Monica della Giustina scrive di Carla de Bernardi: “Carla è una fotografa prestata alla scrittura o molto più probabilmente scrittrice lo è sempre stata ma ha sempre preferito raccontare le sue storie attraverso le immagini. Ci sono interi romanzi dietro alle sue foto delle camere d’albergo scattate in giro per il mondo. Qualche anno fa è entrata per caso al Monumentale di Milano e si potrebbe dire che non ne è più uscita. Non perché sia rimasta tra i suoi “inquilini”, ma perché si è innamorata di questo luogo unico e speciale e lo ha “adottato”. Ha fondato Gli Amici del Monumentale per tutelare, conservare e valorizzarne gli aspetti artistici e storici. Ha scritto una Guida per visitarlo e poi si è appassionata alle storie dei defunti e degli artisti e le ha raccontate nel libro “Non ti scordar di me-Guida per curiosi e ficcanaso al Monumentale di Milano” Sempre con Mursia suo unico editore da sempre perché Carla… è una persona fedele!”
E noi chiediamo a Carla: perché hai scelto di scrivere un libro sul Cimitero di Milano?
Per me che ho scritto altri libri è stato naturale. Ho cominciato a prendere appunti mentre camminavo e a fare fotografie (anche molte di quelle erano appunti) poi mi sono accorta che valeva la pena di condividere questi tesori e così è nato il libro.
Ti sogni mai gli ospiti delle tombe che visiti?
Più che sognarle quando dormo, le sogno quando mi sono di fronte. Chiudo gli occhi e si animano…per esempio il corteo funebre di Giuditta Sommaruga, dieci donne che portano un feretro pregando, lo vedo staccarsi dal fondo in mosaico azzurro che altro non è che il cielo e vagare nella notte sopra i viali per tornare al loro posto all’alba, poco prima che il Monumentale apra. E così vedo angeli librarsi, uomini in abiti borghesi conversare, dame eleganti passeggiare chiacchierando, bambini tornare tra le braccia della mamma per un breve istante. Poi apro gli occhi e tutto è immobile, silenzioso, magnifico.
Cosa non si può assolutamente perdere nella visita al Cimitero Monumentale, che è poi un immenso Museo a cielo aperto?
Ci sono cento monumenti da non perdere, anzi 1.000 anzi più di 15.000 e 1.500 edicole (tempietti o cappelle) ma indico le più note che ovviamente sono anche tra le più belle e importanti:
#01. Edicola Campari e Edicola Bernocchi di Giannino Castiglioni
#02 Edicola Besenzanica e Monumento Isabella Casati di Enrico Butti
#03 Edicola Toscanini e Monumento Erminia Cairati Vogt di Leonardo Bistolfi
#04 Edicola Korner
Con il gruppo in bronzo in bilico tra arte antica e un’arte ancora da venire, di Adolfo Wildt.
#05 La Nike di Lucio Fontana
Una ceramica smaltata azzurra che non sfigurerebbe in nessun museo del mondo
#06 il Monumento Andrico di Enrico Pancera
Una Deposizione con meravigliosi volti dai tratti orientali
# 07 il monumento di Giovanni Vittadini e Amalia Beretta di Giovanni Giudici
“Il mio preferito in assoluto: lo struggente addio di una anziana, dolente moglie all’adorato marito sul letto di morte…strappa il cuore!”
Ci fermiamo a 7 in quanto potrete continuare voi questo elenco dopo aver visitato il Monumentale grazie alle passeggiate che Carla organizza al suo interno, raccontando di aspetti artistici, storie, aneddoti e curiosità sui defunti e sugli artisti, portando così il visitatore vicino alle loro anime.
In questi mesi MilanoCittàStato.it ha raccontato le migliori proposte che ci possono cambiare la vita segnalate dal mondo.
Anche noi abbiamo cercato di contribuire al progresso delle idee, proponendo una serie di novità che vorremmo per il domani di Milano Città Stato. Ecco le nostre 8 proposte da scegliere.
#1. SCUOLA: video lezioni nelle università e nelle scuole per imparare dai grandi del mondo
#2. URBANISTICA: produrre energia pulita dalle strade
#3. TEMPO LIBERO: restare in forma producendo energia
#4. LAVORO: coworking all’aperto per vivere meglio il lavoro
#5. TRASPORTI: la circonvallazione sarà molto più veloce
#6. MOBILITA’: strade a scorrimento veloce sotto la città, per muoversi meglio e per ridurre il traffico di superficie.
La Galleria di Milano dedicata a Vittorio Emanuele II e ai Milanesi è tra le opere che hanno segnato la storia d’Italia nel XIX secolo. Ci passiamo davanti tutti i giorni, molti sono gli aneddoti e le storie conosciuti, noi abbiamo tentato di stupirvi con queste 6.
#1. Molto simile a quella di Napoli: chi ha copiato chi?
Prendete una foto di Milano nella mano sinistra e una di Napoli nella mano destra. Potreste confonderle. La Galleria di Milano come quella di Napoli si caratterizza per un ingresso ad arco trionfale, tipico retaggio di chi ha una storia romana di grande pregio e che vuole richiamare a gran voce.
Entrambe sono intitolate a un re: Vittorio Emanuele e Umberto. Nella genealogia dei Savoia sono stati prima padre e poi figlio l’uno dell’altro.
Entrambe hanno 4 donne molto ‘mondane’, nel senso che le donne rappresentate nelle lunette ai quattro bracci rappresentano i 4 continenti.
Entrambe ce l’hanno grande uguale, la cupola: è un ottagono di 36 metri che sorregge una mastodontica struttura di ferro e vetro, secondo la moda che andava a fine XIX secolo.
Entrambe quelle decorazioni apparentemente incomprensibili sono un omaggio alla Scienza, all’Industria, all’Agricoltura e all’Arte.
Sia a Milano che a Napoli il loro passaggio converge sulle piazze prestigiose: San Carlo e La Scala.
Sono ambedue un simbolo del Natale: sotto la cupola troneggia grande albero sul quale è regola appendere il proprio bigliettino dei desideri.
Ma se sono quasi uguali, chi ha copiato chi? Vinciamo noi: quella di Milano è stata inaugurata nel 1867, quella di Napoli è del 1890.
#2. La galleria d’Italia
Appena sotto la cupola sono effigiati gli stemmi dei 100 comuni d’Italia ai tempi della costruzione – 1865-1877
#3. La galleria prima di tutti
Sul pavimento si trovano gli stemmi delle quattro capitali del Regno Italico: Milano, Torino, Firenze e Roma.
#4. Le palle non sono ‘palle’
Quelle del toro, da schiacciare. E’ un rito di turisti e milanesi. Si dice che questa tradizione sia nata perché il toro è simbolo di Torino e i Milanesi e Torinesi non sono sempre andati d’accordo. Si dice che porti fortuna, ma che effetto abbia di preciso è altrettanto misterioso.
C’è chi dice che si debbano compiere 3 giri il giorno di Natale, col tacco e in senso antiorario.
C’è chi dice che basti un solo giro di tacco l’ultimo dell’anno (non importa la direzione).
Per qualcun altro sono tre i giri da fare il giorno del proprio compleanno. La tradizione più consolidata è di fare i tre giri una volta sola, in qualunque giorno dell’anno. Meglio se appena arrivati in città.
#5. Le città in una cupola
Che si entri da via Silvio Pellico o si passi dalla dirimpettaia Via Ugo Foscolo, noterete degli affreschi con scene storiche. Ritraggono le città principali d’Italia nell’atto di seguire le direzioni dei quattro bracci della galleria per convergere su Milano. Io sono riuscito a identificare: Venezia Crema, Mantova, Cremona, Firenze, Bergamo. Vi invito a scoprire quelle mancanti.
#6. Prima Milano, poi tutte le altre.
Quando Giuseppe Mengoni, l’architetto, la progettò, era sua intenzione creare un simbolo tangibile della unicità di Milano per l’Italia ed un simbolo di innovazione nel mondo, in anticipo persino su città come Londra, Parigi o Bruxelles.
Dopo di lei e come lei ne costruirono altre. In Italia la Galleria Giuseppe Mazzini a Genova, la Galleria Principe di Napoli a Napoli, la Galleria San Federico e la Galleria Subalpina a Torino.
Addio giorni di pioggia pieni di malinconia: negli Stati Uniti, una vernice simpatica che si attiva con l’acqua fa fiorire i grigi lastricati di cemento delle strade e li trasforma in poemi d’amore.
Accade a Boston, dove i marciapiedi sono ricoperti di poesie segrete che si svelano solo quando bagnati dalla pioggia.
Viene chiama “Raining Poetry”, cioè poesia della pioggia, ed è il felice esito di una collaborazione tra il pubblico, in questo caso rappresentato dal Municipio, e il privato, la Non profit mass poetry, che ha letteralmente invaso le strade della città.
Le poesie sono scritte con una vernice biodegradabile che rende leggibile ogni poesia dalle sei alle otto settimane.
In questo modo, la città di E. Cummings e Sylvia Plath svela l’intero suo patrimonio culturale on the roadrendendolo fruibile a tutti e sorprendendo il passante ad ogni angolo.
Il PR è una figura mitologica mezzo uomo e mezzo luogo comune.
L’acronimo significa pubbliche relazione e la definizione riassume in modo didascalico come questo individuo occupa il 90% della sua giornata.
