Ammettiamolo. A Milano esistono due realtà. Quella che si racconta e quella in cui si vive. Vale per ognuno di noi e, facendo la somma, diventa tipico di tutta la città. I detrattori la definiscono fuffa. Comunque sia, al di sotto della narrazione ufficiale si nasconde altro. Cose inconfessabili che i milanesi ci hanno rilasciato sottovoce, guardandosi attorno con sospetto, per sfuggire ai temibili guardiani dell’amministrazione comunale…
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A Milano è vietato dire… queste sette cose
# … che Milano non è più bella da vivere
Porta Nuova, CityLife, Expo, le Champions, la città dei 15 minuti, le week… Quando si parla di cose di Milano viene automatico fare la voce del Milanese Boomer, di quello che si vanta soprattutto di quello che non ha mai fatto. Sicuramente in certi ambiti Milano ha fatto passi siderali negli ultimi due decenni, ma quello che non si dice è il prezzo di tutto questo. Attirare i capitali internazionali significa diventare meno sostenibile per chi non ha grandi risorse, ad esempio. E cercare di rendere la città più vivibile per i ciclisti può far diventare la città un inferno per chi è costretto a muoversi in auto. Altro esempio. O, infine, la città del quarto d’ora può sembrare d’oro per chi abita in centro, ma un ghetto per chi vive in periferia. Terzo esempio. Per questo sottovoce, ma neanche poi tanto, sono molti i milanesi che si lamentano che Milano non è più bella da vivere come in passato.
# … che Milano non è sicura
Lo dicono anche i dati: Milano è prima in Italia per il numero di reati denunciati in rapporto alla popolazione, quasi 7.093 denunce ogni 100mila abitanti . Eppure si tende sempre a fare finta che non è così: è “colpa dei milanesi che denunciano” o, comunque, è “solo un problema di percezione”, come si sente ripetere da chi amministra la città. La verità, anche se non si può dire, è che girare per Milano quando si fa sera è un’esperienza da brividi. Per tutti e ovunque, ormai.
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# … che nei ristoranti italiani in cucina sono quasi tutti stranieri
Se si va all’estero si tende a prendere in giro gli abitanti locali che non si rendono conto che nelle pizzerie di italiani veri ce ne sono pochi. E che quasi sempre si dicono italiani persone che provengono da altri luoghi. E la qualità della pizza ne risente. Eppure, quando siamo a Milano, tendiamo a far finta di niente che questo ci capita sotto il nostro naso. Se si va a vedere in cucina, sono molto pochi i ristoranti di cucina milanese o italiana che hanno nostri connazionali. Eppure gli unici a sottolineare quanto sia difficile rispettare una cucina autentica con persone di altre nazioni sono i giapponesi: provate a dire a un giapponese che vive a Milano che avete mangiato sushi. Vi dirà che quasi sicuramente quello che avete preso per giapponese, era cinese. E guardate l’espressione. Ma noi milanesi non lo possiamo dire per non fare la figura del razzista culinario.
# … che a Milano non ci sono più i milanesi
Idem come sopra. I milanesi sono felici che la città sia internazionale, variegata, multiculturale. Però spesso, così come siamo molto aperti e tolleranti con chi viene da fuori, allo stesso modo tendiamo a diventare chiusi e ostili contro chi su questo tema prova a sollevare interrogativi. Senza considerare chi si preoccupa dell’eccesso di stranieri disadattati e irregolari che bighellonano in città, anche la semplice affermazione che “di milanesi a Milano se ne vedono sempre meno” rischia di essere tacciata di razzismo, con conseguenti brutte etichette che ammorbano la conversazione.
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# … che siamo disoccupati
Cambiamo tema, che è meglio. Il lavoro nobilita l’uomo, soprattutto a Milano. Nel senso che il lavoro esprime quanto vali, almeno negli aperitivi. Ma Milano è la città dell’aperitivo, dove la domanda che lavoro fai viene quasi prima a come ti chiami. E se provi a rispondere sono disoccupato, vedrai occhi sgranati come se avessi detto di non sentire gli odori al tempo del Covid. La verità (ufficiale) è che a Milano i disoccupati non esistono. Perché se anche il lavoro manca, la fantasia di inventarsene uno almeno quella ci deve essere. Altrimenti meglio dirigersi al casello di Melegnano.
# … che Milano è provinciale
Milano dice di essere una metropoli internazionale, ma spesso le mancano le infrastrutture e i servizi tipici delle vere capitali globali: la chiusura notturna di metropolitana, negozi e ristoranti è solo uno degli esempi che si possono fare. Alla sua vivacità economica e culturale, si affiancano mezzi di superfice sempre meno frequenti, spazi verdi limitati e un’urbanizzazione caotica che rischia di compromettere lo sviluppo sostenibile della città. Per dimensioni è vero che è una metropoli in miniatura. Ma come servizi e, a volte, come mentalità, quella che è certa è la miniatura.
# … che molte ciclabili sono inutili
Chiudiamo con un altro tema super censurato: la mobilità. Nella Milano dei nostri tempi regna la religione delle biciclette. Nel senso che tutti amiamo andare in bicicletta, ma a Milano nel momento in cui inforchi i pedali ecco che entri a far parte di una casta intoccabile. Vale ormai più del lavoro che fai: bicicletta is a state of mind. Ed è impossibile provare a difendere i diritti di chi usa altri mezzi di trasporto, soprattutto degli sciagurati che guidano roba con quattro ruote alimentata a combustibile fossile! Eppure, molti milanesi che vivono le strade della città, vedendo bici in strada, sui marciapiedi, su qualunque cosa che non sia la “magnifica” ciclabile costruita accanto, non possono che chiedersi in cuor loro: ma questa cosa delle ciclabili non sarà mica una faccenda politica?
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L’articolo sui cuochi non italiani (ci si dovrebbe magari domandare come mai non si trovano gli italiani) è certamente razzista, è la preparazione e la professionalità che fa il bravo cuoco e non la sua nazionalità. In valle d’Aosta ho mangiato una zuppa valpellinenze da complimenti al cuoco “Nepalese”
Non commento l’articolo sulle ciclabili e la ciclabilità incommentabile. Ovviamente mie opinioni