La LEGGE che ci vorrebbe per l’Italia

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Berlino 2005. La capitale tedesca è in crisi. La disoccupazione sfiora il 20%, in città ci sono poche imprese e molti artisti squattrinati. Anche il Paese sta soffrendo: la disoccupazione è all’11,7% e ci sono grossi problemi di integrazione dei Laender dell’est, con ripercussioni sul deficit dello Stato. Sono pochi gli italiani che si trasferiscono nella capitale tedesca che guarda con ammirazione l’Italia e Milano in particolare. Il Milan spadroneggia in Champions League, con due finali in tre anni, e la nazionale si avvia a vincere i mondiali a Berlino. 

Berlino 2018. Berlino è una grande capitale europea. Nel giro di pochi anni si è saputa trasformare da città più assistita della Germania nella capitale europea delle startup. Gli artisti squattrinati sono diventati startupper. Berlino pullula di aziende tecnologiche, spesso nate all’estero ma che hanno scelto di trasferirsi nella capitale tedesca. La città è un magnete che attira giovani di tutto il mondo in cerca di fortuna: soprattutto italiani che ormai rappresentano una delle più importanti comunità straniere. La disoccupazione è crollata: ora è al 3,8%. Ma già nel 2007 era passata da quasi il 12% al 7,1%. Un paio d’anni e la Germania è ripartita. Il segreto è una legge poco popolare ma che si è innestata come una turbina nell’economia tedesca. Il suo nome è quasi impronunciabile.

In POCO PIU’ DI UN ANNO IL TASSO DI DISOCCUPAZIONE E’ SCESO DI 5 PUNTI. Il segreto è una legge poco popolare ma che si è innestata come una turbina nell’economia tedesca

La legge che ci vorrebbe per rilanciare l’economia in Italia

Torniamo alla Germania del 2005. Un Paese indebitato, scoraggiato, con una pesante frizione tra ovest e un’est ammaliato da revanscismo e nostalgie naziste. A capo del Paese una metropoli pesantemente indebitata, reduce di una lunga tradizione di assistenzialismo.
Una situazione difficile che attira anche gli strali dagli altri paesi europei per i frequenti sforamenti nel bilancio. Anche le banche sono in crisi mentre gli stati della vecchia Germania Est rivendicano aiuti per la grande distanza che li separa dall’ovest.

In una situazione del genere è forte la tentazione di assecondare la pancia della Germania più disperata, aumentando sussidi e redistribuzione dagli stati più ricchi a quelli più poveri. Invece quello che fanno prima Schroeder (governo di sinistra) e poi la Merkel (grosse Koalition) va nella direzione opposta.
Con una politica coraggiosa tra consenso e bene del paese, decidono di puntare la rotta verso il secondo.
La strategia dei governi di quegli anni si può concentrare in due linee di azione molto difficili da fare accettare in una democrazia:
1. Responsabilizzare gli stati, rinunciando a una redistribuzione assistenzialista
2. Dare incentivi a chi crea lavoro, invece che aiutare chi è in difficoltà.

1. Responsabilizzare gli stati, rinunciando a una redistribuzione assistenzialista

A est paesi poveri, reduci di un’economia socialista, più arretrata. A ovest paesi ricchi che, a dire degli Ossie- gli abitanti dell’est, si erano letteralmente divorati le poche industrie orientali. In una situazione del genere sembrerebbe logico che i paesi dell’ovest debbano sovvenzionare quelli dell’est. Invece quello che sceglie il governo tedesco è l’opposto. Sordo ai richiami di aiuto dei paesi in difficoltà, decide che l’unico modo per farli uscire dal pantano è di lasciarli nel pantano. Anche perchè l’esempio più citato è proprio quello italiano, con il sud che dopo decenni di assistenzialismo è rimasto sempre alla stessa distanza dalle regioni del nord per una politica che ha finito per impoverire tutto il Paese. Cari paesi dell’est, vi lascio le vostre risorse ma ce la dovete farcela da soli, questa la politica del governo Schroeder che viene proseguita dai governi guidati da Angela Merkel. Il risultato è che i paesi dell’est, con in testa Berlino, superano la crisi facendo leva proprio sui loro punti deboli, come il basso livello degli affitti e il fatto di poter disporre di manodopera in eccesso e a buon prezzo.
Ma responsabilizzare gli stati in difficoltà non è stata la sola scelta vincente. Quella determinante per il nuovo boom economico della Germania è una legge dal nome impronunciabile.