Il PR non è buono o cattivo, come ha egregiamente spiegato Wittgenstein queste categorie assolute dell’etica sono prive di significato se non vengono messe in relazione con qualcosa.
Per questo oggi descriveremo alcuni tipi di PR di Milano cercando di capire perché sono insopportabili.
4 PR di Milano insopportabili
#1 Il PR della discoteca.
Nella sua manifestazione più classica il PR si occupa di riempire i tavoli della discoteca. E poi di riempire chi riempie il tavolo di bottiglie. È insopportabile perché conquista la fiducia di chi detiene il potere decisionale nella tua compagnia di amici e ti obbliga collateralmente a partecipare a serate che detesti. La sua nemesi è il divano di casa.
#2 Il digital PR.
Il digital PR si muove nell’ombra del suo laptop e promuove strategie per far conoscere qualcosa attraverso internet. È insopportabile perché prima di lui internet era una piazza dove camminare in totale tranquillità. Oggi è una piazza il giorno di mercato. La sua nemesi è il ragazzino di 10 anni che senza aver studiato marketing digitale riesce a ottenere risultati migliori dei suoi.
#3 Il PR donna.
Il PR di solito è uomo, ma la tanto sospirata parità ha creato una nuova categoria di promotori donna. Le mansioni del PR donna restano immutate ma lei si può avvalere di armi di distruzione di massa che l’uomo non possiede. Per dipanare ogni dubbio stiamo parlando del broncino: “dai vieni nel mio locale, altrimenti ci resto male”. La sua nemesi è la fidanzata del maschio che cerca di intortare.
#4 Il PR di se stesso.
Non può mancare in questa breve rassegna il PR di se stesso. Una versione post moderna dei proletari che possedevano solo i figli, lui non ha nemmeno quelli quindi si dedica esclusivamente a sé. Se lo fa bene riuscirà ad arrivare a quel momento della carriera lavorativa in cui il suo capo si accorge di aver assunto un giovane il cui unico talento è vendersi. La sua nemesi è la vita.
Una delle leggi sacrosante che sentiamo spesso urlare dalle mamme milanesi ai loro bambini è: “Non alzare le mani, non dare i calci“. La prima regole delle educatrici di una scuola orientale è: “Congiungi le mani al petto in segno di saluto, guarda negli occhi e abbraccia il tuo vicino“.
Nella forma mentis tipica della cultura d’Oriente ci sono l’accettazione e l’uso esclusivo del senso positivo delle parole. Usare parole definite, nette, chiare, dicono, consente all’universo di ascoltarci ed esaudire le richieste che quelle parole compongono.
Secondo la psicologia, hanno ragione loro: si dice infatti che ogi volta che impartiamo un ordine inserendo la parola “non”, sortisca l’effetto contrario, visto che il cervello trasforma tutto in positivo.
“Comincia la tua mattinata abbracciando ed accogliendo il tuo vicino” questo è il messaggio che si trasmette in queste scuole che potrebbe ispirare anche le nostre.
Vi sembrano cartoline da una vacanza dai fiordi norvegesi? Non è dunque un caso se Bastøy è considerato da tutti il carcere più bello del mondo: non ha sbarre né celle ma cottage in cui i detenuti vivono liberi.
All’interno si trovano 115 detenuti ed il loro numero è mantenuto costante (in tutta la Norvegia ce ne sono 3.872). Detenuti che possono farci invidia a vedere immagini come questa di Mauro di Lauro/Getty Images [foto sotto]
A chi avesse impresse le immagini delle carceri sovraffollate italiane, la Norvegia risponde con quello che per molti è “il carcere di lusso”, la prigione in cui tutti vorrebbero entrare.
E Bastøy è un autentico modello mondiale per tutta queste sue caratteristiche.
Innanzitutto, questa colonia è di minima sicurezza. Lo è dal 1988.
Si trova sulla Bastøy isola, in mezzo al fiordo di Oslo.
I 115 detenuti vivono in piccoli cottage dotati di letto, armadio, Tv, computer e toilette costantemente pulite. Ma attenzione, la vita dei detenuti non consiste nel trascorrere il tempo su una branda all’aria aperta, anzi. Tutti lavorano nell’azienda della prigione e con quello che guadagnano, 8 euro al giorno, possono pure concedersi qualche sfizio, ad esempio acquistarsi una bicicletta come quelle su cui sfrecciano nelle ore libere che sono dopo le 8 ore di lavoro standard ed entro le 23 e dopo le 7 del mattino. In quel lasso di tempo hanno infatti l’obbligo di dimora nel loro cottage.
Ma prendono anche il sole, giocano a tennis, vanno a pesca, fanno passeggiate a cavallo, insomma, hanno il momento per i loro hobby.
“La prigione assicura inoltre 24 euro extra ogni settimana da spendere per colazione, pranzo e magari una scheda telefonica da usare nelle cabine che hanno a disposizione a orari predefiniti. Sull’isola lavorano 69 persone tra guardie e personale. Solo cinque di loro si fermano la notte e non sono armati. In fondo, perché scappare da qui? D’estate capita di scorgere i detenuti in acqua. «Uno di loro faceva il giro completo dell’isola a nuoto – ci racconta Tom -, nuotava e basta». In fondo, da qui chi vorrebbe fuggire?”, prosegue il reportage. E a ragione.
A chi pensa poi che coccole e vizi producano l’effetto contrario, rispondo i dati forniti dalla struttura detentiva: dei suoi ex ospiti i casi di recidiva sono stati del 16 per cento contro una media europea del 75 per cento. Anche perchè il segreto consiste nell’alternare lavoro e piacere, molto diverso rispetto ad altri modelli che si basano si basano su una detenzione priva di lavoro, che finisce con il gravare solo sul contribuente e di mantenere il carcerato in uno stato di incapacità. Incapacità che lo porta, una volta tornato in libertà, a tornare a delinquere.
Certamente non parliamo di serial killer o latitanti mafiosi: i detenuti che arrivano sull’isola di Bastøy hanno già scontato la maggior parte della pena altrove.
Ma Bastøy non è un luogo di vacanza: possono rimanere al massimo cinque anni e devono dimostrare un forte desiderio di migliorarsi. Indipendentemente dal reato commesso, ognuno di loro deve scrivere una lettera motivazionale per entrare e deve dimenticare il proprio passato.
“La struttura costa allo Stato circa 8 milioni di euro l’anno, su un investimento totale nelle carceri di circa due miliardi. L’Italia ne spende tre, ma di detenuti ne ha 53mila” spiega Il Corriere.it nel bel reportage che racconta anche l’impegno sostenibile di questa struttura dove quasi tutto è di legno e viene riutilizzato.
Insomma, Bastøy è il luogo in cui lavorare serenamente sul presente per gettare le basi di un domani migliore, per se stesso e per gli altri.
Nel cuore di Milano esiste un luogo magico davanti al quale saremo passati mille volte, ma di cui molti non si sono accorti perché è un giardino fatato popolato di piante, odori, fiori, frutti, troppo silenzioso e resiliente perché si lasci sedurre dal traffico e dal rumore: è il Vivaio Riva. Cinque anni è stato salvato dalla chiusura, ma non era che l’inizio di una sfida ancora più ardua. E’ infatti in scadenza il contratto di gestione che il Comune ha dato alle sorelle Riva e alla amica di una vita, la Signora Gina. Il prossimo anno, Milano potrebbe perdere uno dei suoi gioielli più affascinanti.
LA STORIA DEL VIVAIO RIVA
Il Vivaio Riva si trova a due passi dalle Colonne di San Lorenzo, accanto al parco archeologico romano ticinese, quello confinante con via Conca del Naviglio e da cui si accede da via De Amicis.
Riva è il cognome della famiglia di Angela e Luisa, le sorelle proprietarie. Qui sono praticamente nate, hanno vissuto e Angela scomparsa nel 2012 ha lasciato un vuoto incolmabile.
Ora Luisa e Gina, amica di lunga data di Angela, si stanno impegnando perché questo luogo unico di Milano resti il vivaio dei milanesi.
Un terreno fertile per coltivare, ieri, una zona appetibile per il mercato immobiliare, oggi.
IL CONTRATTO E LA FINE DI UN’EPOCA
Perché il Vivaio Riva piace a molti.
Piace agli amanti delle piante, piace ai bambini, piace ai molti che entrano, passeggiano e si prendono una pausa dal trambusto cittadino, in un luogo aperto a tutti anche a chi non vuole acquistare nulla. Piace a chi desidera che Milano mantenga i tesori nascosti della sua tradizione.
Piace anche ad Associazione Vivaio, che porta questo nome perché, spiega il presidente Andrea Zoppolato: “cinque anni fa, noi di Vivaio ci siamo riuniti qui per la prima volta. Cercavamo un posto che non fosse né troppo business né troppo informale. Ci siamo imbattuti nel Vivaio Riva e ce ne siamo innamorati, decidendo di prendere il nome di Vivaio per sottolineare l’idea di coltivare idee per la città”.
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Piace ai cittadini, è un luogo verde, gestito da una vita dalla famiglia Riva che però è destinato a finire: sarà in parte luogo edificabile e in parte unito ai giardini vicini, perdendo così la sua specificità.
Cinque anni fa, su iniziativa dell’associazione Vivaio un’azione bipartisan capitanata da Alessandro Morelli, Lega Nord, e altri politici dell’area politica della giunta attuale sono riusciti a far prolungare la concessione per le sorelle Riva di altri cinque anni.
