18enne violentata nel milanese: caccia a un nordafricano. Monta la rabbia: problema immigrazione da affrontare con senso di realtà

Serve guardare in faccia alla realtà, applicando un principio che vale per la psicologia e vale per la psicosomatica. Può valere anche socialmente per l'immigrazione? 

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Una ragazza di 18 anni è stata violentata nella notte tra sabato e domenica nei pressi di un sottopassaggio a San Zenone al Lambro (Milano), quando la ragazza si stava recando in stazione. Secondo le prime ricostruzioni, l’aggressore sarebbe un uomo di origine nordafricana, su cui allo stato attuale si sta concentrando la caccia delle forze dell’ordine. Il fatto, di per sé drammatico, ha immediatamente acceso la miccia delle polemiche: dai social alle piazze, si moltiplicano reazioni scomposte che rischiano di acuire la frattura sociale più che affrontare il nodo vero, quello del rapporto tra immigrazione e criminalità. La Psicologia ci insegna che i problemi non si risolvono né con la rimozione né con l’esasperazione. Occorre guardare in faccia la realtà. Come, dunque, si dovrebbe intervenire sul problema?

# Il più grande ostacolo alla risoluzione di un problema? La negazione 

Credits: radiolombardia.it

Uno dei meccanismi di difesa più noti descritti dalla psicoanalisi è la rimozione: l’inconscio nasconde ciò che causa il male, negandone l’esistenza. In questo modo l’inconscio difende il problema contro ogni tentativo di risoluzione. Applicato alla sfera pubblica, significa fingere che non esista un nesso tra immigrazione incontrollata e aumento di alcuni fenomeni criminali. Ma i dati dicono altro.

Secondo il Ministero della Giustizia, nelle carceri italiane gli stranieri rappresentano circa il 32,7% della popolazione detenuta, uno su tre, a fronte di una presenza sul territorio pari a poco più dell’8%, uno su dodici. Per reati denunciati la quota arriva al 34% (dati 2025). Quindi un’incidenza statisticamente rilevante che, soprattutto, si acuisce in massima parte tra elementi facenti parte di alcune precise origini culturali. Ad esempio, la percentuale di “delinquenza” supera il 20% del totale delle persone originarie di Algeria (25,8), Gambia (23,7) e Tunisia (20,7). Non solo: tra i reati contro il patrimonio che portano al carcere, gli stranieri rappresentano il 53,4 %, mentre per i reati contro la persona il dato è del 43,1 %. Tendenze simili si registrano in Francia, Germania e altri Paesi europei. Problema che, occorre dire, riguarda in massima parte gli immigrati irregolari: l’80 % degli arresti per reati contro la proprietà riguarda irregolari, con una probabilità d’arresto 16–23 volte maggiore rispetto ai regolari. Per i reati violenti, la probabilità è 6–13 volte maggiore. 

È dunque un dato che non può essere liquidato come “razzista” solo perché scomodo. Riconoscerlo non significa criminalizzare intere comunità, ma ammettere l’esistenza di un problema strutturale. Problema che bisogna affrontare guardando in faccia la realtà, senza coprirlo con le ideologie o con la propaganda politica.  

# Come affrontarlo senza rinforzarlo

poliziadistato.it

Un secondo punto, suggerito dalla Psicologia, riguarda il modo di affrontare i problemi. Spesso combattere direttamente un male lo rinforza, come accade in psichiatria, o anche in medicina, quando un sintomo viene aggredito frontalmente e finisce per consolidarsi. La strada più efficace, secondo le teorie più vicine alla psicologia umanistica ed evolutiva, è nutrire le parti sane. Rinforzare le componenti vitale. Vale per la psicologia, vale per la psicosomatica. Può valere anche socialmente per l’immigrazione? 

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Applicato al tema dell’immigrazione significa potenziare il senso di comunità, di responsabilità e di appartenenza negli stranieri che rispettano le regole, che sono la stragrande maggioranza. Devono essere messi in condizione non solo di godere di diritti, ma in primo luogo di assumere doveri concreti verso la città che li ospita: dal lavoro al rispetto delle norme, fino al contribuire a che le loro stesse comunità non diventino zone franche di illegalità. Un dovere di responsabilità e di buon comportamento che da sempre tende ad adottare chiunque si trovi a entrare in casa d’altri. 

Altrimenti, paradossalmente, è proprio il non pretendere responsabilità che assume un carattere razzista: considerarli “incapaci” e quindi solo bisognosi di tutela, mai all’altezza del ruolo di cittadini alla pari. Questo è il razzismo implicito, e spesso inconscio, di chi combatte contro qualunque politica per responsabilizzare gli stranieri, soprattutto di quelli che arrivano da certe aree culturali.  

# Milano è responsabilità condivisa

Cleaning day dopo Expo2015

Essere “milanesi” non è questione di nascita, ma di mentalità: significa credere nel lavoro, nel rispetto reciproco, nel contributo alla città e al bene comune. Valori che chiunque può assumere, indipendentemente dall’origine. È su questo terreno che si può costruire l’integrazione vera: non su scontri o negazioni, ma sulla responsabilità condivisa.

Un fatto terribile come quello di queste ore ci costringe a guardarci dentro, collettivamente. La rabbia non serve a nulla, rischia di creare solo danni e una cattiva atmosfera, così come la rimozione. È solo chiamando ciascuno al suo dovere che si evita che tragedie individuali diventino terreno fertile per conflitti senza uscita. Anche perché la via maestra è la stessa Milano a indicarcela: chiunque in questa città è da sempre considerato cittadino alla pari degli altri, indipendentemente dalle sue origini o dalla sua cultura, se si dà da fare e si impegna a contribuire positivamente alla città che ci ospita. Un principio semplice, umanistico, privo di qualunque connotato razzista: dobbiamo ricordarlo noi e farlo sapere chiaramente a chiunque arrivi tra noi. 

Continua la lettura con: La situazione assurda a Malpensa per la fila passaporti: come è (dis)organizzata e quali soluzioni risolverebbero il caos

ANDREA ZOPPOLATO 


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Andrea Zoppolato
Più che in destra e sinistra (categorie ottocentesche) credo nel rispetto della natura e nel diritto-dovere di ogni essere umano di realizzare le sue potenzialità, contribuendo a rendere migliore il mondo di cui fa parte.

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