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Sordo ai richiami di aiuto dei paesi in difficoltà, IL GOVERNO TEDESCO decide che l’unico modo per farli uscire dal pantano è di lasciarli nel pantano.

2. Dare incentivi a chi crea lavoro, invece che aiutare chi è in difficoltà: la Gründungszuschuss

La Gründungszuschuss è una disposizione che si inserisce in una vasta riforma del mercato del lavoro (Hartz IV). La sua filosofia è semplice quanto inusuale nel mondo della politica. Il punto di partenza è che in un paese con alto debito e bassa occupazione, la priorità è avere più produzione di ricchezza e di lavoro, per poi operare a una redistribuzione. In un’economia di mercato l’unica strada per avere una crescita sostenibile è di avere più aziende. Sono le aziende a creare ricchezza e lavoro, tutto il resto è solo una partita di giro. Questo lo sanno gli economisti tedeschi e questa è la scelta del governo tedesco.
La scelta è quella di incentivare i disoccupati non a trovare lavoro ma a creare lavoro. In media una start up nei primi due anni è incapace di generare un reddito per i fondatori: il governo decide allora di rendere equivalenti disoccupati e fondatori di startup. Se un disoccupato decide di mettersi in proprio, lo stato gli riconosce per i primi sei mesi lo stesso sussidio di disoccupazione con in più 300 euro per i contributi sociali. Per i successivi 9 mesi l’assegno viene ridotto per poi cancellarsi dopo due anni. Nel caso in cui lo startupper dovesse fallire potrà rientrare nel sussidio di disoccupazione abituale, nel caso in cui abbia successo, potrà camminare sulle sue gambe.
Ma c’è di più. Per superare un altro limite delle start up, ossia la difficoltà di attrarre i migliori manager, viene esteso il sussidio anche a chi lascia il proprio lavoro per unirsi alla startup, con lo stato che può arrivare a coprire per i primi sei mesi lo stesso stipendio che il manager riceveva prima di lasciare l’azienda precedente.

La scelta è quella di incentivare i disoccupati non a trovare lavoro ma a creare lavoro. Se un disoccupato decide di mettersi in proprio, lo stato gli riconosce per i primi sei mesi lo stesso sussidio di disoccupazione, con in più 300 euro per i contributi sociali.

Il risultato della Gründungszuschuss è clamoroso. In poco più di un anno dalla sua introduzione (2006), la disoccupazione cala dall’11,7% al 7,1% per poi giungere al 3%. Non basta. Il 70% delle startup fondate da disoccupati riesce a superare i due anni di avviamento, arrivando così a generare un circolo virtuoso di creazione di occupazione, produzione di ricchezza e, quindi, versamento di tasse e contributi per lo Stato. Questo porta il bilancio federale al pareggio con il debito pubblico che progressivamente si riduce grazie al boom dell’economia.

Il risultato della Gründungszuschuss è clamoroso. In poco più di un anno dalla sua introduzione (2006), la disoccupazione cala dall’11,7% al 7,1% per poi giungere al 3%

Proviamo in breve a confrontare gli effetti verosimili della Gründungszuschuss e del reddito di cittadinanza.
Reddito di cittadinanza significa finanziare con i soldi dei contribuenti una persona senza lavoro finchè non riesca a trovare un lavoro. Questo si traduce in un incentivo alla disoccupazione, senza alcun effetto sulla creazione di posti di lavoro. Quindi: più debito (per la maggiore spesa dello stato), nessun impatto sull’occupazione né sulla produzione di ricchezza (per l’assenza di incentivi ad aprire una nuova azienda).
Il Gründungszuschuss, a parità di risorse impiegate, mira alla produzione di lavoro e di ricchezza, finanziando i disoccupati a mettersi in proprio. Nell’ipotesi di fallimento il disoccupato tornerà ad essere tale, nell’ipotesi di successo non avrà trovato un posto ma avrà creato un nuovo posto di lavoro, forse anche più di uno, e sarà diventato capace di produrre reddito con un impatto positivo su PIL e debito.

ANDREA ZOPPOLATO

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Andrea Zoppolato
Più che in destra e sinistra (categorie ottocentesche) credo nel rispetto della natura e nel diritto-dovere di ogni essere umano di realizzare le sue potenzialità, contribuendo a rendere migliore il mondo di cui fa parte.