Ora che quel quinquennio sta per scadere, la concessione non è più rinnovabile e nel 2017, Milano potrebbe perdere il suo Vivaio e il suo giardino fatato nel centro della città.
SALVIAMO IL VIVAIO RIVA: LA CHIAMATA ALLE ROSE
L’associazione Vivaio ha dunque chiamato a rinforzo la sua rete di vivaisti, tra ‘innaffiatori’ e ‘pacciamotori’ per sollevare la questione a furor di popolo.
L’appuntamento per tutti, anche per chi desidera conoscere questo angolo di paradiso, è al Vivaio Riva di via Arena (di fronte al numero 7) mercoledì 25 maggio 2016, ore 18. “So che sarà molto difficile salvare di nuovo un vivaio che si trova in una zona che fa gola ai costruttori. Così come so che se lo si toglie alle signore che lo hanno reso una meraviglia, questo luogo è destinato a perdere tutto il suo fascino, diventando simile all’anonimo parchetto che c’è a fianco”, prosegue Zoppolato.
L’evento è gratuito, aperto a tutta la cittadinanza, e vedrà la partecipazione attiva di Alessandro Morelli, Lega Nord, e Filippo Barberis, PD, candidati di parti avverse alle prossime amministrative ma uniti nello spirito di Vivaio.
“Per Gina, Luisa e la cara e indimenticabile Angela Riva che ci hanno accolto con grande affetto è il minimo che possiamo fare”, conclude Zoppolato.
Nuova puntata della storia della Torre Galfa, il grattacielo di Milano noto per gli anni di abbandono e per i tentativi di riqualificazione andati a vuoto.
Finalmente pare che i lavori siano cominciati, anche se un po’ in ritardo rispetto al previsto. La prossima destinazione d’uso della Torre sarà quella di business hotel di lusso sotto l’etichetta del brand Innside, parte del gruppo Meliá Hotels International. Li abbiamo contattati per capire qualcosa di più del futuro di un palazzo che è diventato un’icona per la città, resa nota con l’occupazione di Macao di qualche anno fa.
L’INTERVISTA
IL GRUPPO MELIA’ HOTELS. E’ una compagnia quotata in borsa con circa 38mila dipendenti e 352 alberghi nel mondo, ma nei prossimi tre anni punta ad arrivare a 420. Di essi, 7 si trovano in Italia con l’obiettivo di aggiungerne a breve altri 4.
Palmiro Noschese, – Managing Director Italy at Melia Hotels International
3 si trovano a Milano, e tutti sono parte del segmento 5 stelle. “Abbiamo anche due Trophy Hotel, a Roma e a Milano, che ci rappresentano nel mondo come prodotto top di ospitalità di lusso”, ci racconta l’Area Director Italy di Meliá Hotels International e General Manager del Meliá Milano, Palmiro Noschese, che prosegue: “Quello a cui miriamo è che anche il futuro Innside Melià dentro Torre Galfa diventi un Trophy Hotel a livello europeo”.
Dottor Noschese, quale sarà il futuro della Torre Galfa? Torre Galfa segue le aperture di Innside Hotel in Germania, in Inghilterra e a New York, appena un mese fa. Il prossimo Innside hotel dovrà essere dentro Torre Galfa a Milano e sarà una punta di diamante.
Che ruolo ha Melià nella ristrutturazione di Torre Galfa?
Due anni fa Melià ha firmato un contratto con la proprietaria Unipol con l’intento di supportare il progetto per la parte dell’hospitality. Il contratto da gestore, che durerà per i prossimi 20 anni, sarà per sviluppare i primi 13 piani della Torre nella forma di un albergo dello status di uno dei band di Melià, ovvero Innside. Come tale l’albergo sarà tecnologico, di alto lifestyle, e sarà dotato di tutto quello che è per il mercato corporate, in grado di offrire al cliente solo i migliori servizi business. Per questo abbiamo pensato ad una struttura da 146 camere, sale riunioni, una palestra, un garage per i nostri ospiti e un concept dibar ristorante al piano lobby integrato nell’albergo.
Insomma, Melià ha in serbo il desiderio di mettere tutto il proprio know-how al servizio di un albergo eccellente e che potrà dire la sua nella storia di Milano.
Avete altre esperienze a Milano?
Siamo forti dei successi da 15 anni nel quartiere di San Siro e da un anno in quello di Piazza della Repubblica. Questo terzo brand ci servirà a coprire tutta la clientela.
Perché investire proprio su Torre Galfa?
Dapprima, era l’intuizione che all’interno qui ci potesse essere un albergo. Quindi, perché la Torre Galfa rappresenta per la città di Milano qualcosa di importante, sebbene negli ultimi 30 anni sia stata abbandondata per tutta una serie di problemi che non stiamo qui a ripetere.
Noi abbiamo stipulato un contratto con Unipol e li abbiamo convinti per la parte alberghiera, ma ci sono altri piani.
Che cosa conterranno gli altri piani di Torre Galfa?
Sopra i piani del nostro albergo è previsto un sistema di service apartment, ovvero ci saranno appartamenti in affitto all inclusive e dotati di tutti i servizi.
Al 29° e 30° piano invece l’idea è di fare un grande lounge-bar-ristorante aperto alla città.
Come sarà la differenza di gestione?
Noi gestiamo i primi 13 piani della torre, per la parte alberghiera, ad Unipol spettano gli appartamenti e l’ultimo piano.
A quanto ammontano i termini dell’investimento?
Torre Galfa è per noi un’ultima parte di Milano da ristrutturare nella quale crediamo molto: rappresenta il completamento della riqualificazione dell’area di Porta Nuova, ex Varesine, ed è una location che sarà importantissima nei prossimi due anni.
In virtù di questo sono stati stanziati da Unipol 100 milioni di euro per il progetto globale.
I tempi del cantiere?
I lavori sono partiti da qualche mese, proseguiranno per tutto il 2016 e l’intero 2017. L’idea è quella di aprire tutta la Torre entro il primo quarto del 2018, lavorando a pieno ritmo.
Con quali altri attori state colloquiando per ridare vita a questo luogo?
L’accordo è tra noi e Unipol e con lui parliamo, anche se probabilmente Unipol sta parlando anche con qualche altro interlocutore per i piani destinati agli appartamenti.
I vostri obiettivi?
Come sempre quando arriviamo nelle città e nelle location non ci fermiamo alla riqualificazione dell’immobile alberghiero ma anche all’area su cui insiste quella struttura. Lo abbiamo fatto con il Melià in Piazza Duca D’Aosta, in Piazza delle Repubblica e così sarà anche per Torre Galfa.
Ci teniamo di essere attori della città e, insieme a Unipol, dare il nostro contributo all’ultima parte del centro di Milano che tale consideriamo in quanto non lontana da Stazione Centrale e Piazza della Repubblica e a appena 20 minuti dal Duomo. La nostra storia ci insegna che i nostri marchi hanno aggiunto valore specifico anche all’area su cui insistevano.
Fino a oggi Torre Galfa è stata simbolo di sprechi e occupazioni: quale vorrebbe fosse la notizia sulla Torre una volta inaugurato il nuovo progetto?
Che Torre Galfa è rinata e che quello è l’inizio del recupero di un’immagine negativa subita nel passato.
Vorrei che fosse la nascita di un nuovo simbolo di Milano, quale fu negli anni passati.
Spererei che con la nostra forza commerciale e di marketing anche a livello mondiale, Torre Galfa tornasse sulla vetta del mondo: per come è il progetto, per il tipo di sviluppo e di investimento se lo merita.
Unipol si è presa la leadership di un lavoro indotto, di nuovi posti di lavoro, del posizionamento dello status symbol di Torre Galfa e di tutte le persone che ci lavoreranno prima e dopo e per i prossimi anni, 20 e oltre visto che tale è la durata dei contratti.
Mi piacerebbe si dicesse che quando gli imprenditori italiani fanno le cose a modo loro, sanno essere i migliori.
Non è un pullman ma è il St. Louis MetroMarket, un negozio di alimentari a chilometro zero su quattro ruote in giro per le periferie di St. Louis.
All’esterno tappezzato di colori, gioioso e profumato dentro con i sedili sostituiti da cassette di frutta fresca e interi scaffali di verdura, carne, latticini, pane, prodotti del giorno provenienti delle fattorie e dei contadini della periferia della città, il primo pullman-emporio americano porta ai suoi cittadini alimenti freschi, sani e a un prezzo accessibile.
The St. Louis MetroMarket: che cos’è?
E’ un mezzo di trasporto di beni di prima necessità e delizie della campagna appena fuori St. Louis, che porta a porta vengono valorizzati e raccontati. A bordo, infatti, MetroMarket non ha la classica pubblicità ma le descrizioni dei produttori.
Appena fuori dal bus, poi, lavoratori e volontari offrono informazioni e dimostrazioni di come preparare il cibo venduto sul pullman.
“Ma MetroMarket non è solo un mercato agricolo su ruote“, spiegano a gran voce i creatori, Jeremy Goss, studente di medicina della Saint Louis Universit, insieme ai laureati alla Washington University, Colin Dowling e Tej Azad.
Il progetto ha tra i suoi punti di forza altri aspetti.
