#25 – I 10 LUOGHI più “SEGRETI” di MILANO

Esiste ancora una Milano insolita e segreta che custodisce gemme nascoste capaci di suscitare curiosità e meraviglia

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La Vittoria (Adolfo Wildt)

Una lunga trasformazione urbana è in corso a Milano. Eppure, e per fortuna, ancora oggi, esiste (e resiste) una Milano insolita e segreta, che custodisce gemme nascoste capaci di suscitare curiosità e meraviglia che vale la pena andare a scoprire. E fare anche così un piccolo ripasso di storia della città.

I 10 LUOGHI più “SEGRETI” di MILANO

Passeggiare per Milano può regalare sorprese ed emozioni. Milano è la città degli angolini nascosti, quelli che bisogna cercare lontano dalla confusione e dai cliché“, racconta Massimo Polidoro, giornalista, scrittore, divulgatore scientifico e segretario nazionale del CICAP, che ha deciso di mostrarli in una guida “Milano insolita e segreta”», libro-guida tra i più segnalati su Amazon. In partenza per gli Stati Uniti (da settembre, per un semestre, Polidoro sarà Visiting scholar al Dipartimento di Storia della scienza dell’Università di Harvard, per studiare con la storica della scienza Naomi Oreskes”) è stato disponibile ad accompagnarmi in un tour alla ricerca dei luoghi più insoliti e curiosi.

#1 Il borgo dei Furmaggiatt

Fonte: Club Milano Magazine
Fonte: Club Milano Magazine – Borgo dei Furmaggiatt

Una fila di case popolari in Corso San Gottardo nasconde una delle poche testimonianze rimaste di quelle casére che occupavano questa zona. Quando nel 1819 fu completato il Naviglio Pavese, infatti, cominciarono a giungere qui, a bordo delle chiatte, i formaggi prodotti dalla campagna a sud di Milano e dove, al piano terra e nelle cantine, si trovavano i depositi per la conservazione e la stagionatura dei formaggi. Questa strada di collegamento tra città e campagna, era percorsa anche dal Gamba de Legn, una locomotiva a vapore così detta forse per l’incedere ondeggiante che pareva far zoppicare la vettura. All’interno del civico numero 20 si può ammirare il bel cortile ancora intatto, con i tipici lunghi ballatoi di accesso agli alloggi in fondo ai quali, un tempo, si trovava l’unico servizio igienico del piano.

#2 Via Bagnera

Stretta Bagnera

Fra Santa Marta e Via Nerino, c’è una stradina corta e stretta. Il nome Bagnera sembra derivi dal fatto che ai tempi dei romani lì vicino si trovavano i bagni pubblici. Proprio lì, in un piccolo magazzino che usava come casa e ufficio, nella prima metà dell’800 viveva Antonio Boggia, fabbro, muratore (ma lui si autoproclamava “imprenditore edile”), dall’aspetto distinto, solitario (la moglie senza cuore lo ha abbandonato, privandolo anche dell’affetto dei suoi figliuoli) primo serial killer ufficiale della storia italiana (fu accusato di circa una decina di omicidi).

Sceglieva un conoscente, uomo o donna, con qualche disponibilità economica. Inventava poi delle lettere con le quali le vittime gli lasciavano procure o deleghe per gestirne il patrimonio o con cui incassare ogni risparmio. Nel suo magazzino, inoltre, Boggia disponeva di una cantina ed era proprio lì che seppelliva le sue vittime. L’assassino finì impiccato nel Prato della morte, che si trovava in uno slargo tra viale Bligny e viale Beatrice d’Este, anticamente adibito alle pubbliche esecuzioni. L’ultimo civile a essere giustiziato a Milano.

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#3 Palazzo Acerbi, la “casa del Diavolo”, in corso di porta Romana al 3

Casa del Diavolo

Il marchese Acerbi, un personaggio decisamente inquietante, “barba quadra et lunga“, era abituato a spostarsi con una carrozza nera trainata da 6 cavalli neri “con staffieri giovani in livrea verde dorata“. Mentre la popolazione veniva decimata dalla peste lui continuava ad organizzare feste sontuose e banchetti all’interno del suo palazzo, negli ampi saloni in marmo adornati con sculture, quadri di gran pregio, stucchi, specchi e tappezzeria di seta, senza che né lui né i suoi ospiti si ammalassero mai.

