Le 5+1 caratteristiche provinciali di Milano che frenano la città

La facciata è da capitale europea, ma sotto resiste l’anima da provincia: le contraddizioni che Milano deve superare per diventare davvero una metropoli globale

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Milano si racconta come città globale, capitale del design e dell’innovazione. Ma sotto la superficie si nascondono ancora atteggiamenti, abitudini e rigidità da “grande provincia”. Non sono difetti gravi, ma ostacoli sottili che impediscono a Milano di liberare tutto il suo potenziale. Ecco le 5+1 caratteristiche più provinciali che la città dovrebbe superare.

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Le 5+1 caratteristiche provinciali di Milano che frenano la città

#1 Il culto dell’auto privata, anche a 10 minuti di metro

Credits: virgilio.it

Secondo i dati della Città Metropolitana, oltre il 50% degli spostamenti a Milano avviene ancora in auto, nonostante la città abbia quasi 100 km di linee metropolitane, una delle reti di sharing più capillari d’Europa e un centro storico interamente servito da trasporto pubblico.

Il paradosso? Spesso si usa l’auto per tragitti inferiori ai 3 km, percorribili in bici o in metro in metà tempo. Interi quartieri, da Bande Nere a Città Studi, vivono con parcheggi saturi e traffico cronico, anche se serviti da 2 o più linee di trasporto pubblico.

È un’abitudine legittima figlia di un’idea “vecchia Milano”, dove l’auto è ancora simbolo di autonomia e status e questo, anche se può piacere, confligge con la sua vocazione internazionale.

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#2 La fissa per il “posto fisso” anche nella città delle start-up

Nel 2022, a Milano operavano oltre 5.000 start-up innovative, più di un terzo del totale italiano. Eppure, secondo una ricerca dell’Università Bicocca, solo il 15% dei giovani laureati milanesi considera l’imprenditorialità una strada preferibile al lavoro dipendente. Il contratto a tempo indeterminato è ancora il traguardo più ambito.

Lo si vede anche nei coworking, pieni ma spesso frequentati da freelance “in attesa di qualcosa di stabile”. Una mentalità che, oltre la percezione, frena davvero la cultura del rischio e dell’innovazione, portando molti talenti a inseguire posizioni “sicure” in grandi aziende invece di creare qualcosa di nuovo.

#3 L’aria internazionale, ma l’anima chiusa

Milano ospita una delle popolazioni più internazionali d’Italia: oltre il 19% dei residenti sono stranieri (dati ISTAT 2023), con quartieri come Paolo Sarpi o Corvetto diventati veri melting pot urbani. Ma l’apertura culturale non sempre è reale.

Se sei straniero, parli perfettamente inglese, ma non italiano , puoi vivere in città anni senza entrare nei “giri giusti”. Anche tra italiani, chi viene da fuori Lombardia spesso percepisce un muro invisibile: lavori dati “a chi si conosce”, circoli chiusi, diffidenza verso chi “non è dei nostri”. Una città veramente internazionale integra, non solo tollera.

#4 L’ossessione per l’apparenza (che si mangia la sostanza)

A Milano ci si veste come si deve, si mangia nei posti “giusti”, si mostra di “aver fatto strada”. Ma dietro l’eleganza, spesso c’è una rincorsa sociale estenuante. L’esempio lampante sono i locali: pochi offrono qualcosa di radicalmente diverso, molti si somigliano. Stesso arredo, stesso menù “instagrammabile”, stesso pubblico.

L’ansia di “essere alla moda” porta a un’omologazione che ricorda più la provincia che tenta di copiare la metropoli piuttosto che la vera metropoli internazione.

Dove sono finiti, perchè si una volta c’erano, i veri posti alternativi? I locali fuori dalle rotte? Le idee nuove?. In una metropoli vera, la diversità è una risorsa, non un’anomalia.

#5 Il cambiamento a micro-dosi: mai troppo, mai subito

Milano ha realizzato grandi trasformazioni, da Porta Nuova a CityLife, ma sempre in modo graduale e controllato. Le ciclabili sono spesso temporanee, le pedonalizzazioni faticano ad affermarsi, i progetti radicali vengono ridotti a “compromessi accettabili”.

Esempio: il progetto Strade Aperte del Comune, che ha portato nuove corsie ciclabili durante la pandemia, ha subito rallentamenti e modifiche dopo le proteste di automobilisti e commercianti.

Anche la chiusura ai diesel Euro 5, comprensibilmente criticata da molti milanesi è stata più volte rinviata. Il risultato? Una città in transizione permanente, che teme tanto lo strappo con la “tradizione”, quanto il ritorno diretto al passato e quindi sceglie la toppa.

#5+1 Il fatalismo del “non è compito mio”

Ogni giorno si vedono strade con buche, biciclette distrutte, aiuole abbandonate, rifiuti lasciati in giro. E il pensiero tipico del “buon milanese” non è molto diverso da quello di qualsiasi altro italinao: “ci penserà il Comune”.

A Milano la cittadinanza attiva è ancora poco diffusa. Solo il 4% dei residenti partecipa regolarmente a iniziative di cura del territorio, contro il 15% di città come Berlino o Amsterdam (dati Eurostat 2022).

In una vera metropoli, i cittadini si sentono parte di un sistema condiviso. Qui, invece, si delega. Manca ancora una cultura forte della responsabilità diffusa: quella che trasforma ogni milanese in un custode della città e non solo in un utente.

Continua la lettura con: Queste sono le prime parole che ti vengono in mente quando pensi a Milano

MATTEO RESPINTI

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Matteo Respinti
Nato a Milano, l'11 settembre 2002, studio filosofia all'Università Statale di Milano. Appassionato, tra le tante cose, di cultura e filosofia politica, mi impegno, su ogni fronte alla mia portata, per fornire il mio contributo allo sviluppo della mia città, della mia regione e del mio Paese. Amo la mia città, Milano, per il racconto di ciò che è stata e per ciò che sono sicuro possa tornare a essere.

1 COMMENTO

  1. Quante critiche estemporanee! Teniamo presente che Milano ha una superficie che rispetto alle altre metropoli (Roma compresa), è minima (dovrebbe almeno comprendere tutta la città metropolita. Inoltre, nonostante sia divisa in 9 municipalità, le decisioni sono tutte del centro. Se qualcuno prende qualche iniziativa, oltre alla burocrazia invadente, viene subito stroncato dall’Amministrazione, che mentre afferma di essere libeerale, in realtà intralcia tutte (o quasi) le iniziative che partano dal basso. E mi si dice che Milano è provinciale? Provinciali sono gli amministratori, che non vedono al di là del naso e impongono normative da Unione Sovietica. Non solo, stanno gentrizzando Milano escludendo la parte bassa della popolazione, costretta a spostarsi nell’hinterland (vedi i nuovi quartieri della ex stazione di Porta Romana verso il Corvetto e viale Ortles ecc.)

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