Il primo, lo chiarisce il sito ufficiale della iniziativa:”Abbiamo trasformato un bus che ci è stato donato dalla città in un emporio su ruote così da creare un ponte fisico, finanziario, ed educativo nei deserti del cibo di St. Louis, in modo da soddisfare la domanda crescente di cibi sani in aree depresse e molto bisognose della comunità”.
The St. Louis MetroMarket: cosa fa?
MARCUS STABENOW / ST. LOUIS METROMARKET
E’ un progetto nato senza scopo di lucro e che ha decollato grazie a sovvenzioni private, donazioni e un bus fornito gratuitamente dal locale reparto in transito della metropolitana di St. Louis.
Quindi, MetroMarket risolve la frustante mancanza di un negozio di alimentari per intere comunità della periferia di St.Louis.
COME SI PAGA. Per acquistare a bordo è richiesta un’affiliazione, o Fresh Pass, che costa 150 dollari, è annuale, e può essere sovvenzionata in due modi: o a pagare l’affiliazione annuale è il datore di lavoro, oppure si può accedere a patto che si viva in una comunità priva di cibo, o un quartiere a basso reddito senza un negozio di alimentari o ancora al di sotto della soglia di povertà.
I RICAVI. Sono “nei campus aziendali e lo usiamo per compensare il lavoro che stiamo facendo all’interno delle comunità a basso reddito”, spiega Goss all’Hhuffingtonpost.com .
E ancora: “Ogni società che prendiamo come un cliente è lo strumento per sovvenzionare lo stesso lavoro in una comunità a basso reddito“.
Come il pullman, anche i prezzi dei cibi infatti sono mobili
Chi dispone di un abbonamento aziendale è disposto a pagare prezzi al dettaglio in modo da fornire un accesso all’acquisto di qualità anche a chi in genere non potrebbe permetterselo.
“Finora le aziende che hanno collaborato con MetroMarket credono nella sua missione sociale” prosegue Gross.
Stesso dicasi per i supporter come l’ospedale pediatrico Cardinal Glennon, i cui medici hanno aumentato le loro prescrizioni: meno medicine sui ricettari ma molta più frutta e verdura.
Durante il fine settimana appena trascorso abbiamo incontrato due dei candidati sindaci alle elezioni amministrative 2016, Beppe Sala e Stefano Parisi, e a loro abbiamo illustrato il nostro progetto [leggi qui il MANIFESTO DI MILANO CITTA’ STATO].
Sembra che un po’ gli siamo piaciuti.
Intervista a Beppe Sala, Corriere della Sera, lunedì 16 maggio 2016
D’ora in avanti il livello di intelligenza di una città si misurerà anche dal livello di piste ciclabili.
Assodato che le città più smart del mondo ne sono provviste e che Londra ci ha costruito intorno persino una città sotterranea, sono due le capitali indiscusse della vita a pedali: Amsterdam e Berlino. Vediamo che cosa si stanno ingegnando per consolidare il primato.
Chilometri di strade percorribili dalle due ruote sembravano già tantissimo per la città simbolo della mobilità su due ruote, eppure il governo ha fatto fare un altro balzo in avanti e ha colto la passione dei sui cittadini per dare una spinta all’economia locale.
Il progetto si chiama Solaroad ed è la prima pista solare e ciclabile al mondo.
piste ciclabili amsterdam – via https://twitter.com/SolaRoadNL
La pista, a doppio senso di marcia, collega due quartieri periferici di Amsterdam, Krommenie e Wormerveer, e su di essa ogni giorno transitano almeno duemila ciclisti. Il piano sperimentale messo in atto è stato usufruire di un pezzo di quella via, 70 metri, per produrre energia. Come? Incorporando pannelli solari dotati di celle solari in silicio cristallino e protetti da uno strato traslucido di vetro temperato.
“La sperimentazione è costata circa tre milioni di euro alle amministrazioni locali che hanno sostenuto interamente il progetto“, riporta Sapereeundovere.com, “e I 70 metri di pista solare dovrebbero riuscire a coprire il fabbisogno elettrico di tre famiglie. Non molto, anche perché i pannelli non possono essere montati in una posizione adatta a catturare il massimo di luce possibile e garantire alte performance, ma lo scopo è cercare di sfruttare un’area che altrimenti sarebbe semplicemente coperta di asfalto”.
BERLINO: UN’AUTOSTRADA CICLABILE E NUOVE PISTE SU VECCHIE FERROVIE
Bello visitare Berlino in bicicletta. Il 10% dei berlinesi la usa regolarmente al posto dei mezzi pubblici e privati a motore, c’è chi ne è così patito da costruire un intero edificio condomini 100% bike friendly,.
Un po’ come a Londra, dove il clima non è dalla parte dei ciclisti 365 giorni l’anno, Berlino ha fatto e sta mettendo in atto di un punto di svantaggio un motivo di forza tramite progetti di rivitalizzazione di aree degradate.
La prima idea si chiama Radbahn ed è la prima autostrada ciclabile di 9 chilometri.
Radbahn viaggia sotto il percorso della linea metropolitana U1, dalla fermata di Zoologischer Garten a quella di Warschauerstrass, ed è un progetto i cui vantaggi sarebbero superiori ai costi di realizzazione.
Tutto è nato da un team di 8 persone dopo aver notato lo spazio non utilizzato sotto alla struttura metallica della U1. Tra di loro, anche due architetti italiani, Giulia Maniscalco e Stefano Tiracchia.
Radbahnandrebbe a riempire quello spazio lasciando liberi ai pedoni i marciapiedi di Skalitzer Strasse e dei rettilinei successivi, collegherebbe i parchi di Kreuzberg, il canale, fino all’Oberbaumbrücke attraversando il fiume Sprea, valorizzerebbe la lunga striscia d’asfalto degradata tra Goerlitzer Bahnhof e Kottbusser Tor – il sito Radbahnmostra bene l’idea con dei fotomontaggi come questo [foto sotto].
Al momento si tratta solo di un progetto, “In vista delle imminenti elezioni a Berlino nel 2016 , il team di Radbahn ha già programmato degli incontri con i vari partiti politici che cercano di includere il progetto all’interno dei loro programmi di governo”, riporta il blog Berlinocacioepepe, ma già ha vinto il Bundespreis Ecodesign 2015 nella categoria Konzept e da quando ha comunicato via Facebook le proprie idee per la città è stato sommerso da consensi e supporter.
Nel frattempo, un esempio virtuoso di come Berlino abbia saputo trasformare l’abbandonato in nuovo si trova un’altra zona della città, nello Schöneberg, e più precisamente presso lo snodo ferroviario di Tempelhof che si trova chiuso dal 1952.
Lì poco più di vent’anni fa è nato il parco urbano di Südgelände. Si tratta di “un progetto di riqualificazione dell’area prese forma grazie all’interesse dello studio di architettura Büros ÖkoCon, in collaborazione con il paesaggista Ingo Kowarik. Il progetto, finanziato dalla Allianz Environmental Foundation e realizzato dalla Grün Berlin GmbH, previde una serie di interventi di archeologia industriale che, ad oggi, mostrano i loro splendidi risultati ai cittadini e ai visitatori del parco” riporta Festivaldelverdeedelpaesaggio.it .
In mezzo a questi 18 ettari di verde e orti e in quello che per molti è uno dei boschi urbani più variegati d’Europa, vagoni e motrici sono diventati atelier all’aperto di artisti, sono nate aree gioco per i più piccoli, il filo lungo dei binari della ferrovia è diventato un sentiero che si snoda per il parco con tanto di pista ciclabile censita anche dalla mappa delle bici di Berlino, Bikemap.net.
Un esempio di valorizzazione del paesaggio e di riqualificazione della città donata alla comunità che già porta i suoi i frutti.
Siamo in piena campagna elettorale. Gli aspiranti sindaco si sfidano con la loro storia e le loro promesse per una città che aspira da sempre all’eccellenza. Per stimolare gli elettori a pretendere da loro il massimo, proponiamo una lista in ordine sparso di 10 sindaci che hanno fatto grandi cose per la loro città e, molti di loro, sono stati premiati come migliori sindaci al mondo dalla City Mayors Foundation. Un premio in cui speriamo vedere comparire anche il nostro prossimo sindaco.
10 GRANDI SINDACI CHE VORREMMO A MILANO
Dal 2004 la City Mayors Foundation premia ogni due anni i migliori sindaci del mondo. La scelta si basa sulla loro capacità di apportare sensibili miglioramenti alla vita delle persone delle città che amministrano. In particolare si premia il sindaco per la capacità di visione, di gestione, di integrità, di leadership, di attenzione allo sviluppo economico e sociale, di tutela dell’ambiente. Ecco alcuni sindaci che si sono messi particolarmente in luce in questa e in altre classifiche internazionali.
#1. Aziz Kocaoğlu, sindaco di Izmir (Turchia): per la gestione economica e la partecipazione dei cittadini
Il sindaco di Izmir si è distinto per le capacità gestionali, riducendo gran parte dei debiti della città e conseguendo un alto rating dalle Agenzie Internazionali.
Con la sua gestione Izmir è diventata la città meno indebitata nel paese. Il sindaco ha anche privilegiato investimenti a lungo termine rispetto a soluzioni temporanee e ha coinvolto i cittadini sui principali processi decisionali della sua amministrazione.
