Fin da subito in Italia abbiamo adottato le regole più repressive contro i cittadini. Un lockdown senza eguali in Europa a cui sta seguendo una “fase due” fatta di obblighi e divieti molto più restrittivi. Mentre gli altri paesi europei riprendono una vita normale in Italia vige la regola base del distanziamento sociale. Ma sarebbe un errore considerare questo come effetto del Covid: in realtà si tratta di qualcosa di più profondo. Per capirlo facciamo qualche passo indietro. A quando si invocava il “chiudiamo tutto”.
Il CITTADINO non è un NEMICO
Il lockdown o, meglio, la chiusura totale, con cui l’Italia ha basato la sua lotta al virus non è stata una iniziativa presa in autonomia dal governo o dalle autorità. Alle prime avvisaglie di pericolo è stata la stessa collettività, i media, i cittadini, tutte le forze di opinione hanno alzato la richiesta del “chiudiamo tutto”. A quel punto la scelta politica è stata una conseguenza. Analizzando a posteriori quello che è successo dobbiamo farci diverse domande. La prima è questa: se siamo stati i primi e gli unici a chiudere con queste restrizioni così dure, come è possibile che ci ritroviamo ad essere dopo tre mesi ancora il Paese nell’Unione Europea dove ci sono i morti giornalieri più alti (e non di poco)? E non solo non ne siamo ancora usciti negli aspetti più drammatici, i decessi, ma siamo anche quelli che sono rimasti più lontani dal riprendere una vita normale.
Ma soprattutto che ripresa può esserci in un Paese in cui la regola cardine del vivere in comune è quella del distanziamento sociale? In un paese in cui mascherine, termometri, strumenti di protezione e di allontanamento ricordano in ogni momento che ogni persona è un potenziale pericolo per gli altri? Ma forse la cosa più grave per il futuro è quella che stiamo innescando un’ “economia della disgrazia”, alimentando la produzione e la vendita di beni e servizi che non sono finalizzati al miglioramento della qualità della vita delle persone, ma all’opposto: di un suo progressivo peggioramento.
STIAMO alimentando la produzione E LA VENDITA di beni e servizi che non sono finalizzati al miglioramento della qualità della vita delle persone, ma all’opposto: di un suo progressivo peggioramento.
Il rischio di alimentare un’economia che distrugge il valore invece di crearlo
Come molti esperti di economia sanno non è la domanda a creare l’offerta, bensì l’opposto: è l’offerta il motore che alimenta la domanda. Non si sono prodotte le automobili quando i consumatori si sono stancati dalle carrozze, ma è dall’invenzione delle auto che si è innescata la domanda di questo nuovo mezzo di trasporto. Lo stesso vale per ogni innovazione, dal computer agi smartphone. Che sia l’offerta a creare la domanda lo abbiamo visto anche nell’emergenza Covid. Pensiamo alle mascherine.
Oggi sono rese obbligatorie e da diverse settimane sono un vero e proprio cavallo di battaglia nell’opinione pubblica. Si sono criticate manifestazione pubbliche misurandole su quante persone indossassero la mascherina e si dibatte ogni giorno su quanto sia importante utilizzarle per sconfiggere il virus. Eppure questo capita in un momento in cui l’epidemia sta volgendo al tramonto, con numerose regioni italiane che segnano nuovi contagi pari a zero. Se facciamo qualche passo indietro vediamo che non è sempre stato così, anzi. Proprio a marzo, nel momento in cui l’epidemia era al suo massimo, le mascherine non erano obbligatorie e l’attenzione sul tema era molto bassa, senza che nemmeno si pretendesse l’obbligo. L’unico motivo per cui non lo si faceva era che non c’era un eccesso di produzione: la domanda di mascherine era superiore alla produzione.
Quando la produzione è diventata tale da poter essere smaltita attraverso un massiccio impiego, a quel punto le mascherine sono state rese obbligatorie e sono diventate uno strumento di dibattito politico, addirittura di misurazione del grado di civiltà di un popolo. Poco conta che superando la frontiera ci si ritrovi in paesi dove non solo non vige l’obbligo di indossare le mascherine ma che vederle in esterno sia un fatto piuttosto insolito.
La realtà è che una produzione eccessiva ora spinge al suo consumo. Purtroppo con alcune gravi conseguenze: la prima è di tipo sociale. In una società in cui le persone vivono in costante pericolo gli uni verso gli altri, è una società che non consente nessun vivere civile. E’ respingente per i turisti e alla lunga per le sue migliori intelligenze che hanno bisogno di una società più sana per prosperare. In secondo luogo l’eccessiva produzione di dispositivi più “igienici”, come mascherine, guanti, materiali usa e getta, produrranno una quantità di inquinanti tale da generare rischi ambientali, potenzialmente devastanti soprattutto per un Paese come il nostro.
Un sistema basato sulla cultura delle diffidenza
Ma quello delle mascherine o del lockdown invocato da tutti non è colpa del Covid: è segno di un tipo di cultura più profonda e radicata che si è radicata nel nostro paese. La cultura della diffidenza.
L’allarme vero non è nel virus o nei dispositivi di protezione. L’allarme è che stiamo costruendo una società dove non è in discussione il vivere, ma il vivere con gli altri.
ANDREA ZOPPOLATO
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Sono d’accordo. A tal proposito trovo sconcertante il testo base che il comune ha proposto ai cittadini con la possibilità di esprimere un parere entro il 31 maggio scorso. (il mio parere è stato molto negativo). La filosofia portante del progetto generale della nuova Milano post Covid è: post Covid MAI. Tutto sarà impostato sul distanziamento sociale perenne, la lotta senza quartiere all’auto privata e l’incentivo alla mobilità “cinese” e il Coronavirus eterno, magari anche peggiorato. Si può progettare un futuro siffatto? NO.
(Ho fatto presente che persino la Spagnola ha fatto il giro del mondo in tre anni-ma erano altri tempi- poi è sparita).
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