Chi controlla i controllori? La vecchia questione fin dall’Antica Roma è sempre aperta. Soprattutto nell’Italia di oggi. L’ultimo caso riguarda gli stipendi pubblici: come si può pensare di mettere un tetto ai compensi a chi ha il potere di decidere sugli stessi? Questa volta è toccato al limite dei 240.000 euro per gli stipendi della pubblica amministrazione. Tutti d’accordo fino a che a dare il parere definitivo è l’organo tra quelli colpiti dalla norma. La Corte Costituzionale. Che non solo l’ha bocciata. Ma ha subito provveduto a ritoccarsi lo stipendio. Portandolo al di sopra del limite non più in vigore.
# Il tetto non è più fisso: rimosso limite fissato nel 2014

Con la sentenza n. 135 del 28 luglio 2025, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità del limite massimo retributivo fissato a 240.000 euro annui per i dipendenti pubblici. La norma, introdotta nel 2014, viene sostituita da un parametro mobile legato alla retribuzione del Primo Presidente della Corte di Cassazione. Sì, avete capito bene. Proprio il presidente dell’organo che ha bocciato il tetto. Un paradosso gattopardesco tipicamente italiano.
Il tetto retributivo torna così a salire, passando da un limite fisso a uno indicizzato in base alla posizione apicale della magistratura. Il nuovo valore di riferimento, in assenza di un decreto aggiornato, sarà di 311.658 euro. La modifica è già efficace dal 29 luglio 2025, giorno successivo alla pubblicazione della sentenza nella Gazzetta Ufficiale. La modifica elimina la soglia rigida per ripristinare un collegamento diretto con le funzioni e le posizioni ricoperte.
# Se a decidere sul tetto è chi viene penalizzato da questo, ogni riforma sarà sempre vana

Il tetto retributivo per i dipendenti pubblici è stato più volte introdotto, ma altrettante volte modificato o superato. Le giustificazioni iniziali, legate al contenimento della spesa pubblica, si scontrano con interventi successivi che ne limitano l’efficacia. Anche in questo caso, dopo oltre dieci anni, si è stabilito che la misura non fosse più temporanea, ma strutturale. La sentenza riguarda anche la stessa magistratura che l’ha emessa, oltre che il resto del comparto pubblico. Tuttavia, il principio affermato tocca in particolare i livelli più alti della piramide, dove la retribuzione torna ad autoregolarsi. In sostanza, chi occupa posizioni apicali può incidere direttamente sul proprio trattamento economico, o farlo indirettamente attraverso i parametri di riferimento. I sacrifici richiesti alla struttura amministrativa non valgono allo stesso modo per le posizioni di vertice. L’intervento della Corte, pur motivato giuridicamente, riapre un meccanismo noto: il tetto viene imposto, poi rimosso. Perchè il principio è: se a decidere sul tetto sono quelli penalizzati da esso, come potrebbe mai essere accettato?
# La legge aurea della pubblica amministrazione: si può cambiare tutto tranne i privilegi 
Credits cortecostituzionale IG – Corte Costituzionale
La Corte ha considerato che il limite fisso di 240.000 euro avesse perso la natura eccezionale prevista alla sua origine. La soglia era stata introdotta nel 2014 in un contesto di crisi economico-finanziaria. Col tempo, il valore è rimasto invariato, senza adeguamenti all’inflazione e senza risultati significativi in termini di contenimento della spesa. I risparmi effettivi sono risultati inferiori alle previsioni: nel primo anno di applicazione il gettito complessivo al Fondo titoli di Stato fu di 4,5 milioni contro gli 86 stimati. Negli anni successivi la situazione non è migliorata. La Corte ha inoltre rilevato che, a partire dal 2022, sono state introdotte deroghe per alcune categorie, come i commissari Sogin o i dirigenti di società pubbliche strategiche. Queste eccezioni hanno svuotato la portata generale della norma. A quel punto è bastato estendere il superamento del tetto a tutti. Ancora una volta, chi è in alto vede crescere il proprio stipendio.
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FABIO MARCOMIN
Ma no? Ma davvero?