#2. Naheed Nenshi, sindaco di Calgary (Canada): per la capacità di comunicazione e di progettazione urbana della città
E’ il vincitore del World Mayor Prize 2014. Ha fatto arrivare a Calgary gli urbanisti più visionari del Nord America per modellare la sua città. Dalla sua entrata in carica, nel 2010, è diventato il sindaco più ammirato del Canada, diventando un esempio di capacità decisionale, inclusività e orientamento al lungo termine. Ha saputo fronteggiare delle emergenze con grande lungimiranza, trovando soluzioni migliorative per il lungo termine, senza limitarsi a fronteggiare il problema. E’ stato anche ideatore della “Purple Revolution” con cui ha preso il potere nel 2010 che ha ispirato in parte la rivoluzione arancione delle nostre città nel 2011: partendo da sondaggi iniziali che lo davano solo all’8% ha saputo realizzare una campagna radicalmente innovativa, usando soprattutto i social media, arrivando così alla maggioranza assoluta. 3 anni dopo è stato rieletto con circa il 75% dei consensi.
#3. Termont, sindaco di Gent: per la capacità di mettere gli interessi della città al di sopra di quelli suoi personali
E’ un simbolo di dedizione totale alla sua città. Serve la città di Gent, in Belgio, dal 1977. Nel 2007 è stato eletto sindaco e cinque anni dopo è stato confermato per un secondo mandato che scadrà nel 2017.
Durante la sua carriera gli è stato chiesto più volte di avere un ruolo nel governo del paese, ma lui ha rifiutato dicendo che voleva focalizzarsi nel servire Gent e i suoi abitanti. Malgrado un’attività politica di così lunga data, rimane molto amato dai suoi cittadini, anche grazie alla capacità di porsi e raggiungere degli ambiziosi obiettivi ambientali, sociali ed economici. E’ fautore di una continua cooperazione tra cittadini, imprese ed istituzioni della città ed è celebre per la sua disponibilità estrema verso i cittadini che possono contattarlo direttamente. E’ poi un bravissimo negoziatore con il governo del paese per ottenere il meglio per la propria città. Il suo motto è di dire sempre ciò che pensa a chiunque, “ma col massimo rispetto”. Altra sua caratteristica molta apprezzata è quella di trattare gli abitanti di Gent, belgi o stranieri, allo stesso modo, pretendendo da ognuno il massimo impegno per il bene della città. Ha dato grande impulso a nuovi business, incentivando la nascita e la crescita di imprese innovative, anche grazie alla realizzazione di un parco tecnologico di portata internazionale e al sostegno di uno dei poli universitari di eccellenza mondiale.
#4. Annise Parker, sindaco di Houston: per la capacità di essere una autentica liberale contro ogni discriminazione di idee o di stile di vita
E’ sindaco della quarta città degli Stati Uniti dal 2010. E ha vinto le elezioni nelle tre tornate successive, che hanno luogo ogni due anni. E’ la prima donna pubblicamente omosessuale a governare una grande città americana. Membro del partito democratico promuove una gestione non partitica della città che, secondo lei, deve essere aperta al governo di tutti, indipendentemente dalle loro idee politiche.
Dopo aver lavorato nell’industria si è dedicata alla politica, emergendo per la capacità di migliorare le finanze della città senza ridurre gli investimenti pubblici. E’ riuscita a rendere Houston una città più vivibile, aumentando il numero di parchi e di spazi verdi. Nel 2014 ha introdotto una normativa che rende illegale a Houston ogni forma di discriminazione.
#5. Tri Rismaharini, sindaco di Surabaya (Indonesia): per la capacità di migliorare la sua città prendendo ciò che di meglio c’è al mondo
Primo sindaco donna della sua città, è una grande innovatrice e appena entrata in carica ha messo come sua priorità il miglioramento degli spazi pubblici, rendendo la città più pulita e più attraente anche attraverso la riqualificazione di aree inutilizzate. In 4 anni ha aumentato in misura significativa il numero di parchi della città e un quinto degli spazi cittadini non utilizzati sono stati convertiti in aree verdi. Ha reso gratuiti alcuni servizi di assistenza medica e di istruzione per le fasce più povere, impiegando il 35% del budget comunale per l’istruzione (il livello più alto in Indonesia).
Ha replicato in città molte iniziative sperimentate con successo in altre città del mondo: questo grazie ai suoi frequenti viaggi che compie per studiare idee da importare a Surabaya. Nel 2013 la sua città è stata nominata come quella con la maggiore partecipazione dei cittadini alle decisioni amministrative in tutto l’estremo Oriente.
#6. Boris Johnson, ex sindaco di Londra: per l’open mind e la politica verde
Sindaco di Londra per due mandati, dal 2008 al 2016, ha dovuto di recente cedere la sua carica a Sadiq Khan, primo sindaco musulmano della storia di Londra. Anche se negli ultimi tempi sta facendo molto parlare di sé per la foga antieuropeista, quando era sindaco pur essendo un tory (conservatore) si è fatto molto apprezzare da tutti i londinesi, anche a quelli del partito avversario, specie per le sue ampie vedute in ogni settore. Tra le sue iniziative c’è la reintroduzione del latino nelle scuole pubbliche della città. La motivazione è che la conoscenza del latino è fondamentale per poter eccellere nelle attività logiche e bisogna evitare che la sua conoscenza sia riservata soltanto a chi può permettersi un’educazione privata. Centrale nella sua azione è la “Politica verde” del traffico, promossa con l’installazione di stazioni di ricarica per veicoli elettrici e con la realizzazione di autostrade cittadine per le biciclette. In occasione delle Olimpiadi del 2012 ha inaugurato una flotta di taxi a idrogeno.
#7. Klaus Wowereit, ex sindaco di Berlino: per la capacità di trasformare radicalmente una città
Quando nel dicembre 2014 ha abbandonato la politica, per molti berlinesi è stato un trauma simile a quello dei sovietici alla morte di Stalin. Per capire la sua portata, basta vedere cosa era Berlino alla sua ascesa a Burgermeister e cosa è diventata oggi. Quando ha preso il potere, nel 2001, Berlino era in crisi totale. Era la città più indebitata e assistita della Germania, luogo da cui i migliori talenti fuggivano e dove non si vedeva lo straccio di un’azienda. Era una città “arm ber sexy”, povera ma sexy, come la chiamò lui stesso, puntando così a evidenziare i suoi fattori di forza, con un’impressionante capacità di valorizzazione a livello della comunicazione. La città povera divenne così la città più a buon mercato d’Europa, con gli affitti bassi e uno stile di vita a prezzi ridicoli, capace così di attirare prima artisti e creativi e successivamente aspiranti imprenditori. La città che Wowereit, detto Wowi, ha lasciato nel 2014 era ormai diventata una capitale d’Europa delle startup, città non più povera ma sexy più che mai, polo di attrazione per giovani di tutto il mondo.
#8. Marcelo Ebrard, ex sindaco di Città del Messico: per la capacità di rendere più pulita l’aria della città più inquinata del mondo
Nel 2010 è stato nominato il miglior sindaco del mondo. Caratterizzato da un riformismo liberale e pragmatico si è battuto per accelerare il progresso nella sua città dei diritti civili e delle politiche ambientali. Appena eletto ha presentato il “Plan Verde” un programma di 15 anni per ridurre le emissioni di inquinanti e fare diventare Città del Messico una capitale della sostenibilità. 20 anni fa era la città più inquinata del mondo, oggi risulta non più all’interno delle classifiche delle città con la peggiore qualità dell’aria.
#9. Helen Zille, ex sindaco di Città del Capo: per la capacità di rendere vivibile ed equa una grande città
In soli tre anni di governo di Città del Capo ha avuto un impatto paragonabile solo a quello di Nelson Mandela, specie per la capacità di promuovere lo sviluppo dei diritti civili in tutte le fasce della popolazione. Con lei Città del Capo è diventata una capitale internazionale del turismo anche grazie ai lavori di ammodernamento per i campionati mondiali di calcio del 2010. E’ diventata celebre nel suo paese per la capacità di fronteggiare il problema della droga, assai diffuso in città, con la creazione di centri di riabilitazione e di incontro con le varie comunità. Ha rivoluzionato le forze dell’ordine per ridurre la corruzione dilagante e ha incentivato la realizzazione di alloggi per la povera gente e fatto progredire le condizioni delle case esistenti, che spesso erano prive di acqua, elettricità e sanitari.
Il risultato è che Città del Capo è diventato un posto più sicuro dove vivere e da visitare.
#10. Ignaki Azkuna, ex sindaco di Bilbao: per la capacità di creare ricchezza con l’arte
Per il Paese che è più incapace di trasformare la cultura in una fonte di guadagno, il miglior esempio proviene dalla città di Bilbao
Azkuna ha vinto il World Mayor Prize nel 2012. Questo per la trasformazione di una città in declino industriale a un centro internazionale del turismo e delle arti che è dovuta a due eventi fondamentali: l’apertura del Guggenheim nel 1997 e l’elezione di Azkuna due anni più tardi.
Il caso di Bilbao è unico al mondo. Quando negli anni novanta si è deciso di spendere la cifra di 230 milioni di dollari di denaro pubblico per la costruzione di un museo di arte moderna, ci furono molte critiche. Ma quello che è successo dopo ha silenziato ogni contestazione: i visitatori annuali di Bilbao sono cresciuti dai meno di 100.000 prima dell’apertura del museo agli oltre 700.000 del 2011. Si stima che il Guggenheim abbia contribuito per 3,1 miliardi di dollari al PIL delle province basche. Dalla sua elezione Azkuna si è battuto per sfruttare l’effetto del museo per far diventare Bilbao una capitale mondiale dell’arte e trasformando il museo in un’icona riconoscibile in tutto il mondo. Grazie a lui, a differenza della maggioranza delle città spagnole, Bilbao è una città a debito zero, visto che lo ha progressivamente ridotto fino ad estinguerlo nel 2011. Azkuna è morto nel 2014 all’età di 2011 ma ci sembra meritevole da ricordare e da prendere d’esempio per la nostra città che dovrebbe trasformare in ricchezza il suo immenso patrimonio culturale.
