Milano è sempre più la città dei grattacieli. Le nuove torri spuntano come funghi, e non solo nel centro: ormai la verticalità sembra essere diventata la religione dell’urbanistica meneghina. Dalle skyline scintillanti di Porta Nuova a quelle in costruzione a Cascina Merlata, l’obiettivo pare uno solo: costruire verso l’alto. Grattacieli iconici, costosissimi, super-ambiti. E ogni amministrazione — di qualunque colore — sembra voler lasciare la propria firma con una torre in più.
Ma e se non fosse solo questione di skyline? Se i grattacieli fossero in realtà strumenti di marketing? Vetrine di lusso pensate per legittimare un modello abitativo sempre più verticale, sempre più densificato, sempre meno umano?
# I grattacieli dei sogni
A Milano i grattacieli sono un motivo di vanto. Tipo la metropolitana. Sono i simboli dell’orgoglio urbanistico milanese, celebrati da politici e media. Ricordiamo i casi più iconici:
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CityLife: la torre Hadid (o Generali), la torre Allianz, la torre Libeskind. Vetrine del potere finanziario, ma anche immaginari residenziali di lusso per campioni dello sport e stelle dello spettacolo.
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Porta Nuova: con la Torre Unicredit che sovrasta Gae Aulenti e gli uffici di lusso che si rincorrono in verticale.
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Il Bosco Verticale di Boeri: torri con gli alberi, diventati simbolo globale di sostenibilità e bellezza verticale. Un attico vale milioni.
Sono torri celebrate, fotografate, usate come sfondo per spot, articoli, campagne immobiliari, persino romanzi e serie tv. Luoghi da sogno. Ma per pochissimi.
Il messaggio però arriva forte anche a chi non ci abiterà mai: vivere in alto è cool. Anche se il centro lo si vede solo con il binocolo…
# I grattacieli della realtà

Forse a Milano sta succedendo quello che è accaduto a Porta Nuova e a CityLife. Le prime costruzioni servono a generare grande attenzioni sul quartiere. E dopo aver venduto i primi scintillanti appartamenti e uffici, si passa a costruirne altri, sempre di più, fino a ridurre gli spazi vitali.
Mentre i grattacieli del centro luccicano, visibili fin dalle Prealpi lombarde, sempre più progetti si stanno spostando nelle periferie, dove crescono torri meno patinate ma sempre più numerose. Non sono più quelle dei quartieri popolari anni Sessanta, ma nemmeno mini attici in centro.
Tra Cascina Merlata, Adriano, Santa Giulia e Corvetto, si moltiplicano edifici da 10, 15, 20 piani e più. I nomi richiamano mondi di benessere e natura: “Sky Garden”, “Residenze Panoramiche”, “Green Tower”. Ma dentro ci sono spesso mini appartamenti compressi, progettati per infilarci quante più famiglie possibile in pochi metri quadri. Anche il Villaggio Olimpico sta rispecchiando questa filosofia: alto è bello, anche se le costruzioni si fanno sempre più anonime e alienanti.
La verticalizzazione è per forza la soluzione imposta dal problema della mancanza di nuovi spazi su cui costruire a Milano. O, meglio, l’unica forma possibile del grande business immobiliare: lo stesso terreno, più piani, più appartamenti venduti. Con una sola concessione edilizia.
# La strategia che non si può dire…
Falcone ripeteva il celebre detto “Follow the money”. Se vuoi capire qualcosa, segui il denaro. Ed è indubbio che il denaro nell’immobiliare a Milano segua i palazzi di dimensioni più alte. Dunque c’è una domanda scomoda da farsi: e se dietro all’estetica dei grattacieli del centro si nascondesse una strategia comunicativa?
Costruire torri iconiche al centro serve non solo a vendere appartamenti da sogno, ma anche a normalizzare l’idea del vivere in verticale. Una volta, l’abitare nei palazzoni era considerato un incubo urbano: alienante, affollato, disumanizzante. Oggi, invece, viene reimpacchettato come modello aspirazionale.
Così il sogno dell’attico nel Bosco Verticale si riflette, sbiadito, nel bilocale al dodicesimo piano in zona Certosa. L’immaginario del grattacielo elegante giustifica e legittima la compressione abitativa. Le persone, pur di sentirsi parte di quella narrazione, accettano di vivere in torri sovraffollate, con spazi comuni ridotti al minimo e vista tangenziale.
# La città delle sardine felici

In una città dove il suolo edificabile è ormai saturo, l’unica via per il profitto è alzare i palazzi. Più alti, più densi, più pieni. Come sardine, ma con una finestra da cui magari non si riesce a vedere il Duomo, ma i grattacieli del centro sì. A ricordarci di quanto siamo fortunati a vivere come loro. Il grattacielo è diventato l’alibi estetico per un modello urbano in cui il mercato immobiliare detta legge, e la qualità della vita è subordinata al rendimento del metro quadro.
E così Milano rischia di diventare una città-vetrina, dove il sogno architettonico è il cavallo di Troia di una nuova compressione sociale. Un’estetica verticale che non libera spazio, ma lo comprime. Che non offre nuove opportunità, ma trasforma in sogno ciò che un tempo era disagio.
# Per non restare intrappolati dal miraggio delle torri

Il punto non è essere contro i grattacieli. Ma capire per chi sono, e cosa rappresentano davvero. Se sono torri per pochi, usate per vendere torri per tanti, allora la città sta vivendo una sofisticata operazione di marketing più che un reale progresso urbanistico.
Anche perché Milano da sempre vuole guardare in alto, ma oggi sembra dimenticarsi di chi sta in basso. O peggio, di stringerlo sempre di più verso l’alto, in scatole impilate l’una sull’altra. Facendogli pagare al prezzo più alto l’illusione di vivere come una stella di CityLife.
Continua la lettura con: L’«inaugurazione fantasma» del Nido Verticale: i segreti del grattacielo più misterioso dello skyline di Milano
ANDREA ZOPPOLATO