Da qui la credenza popolare che nel corpo del marchese Ludovico Acerbi si celasse in realtà il Diavolo in persona. “Acerbi in realtà morì anni prima dello scoppio dell’epidemia. Ma la leggenda continuò ad aleggiare attorno a questo personaggio inquietante“, precisa Massimo Polidoro. Nel 1848, il 20 marzo, durante le “Cinque Giornate di Milano” una palla di cannone austriaca colpì la facciata di Palazzo Acerbi e rimase conficcata nel muro della facciata come racconta la minuscola targa sotto di essa. Ancora oggi è possibile vederla alzando la testa, a destra del portone dopo la mensola del primo balconcino.

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#4 La vittoria alata nel Palazzo Berri-Meregalli

Foto redazione – Casa Berri Meregalli

Tra i palazzi liberty di Porta Venezia potreste imbattervi, nel Palazzo Berri-Meregalli situato in via Cappuccini 8, una delle architetture più eccentriche e sorprendenti dell’architetto Giulio Ulisse Arata, realizzato fra il 1911 ed il 1913, miscelando stili diversi liberty, gotico e barocco. Dopo un piano terra caratterizzato dalla severità di un bugnato in finta pietra sbozzata, intervallato da aperture decorate con barre di ferro, le superfici si fanno sempre più leggere e terminano con un capitello che funge da base di appoggio per le sculture di puttini che formano una sorta di fregio in movimento. Ma le meraviglie di questo edificio non sono solo all’esterno, nell’incredibile, imponente e misteriosa facciata.

La Vittoria Alata (Adolfo Wildt)

Chiedendo il permesso al custode è possibile oltrepassare la cancellata in ferro battuto. Nell’atrio, scoprirete una meravigliosa pavimentazione dai toni accesi, contrapposto agli sfarzosi mosaici blu e oro che decorano i soffitti, illuminati dalla vetrata sul fondo. E poi apparirà davanti a voi: la Vittoria Alata, la meravigliosa scultura dell’artista milanese Adolfo Wildt (1868 -1921) progettata e scolpita tra il 1918 e il 1919 per celebrare la fine della prima guerra mondiale. Una statua liberty in marmo, ritrae la testa di una donna con un velo e un paio di ali, con un’espressione eterea, misteriosa che richiama quasi sofferenza nel suo sguardo rivolto verso il vuoto dell’infinito. “Non ha corpo, la sua Vittoria: è fulminea come il pensiero, lanciata in avanti, solo impeto aguzzo e solo ala impennata: prora di nave e fusoliera di aeroplano“, scrive all’epoca Margherita Sarfatti, critica d’arte. Se il profilo affilato del volto sembra modellato dall’aria che fende, le ali sono dorate come un mosaico di Klimt, e il marmo è patinato come un avorio antico. Ne rimarrete ammaliati. Quando la luce colpisce i tasselli dorati accanto a quelli dai colori accesi e brillanti delle vetrate la magia è completa.

#5 ll quartiere arcobaleno di via Lincoln

Credits: @solynou IG – Via Lincoln

Sicuramente uno dei luoghi più colorati della città. Un angolo di pace e tranquillità dove passeggiare lontano dal caos cittadino. A due passi da piazza Cinque Giornate si nascondono tra i palazzi due piccole vie ancora acciottolate con la tradizionale rizzada, su cui si affacciano, inaspettate, quaranta villette tutte di colori diversi, giallo, azzurro, viola, arancione, che sfida le giornate più grigie, ancor più è suggestivo in primavera, quando sbocciano i fiori, con giardini privati dove crescono palme, magnolie e gelsomini.

La storia di questo abitato ha origine nell’Ottocento, sfruttando un’area dismessa dovuta alla demolizione della stazione di Porta Tosa, (1876): lo scalo della ferrovia per Venezia della Imperial-Regia Privilegiata Strada Ferrata Ferdinandea Lombardo-Veneta (era brutta, orribile, scrivevano i cronisti dell’epoca. La parte più graziosa era costituita dal padiglione in legno del caffè gestito dal Baldassare Gnocchi”) sostituita dalla nuovissima stazione Centrale (in Piazza Fiume oggi della Repubblica). La Società Edificatrice Abitazioni Operaie creò piccole casette a due piani dai colori pastello con giardini orti e terrazzi, un vero e proprio villaggio per gli operai che lavoravano nel quartiere. Oggi i prezzi, neanche a dirlo, sono alle stelle.