Qui il nostro governo favorisce i molti invece dei pochi: e per questo viene chiamato democrazia.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Le leggi qui assicurano una giustizia eguale per tutti nelle loro dispute private, ma noi non ignoriamo mai i meriti dell’eccellenza.
Quando un cittadino si distingue, allora esso sarà, a preferenza di altri, chiamato a servire lo Stato, ma non come un atto di privilegio, come una ricompensa al merito, e la povertà non costituisce un impedimento.
Qui ad Atene noi facciamo così.
La libertà di cui godiamo si estende anche alla vita quotidiana; noi non siamo sospettosi l’uno dell’altro e non infastidiamo mai il nostro prossimo se al nostro prossimo piace vivere a modo suo.
Noi siamo liberi, liberi di vivere proprio come ci piace e tuttavia siamo sempre pronti a fronteggiare qualsiasi pericolo.
Un cittadino ateniese non trascura i pubblici affari quando attende alle proprie faccende private, ma soprattutto non si occupa dei pubblici affari per risolvere le sue questioni private.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Ci è stato insegnato di rispettare i magistrati, e ci è stato insegnato anche di rispettare le leggi e di non dimenticare mai che dobbiamo proteggere coloro che ricevono offesa.
E ci è stato anche insegnato di rispettare quelle leggi non scritte che risiedono nell’universale sentimento di ciò che è giusto e di ciò che è buon senso.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Un uomo che non si interessa allo Stato noi non lo consideriamo innocuo, ma inutile; e benchè in pochi siano in grado di dare vita ad una politica, beh tutti qui ad Atene siamo in grado di giudicarla.
Noi non consideriamo la discussione come un ostacolo sulla via della democrazia.
Noi crediamo che la felicità sia il frutto della libertà, ma la libertà sia solo il frutto del valore.
Insomma, io proclamo che Atene è la scuola dell’Ellade e che ogni ateniese cresce sviluppando in sé una felice versalità, la fiducia in se stesso, la prontezza a fronteggiare qualsiasi situazione ed è per questo che la nostra città è aperta al mondo e noi non cacciamo mai uno straniero.
Con Milano Città Stato, Milano sarà capitale mondiale nella produzione di nuova cultura. Per diventarlo il primo passo è di prendere consapevolezza dei tesori che sono già stati realizzati.
Da Fondazione Prada alla Casa della Memoria, dallo Spazio Tadini al Lido di Lotto : ecco la mappa dei principali luoghi di interesse culturale vicini alle fermate della metro.
Mappa realizzata con il contributo di Manuela Alessandra Filippi, Francesca Bartolino, Arianna Ricotti, Antonella Tagliabue. Special thanks: Città Nascosta Milano
Per vedere le altre mappe realizzate da milanocittastato.it:
Restaurant Map: un ristorante per ogni fermata della metro.
People Map: un personaggio per ogni fermata della metro.
Bio Map: un locale bio, vegano o vegetariano per ogni fermata della metro.
Dopo 24 anni di assenza, il 14 maggio 2016 torna il Festival Internazionale della Poesia di Milano.
La sfida è alta e duplice: da una parte mira a risolvere quel senso di distacco, svogliatezza, persino alle volte indifferenza di cui la poesia è vittima in Italia, dall’altra questo tentativo è svolto in contemporanea al XXIX Salone Internazionale del Libro (12-16 maggio 2016), ‘la’ manifestazione per eccellenza degli autori. Perché preferire Milano a Torino, allora? Lo abbiamo chiesto a Milton Fernàndez, Direttore Editoriale presso Rayuela Edizioni e Direttore artistico del Festival, insieme ai 10 buoni motivi per partecipare.
Milton Festival Poesia Milano
Ecco che cosa mi ha risposto.
Perché un festival della poesia a Milano?
Girando i festival latinoamericani da diversi anni – quelli di Medellin, di Granada, di Cordoba, tanto per fare subito qualche nome -, alcuni di noi si sono chiesti come sia possibile che da quelle parti i poeti riempiano gli stadi.
Chi ti aiuta in questa missione?
Più che di dare una mano, qui si è trattato di prenderci per mano tutti, all’interno di un gruppo che è diventato sempre più numeroso e che è aumentato giorno dopo giorno, ad opera di chi sarà protagonista il 14 maggio, di chi lo già da tempo, di chi lavora in modo assolutamente volontario. Diceva Calvino che la Letteratura può vivere soltanto se si pone degli obbiettivi smisurati. Ecco, c’è un gruppo colpito di una bellissima follia che questo obiettivo non ha paura di porselo: ecco le mani che ci offriamo a vicenda da circa due mesi a questa parte con Festival di Poesia di Milano prenderà forma al Mudec.
L’attrattiva di questo festival è molto alta, non ci sono “soliti nomi”
Non so quali siano i soliti nomi. Per me i nomi legati alla poesia “vera” perché mi fa vibrare, emozionare, commuovere – quella che mi accompagna nella mia indignazione e batte il piede al ritmo della mia tristezza o della mia gioia – la ritrovo nelle parole scritte dai poeti che hanno aderito al nostro progetto, che fanno fatica a farsi pubblicare e che continuano caparbiamente a navigare controcorrente.
Siete eversivi? Forse sì. Ci piace immaginare che ci possa essere una diversa versione della realtà che ci viene propinata, giorno dopo giorno.
La novità più forte di questo festival?
L’essere una manifestazione ‘poeticamente indipendente’, cioè non legata a nessuna istituzione in particolare, a nessuna corrente, a nessuna forza politica o commerciale che possa rallentare il suo percorso. Nasce dalla sua propria volontà di esistenza, dall’incontro tra soggetti che da tempo si stavano cercando e che non aspettavano che un segnale per trovarsi e celebrare il fatto poetico.
Quanto dura il Festival di Poesia a Milano?
Appena 12 ore ma con 41 eventi in programma, tutti di alto livello, dal costo zero per le istituzioni e per i cittadini. Vuoi qualcosa di più rivoluzionario di questo?
Che cos’è il Cammino di Marcella di cui tanto si è sentito parlare e perché legarlo al Primo festival della poesia di Milano?
Il Cammino di Marcella è una bellissima iniziativa nata sulla scia della sofferenza, un’affermazione della vita contro il vuoto dell’indifferenza, un modo di affrontare il quotidiano a viso aperto, in marcia, presi per mano. Sono passati molti anni da quel giorno in cui Anna Rastello decise di mettersi in cammino, in un atto di speranza personale, che piano piano divenne collettivo. “Caminante no hay camino”, diceva Antonio Machado, “se hace camino al andar”. 24 ore di camminata – in questo caso a Milano – con soste poetiche in quei luoghi a molti sconosciuti dell’arcipelago della DiVersità, là dove molto spesso s’annida la parte più sensibile del nostro stare al mondo.
Quell’umanità dalla pelle sottile, dalla quale avremmo tanto da imparare. Potevano mancare al Festival Internazionale di Poesia di Milano?
Infine: 10 buoni motivi per seguire il festival di poesia di Milano Potrei scriverne 41, e forse di più, perché sono tanti gli eventi che avremmo voluto inserire in questa rassegna, ma che abbiamo dovuto rimandare alla prossima edizione.
Intanto, quelli che elenco sono contenuti nelle nostre intenzioni di riportare la poesia là dove è nata: per strada, tra la gente, nei gesti quotidiani, nel quotidiano sentire. Una poesia che sia “un’arma carica di futuro”, come sognava Gabriel Celaya, fatta da “poeti senza ombelico”, diversi da quelli che l’ombelico ce l’hanno, e se lo guardano tutto il giorno.
Festival della Letteratura di MilanoFestival Internazionale di Poesia di Milano – Prima Edizione
Dieci buoni motivi per andare al Festival internazionale della poesia di Milano
si svolge in un unico giorno: 14 maggio dalle 10,00 alle 22,30
si svolge in un unico luogo: il Mudec – Museo delle Culture di Milano. Museo delle culture, Area Ex Ansaldo, Milano, Via Tortona 56
è basato sul volontariato, non ci sono poteri forti
è inclusivo: tutti possono partecipare
è poetico ma senza retorica
si trova la poesia metropolitana ma non solo
ospita voci della poesia contemporanea provenienti da ogni parte del mondo
propone nuovi modi di approcciare la materia poetica
non solo poesia ma anche performances di arti differenti
Se si digita su Google “Baggio Milano” la prima parola suggerita che appare è “droga”. Anche Google mortifica un quartiere che significava degrado per chi ci viveva e pericolo per chi dovesse passare di lì. Ma è davvero così? Oppure come altre aree poco considerate, tipo NoLo o Gorlistan, anche Baggio nasconde un grande potenziale? Per capirlo sono andata a visitarlo, complice un dizionario milanese-mondo.
VA’ A BÀGG A SONÀ L’ORGHEN.
