A Parigi, da quasi due secoli, l’acqua non potabile scorre silenziosa per pulire le strade. A Milano, invece, si continua a usare quella potabile. Ma perché?
Acqua non potabile per pulire la città: perché Milano non fa come Parigi?
# Un sistema doppio, inventato nell’ottocento

Parigi è dotata di una rete idrica parallela a quella potabile: si chiama “réseau d’eau non potable” e corre sotto tutte le 20 zone della città. Ideato nel XIX secolo da Eugène Belgrand, su spinta di Napoleone III e del barone Haussmann, è un impianto pensato apposta per lavare le strade e irrigare i parchi. L’acqua arriva dalla Senna e dal canale dell’Ourcq, viene convogliata attraverso 1.700 km di tubazioni e fuoriesce da oltre 13.000 bocchette idrauliche incassate nei marciapiedi, chiamate “bouches de lavage”. Ogni bocchetta può essere aperta manualmente o a distanza: l’acqua scorre lungo le cunette, trascina via polvere e sporco, e finisce nelle fogne. L’intero ciclo è separato da quello per l’acqua potabile: più igienico, sostenibile e intelligente.
# Pulizia, raffrescamento, zero sprechi
Il sistema parigino è molto più che un’eredità storica. È una rete funzionale e in continua evoluzione. Oggi copre l’80% della città e viene utilizzato anche per alimentare fontane pubbliche, raffrescare le strade in estate e irrigare il verde urbano. Secondo il piano aggiornato (Atlas des usages 2021), il 95% delle bocchette è ancora attivo e il tasso di spreco d’acqua non potabile è inferiore al 5%. I modelli più recenti, come i sistemi “Dauphine”, possono essere regolati da remoto e adattati alle variazioni climatiche. Alcuni tratti sono già integrati con pavimentazioni drenanti e sensori termici per contrastare le isole di calore.
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# E se si implementasse lo stesso sistema anche a Milano?

L’obiettivo entro il 2034? Espandere la rete, ridurre i punti sottoutilizzati e integrarla nel piano urbano contro il cambiamento climatico. Milano, con il suo asfalto che trattiene il calore, perderebbe meno risorsa potabile, ridurrebbe l’effetto isola di calore e abbasserebbe la spesa energetica e potrebbe usare i mezzi AMSA come integrazione. Oggi in città le bocche sotto il marciapiede vengono utilizzate solo per far confluire quella piovana nel sistema fognario. Un’infrastruttura del genere contribuirebbe inoltre alla gestione delle piene, come quella del Seveso la cui acqua potrebbe servire proprio per pulire le strade così come quella degli altri fiumi e canali cittadini, Lambro, Olona e Navigli. Insieme all’acqua piovana o di recupero potrebbe essere utilizzata anche per rinfrescare marciapiedi e pavimentazioni.
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FABIO MARCOMIN
Avendo lavorato per circa 20 anni con diverse aziende di distribuzione acqua potabile in Italia, ho per curiosità posto spesso lo stesso quesito.
Risposta unanime: è già un costo enorme eseguire la ricerca delle dispersioni sulla rete di acqua potabile, costo che viene riflesso sulle bollette assieme a quello del volume d’acqua gestito alla fonte e poi, appunto non vendibile perché disperso. Stendere una rete parallela è etico ma antieconomico (come sempre: costi-benefici) ed è preferito, proprio per il contenimento dei costi, utilizzare l’acqua potabile anche per scopi dove sarebbe adatta anche quella non potabile.
La percentuale di acqua dispersa per avaria delle reti varia da circa il 10% per le aziende più virtuose, ad oltre il 50 % nei casi peggiori, dove purtroppo regna anche il prelievo fraudolento.
Con reti parallele, questi costi aumenterebbero se non al doppio, comunque sensibilmente ( e comunque riversati in bolletta agli utenti); e proprio perché non potabile, è molto probabile che l’inevitabile generarsi delle dispersioni non venga seguito adeguatamente con necessarie riparazioni perché l’acqua non potabile non è vendibile.
Sarebbe interessante accertare se quello parigino sia o meno un caso isolato.
Io troverei più appropriato pensare sistemi di recupero delle piene dei corsi d’acqua o banalmente da precipitazioni, in vasche di laminazione o piscine come ancora se ne vedono in Sicilia, e progettare sistemi, applicazioni e procedure per il loro utilizzo.
In ambito urbano ritengo che, viste le logiche che ho qui illustrato, la posa di reti dedicate al non-potabile non troverebbe nessun consenso.