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#6 La Madonna con le corna in Sant’Eustorgio

Credits Andrea Cherchi – Madonna con le corna.jpg

Uno degli affreschi più singolari di Milano è all’interno della Basilica di Sant’Eustorgio nella Cappella Portinari. Sulla parete sud, infatti, è raffigurata una Madonna con le corna che tiene in braccio il piccolo Gesù, affrescata da Vincenzo Foppa, intitolato “Il miracolo della falsa Madonna”. La leggenda vuole che le corna siano del diavolo in persona che si nascose dietro l’icona della Madonna per disturbare San Pietro da Verona che celebrava la Messa in Sant’Eustorgio. Il Santo se ne accorse e scacciò il demonio, insieme a un mago eretico ritratto sulla destra, reggendo tra le dita un’ostia consacrata. Una volta eseguito il suo esorcismo, però, secondo la leggenda nel dipinto alla Madonna rimasero le corna di Lucifero. “In realtà, Foppa volle documentare l’avversione che all’epoca esisteva in quel luogo per il culto della Vergine“, spiega Massimo Polidoro.

#7 I solchi sulle balaustre dei Navigli

Sulle bitte in ferro e le balaustre in pietra lungo il Naviglio si possono vedere profondi solchi trasversali. Sono quelli lasciati dai cavi utilizzati per l’attracco delle chiatte che trasportavano le merci e materiali da costruzione come sabbia, laterizi, pietre da taglio, metalli, legna, carbone e prodotti alimentari. Tra il 1830 e la fine del secolo la sola Darsena di Porta Ticinese registrava una media di 8300 barche in entrata e uscita, per un movimento complessivo di 350.000 tonnellate l’anno. I traffici proseguirono nel Novecento, e continuarono fiorenti: nel 1953 la Darsena era al tredicesimo posto nella classifica dei porti nazionali per ricevimento merci. Il 30 marzo 1979 l’ultimo barcone scaricò il suo carico di sabbia.

#8 Nel labirinto di Arnaldo Pomodoro

Credits fondazione_arnaldo_pomodoro IG – Labirinto Arnaldo Pomodoro

In via Solari 35 (un tempo area delle ex officine Riva Calzoni dove si producevano turbine per centrali idroelettriche) negli spazi sotterranei che l’artista Arnaldo Pomodoro aveva trasformato in un inedito progetto culturale (che ha fatto da traino per la trasformazione di un quartiere dove oggi si concentrano attività legate al settore artistico e creativo), e oggi sede dello Show-room Fendi, è custodita un’installazione ambientale intitolata “Ingresso nel labirinto”. Realizzata dal 1995 al 2011 da Pomodoro (ha compiuto 97 anni lo scorso 23 giugno), si estende su circa 170mq ed è realizzata in bronzo, rame e fiberglass patinato. Quando nel 2019 la Fondazione Pomodoro si è trasferita nella nuova sede tra via Vigevano e il vicolo Lavandai, il suo gioiello, intrasportabile, è rimasto infatti incastonato nel sottosuolo.

Credits barbara_vellucci IG – Labirinto di Arnaldo Pomodoro

Il labirinto si compone di un insieme di vani, corridoi e porte girevoli rivestiti in fiberglass patinato, con interventi in bronzo e pavimento di lastre in rame. Il visitatore, attraversato il portale a scomparsa, viene catapultato in una dimensione di fantasia. Un luogo dove archeologia e arte contemporanea si fondono, tra geroglifici e richiami letterari all’Epopea di Gilgamesh (il primo poema epico della storia, inciso su undici tavolette d’argilla in caratteri sumerici). Al centro dell’opera c’è una sorta di mausoleo dedicato a Cagliostro, l’alchimista palermitano vissuto nel XVIII secolo, dove, su un pavimento a mosaico sottoposto al piano di calpestio, si staglia un giaciglio, luogo di morte del controverso alchimista, morto imprigionato presso la Rocca di San Leo. Visite guidate a cura della Fondazione Pomodoro.