Di Baggio so solo una cosa: Va’ a Bàgg a sonà l’orghen, cioè Vai a Baggio a suonare l’organo. E’ uno dei tanti modi di dire in lingua milanese per mandare a quel paese qualcuno. Solo che l’organo di Baggio non c’era, era dipinto. Ma anche se ci fosse stato, sarebbe stato così lontano da levare di torno qualunque scocciatore. In effetti Baggio è davvero lontano: sarebbero solo 9 km in linea d’aria dal centro, ma entrare in via Ceriani, nel centro ‘storico’ di Baggio, dà l’idea di varcare la soglia di un’altra epoca.
“Il detto Va’ a Bàgg a sonà l’orghen nacque intorno al fatto che a Baggio, antico paese alle porte di Milano ed ora quartiere periferico della città, la chiesa di S. Apollinare era sprovvista dell’organo, pertanto nessuno lo poteva suonare” recita Ominibus, Proverbi e modi di dire per vecchi e nuovi milanesi.
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IL DIZIONARIO MILANESE-INTERNAZIONALE E’ NATO A BAGGIO (QUASI).
Ominibus, Proverbi e modi di dire per vecchi e nuovi milanesi è un tomo di 492 pagine, 500 frasi celebri in dialetto milanese che mi è capitato per le mani quasi per caso. A scriverlo sono stati gli ex colleghi Enrico Casati, Guglielmo Scandolara e Roberto Villa in un lavoro certosino durato quasi otto anni.
Il risultato è un’edizione 2015 pubblicata per la Fratelli Frilli Editori in cui detti, spiegazioni e guida alla pronuncia milanese sono stati tradotti in Italiano, Inglese, Tedesco, Spagnolo, Francese, Russo, Cinese, Giapponese, Arabo.
“Ci siamo fatti aiutare da professionisti e amici, con l’obiettivo di dare uno strumento in più per tutti, per i milanesi che volessero conoscere la loro tradizione linguistica, la loro storia, e per i turisti in visita” mi dice Roberto Villa. “C’è anche la versione ridotta tascabile in 127 pagine, il Mini Omnibus, già usato come dono meneghino da alcuni brand di dolci per le passate feste” spiega orgoglioso.
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BAGGIO INNOVATIVA E, INASPETTATAMENTE, DELIZIOSA.
Con l’autore del dizionario, ci siamo dati appuntamento alla pasticceria, caffetteria e sala lettura Carta da Zucchero. All’ingresso sembra un pastry – bistrot shabby chic come tante ce ne sono sotto la Madonnina: nel 2014 ha vinto il bando del Comune di Milano “tra il dire e il fare”, messo in palio per favorire la riapertura di attività nelle aree meno centrali di Milano.
Con quei soldi, le titolari Chiara Chisari e Chiara Palmigiani hanno dato forma a un locale che è un punto di ritrovo dei baggesi, delizioso sin dalla vetrina con quell’infilata di torte fatte in casa, una buona selezione di tisane e tè, libri per tutti e tavoli di legno con sedie color del cielo. Un esempio di riqualificazione del vecchio che, come una fenice, risorge e dà una bella forma al nuovo.
E da qui chiedo a Roberto di farmi da Cicerone sulla storia di Baggio.
COSA VEDERE A BAGGIO.
Proprio dietro l’angolo, davanti S. Apollinare, sei maioliche raccontano le varianti dell’origine dell’organo di Baggio. “La Chiesa Vecchia ha subito un pesante rifacimento nel corso del XIX secolo, ma è apprezzabile ancora il portale in pietra e il campanile, che é quello che rimane di un’antica torre di una famiglia nobile baggese”, mi dice. All’interno, sotto gli affreschi di S. Apollinare, ha luogo la Primavera di Baggio, che propone concerti e momenti di incontro da febbraio a giugno.
A due passi dal portale della chiesa, un ingresso in legno svela la medievaleCasa dei Baggi: si dice che il nome di Baggio derivi da qui e da qui parte un’infilata di case di ringhiera che pare di essere in un quadro dei pittori dei Navigli.
E’ una bella giornata: i fondi sono aperti e svelano antiche attività, la piazza dei gelsi, le antiche osterie. La villa gialla all’ingresso del vecchio paese “era la casa del sindaco”, mi spiega Roberto.
GLI ASINI DI BAGGIO.
Qua e là, il racconto è inframmezzato dalle maioliche donate da maestranze ora campane, ora venete, ora lodigiane, che raccontano brani della tradizione locale: dalle serate intorno al focolare ai lavori contadini a quella strana novella che dice che, un giorno, crebbe dell’erba in cima al campanile di S.Apollinare e un contadino stupido, per toglierla, issò un asino perché la brucasse.
“Me li ricordo gli asini: è tradizione qui la loro corsa la terza domenica di ottobre, durante la Sagra di Baggio” mi dice Roberto. Di fatto, il loro palio è stato anche recuperato l’anno scorso, nell’ultimo mese di celebrazioni di Expo. Ma torniamo al presente.
IL PARCO DELLE CAVE.
Frutteti, oasi faunistica, ex cava di sabbia e un progetto per l’Esposizione Universale di Milano, la via dell’Acqua mai realizzata: siamo nel Parco delle Cave.
A salutare il paese prima dell’ingresso nel grande bosco verde c’è una grande casa a forma di castelletto che è quel che resta dell’esuberanza di un conte meneghino.
E’ una bella giornata e tanti sono sdraiati a prendere il sole con un bel libro in mano. Intuisco che è anche in questo verde la forza di Baggio.
#libraggio
LIBRAGGIO: A BAGGIO LA LIBRERIA DIFFUSA NEL QUARTIERE.
A dispetto della sua fama sinistra Baggio trasmette un senso di pace e di serenità. E quando meno te l’aspetti scopri che è un quartiere con un grande senso di comunità e di rispetto reciproco. In chiusura di questo pezzo mi arriva la comunicazione di #LIBRAGGIO, un’iniziativa di viverebaggio.com nata per coinvolgere negozi, bar e locali all’insegna del senso civico e del rispetto tra i cittadini.
“Ad oggi nel quartiere hanno già aderito otto locali, ma presto il loro numero crescerà e LIBRAGGIO diventerà la prima libreria di quartiere della città”, spiegano i promotori che propongono un circuito di locali in cui fornire letture da leggere sul posto, godendosi una bevanda, sorseggiando un the o pranzando. Oppure può scegliere di portarsi il libro a casa per il weekend, per una lettura serale o in vacanza, gratuitamente e senza neanche il bisogno di registrarsi. “L’unica cosa che viene richiesta a tutti è quella di trattare bene i libri presi in prestito, di riportali nello stesso posto in cui sono stati prelevati o di consegnarli in un altro locale aderente all’iniziativa e, dove possibile, di arricchire la libreria con qualche libro che si ha a casa e che non serve più”.
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Oggi fanno parte di #LIBRAGGIO:
AL BAGGESE – Via Masaniello, 14 – 20152 Milano
CARTA DA ZUCCHERO – Via Antonio Maria Ceriani, 13 – 20152 Milano
COUNTRY HOUSE MILANO – Via Riccardo Lombardi, 19/10 – 20152 Milano
FA BALLA’ L’OEUCC – Via Pistoia, 19 – 20153 Milano
FROZEN GELATERIA – Piazza Anita Garibaldi – 20152 Milano
LA POSTERIA NEL BORGO – Via Delle Forze Armate, 403 – 20152 Milano
PAN CAFE’ – Via Val D’Intelvi, 14 – 20152 Milano
PIZZERIA 125 – Via Alberigo da Rosciate, 5 – 20152 Milano
Un’iniziativa che ci si aspetterebbe nelle città del Nord Europa e non in quella che viene ritenuta da molti una periferia malfamata di Milano. Aver vissuto con mano la realtà fa capire che anche questa zona sta vivendo una rinascita e che basta poco perchè possa esprimere il suo grande potenziale.
Milano ospita la finale della Coppa Campioni. In quell’occasione alcuni dei più grandi campioni del calcio di oggi scenderanno in campo a San Siro. Un tempo i migliori giocatori del mondo li avevamo noi.
Per vincere l’invidia di vedere due squadre di Madrid contendersi la Champions, abbiamo immaginato la migliore formazione di tutti i tempi, formata da giocatori che hanno indossato la maglia di una suqdra milanese. Ecco il nostro wonder team.
#1. Julio Cesar
Partiamo subito dai fischi. Perché la scelta del portiere è stata molto dibattuta. Forse ci sono altri, come Sarti, Ghezzi, Albertosi o Cudicini che potrebbero ambire a questa maglia, ma il loro ricordo è troppo lontano e poi almeno uno degli eroi del triplete deve trovare spazio.
Poi, vuoi mettere iniziare la formazione con uno che si chiama così?
Per lui parlano i 14 trofei vinti con la maglia dell’inter e per 5 anni è risultato nella top 10 dei migliori portiere del mondo. Di questa lista è l’unico ancora in attività. Gioca nel Benfica.
#2. Beppe Bergomi
Altra scelta complessa. Alla fine il testa a testa è stato con Javier Zanetti, ma l’ha spuntata lo zio per il grido “Andiamo a Berlino!” nella semifinale al mondiale in Germania nel 2006.
E’ stato il giovane più vecchio del mondo a vincere il mondiale nel 1982 e ha continuato a giocare fino a 70 anni. Ha recitato come protagonista nel Curioso Caso di Benjamin Button.
