Il problema è una scuola di vita

La chiave per condurre una vita ricca e responsabile è proprio questa: comprendere il ruolo dei problemi. Perché sono la migliore scuola per crescere e per sviluppare l'intelligenza

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Chi crede che la vita sia fatta solo per godere dei piaceri del mondo, tenendo come obiettivo quello di evitare le avversità, rischia un’esistenza arida e infantile. Forse la chiave per condurre una vita ricca e responsabile è proprio questa: comprendere il ruolo dei problemi. Perché sono la migliore scuola per crescere e per sviluppare l’intelligenza. 

# La cultura dell’effimero e della sicurezza porta a evitare i problemi

Mentre c’è chi crede che la vita sia fatta solo di piaceri e godimenti, c’è anche chi pretende che almeno non ci siano troppi problemi, che non si debbano affrontare responsabilità e avversità. Questa è la tendenza più tipica delle nuove generazioni, che credendo che sia tutto dovuto, non accetta il rischio, il problema, l’adattamento. Piuttosto, sono i problemi che devono adattarsi alle nuove generazioni. Si pensi, ad esempio, all’approccio con cui si affronta la scuola: un rifiuto, un brutto voto o una bocciatura sono percepiti come degli insulti, degli ostacoli al proprio percorso, probabilmente frutto di una considerazione sbagliata che i professori hanno del ragazzo o della ragazza interessati. E così facendo, ecco che si sviluppa un pensiero a cascata: i voti sono sbagliati, piuttosto eliminiamo i voti, al fine di non far sentire i ragazzi giudicati o di fargli affrontare i problemi troppo presto. E queste stesse dinamiche poi si possono applicare a qualunque altro ambito, la costante è la stessa: le nuove generazioni non vogliono problemi. E le vecchie generazioni?

# Il rifiuto del problema unisce le diverse generazioni

La difficoltà nel vivere i problemi per le vecchie generazioni, e quindi ad insegnarlo alle nuove, risiede nell’averne vissuti o troppi oppure troppo pochi. Si pensi a coloro che adesso sono anziani, che hanno affrontato la guerra o il dopo guerra: sono usciti dalla propria infanzia provati dalla vita, forgiati sotto un fuoco ardente che forse non potevano neanche gestire, con solchi interiori che non avrebbero mai colmato. Non è un caso se, di fronte alle lamentele dei nipoti, la risposta più tipica comincia sempre con “ai miei tempi…”. Le generazioni successive, al contrario, sono nate nel pieno del boom economico, con mille opportunità lavorative, età pensionabile bassissima, prezzi accessibili e un mondo da ricostruire. Esperienze opposte, da cui nasce il rifiuto del problema delle nuove generazioni, con una caratteristica comune: una difficoltà a convivere con le avversità. Per essere chiari: nessuno vuole problemi e nessuno crede che essi siano facili, non si chiamerebbero così altrimenti. La domanda che si vuole porre è: si possono vivere come opportunità da cogliere, anziché ostacoli da evitare?

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# Trovare l’equilibrio: la vita educa con gioie e dolori

Molte culture, filosofie o religioni concepiscono i problemi non come ostacoli, pur comprendendo nella loro visione del mondo l’esistenza del Male e di entità demoniache. Si pensi ad esempio a chi concepisce la propria esistenza con una tensione finalistica, come i cristiani: il problema, o in gergo la “prova“, è occasione per dimostrare la propria umiltà, l’imperfezione umana al cospetto di Dio ma anche per migliorarsi e farsi sempre più vicini alla Verità. Oppure la filosofia Zen del Buddhismo, dove i problemi e le difficoltà sono visti come opportunità per approfondire la consapevolezza e raggiungere l’illuminazione. O ancora lo stoicismo, presentissimo nella cultura europea, dove l’ostacolo è l’occasione per esercitare la propria virtù, trasformando le difficoltà in occasioni di crescita morale. Insomma, molte correnti di pensiero o di fede concepiscono il problema in maniera del tutto differente da come vien visto dalla maggior parte della gente. E questo vuol dire una sola cosa: il problema non solo fa parte della vita, ma è indispensabile alla stessa. Si pensi a una vita totalmente priva di ostacoli o di prove: avrebbe il senso d’essere vissuta finché non dà noia. Trovare un equilibrio è ciò che risponde a quella che Sant’Ignazio definiva come la prima vocazione dell’uomo, ossia esser chiamati a vivere: aver consapevolezza di sé, accettare che non tutto ciò che succede dipende dalla nostra volontà e impegnarci secondo le nostre propensioni. Tornare a pensare ai piaceri come doni da sfruttare e ai problemi come scuola di vita, rappresenta una vera rivoluzione di sé.

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RAFFAELE PERGOLIZZI


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Raffaele Pergolizzi
Romano, nato il 4 maggio 2003, studio Storia presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’ateneo più grande d’Europa, La Sapienza. Appassionato di cultura, innamorato della mia città e del mio Paese. Credo fermamente nell’importanza della partecipazione attiva alla vita pubblica e nell’impegno di ogni individuo per il bene e lo sviluppo della collettività.

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