Comunque la pensiate sulla guerra, sia che siate sostenitori del mastodontico piano per il riarmo dell’asse Trump-Von der Leyen, sia invece che siate tra quelli che scendono in piazza nelle manifestazioni pacifiste, c’è un film che suggerisco di vedere (o ri-vedere). Un film che ormai ha già compiuto più di 50 anni, ma che rimane un’opera talmente attuale e reale, da far venire i brividi. E Milano è la protagonista della metà del mondo che sta dalla parte, diciamo, dei buoni…
# Un’esplicita condanna alla nostra emancipata metà del pianeta

Parliamo di “Finchè c’è guerra, c’è speranza”, una pellicola talmente cruda, grottesca, drammatica e implacabile, talmente realistica e feroce nel mettere a confronto il (democratico?) occidente con il Sud del mondo, che diventa un film di esplicita condanna alla nostra emancipata metà del pianeta.
Il regista non è uno di quegli intellettuali di sinistra (salottieri radical chic) come Ken Loach, Costa -Gavras o Nanni Moretti, ma uno che ha sempre dichiarato, con orgoglio, il proprio “centrismo” politico, nascendo e morendo democristiano, anche se, ironia della sorte, sia quando nacque che quando morì la Diccì non c’era (non c’era ancora e non c’era più). “Finchè c’è guerra c’è speranza” è stato il settimo film di Alberto Sordi come direttore-attore: Pietro Chiocca (Alberto Sordi) è un padre di famiglia e marito devoto, che lavora come un ossesso per garantire una vita assai agitata alla moglie e ai tre figli.
Il suo lavoro di rappresentante di armi da guerra gli consente di mantenere la famiglia nel lusso e nei “vizi”. Pietro viaggia di continuo fra due mondi. La Milano bene, in cui vive con moglie e figli, con le lunghissime gare di poker d’azzardo della consorte e le pretese dei pargoli, mai contenti, malgrado il lusso sfrenato in cui vivono. Poi c’è il continente africano, che lui vede come una miniera d’oro, vendendo armi ai governi dittatoriali che reprimono e riducono alla fame il popolo, sterminando chi si ribella.
# Lo svolgimento del film

Pietro Chiocca a Milano è un padre affettuoso e un marito premuroso, che accontenta tutti i lussuosi capricci della moglie. In Africa è invece un mercante cinico e senza scrupoli, sicuro di sé e pronto a tutto pur di portare a termine i propri (sporchi) affari, anche di tradire il proprio datore di lavoro per farsi vedere astuto e audace dall’armiere più potente e prestigioso del mercato, convincendolo a farsi assumere.
Pietro viene mandato in uno stato africano in fase di colonizzazione dei portoghesi. Proprio mentre sta per chiudere il contratto con il governo, incontra un giornalista del Corriere della Sera che fa da tramite per la vendita di armi ai rivoluzionari antigovernativi. Il governo ha già dei sospetti e tramite una sua spia spacciatasi per prostituta, riesce a far nascondere un trasmettitore radio nella valigia di Pietro, scoprendo così la posizione del villaggio ribelle e facendolo bombardare. Sono scene di morte, esplosioni, distruzione, con bambini in lacrime che rimangono orfani cercando i corpi dei genitori tra le macerie.
Pietro torna a casa dopo quella drammatica esperienza e scopre che la sua famiglia ha appena letto sul Corriere l’articolo-denuncia del giornalista sull’operato di Pietro, con un articolo dal titolo «Ho incontrato un mercante di morte». Davanti allo sdegno e al disprezzo di moglie e figli per il lavoro che svolge, Pietro propone, con grande sincerità, di tornare al suo vecchio e onesto lavoro di venditore di pompe idrauliche. Tornando a vendere pompe idrauliche potrebbe far vivere i suoi in una condizione dignitosa, ma certamente non nel lusso sfrenato, quindi la sua famiglia dovrà rinunciare all’opulenza. Posta di fronte all’alternativa di una rinuncia all’altissimo tenore di vita, la sua famiglia preferisce ignorare l’origine dei guadagni, rimanere nello sfarzo costringendo così Pietro a rimanere nel feroce mondo delle armi. Il film si conclude con protagonista che, con uno sguardo rassegnato, prende un nuovo volo, per piazzare una nuova vendita di mitragliatrici.
Alberto Sordi mostra, in maniera lucida e brillante, il ruolo che ha l’occidente, con la sua stessa prepotente presenza, nella creazione della violenza e della povertà che caratterizzano il Sud del mondo.
# Ma cosa c’entra Milano?

In parte lo abbiamo già accennato. Pietro Chiocca con la famiglia vive inizialmente in un lussuoso palazzo che, aprendo la tenda della finestra, offre la vista direttamente sul Duomo.
Il palazzo dove si trova la sede della prima ditta di armi per la quale lavora il protagonista, è in Piazza Liberty al civico 1. La moglie di Pietro convince il marito che la vita della città è soffocante, quindi vuole trasferirsi in un’immensa ed esclusiva area nel verde: la villa in questo paradiso lussuoso è alla Pinetina di Appiano Gentile.
Ma in questo film Milano è presente anche in altri termini: la produzione è della Cinema Rizzoli (Cineriz), che fu fondata dal milanese Angelo Rizzoli. Tra i doppiatori troviamo due attori di Milano, Renato Mori e Daniele Tedeschi.
Continua la lettura con: La guerra a Milano: le patate al Sempione e altre curiosità che pochi conoscono
FABIO BUFFA
Ipocrisia all’ultimo livello. Quando saremo “dimmi”, o meglio, defunti, il problema non esisterà più. Per noi