#3. Paolo Maldini
La prima partita aveva 15 anni e la squadra più forte d’Italia era l’Hellas Verona. Ha continuato a giocare fino a 41 anni, sempre col Milan, con cui ha vinto 26 trofei, tra cui 5 coppe dei campioni. E’ il giocatore al mondo ad aver giocato più finali di coppa campioni e detiene il record di presenze in serie A e nelle competizioni Uefa per club.
Due volte è finito al terzo posto nella classifica del pallone d’oro e risulta un po’ in tutte le classifiche nella squadra dei migliori giocatori di tutti i tempi. Da quando ha smesso a giocare il Milan lo ha cacciato: per il conseguente kharma da scontare, la squadra che dominava il mondo si trova oggi a lottare con il Sassuolo per entrare in Europa League.
#4. Lothar Matthaeus
Ha guidato l’Inter allo scudetto dei record anche se di lui si ricorderanno soprattutto le interviste con un italiano da Sturmtruppen. Ha giocato 4 campionati europei e 5 coppe del mondo (di cui una vinta), è il giocatore al mondo per presenze in partite del mondiale. Ha il primato nel suo paese di presenze in nazionale (150).
#5. Alessandro Nesta
E’ riuscito a vincere un mondiale anche da infortunato (alla Playstation, dicevano i cattivi). Ha concluso la carriera in India.
Unico.
#6. Franco Baresi
La bandiera del Milan. Il più grande libero della storia d’Italia, con lui sbagliavano tutti i più grandi, perfino Bearzot che si era intestardito a farlo giocare mediano. Quando si sganciava palla al piede San Siro esplodeva. E’ stato eletto rossonero del secolo, ha sfiorato il pallone d’oro e soprattutto il mondiale, quando nel 1994 è ritornato apposta da un’operazione al menisco per sbagliare il rigore in finale con Brasile. E’ primatista nel campionato italiano per numero di autoreti: 8.
#7. Ruud Gullit
Nell’attacco per fare posto ai grandi, mischiamo un po’ le carte. Ai suoi tempi il numero 7 era Colombo, ma Colombo no, non si può vedere. E allora eco Gullit che giocava con il 10 ma sgroppava spesso sulla fascia. Un bestione gigantesco, celebre per le sue treccine rasta e per la sua voglia di sesso, come quando disse a Berlusconi che gli chiedeva astinenza prima di una partita decisiva: “Presidente, io con le palle piene non riesco a giocare”.
#8. Giuseppe Meazza
Qui rischiamo il linciaggio degli dei del pallone. Giuseppe Meazza al numero 8, lui che è stato il più grande attaccante italiano di tutti i tempi. Ha giocato con entrambi i club anche se la storia l’ha fatta con l’Inter. Due mondiali vinti, una carriera lunghissima anche se mozzata dalla seconda guerra mondiale.
#9. Marco Van Basten
Ecco il colpevole. E’ per lui che Meazza è stato spostato al numero 8. Ma è ancora troppo viva la memoria delle gesta di Marco Van Basten negli anni da favola del Milan di Sacchi. Nella sua breve carriera, conclusa a 28 anni, è riuscito a portare alla vittoria perfino la squadra nazionale più perdente di sempre: l’Olanda, segnando un gol memorabile contro l’Unione Sovietica. Ha vinto tre volte il pallone d’oro ed è stato inserito nella top 10 dei migliori giocatori del mondo da World Soccer. È stato il primo calciatore a segnare 4 gol in una sola partita di Champions League.
#10. Gianni Rivera
La sua carriera politica non è riuscita a macchiare le sue imprese da calciatore. Era il numero 10, il simbolo di un Milan a luci e ombre, che ha condotto a fine carriera alla stella. Ma è soprattutto l’eroe dell’Azteca, l’autore del 4 a 3 con cui l’Italia ha battuto la Germania in quella che è stata definita la più bella partita di un mondiale di tutti i tempi. Primo pallone d’oro italiano, nelle classifiche internazionale risulta quasi sempre il miglior giocatore italiano di tutti i tempi.
#11. Ronaldo
No, non è Cristiano che sta per giocare la finale di Champions. Di Ronaldo a San Siro ce n’è solo uno. Miglior giocatore per quasi un decennio, in cui ha vinto due mondiali e due coppe America. E’ innamorato di Milano, in cui ha indossato entrambe le maglie anche se è quella dell’Inter a cui resta più legato, pur avendo perso praticamente tutto. Tra cui uno scudetto buttato via perdendo l’ultima giornata con la Lazio. Era il 5 maggio, la giornata più nera per i tifosi interisti, quasi quanto quella per i milanisti della sconfitta con il Liverpool dopo che vincevano per 3 a 0 all’intervallo.
Erano quelli tempi straordinari, talmente gloriosi da fare ricordare più le rare sconfitte delle numerose vittorie.
Mens sana in corpore sano, ma soprattutto relax, meditazione e consapevolezza. A dirlo non è un guru spirituale ma il titolare di un’azienda storica di Milano: Niccolò Branca, Presidente e Amministratore Delegato della nota distilleria.
Per chi avesse sempre pensato che per mandare giù i dispiaceri ci volesse un goccetto, l’erede dell’azienda nata 171 anni fa a Milano ha risposto con la proposta delle proposte: fornire ai suoi dipendenti un programma annuale di meditazione e Yoga Coaching per la realizzazione personale.
“Nella nostra epoca la vera sfida è l’economia della consapevolezza”, dice l’AD Branca.
Il suo approccio al business è frutto di 24 anni di applicazione alle discipline olistiche e alla spiritualità che lo ha portato a pubblicare per Mondadori il libro “Per fare un manager ci vuole un fiore. Come la meditazione ha cambiato me e l’azienda“.
“Per me la mia azienda è come un organismo vivente che vive della produzione, del rispetto dell’ambiente e delle persone e delle risorse e del profitto. La felicità deriva dalla consapevolezza che l’armonia può essere raggiunta in azienda. Il fine ultimo è quello di supportarli nella gestione quotidiana delle sfide legate al proprio ruolo professionale e alla vita privata”, spiega il conte, presidente di una delle aziende simbolo della milanesità del mondo.
Ad occuparsi del training sarà Alessia Tanzi, consulente di strategia aziendale e insegnante di Kundalini Yoga, una delle tipologie di yoga più veloci ed efficaci, “perché originariamente concepito per chi ha una vita piena di responsabilità e di sfide”, spiegano dalla Branca. E proseguono: “Il corso è indirizzato a tutti, singoli o gruppi, a chi soffre di stress management, di spossatezza, di scarsa motivazione, di mancanza di senso della realizzazione, e comprende combinazioni di respiro, posture e movimenti, mantra e focalizzazione visiva o mentale”.
Il lancio ufficiale ha luogo nell’ambito del convegno “Il benessere dell’anima”, dal 13 al 15 maggio a Rimini.
La ricerca al benessere dei dipendenti sembra sempre una tendenza della nostra epoca, finalmente anche nel nostro paese: c’è chi punta sulla componente spirituale, come la Branca, e chi a quella materiale, come la Brunello Cucinelli che, per Natale, ha ridistribuito ai suoi dipendenti 5 milioni di euro guadagnati dal marchio del cashmere con l’ingresso in Borsa.
Guerrilla marketing nella sua definizione originale indicava una campagna pubblicitaria non convenzionale e a basso costo ottenuta attraverso l’uso creativo di strumenti e mezzi aggressivi che fanno leva sull’immaginario e sui meccanismi psicologici degli utenti finali.
Facciamo un esempio: la campagna portoghese del 2013 per sensibilizzare gli automobilisti a non parcheggiare sui parcheggi per disabili.
Tutti i parcheggi furono occupati durante la notte con delle carrozzine e la mattina nessuno poté parcheggiare in quella zona della città. Direi che il messaggio è piuttosto esplicito.
Vediamo alcune campagne di guerriglia marketing realizzate a Milano.
#1 Masterchef.
Le strade di Milano si sono riempite di fornelli e fruste da cucina per annunciare l’edizione di Masterchef dello scorso anno.
#2 Gruppo Generali.
Le assicurazioni hanno fatto spuntare un sottomarino in piazza Cordusio. Lo slogan, “tutto può accadere”.
Credits melissasaraceno IG – Sottomarino piazza Mercanti Milano
#3 Piaggio MP3
La Piaggio nel 2009 per lanciare il restyling del suo scooter a tre ruote ha ricostruito a Milano le scene del crimine holliwoodiane.
#4 The Lego Movie.
La Lego nel 2014 per promuovere il suo film ha costruito degli omini di mattoncini Lego grandi come persone.
#5 Geox.
Geox nel 2013 ha costruito tante nuvole di Fantozzi per ricoprire la testa dei suoi testimonial. Un bel modo per dire che le sue calzature sono totalmente impermeabili.
#6 Wired.
Nel 2011 Wired ha lanciato l’iniziativa Sveglia Italia! per portare il wi fi libero in 150 piazze italiane. In quell’occasione il cartello con il nome Piazzale Cadorna era stato sostituito con questo:
#7 WWF.
A fine 2014 sul piazzale davanti alla stazione di Cadorna è stato avvistato un rinoceronte morto, con il corno spezzato coperto dal classico lenzuolo bianco che viene sempre usato in queste circostanze. Come ha poi detto il WWF, il rinoceronte era finto ma il problema del bracconaggio è reale.