Si fa presto a dire Grande Milano. Andando però a vedere quello che servirebbe per non segnare un netto confine tra città e hinterland, si scopre che manca tutto. Dalla mobilità a una gestione amministrativa unitaria: molte sono le carenze. Vediamo le cinque cose più importanti.
#1 Ciclabili mozzate

Cambio Milano
Lo spunto arriva da un post di Massimiliano Tonelli, giornalista e direttore editoriale di Artribune, nel quale illustra il suo viaggio dal Corvetto a San Donato Milanese in bicicletta. Un percorso fattibile in 14 minuti, quindi rapido e senza rischi di coda rispetto a muoversi in macchina, ma altamente pericoloso. Tra svincoli “autostradali” e rotonde, niente è pensato a chi si deve muoversi sulle due ruote a pedali. Il primo taglio netto tra Milano e l’hinterland è proprio quello dei percorsi ciclabili. Esiste un piano della Città Metropolitana, denominato “Cambio”. Il problema è che dal suo annuncio è stato realizzato ben poco: una prima tratta di circa 4 km tra il confine di Milano e l’Idroscalo.
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#2 Mezzi di superficie frammentati e poco frequenti

Un’altra mutazione riguarda i mezzi di superficie. La rete di bus e tram cambia radicalmente appena oltre i confini di Milano. All’interno della città i passaggi sono frequenti, con corse ogni 6-10 minuti per tram e autobus principali. Nei comuni limitrofi, invece, le linee extraurbane e interurbane ATM si diradano: in molte fasce orarie gli intervalli salgono a 20-30 minuti, con servizio serale e festivo spesso ridotto al minimo. Anche i tram che sconfinano fanno eccezione solo in parte: il 15 per Rozzano mantiene frequenze urbane, ma già altri collegamenti mostrano una caduta di regolarità. A questo si aggiunge la frammentazione dei servizi, tra linee urbane che si fermano al confine e linee extraurbane con numerazioni diverse, rendendo evidente la discontinuità tra Milano e il suo hinterland.
#3 Metropolitane quasi tutte dentro i confini comunali

Passiamo poi al capitolo metropolitane, altro tasto dolente. La rete milanese si sviluppa quasi prevalentemente dentro i confini comunali e l’unica estensione significativa all’esterno è presente solo sul ramo est della verde. Questo prolungamento è stato più semplice rispetto ad altri tentativi perché il tratto tra Cascina Gobba e Gorgonzola è stato ricavato sul sedime della ex ferrovia per Vaprio e Trezzo, dismessa negli anni Sessanta, mentre il segmento fino a Gessate è stato aggiunto nel 1985. Le frequenze sono poi troppo basse. Altrove, invece, Milano fatica a spingersi oltre l’Area B. Solo la M1 lo fa, ma per un breve tratto diretto a Rho Fiera, dato che il cantiere a nord per Bettola è in ballo da 15 anni. I progetti di prolungamento di M3, M4 e M5 sono invece ancora lontani da diventare realtà.
#4 Lo spezzatino della gestione delle strade e il muro di Area B

Gli ingressi alla città avvengono lungo tangenziali, statali e provinciali che convogliano il traffico sulle radiali urbane, con livelli di congestione quotidiana. La gestione resta frammentata: tratti affidati a ANAS, Regione, Città Metropolitana e singoli comuni, senza un coordinamento unitario. A questa disomogeneità si aggiunge la barriera di Area B, che consente l’accesso solo ai veicoli più recenti ed esclude quelli più inquinanti. In questo modo una parte consistente dell’hinterland rimane di fatto tagliata fuori, senza alternative rapide e dirette per raggiungere il centro città.
#5 Governance inadeguata per guidare 133 comuni in modo unitario

Veniamo alla madre di tutti i problemi: la mancanza di un unico ente con poteri e risorse adeguate a gestire tutto il territorio milanese. La Città Metropolitana è di fatto una scatola vuota, quando dovrebbe governare un’area di 133 comuni, dato che: non ha un bilancio robusto, vivendo quasi solo di trasferimenti statali, non dispone di potere impositivo diretto, non è governata da un organo eletto dai cittadini e continua a svolgere le stesse funzioni della vecchia Provincia, senza trasformarsi in un vero ente di governo dell’area metropolitana. Al tempo stesso il Comune di Milano dispone della stessa autonomia di un qualsiasi altro comune italiano. Entrambi gli enti devono quindi muoversi entro margini ristretti ricevendo l’elemosina dallo Stato. Nonostante Milano produca circa il 10% del PIL nazionale.
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FABIO MARCOMIN
Milano è interessata solo dei propri confini, e la città metropolitana ha totalmente fallito la sua mission. La visione del “proprio particulare” da parte di Milano (città europea? ma non fatemi ridere) e di tutti i paesi della provincia, ha determinato il fallimento della città metropolitana, che non è riuscita a uscire dai propri schemi di “Parco Sud”, tant’è che la Regione Lomardia se ne è fatta carico con un nuovo regolamento. Alla faccia della “Grande Milano”, rimasta senza neanche l’utopia