’intera PA sarebbero 19,5 miliardi e non 60 miliardi

Se si considera il dato grezzo dell’intera PA al netto degli interessi sul debito, con riferimento alla media del periodo 2014-2016, il Mezzogiorno appare leggermente svantaggiato nel senso che la spesa pro capite è pari 10.900 euro a fronte di 11.850 euro nel resto del paese, con un gap di 950 euro (Tavola 1, prima colonna). Va detto subito che questo dato non è statisticamente significativo perché vi sono differenze significative fra regioni a Statuto ordinario e a Statuto speciale, nonché fra regioni di diverse dimensioni all’interno delle stesse macroaree. In ogni caso, moltiplicando questo gap per la popolazione del Mezzogiorno (20,5 milioni) si ottiene la cifra di 19,5 miliardi all’anno, che è rilevante, ma molto lontana dal dato citato dalla Svimez.

# Sottratte solo le pensioni, il gap si rovescia a favore del Mezzogiorno: + 350 euro pro capite

Tuttavia, se si sottraggono le pensioni, sulla cui allocazione geografica il decisore politico non ha alcun controllo, la spesa pro capite di tutta la P.A. nelle varie regioni rimane abbastanza eterogenea, ma la “classifica” non sembra discriminare il Meridione rispetto al Centro-Nord; anzi il gap si rovescia a favore del Mezzogiorno e diventa positivo (+350 euro pro capite, Tavola 1, seconda colonna).

# Aggiustando il dato a parità di potere d’acquisto aumento il divario: + 1.950 euro pro capite rispetto al Nord, con maggiore spesa “reale” di 40 miliardi

L’altra correzione ai dati grezzi sulle uscite della P.A. muove dalla considerazione che nel Mezzogiorno i prezzi sono più bassi che al Centro-Nord; ogni euro di spesa in una regione del Sud ha quindi un potere d’acquisto – e quindi un valore reale – maggiore rispetto al resto del Paese. Per eseguire l’aggiustamento a Parità di Potere d’Acquisto (PPA) della spesa, è stata utilizzata l’unica fonte ufficiale disponibile che è rappresentata dalle soglie di povertà definite dall’ISTAT. La soglia di povertà nel Mezzogiorno è inferiore del 20 percento circa rispetto al Centro e del 24 rispetto al Nord, rispecchiando una considerevole differenza nel costo della vita. Quando si opera anche questa correzione, il gap diventa molto rilevante (+1950 euro pro capite) e decisamente favorevole al Mezzogiorno (Tavola 1, terza colonna). In valori assoluti, si tratta di una maggiore spesa “reale” nel Mezzogiorno pari a quasi 40 miliardi.

Credits: repubblica.it – Spesa pro capite

Anche per quanto riguarda le singole Regioni, la spesa non pensionistica pro capite a Parità di Potere d’Acquisto non sembra penalizzare il Mezzogiorno, ma piuttosto appare favorire le Regioni a Statuto Speciale e quelle più piccole (Figura 1).

# Il Mezzogiorno è discriminato? No, riceve un trattamento più generoso del resto dell’Italia

Occorre inoltre tenere conto delle differenza di spesa determinata da fattori diversi da quelli che sono oggetto di questa indagine, ossia la dimensione delle regioni per le notevoli economie di scala e il loro status costituzionale, regioni a Statuto Ordinario e a Statuto Speciale. Si individua quindi la differenza nella spesa pro capite tra una regione del Mezzogiorno e una del Centro-Nord a parità di popolazione e status.

Credits: repubblica.it – Spesa PA tavola 2

# Spesa pro capite minore nelle regioni grandi, maggiore in quelle a Statuto Speciale. Il Sud non risulta discrimato

La spesa pro capite è minore nelle regioni grandi (350-400 euro pro capite in meno per ogni milione di abitanti) e maggiore in quelle a Statuto Speciale (oltre 2.000 euro pro capite in più). Al netto di questi fattori, se non si escludono le pensioni dalla spesa della P.A., la differenza tra spesa pro capite nel Mezzogiorno e al Centro-Nord è significativa e negativa: i cittadini meridionali riceverebbero ciascuno circa 1.560 euro in meno (colonna (1)). Tuttavia, se si escludono le pensioni da questo calcolo, la differenza tra Sud e Centro-Nord non è più statisticamente significativa. In altre parole, il Sud non è discriminato nella distribuzione geografica della spesa pubblica nominale non pensionistica (colonna (2)).

