Dal 20 giugno 2025 è entrata in vigore in Italia l’IVA al 5% per le opere d’arte. La misura riguarda vendite e importazioni e rende l’Italia il Paese con l’aliquota più bassa in Europa. Una novità che potrebbe cambiare gli equilibri nel mercato culturale continentale. Una misura di sostegno per una specifica area della cultura. Perché non estenderla all’intero comparto?
# Il taglio dell’aliquota e il confronto europeo

Con l’approvazione dell’articolo 9 del DL Omnibus, l’Italia ha stabilito l’aliquota IVA al 5% sulle cessioni e importazioni di opere d’arte. In precedenza fissata al 22%. La norma, in vigore dal 20 giugno 2025, pone il Paese al primo posto in Europa per livello di agevolazione fiscale sul comparto. La Francia ha adottato un’imposta al 5,5%, la Germania al 7%. La misura è stata salutata favorevolmente da tutta la filiera artistica: gallerie, case d’asta, collezionisti e operatori istituzionali. L’intervento, sostenuto dal Governo e dalle Commissioni Cultura di Camera e Senato, mira a restituire competitività al sistema nazionale dell’arte, contrastando l’erosione subita in anni di fiscalità sfavorevole. Il provvedimento è stato promosso in particolare dal Gruppo Apollo, che rappresenta le principali associazioni di categoria del comparto artistico.
# La base normativa europea e gli effetti economici attesi

La riduzione dell’aliquota è stata resa possibile dalla Direttiva UE 2022/542, che consente agli Stati membri di applicare aliquote ridotte a un massimo di 24 categorie tra le 29 elencate nell’Allegato III della Direttiva 2006/112. Tra queste, le opere d’arte sono state aggiunte come nuova categoria agevolabile. In base a studi condotti da Nomisma per conto del Gruppo Apollo, il taglio al 5% può generare un incremento del fatturato settoriale fino al 28% e un impatto sull’economia nazionale pari a circa 4,2 miliardi di euro in tre anni. Per le piccole gallerie, le proiezioni stimano un aumento di fatturato fino al 50%. Il costo per lo Stato è stimato invece in 90 milioni di euro annui, compensati da gettito fiscale indiretto e crescita dell’indotto.
# La cultura nel caos: le mille diverse aliquote nello stesso comparto

Mostra Marc Chagall
La nuova aliquota non si estende agli altri settori culturali. Spettacoli teatrali, concerti e mostre rimangono tassati al 10% o al 22%, a seconda dei casi. I biglietti per spettacoli musicali o teatrali godono di un’IVA agevolata al 10%, mentre le mostre temporanee e gli eventi culturali applicano ancora l’aliquota ordinaria del 22%. Le attività museali sono esenti IVA per l’ingresso, ma non per i servizi accessori. La musica registrata, i corsi di danza e le lezioni artistiche sono tassati al 22%. Anche l’editoria segue un sistema misto: libri cartacei al 4%, ebook al 5%, editoria periodica variabile. Questa frammentazione fiscale genera disparità all’interno dello stesso comparto culturale e ostacola interventi coordinati a sostegno dell’intero settore.
# Perché non estendere l’aliquota a tutto il mondo della cultura?
L’ipotesi di un’IVA culturale unica è stata formulata da Federculture: fin dal 2023 propone di uniformare al 5% l’aliquota per tutte le attività culturali. Una misura che includerebbe editoria, spettacolo, musei, formazione e distribuzione audiovisiva indipendente e che porterebbe a riconoscere il valore strategico dell’intero comparto, e non solo del mercato dell’arte. Sempre secondo lo studio di Nomisma, una politica fiscale coerente contribuirebbe ad aumentare l’accesso, favorire la legalità e rafforzare la produzione culturale italiana. A oggi, però, non esistono proposte legislative formali in tal senso. La riforma del 20 giugno è un primo partenza o rimarrà un’opera d’arte (fiscale) nel deserto?
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FABIO MARCOMIN
La vera opera d’arte sarebbe diminuire l’IVA in modo sostanziale e basta. E poi, chi stabilisce che un’opera è d’arte opppure no? Quante ciofeche ci sono in giro?