L’arrivo di nuovi residenti internazionali con grandi patrimoni sta cambiando il volto della città. Le conseguenze, per ora, si avvertono quasi esclusivamente sul mercato immobiliare con guadagni stellari per i proprietari delle case di lusso ma costi sempre maggiori sostenuti da chi vive in affitto. Il tema sempre più caldo è: come si potrebbe fare per redistribuire parte di questa ricchezza a beneficio della collettività?
# La situazione: l’analisi del Financial Times

Il Financial Times racconta come Milano sia diventata una calamita per grandi patrimoni internazionali. Tra gli arrivi figurano Nassef Sawiris, Richard Gnodde e Yoël Zaoui, con Rolly van Rappard e Frédéric Arnault pronti a stabilirsi tra Londra, Parigi e il capoluogo lombardo. Il flusso è stato favorito dal superamento del regime “non-dom” britannico e dall’introduzione della flat tax italiana, che consente di pagare 200mila euro annui su redditi e asset esteri per quindici anni. A ciò si aggiunge l’esenzione dalle imposte di successione sui beni non italiani. Il risultato è un afflusso che ha trasformato il tessuto sociale, con migliaia di nuovi residenti e oltre 100mila italiani rientrati dall’estero grazie a regimi fiscali ridotti. Milano ha guadagnato un nuovo dinamismo, paragonato a quello di Londra negli anni ’90.
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# Effetti sul mercato e sulla città

Il cambiamento si manifesta soprattutto sul fronte immobiliare e nello stile di vita urbano. La domanda di “trophy assets” ha spinto in alto i prezzi di acquisto e i canoni di affitto, con richieste che arrivano a dieci milioni di dollari per attici con piscina e concierge. Alcuni nuovi arrivati hanno scelto di vivere in hotel come il Four Seasons e il Mandarin Oriental, in attesa di soluzioni abitative. A trainare la domanda non sono solo miliardari, ma anche manager tra i 45 e i 70 anni, famiglie straniere e professionisti della finanza. La presenza di club esclusivi come Casa Cipriani, The Wilde e la futura Soho House ha segnato l’ingresso di modelli “all’inglese” nel cuore di Milano. Non mancano tensioni: stipendi londinesi hanno accentuato le disparità negli uffici, mentre parte dei residenti percepisce i nuovi spazi come estranei al tessuto locale.
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# La proposta del centrosinistra: l’ipotesi di tassazione aggiuntiva sugli expats

Il dibattito politico si è acceso sulle possibili soluzioni. A fine luglio, Lia Quartapelle ha aperto la strada proponendo un’addizionale Irpef comunale per i super-ricchi che scelgono Milano. Secondo l’esempio citato, un calciatore milionario pagherebbe circa 200mila euro con il regime attuale, mentre un contribuente medio versa fino al 40-50% dei propri guadagni. L’addizionale servirebbe a finanziare servizi cittadini e infrastrutture. Il 5 agosto Pierfrancesco Majorino ha rilanciato la proposta, sottolineando la necessità di aumentare drasticamente anche gli oneri di urbanizzazione e richiamando i 263 milioni incassati dal Comune nel 2024 tramite l’Irpef comunale. L’obiettivo è raccogliere risorse da destinare a interventi per affrontare l’emergenza abitativa.
Il giorno successivo, il 6 agosto, Cristina Tajani ha dato una forma legislativa alla linea del Pd presentando in Senato un disegno di legge per introdurre una sovraimposta comunale tra il 12,5% e il 15% sui redditi prodotti all’estero dai nuovi residenti facoltosi. Le entrate sarebbero destinate direttamente ai Comuni ospitanti, con una stima di circa 5 milioni di euro per Milano da investire in politiche sociali, edilizia abitativa e sostegno ai minori non accompagnati.
Il rischio di questa proposta è evidente: se questi super-ricchi sono stati attratti proprio per i vantaggi fiscali, l’imposizione di un’addizionale potrebbe farli scappare come lepri. Anche perché il rischio di mostrarsi un Paese che non rispetta gli impegni presi sarebbe molto alto. E molto deleterio per il futuro. Allora che fare? Forse, la strada migliore, è una proposta drastica.
# La proposta drastica: estendere l’agevolazione fiscale anche ai residenti italiani

L’agevolazione fiscale riservata a chi proviene dall’estero ha un senso chiaro. Quello di attrarre in Italia grossi capitali che altrimenti se ne starebbero lontani dal nostro Paese. Questo nella speranza che ci sia una ricaduta positiva sull’economia del territorio. Cosa che, come si è visto, sembra limitarsi al settore immobiliare di lusso. La leva fiscale è sicuramente un fattore di impulso. Per capirlo basta fare pochi chilometri. Lugano e il Canton Ticino prosperano proprio per i vantaggi fiscali offerti rispetto al sistema Italia. E questi vantaggi fiscali si traducono in servizi migliori, in stipendi più alti, in una qualità della vita più elevata. Il paradosso è questo: meno tasse pagano, migliori sono i servizi pubblici e, in generale, più elevato è il funzionamento della pubblica amministrazione. Perché dunque non provare ad estendere il vantaggio fiscale riservato ai paperoni stranieri, anche ai residenti italiani?
Milano sarebbe perfetta per dimostrare che se tutti pagano meno, l’economia riceve un impulso, la ricchezza si impenna e, alla fine, anche lo Stato ne guadagna. Perché partire da Milano? Per diverse ragioni. La prima è proprio perché, essendo una città più in competizione con le metropoli internazionali e posta nelle vicinanze con la Svizzera, è il territorio più danneggiato dal sistema fiscale nazionale. Il secondo è che se non funziona a Milano, allora è inutile provarci in altre parti d’Italia. L’effetto potrebbe essere dirompente: una vera e propria rinascita culturale ed economica che avrebbe, questa sì, un effetto a cascata sul territorio e sull’intero Paese.
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