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#9 L’oratorio di San Protaso in via Lorenteggio

Chiesetta di San Protaso

E’ situato in una aiuola spartitraffico della trafficata via Lorenteggio. «Secondo una leggenda», dice Polidoro, «qui nel 1162 entrò il Barbarossa come atto di devozione per invocare la vittoria, mentre Federico Confalonieri usò l’oratorio come covo di cospirazione carbonaro per i moti rivoluzionari contro gli austriaci.» Un tempo usato per la Messa domenicale dai contadini, che la chiamavano anche “Cà o Gesétta di Lusern” (Casa o Chiesetta delle Lucertole) sorgeva in aperta campagna. Quando a fine anni Cinquanta si pensò di abbatterla per fare spazio alla nuova Via Lorenteggio, l’opposizione degli abitanti del quartiere fu tale che si riuscì a salvarla.

All’interno sono visibili affreschi eseguiti in epoche diverse e spesso sovrapposti: il più antico è un fregio nell’abside databile intorno all’anno Mille, con scene di caccia. Sul sagrato di ciottoli della chiesa è stato sistemato il cippo stradale, rinvenuto durante scavi ottocenteschi, che un tempo indicava il territorio dell’antico “Comune di Lorenteggio e Uniti”.

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#10 Il Rifugio Antiaereo N° 87

credits: fontanedimilano.it – Rifugio sotto la fontana in Piazza Grandi

Durante la Seconda Guerra Mondiale, ogni volta che il rombo dei bombardieri si avvicinava e le sirene suonavano, i milanesi correvano a nascondersi sotto terra, nelle cantine o in uno dei 135 rifugi antiaerei pubblici sparsi per la città, per ripararsi dalle bombe. I rifugi erano segnalati esternamente con l’indicazione raffigurante una freccia e l’acronimo US ovvero uscita di soccorso oppure con una R che indicava Ricovero. Quelle frecce sopravvivono oggi, ancora ben leggibili sui muri. In piazza Grandi, proprio sotto la monumentale fontana, due grosse frecce bianche con una bordatura nera indicano la presenza del rifugio antiaereo N.56, realizzato dal comune nel 1936 in cemento armato. Uno dei pochi tuttora visitabili (grazie all’associazione Neiade) insieme al rifugio N.87 in Viale Bodio 22, capace di ospitare fino a 450 persone.

Come spesso accadeva, fu costruito riadattando le cantine dei sotterranei di una scuola elementare, in modo da dare immediata protezione agli alunni, ai maestri e ai cittadini dei dintorni. Il rifugio, che occupa 220 mq, ripulito nel 2010, conserva le scritte originali, le frecce che indicano il gabinetto o l’acqua potabile, le vie d’uscita, i divieti di fumare, ed è stato recuperato anche il pavimento originale. La scoperta del rifugio ha una storia incredibile. Fra quei ragazzi che si nascondevano lì sotto c’era anche c’era anche un bambino che da grande sarebbe diventato uno dei registi più sensibili e apprezzati del cinema italiano: Ermanno Olmi. Ne ha parlato nelle pagine del suo libro “Il ragazzo della Bovisa”, romanzo finito fra le mani di una preside saggia e ostinata, Laura Barbirato, quando a metà degli anni Novanta arrivò di fresca nomina a dirigere la scuola elementare Leopardi. Fatto sta che la neo preside legge il libro e il giorno dopo averlo ultimato, decide di controllare di persona. Scende nel seminterrato e sì, il rifugio aereo è ancora lì. Sommerso di rifiuti e polvere, ma c’è. Oggi è un museo.

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CRISTINA TIRINZONI

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Cristina Tirinzoni
Giornalista professionista di lungo corso, ho cominciato a scrivere per testate femminili (Donna Moderna, Cosmopolitan, Effe, Donnainsalute) occupandomi di psico benessere, attualità, cultura. Curiosa, ho sempre cercato di raccontare e capire il mondo e l'animo umano. Con la voglia di sapere, di approfondire, sospinta dalla brezza del dubbio, e di sdrammatizzare un po' con l' ironia. Ho pubblicato due libri di poesie Sia pure il tempo di un istante (Neos edizionii) e Come un taglio nel paesaggio (Genersi editore)