Italia è l’Albania d’Europa. Quella degli anni novanta

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Negli anni novanta ogni giorno si liberavano nuovi stati. Ma c’era un’eccezione: l’Albania, che rimaneva un paese stalinista degli anni cinquanta. Era un luogo a se stante all’interno di un mondo che stava cambiando in una maniera pazzesca.

L’Italia è l’Albania dell’Europa degli anni novanta. C’è uno stato che sta impoverendo le persone e invece le persone pensano che la soluzione sia lo stato. Si pensa al lavoro come diritto quando ormai ovunque è considerato qualcosa che si deve conquistare. Si pensa che il pericolo sia esterno, quando invece la verità è che ci siamo sempre fatti più male da soli: dal terrorismo degli anni settanta ai 1500 feriti di piazza San Carlo a Torino. Si dà la colpa all’Europa quando tutto il resto dell’Europa cresce e l’unica politica economica che unisce i nostri governi è quella di chiedere all’Europa di poterci indebitare di più.
L’unica reale riforma che siamo riusciti a fare negli ultimi vent’anni, il passaggio dal proporzionale all’uninominale, è stata cancellata con l’accordo fra tutte le forze politiche: divise in tutto tranne che nel farci ritornare nel passato. Altra mossa degna dell’Albania del novecento.

L’unica reale riforma che siamo riusciti a fare negli ultimi vent’anni, il passaggio dal proporzionale all’uninominale, è stata cancellata con l’accordo fra tutte le forze politiche: divise in tutto tranne che nel farci ritornare nel passato.

Come l’Albania di allora anche l’Italia di oggi difende i privilegi giustificandoli in nome di paure collettive. In Albania si alimentava la difesa dello status quo attraverso la paura dell’invasione. Era talmente forte l’uso della propaganda dell’attacco imminente come strumento di controllo sociale che ancora oggi in Albania, se vai fuori dalle città le vecchie strade non sono dritte. Sono tutte piene di curve, anche se si trovano in mezzo a una pianura. Perchè lo facevano? Perchè nel caso in cui fossero arrivati gli aerei a invadere il territorio, non avrebbero potuto atterrare. In nome di questa paranoia hanno strutturato un sistema che in realtà era fatto per difendere pochi privilegiati.

Qual è la via di uscita per evitare la fine della vecchia Albania?
Io credo che la cosa più utile sarebbe che si costituissero delle comunità che si sostituissero ai partiti. I partiti erano nati come strumenti di mediazione tra gli interessi dei cittadini e il governo, ma sono diventati un fattore di divisione all’interno della società. Ciò che ci tiene bloccati nel passato è proprio la logica del partito come la viviamo noi. In Germania, dove ho vissuto, non c’è il partito come lo abbiamo noi. Da noi il partito è perenne, in Germania il partito esiste in campagna elettorale: finita la campagna elettorale il governo è unico, lo stato è unico. E la stessa cosa avviene nelle altre democrazie.

noi siamo rimasti a un mondo ottocentesco, diviso in parti che fingono di lottare ma in realtà non fanno altro che preservare il problema, quello di un sistema fatto di privilegi antistorici e antisociali.

Paul Romer, teorico delle charter cities, ha dimostrato che le regole quanto più sono sbagliate, tanto più difficile diventa cambiarle. Questo accade perchè sono sbagliate le regole che producono vincitori e vinti, privilegiati e gente che si deve fare carico di quei privilegi. L’Italia è piena zeppa di queste regole sbagliate, di pensionati di serie A (retributivi) e pensionati di serie B (contributivi), di vecchi tutelati e di giovani senza garanzie, di impiegati pubblici pieni di diritti e di imprenditori pieni di doveri.
In questa Italia l’unica speranza è che vi sia un territorio che dia vita a un nuovo sistema di regole, che non nascano dalla ricerca di privilegi ma dalle esigenze di una comunità.

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In questa Italia l’unica speranza è che vi sia un territorio che dia vita a un nuovo sistema di regole, che non nascano dalla ricerca di privilegi ma dalle esigenze di una comunità.

Io credo che questa area possa nascere solo in due zone: nelle province di Trento e Bolzano, che di fatto già stanno sviluppando un sistema di regole alternativo allo stato, oppure a Milano. 
La debolezza di Milano è il fare parte di un sistema normativo che farebbe fallire qualunque straniero: un tedesco abituato a uno stato che ti aiuta, qui fallirebbe in sei mesi. La forza di Milano è che qui la comunità dipende da se stessa, non dallo stato. 
Il destino di Milano è di porsi come fortino degli interessi dei cittadini, per far nascere qualcosa da zero. Anche perchè lo stato centrale sta diventando talmente debole che qui dobbiamo essere pronti addirittura a costruire un modello di stato 4.0, che sia il più evoluto a livello internazionale. Milano ha tutto per farlo: ha intelligenze, capacità, cultura più europea che mediterranea. Le manca solo il coraggio della storia, quella che ha consentito a popoli di liberarsi da regimi che costruivano strade a zig zag.


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Andrea Zoppolato
Più che in destra e sinistra (categorie ottocentesche) credo nel rispetto della natura e nel diritto-dovere di ogni essere umano di realizzare le sue potenzialità, contribuendo a rendere migliore il mondo di cui fa parte.