# Togliendo le pensioni dal calcolo, a parità di potere d’acquisto, al Sud una maggiore spesa di circa 29 miliardi di euro

Infine, se si considera la spesa della P.A. a Parità di Potere d’Acquisto (PPA), ovvero se si tiene conto delle differenze nei prezzi, il Sud appare significativamente favorito, nell’ordine di quasi 1.400 euro pro capite (colonna (3)). Questo perché quasi tutti gli stipendi pagati dalla P.A. sono uguali tra regioni e rispecchia quindi il loro maggior valore reale nel Mezzogiorno. In altre parole, tenendo conto anche delle differenze nel costo della vita, il Mezzogiorno riceverebbe un trattamento più generoso del resto dell’Italia. A livello aggregato, questa maggiore spesa pro capite equivarrebbe a circa 28,6 miliardi all’anno.

# Quante risorse redistribuisce lo Stato? Al sud fino a quasi 80 miliardi tra 2002 e 2016

La combinazione tra un ampio divario in termini di PIL pro capite tra Centro-Nord e Meridione e una spesa pubblica nominale pro capite più equilibrata tra le due macroaree, fa sì che, anche includendo la spesa pensionistica e senza tenere conto delle differenze di potere d’acquisto, il peso della P.A. sul PIL regionale sia estremamente alto nel Mezzogiorno e più contenuto nel resto del Paese. Agli estremi ci sono la Lombardia, in cui la spesa pubblica è poco più del 33 percento del prodotto regionale, e la Calabria, dove questo dato raggiunge l’80 percento, una cifra davvero elevata. Poiché il peso delle entrate della P.A. sui PIL regionali è molto più omogeneo, l’esistenza di massicci trasferimenti (i cosiddetti residui fiscali) tra regioni è inevitabile (Figura 2).

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Credits: repubblica.it – Entrate e spesa Pa

La Banca d’Italia calcola che nel periodo 2002-2016, i trasferimenti pubblici a favore del Mezzogiorno sono oscillati fra il 15 e il 20% del Pil dell’area; rapportato alla media del PIL 2014-2016, queste percentuali corrispondono a cifre annuali tra 57 e 76 miliardi di euro. Le regioni che hanno sostenuto la quasi totalità di quest’onere sono la Lombardia, l’Emilia Romagna, il Lazio, il Veneto, il Piemonte e la Toscana.

# Per lo Svimez il residuo fiscale sarebbe un falso problema. In tutte le strutture federali è però prevista una qualche corrispondenza fra la capacità contributiva di una regione e la sua spesa

Da parte della Svimez (e di molti meridionalisti) si argomenta che quello dei residui fiscali è un falso problema perché il prelievo riguarda gli individui, non i territori e perché i diritti di cittadinanza non possono variare in base alla residenza. Occorre però tenere conto che in tutte le strutture federali è prevista una qualche corrispondenza fra la capacità contributiva di una regione e la sua spesa, altrimenti non si capisce che senso abbia dire che l’autonomia delle Regioni prevista dalla Costituzione vada contemperata con i livelli essenziali delle prestazioni. Bisognerebbe dire chiaramente che non si ritiene auspicabile alcuna forma di federalismo o tantomeno di autonomia differenziata.

In ogni caso, non sembra in alcun modo accettabile distribuire in ragione della popolazione anche la spesa delle imprese partecipate che operano sul mercato, nonché le pensioni che dipendono dai redditi percepiti nel passato. Quanto alla questione delle Parità di Potere d’Acquisto, si può essere dell’opinione che gli stipendi pubblici e forse anche quelli privati debbano essere gli stessi in tutto il paese, ma non si può negare che un euro al Sud ha un potere d’acquisto – e quindi un valore – maggiore che nel resto del Paese.

# Il Mezzogiorno d’Italia è una della poche aree al mondo in cui il livello dei consumi è superiore al PIL

Questo insieme di fattori fanno sì che il Mezzogiorno d’Italia sia una della poche aree al mondo in cui il livello dei consumi (privati più collettivi) è superiore al PIL: sempre con riferimento al periodo 2014-2016, tale rapporto è pari a 1,025 nel Mezzogiorno e a solo 0,746 nel resto d’Italia. Questo è vero dagli anni cinquanta del secolo scorso ed è la ragione principale per la quale la bilancia commerciale del Mezzogiorno è costantemente in deficit, per cifre anch’esse tipicamente comprese fra il 15 e il 20% del PIL.

Da notare, come mostrano gli indicatori della stessa Svimez, che la qualità dei servizi pubblici al Sud è generalmente peggiore. L’assenza di discriminazione nell’ammontare di risorse non esclude quindi una carenza di servizi, anche essenziali, che pesa negativamente sulle persone e sulle imprese di molte aree del Mezzogiorno.

Fonte articolo: La Repubblica

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