7 giugno 1862. Un momento cruciale della storia moderna per la libertà delle persone e i diritti civili. Stati Uniti e Regno Unito firmarono un accordo bilaterale per combattere congiuntamente la tratta atlantica degli schiavi, segnando un passo storico verso l’abolizione definitiva di una delle più disumane pratiche dell’epoca.
L’intesa, nota come Trattato per la soppressione della tratta degli schiavi, permise alle navi da guerra di entrambi i paesi di fermare e ispezionare imbarcazioni sospette nei mari. Era una mossa senza precedenti, specialmente considerando che solo pochi decenni prima le due potenze erano state in guerra l’una contro l’altra.
L’accordo fu siglato durante la presidenza di Abraham Lincoln, in piena Guerra Civile Americana, e fu fortemente sostenuto dal Segretario di Stato William H. Seward, che lo considerava un messaggio morale e strategico per isolare la Confederazione sudista. Dal canto suo, il Regno Unito aveva già abolito la schiavitù nel 1833, ma continuava a combattere i traffici illegali lungo le coste africane. Il trattato con gli USA rafforzò l’azione navale britannica e aprì una nuova fase di cooperazione tra le due nazioni, che avrebbero presto visto la schiavitù scomparire definitivamente dai rispettivi territori.
Un fatto curioso è che l’accordo, pur essendo rivolto al futuro, portò anche a un clamoroso effetto retroattivo: diverse navi coinvolte nella tratta furono fermate nei mesi successivi e i loro capitani processati per crimini contro l’umanità, ben prima che tale definizione entrasse nel diritto internazionale. Inoltre, fu uno dei primi esempi di intervento internazionale per motivi umanitari.
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